9 – Tecniche di miglioramento dei terreni

In mancanza di alternative fruibili, per ottenere caratteristiche differenti o meglio utilizzabili da un terreno, è possibile procedere alterandone i parametri fisici; ad es., per incrementare la capacità portante può essere sufficiente modificare proprietà quali l’angolo Φ, la coesione c e il peso specifico γ. I cedimenti, a propria volta, possono essere ridotti aumentando la densità D, con conseguente diminuzione dell’indice dei vuoti e, attraverso un packing dei granuli; da quest’ultimo provvedimento, ancora, consegue, nella maggior parte dei casi, un aumento del modulo sforzi-deformazioni, cosicché i cedimenti immediati risultano ridotti.

La modificazione delle proprietà di un terreno può essere effettuata in svariati modi, quali:

–       Costipamento: (tecnica più diffusa);

–       Precarico (precompressione): usato, di norma, per ridurre cedimenti futuri viene anche adottato per aumentare la resistenza al taglio;

–       Drenaggio: viene utilizzato per accelerare i cedimenti in presenza di precarico; può anche aumentare la resistenza al taglio in quanto su dipende dal contenuto d’acqua;

–       Addensamento: ottenuto mediante l’uso di apparecchiature vibranti: si tratta di un sistema utilizzato soprattutto per sabbie e misti sabbia e ghiaia con D < 50÷60%;

–       Cementazione: viene utilizzato sia per ridurre i vuoti che per rinforzare il terreno;

–       Stabilizzazione chimica: viene utilizzata per rinforzare il terreno;

–       Interposizione di geotessili: usati principalmente quale rinforzo e, in qualche caso, per ottenere specifici valori operativi (impermeabilizzazione etc.).

I metodi di miglioramento del terreno in precedenza indicati vengono affrontati con maggior dettaglio nei § seguenti, allo scopo di fornire una rassegna generale della metodologia. Maggior attenzione, comunque, è posta al miglioramento del suolo per fondazioni di strutture edilizie. Verranno forniti appropriati riferimenti bibliografici, cosicché il lettore interessato possa beneficiare di ulteriori approfondimenti per particolari applicazioni.

9.1 – Costipamento

L’applicazione, di norma, rappresenta il metodo più diffuso per il miglioramento dei terreni: l’applicazione viene effettuata mediante asportazione di terreno fino a una determinata profondità provvedendo successivamente allo riempimento per strati successivi di spessore controllato, e compattando il terreno tramite un adeguato dispositivo di costipamento.

Le prove di costipamento standard che possono essere impiegate per la valutazione qualitativa del terreno sono inserite nel relativo capitolo del vol. 1°; in Fig. 9.1 sono presentate alcune curve di costipamento caratteristiche per le diverse tipologie di terreno.

In campo edilizio la prova di costipamento non utilizzata se non raramente in quanto la supplementare opera di consolidazione e il necessario controllo qualità comportano un limitato incremento efficace delle proprietà del terreno.

I riporti che eventualmente devono sostenere gli edifici vanno realizzati adottando un criterio di costipamento controllato. I cedimenti risultano poco uniformi se lo spessore del riporto è variabile o se l’area è costituita da sterri e riporti in rapporto misto; gli stessi possono essere di lunga durata a meno che non si adottino particolari accorgimenti per accelerarne il processo, quali riporti di sovraccarico (per aumentare la pressione) o installazione di drenaggi per accelerare il consolidamento.

Il costipamento di terreni coesivi viene effettuato impiegando rulli costipatori a piede di pecora o pneumatici (→ vol. 1°) attivando spessori variabili entro 15÷20 cm: il n° di passate risulta minimo se il contenuto di umidità è prossimo al valore ottimale.

Il costipamento di terreni non coesivi viene effettuato impiegando rulli lisci e/o a tecnica vibrante in maniera che il costipamento si riveli prodotto combinato degli effetti di confinamento, compressione e vibrazione (spessore max 100÷200 cm).

Fig. 9.1 – Curve di costipamento per diverse tipologie di terreno.

9.2 – Costipamento dinamico

Il metodo rappresenta un’estensione in scala della prova di costipamento standard: l’operazione di costipamento, infatti, prevede l’utilizzo di una gru che sollevi fino a una determinata altezza un pesante maglio lasciandolo poi ricadere al suolo. L’effetto può essere ottenuto fino a una notevole profondità in funzione della massa del maglio, dell’altezza di caduta e del tipo di terreno.

Nel costipamento dinamico il maglio con massa entro 8÷25 t ma anche superiori viene rilasciato da altezze entro 10-25 m e in diversi punti spaziati del terreno, in modo da ricoprire ottimamente l’area d’interesse.

La procedura specifica consente un notevole miglioramento della maggior parte dei terreni saturi classificati quali sabbie limose e/o argillose e ghiaie ottenendo risultati tanto più significativi quanto diminuisce il contenuto di sabbia o argilla.

Per terreni incoerenti la profondità d’influenza (D) del costipamento viene determinata dalla relazione di Leonards:

D = 0.5 (Wh)1/2

Per terreni coesivi vale invece la relazione di Ménard & Broise:

D = (Wh)1/2

dove Wh la massa del maglio (t) e h l’altezza di caduta (m).

L’effetto dinamico (di massa) fa sì che il miglioramento del terreno assuma un valore linearmente variabile di qualità dall’intorno del punto d’impatto attenuandosi fino al terreno non trattato alla profondità D: tale effetto deve comportare valori D ≈ 2B (minima dimensione trasversale della fondazione) per piccoli ambiti mentre per platee la profondità D viene determinata in base al tipo di apparecchiatura disponibile. Le spaziature sono comunemente dell’ordine di 1.5 fino a 4 m.

L’operazione di consolidazione dinamica risulta essere economicamente valida sotto le seguenti condizioni:

–       area minima interessata 5÷10 103 m2;

–       profondità del terreno troppo elevata per giustificare rimozione e successivo riempimento;

–       effetto delle vibrazioni (2÷12 Hz) innocuo le opere circumvicine.

9.3 – Compressione da pre-carico

L’applicazione del pre-carico consente di realizzare un metodo efficace e relativamente economico per il miglioramento di terreni da fondazione poveri, prima di effettuare la costruzione di opere permanenti. Tale operazione può essere effettuata applicando del terreno o roccia o, nel caso di serbatoi, attraverso il progressivo riempimento dei medesimi (talora anche abbassando il livello freatico). La compressione viene realizzata per il raggiungimento di due obiettivi:

a – L’adozione di sovraccarichi temporanei elimina la possibilità d’innesco di cedimenti che potrebbero verificarsi dopo il completamento della struttura.

b – L’aumento indotto della densità riduce l’indice dei vuoti e il contenuto d’acqua aumentando la resistenza al taglio del terreno.

Il precarico, in ogni caso, risulta particolarmente efficace entro limi normalmente o poco sovraconsolidati, argille e depositi organici.

In presenza di depositi di medio spessore ed in assenza di livelli di sabbia intermedi, il precarico può necessitare di dreni di sabbia allo scopo di ridurre il tempo necessario perché si verifichi la consolidazione.

La quota di cedimento eliminabile a seguito dell’adozione di un precarico s’intende pari al 100% della consolidazione primaria; per quanto riguarda l’effetto secondario si opera in modo che la quota rimanente risulti di entità trascurabile. La compressione secondaria può essere stimata adottando la relazione:

nella quale H è lo spessore dello strato in situttotale la vita di funzione, tprimario il tempo al termine della consolidazione primaria. Il cedimento totale dovuto al precarico è dato dalla somma dei cedimenti primario e secondario.

Le prove di resistenza al taglio prima e dopo l’applicazione del precarico risultano necessario per valutare l’incremento della resistenza conseguente al preconsolidamento.

Di norma, inoltre, il sovraccarico di precompressione deve risultare maggiore del peso di progetto in modo che i cedimenti successivi alla costruzione risultino essere trascurabili.

9.4 – Drenaggi realizzati tramite strati di sabbia e dreni

Qualora elementi precaricanti fossero posti sopra un deposito coesivo saturo la lunghezza del percorso di drenaggio viene a crescere , in taluni casi, fino alla sommità del riporto; e oiché la lunghezza del percorso di drenaggio determina il tempo di consolidazione, tale percorso deve risultare il più breve possibile. Quando il livello piezometrico è molto vicino alla superficie del suolo viene di norma disposto uno strato di sabbia (coltre) sull’area interessata prima di effettuare il riporto. L’acqua, spinta dal terreno sottostante a circolare nella sabbia, scorre lateralmente fino all’orlo del riporto ottenendo in tal modo l’accelerazione del processo di drenaggio in virtù del fatto che il coefficiente di permeabilità è maggiore nella sabbia.

9.4.1 – Dreni in sabbia

Generalizzando il concetto precedentemente espresso é stato possibile collocare colonne verticali di sabbia a intervalli stabiliti nel suolo esistente. Per effetto del gradiente idraulico prodotto dal riporto l’acqua scorre dal livello di maggiore a quello di minore energia potenziale.

Fig. 9.2 – Metodologie differenti per la realizzazione di dreni in sabbia.

Poiché l’acqua può fluire più rapidamente nella sabbia che nel terreno in situ, le colonne funzionano quali punti di bassa energia potenziale. Il massimo incremento di velocità di efflusso si ottiene incorporando uno strato orizzontale di sabbia coi dreni in sabbia; questi possono essere collocati anche quando lo strato consolidante viene a trovarsi ad una certa profondità dalla superficie per accelerare il processo in atto. Il tempo di consolidazione è ottenibile dalla relazione:

t = TH2/cv

Il fattore adimensionale T dipende dalla % di consolidazione e vale ~0.85 (90%) e ~0.2 (50%).

Il coefficiente di consolidazione (calcolato per via edometrica) consente di risolvendo l’equazione sopra indicata rispetto al fattore cv. tale coefficiente vale, per altra via:

cv = k/γwmv

In presenza di drenaggi radiali (come nei dreni in sabbia) tuttavia, il coefficiente di permeabilità k di tale equazione rappresenta il valore orizzontale, talora uguale ad un valore 4 o 5 volte maggiore di quello verticale. Potendo invece determinare l’ordine di grandezza di k (→ l’esponente di 10) per gli scopi pratici, il tempo di consolidazione di uno strato può essere calcolato:

–       a – assumendo H pari a 0.5 la distanza tra i dreni;

–       b – calcolando cv mediante il coefficiente di permeabilità orizzontale;

–       c – assumendo per T il valore tabellare per l’appropriato valore della % di consolidazione;

–       d – risolvendo la relazione iniziale rispetto a t esprimendo questo in funzione di cv.

Il valore, in ogni caso, risulta affetto da errori dovuti a fattori quali il drenaggio verticale tra gli strati consolidanti, la presenza di sottili strati di sabbia e, infine, il drenaggio verticale consentito da una o da entrambe le estremità.

I dreni in sabbia vengono installati in fori (Ø 15÷75 cm) con diverse procedure (Fig. 9.2):

– tubi trivellati: il tubo viene azionato a mandrino chiuso; la sabbia viene posta nel tubo che ricade sul fondo man mano che il tubo viene estratto, costituendo così il dreno.

– tubi infissi: la sabbia viene iniettata;

– a mezzo trivella rotante: al termine si riempie il foro con sabbia;

– a mezzo trivella cava ad asta continua.

9.4.2 – Dreni a tubi in geotessile

I dreni realizzati mediante l’uso di tubi a geotessile (wick drains) sono andati via via diffondendosi in luogo delle colonne di sabbia.

Un wick drain è un tubo geotessile costituito da un nucleo scanalato di plastica o carta ricoperto da membrane di plastica o carta in modo da costituire un elemento (10÷30 cm di larghezza e 4÷6 mm di spessore) della lunghezza necessaria. La membrana di copertura costituisce una barriera permeabile allo scopo di limitare l’ostruzione del nucleo. Il nucleo costituisce un rapido condotto tra la superficie e uno strato di sabbia, un filtro in tessuto o i canali orizzontali di drenaggio.

L’interesse particolare per i wick drains è dato, soprattutto, dal fattore economico in quanto il costo d’installazione per metro è pari al 20÷25 % di quello dei dreni in sabbia. Il sistema è realizzabile entro i 30 m di profondità. Le medesime equazioni approssimate valide per i dreni in sabbia possono essere adottate anche per i wick drains sia per stabilirne la spaziatura che per stimare il tempo necessario per la consolidazione.

9.5 – Metodi a vibrazione

La capacità portante ammissibile delle sabbie dipende in ampia misura dalle condizioni del terreno; tale effetto si riflette sul numero di penetrazione (N) o sul valore di resistenza (misurata col Penetrometro statico) così come sull’angolo di attrito interno. Risulta inoltre poco pratico disporre una fondazione su sabbia sciolta in quanto la capacità portante ammissibile si rivela comunque troppo bassa per comportare interesse economico (indipendentemente dalle vigenti normative sismiche)

In Tab. 9.1 sono indicate le relazioni liquefazione-potenziale, intensità del sisma e densità relativa in presenza di una falda posta 1.5 m sottosuperficie. Le indicazioni possono essere utilizzate per livelli fino a 3 m sottosuperficie. La densità relativa può essere posta in relazione con le prove penetrometriche ( →vol. 1°) dopo aver corretto il valore di N per tener conto del sovraccarico attraverso il coefficiente CN.

Tab. 9.1 – Relazioni tra Potenziale di liquefazione, Densità relativa ed Intensità del sisma in un terreno con falda 1,5 m sottosuperficie.

Le metodologie comunemente adottate per addensare depositi incoerenti di sabbia e ghiaia (limo ≤ 20% o argilla ≤10%) sono quelle per vibroflottazione o per inserimento ed estrazione di pali vibranti (Terra-Probe System). La vibroflottazione viene effettuata mediante l’utilizzo di un penetratore cilindrico (L ~ 2 m) dove un peso eccentrico all’interno genera una forza centrifuga orizzontale (~ 90 kN) e 2 getti d’acqua, superiormente e inferiormente, favoriscono la penetrazione: in Fig. 9.3 viene illustrato il procedimento. Il dispositivo affonda nel suolo ad una velocità compresa entro 1÷2 m/min nella zona mobile o liquefatta che si forma al di sotto dell’estremità dell’apparecchio dovuta a una combinazione d’eccesso d’acqua e vibrazione; nel momento in cui il dispositivo raggiunge la profondità richiesta, in dipendenza dalle dimensioni della fondazione e dallo spessore dello strato (2B÷3B), viene azionato il getto d’acqua in sommità mentre il vibroflottatore viene estratto alla velocità di circa 0.3 m/min.

Fig. 9.3 – Vibroflottazione.

Via via che il sistema risale viene aggiunta sabbia (10% del volume compattato) nella depressione formatasi in superficie a seguito dell’addensamento. Grazie all’adozione di questa tecnica possono essere ottenute capacità portanti entro 250÷500 kPa.

Il Terra-Probe System prevede il montaggio di un palo vibrante su una sonda (palo) e l’effettuazione di vibrazioni a percussione nel terreno da addensare. Il dispositivo è utilizzabile per i medesimi terreni per i quali si può impiegare la vibroflottazione; può essere utilizzato anche per applicazioni subacquee (pile di ponti etc.).

Il raggiungimento di un livello d’addensamento adeguato si determina confrontando in situ i valori di N o i dati di una prova penetrometrica statica (CPT), prima e dopo la vibrazione.

9.6 – Colonne di pietrame

Le apparecchiature vibranti così come la sonda per tubi trivellati utilizzata per la realizzazione di dreni in sabbia possono essere adottate per inserire nel terreno colonne costituite da materiale granulare (Ø 6 – 40 mm). Le colonne in pietrame così realizzate trovano applicazione entro terreni soffici, inorganici e coesivi venendo, di norma, poste in opera per intervalli successivi tali da consentire i necessari assestamenti alle compagini.

Al momento non esiste una procedura teorica completa per determinare gli effetti di miglioramenti indotti da tale tecnica al substrato fondabile: si utilizza, talora, la formula di Hughes:

qa = Kp (4c+σr’)/FS

dove Kp = tg2 (45°+Φ’/2), Φ’ è l’angolo d’attrito interno (drenato) del materiale, c la coesione non drenata, σr’ lo sforzo radiale efficace (di norma da pressiometro; oppure presa uguale a 2c) ed FS il coefficiente di sicurezza (1.5÷2.0).

Il carico totale ammissibile sulla colonna in pietrame (Ac area media della sezione trasversale) è dato dalla relazione:

P = qa Ac

Si adotta, così, l’ipotesi che il carico di fondazione ammissibile venga fornito dalla somma dei contributi delle diverse colonne in pietrame presenti sotto l’area di fondazione; le medesime devono estendersi attraverso l’argilla soffice fino agli strati compatti per ridurre i cedimenti.

La relazione iniziale, tuttavia, non tiene conto della capacità portante di punta poiché il contributo principale alla portanza è dato dal taglio locale sul perimetro; un contributo della capacità portante di punta, infatti, provoca un meccanismo di puntamento con rottura laterale poiché il terreno circostante possiede una limitata resistenza.

Sotto tale ipotesi limitatrice il carico totale ammissibile non deve varcare l’equilibrio dato dalla relazione:

P ≤ π D Lc c + Ac(9cpunta)

che, risolta rispetto alla lunghezza critica Lc, fornisce l’espressione:

Lc ≥ [PAc(9cpunta)]/π D

dove c e cpunta rappresentano la coesione laterale e di punta e D il diametro medio della colonna.

La relazione esprime il valore minimo imposto alla lunghezza della colonna.

Il livello di cedimento rappresenta il fattore di principale interesse per le colonne in pietrame poiché la capacità portante risulta quasi sempre sufficientemente adeguata.

Non esistendo alcun metodo disponibile per il calcolo dei cedimenti su base teorica i medesimi vengono stimati sulla base di metodi empirici, quali l’abaco di Greenwood & Thomson in Fig. 9.4.

Fig. 9.4 – Abaco per la determinazione dei cedimenti in terreni rinforzati da colonne in pietrame

Osservando la figura è possibile rilevare come le colonne in pietrame possano ridurre i cedimenti fino ~ 0 in funzione dell’area della colonna, della spaziatura e della resistenza iniziale del suolo.

9.7 – Cementazione e stabilizzazione chimica

La cementazione è una tecnica che consiste nell’introduzione nella massa del terreno di un agente stabilizzante sotto pressione; la pressione, forzando l’agente stabilizzante nei vuoti del terreno entro uno spazio limitato all’intorno del tubo d’iniezione, spinge il medesimo a reagire col terreno (o con se stesso) costituendo una massa stabile. Il cementante più diffuso è costituito da una miscela di cemento e acqua, con o senza sabbia.

La cementazione, pur essendo uno dei metodi più costosi di trattamento del terreno, consente un elevato numero di applicazioni quali:

–       controllo di eventi dovuti a filtrazione d’acqua attraverso riempimenti di pori o fratture;

–       prevenzione dell’addensamento di sabbie sotto strutture adiacenti durante l’infissione di pali;

–       puntellamento, mediante cementazione, con effetti compattanti;

–       riduzione delle vibrazioni attraverso irrigidimento del terreno;

–       riduzione di cedimenti mediante riempimento di vuoti;

–       miglioramento della cementazione entro la struttura del terreno.

Di norma vengono adottati i cementanti quando K > 10-5m/s.

Numerosi prodotti chimici possono essere adottati quali agenti cementanti per il trattamento dei terreni da fondazione; pur essendo i più costosi tra tutti consentano tuttavia dei significativi vantaggi quali la bassa viscosità unita all’assenza di materiale in forma di particelle mentre il tempo di messa in opera é facilmente controllabile.

9.7.1 – Materiali d’iniezione per il consolidamento e l’impermeabilizzazione

I campi d’applicazione dei procedimenti d’iniezione nell’Ingegneria civile sono molteplici: fondazioni e sottofondazioni, scavi a cielo aperto, gallerie, schermi d’impermeabilizzazione per dighe di ritenuta etc. Le tecniche tradizionali d’iniezione consistono nell’eseguire il trattamento a foro scoperto o mediante tubi valvolati (tubs à manchettes)

Come visto nel paragrafo precedente nei terreni è possibile eseguire il consolidamento mediante iniezioni ad altissima pressione di miscele cementizie,secondo una tecnica nota come sistema jet-grouting. Per migliorare le caratteristiche geotecniche-geomeccaniche degli ammassi, in alternativa al consolidamento mediante iniezioni, è possibile operare mediante l’inserimento di elementi strutturali allungati, più resistenti e rigidi del terreno o della roccia e funzionanti come, tiranti attivi o passivi.

Tali elementi vengono ancorati mediante l’iniezione di boiacche cementizie concentrate nel bulbo o per tutta la lunghezza e sezione dell’ancoraggio stesso.

In quest’ultimo caso l’iniezione della miscela svolge la duplice funzione di consentire la rapida messa in tiro dell’elemento mentre esercita una funzione di protezione dell’acciaio dalla corrosione. A tal fine è indispensabile che nella boiacca non si manifesti il fenomeno dell’essudazione dell’acqua (bleeding); l’evento, infatti, genera delle macroscopiche cavità attraverso le quali gli agenti aggressivi possono facilmente intaccare i ferri d’armatura (la normativa pone il limite che tale quantità d’acqua non debba superare il 2%).

Infine, qualora il problema sia quello di riempire dei vuoti creatisi all’estradosso di rivestimenti di gallerie, si possono nuovamente utilizzare iniezioni di miscele cementizie o, in alternativa, riempire le cavità con conglomerati cementizi cellulari leggeri.

9.7.1.1 – Caratteristiche reologiche delle miscele di iniezione

Le miscele cementizie (boiacche) impiegate nei trattamenti d’iniezione sono delle sospensioni di cemento in acqua;

La penetrabilità di una miscela dipende, in larga misura, dalle dimensioni delle particelle di cemento e dalle proprietà reologiche (viscosità, rigidità, stabilità sotto pressione) della medesima, in funzione della dimensione dei vuoti da iniettare. Operativamente la permeazione può essere impedita non solo dall’ampiezza dei meati del terreno ma anche dalla tendenza all’agglomerazione dei grani di cemento (flocculazione).

Le sospensioni di granuli di cemento in acqua vengono definite stabili se durante il processo d’iniezione l’acqua non si separa dal cemento; in caso contrario sono dette instabili.

In quest’ultimo caso se durante il trattamento il cemento si separa dall’acqua si verifica il rapido ispessimento della sospensione, l’aumento di viscosità e la formazione di un pannello denso e asciutto detto cake. In tale situazione l’iniezione si bloccherebbe in breve tempo a distanze estremamente ridotte. Nelle normali boiacche cementizie, per ottenere un’alta fluidità, occorrono elevati rapporti Acqua/Cemento; operando in tal modo e iniettando forzatamente la miscela nei vuoti, si può determinare la segregazione della boiacca con le conseguenze sopra descritte.

In alcuni casi inoltre è necessario poter disporre di boiacche che garantiscano sia buone caratteristiche meccaniche sia una presa relativamente rapida; in altri casi, invece, un trattamento condotto in più fasi può richiedere che i tempi d’indurimento vengano rallentati. L’aggiunta di additivi è indispensabile per migliorare la penetrabilità di una miscela; il comportamento della sospensione viene infatti modificato per ridurre la segregazione e la velocità di crescita del cake, favorire la ritenzione dell’acqua e aumentare la stabilità sotto pressione. Analogamente è necessario mantenere la viscosità a valori molto bassi per non ostacolare il proseguimento dell’iniezione e consentire l’intasamento dei volumi previsti.

9.7.1.2 – Iniezioni con tubi à manchettes

II consolidamento del terreno mediante iniezioni si basa sul principio d’effettuare i trattamenti da un foro appositamente allestito mediante un tubo a valvole poste ad intervalli definiti; la cavità anulare fra il tubo valvolato e le pareti del foro viene riempita con una particolare miscela d’acqua, cemento e bentonite (guaina) avente la funzione d’impedire la risalita della miscela consolidante lungo il foro obbligandola ad interessare di volta in volta le sezioni del terreno definite dalla posizione delle valvole.

La resistenza della guaina, dopo opportuni tempi di maturazione, deve risultare sufficiente per impedire che la miscela iniettata risalga lungo il tubo ma, nel contempo, possedere un determinato livello di plasticità in modo tale da consentire la rottura delle valvole entro determinati valori di pressione.

La miscela consolidante, iniettata nella seconda fase del trattamento, è composta principalmente da acqua e cemento; in questo caso l’additivazione della boiacca è particolarmente indicata poiché la capacità permeante di tale sospensione dipende esclusivamente dalle caratteristiche reologiche (viscosità, rigidità e coesione) nonché dalla stabilità sotto pressione. Mediante l’aggiunta di additivi (come visto nel § precedente) si possono controllare e definire i tempi di indurimento in funzione delle modalità in una o più fasi del consolidamento.

9.7.1.3 – Trattamenti di iniezione con sistema jet grouting

II consolidamento dei terreni mediante l’iniezione ad altissima pressione di uno o più fluidi (boiacca di cemento, aria, acqua) prevede, che la capacità di penetrazione della miscela dipenda dalla forza disgregante del getto (in termini di portata e di pressione all’ugello di uscita), eventualmente con l’ausilio di aria (sistema bifluido) o aria + acqua (sistema trifluido).

Le elevate pressioni che si manifestano in corrispondenza degli ugelli ove fuoriesce la boiacca di cemento, unitamente al possibile riscaldamento per attrito dell’utensile distributore, possono incrementare la rigidità della sospensione per aumentata cinetica di reazione acqua-cemento e diminuire l’efficacia del trattamento. L’aggiunta di additivi superfluidificanti conferisce alla miscela una maggior capacità permeante in quanto in grado di ridurre la viscosità della sospensione cementizia e determinare una maggiore stabilità, anche in condizioni di elevate pressioni e temperature.

9.7.1.4 – Riempimento di guaine e cavi post-tesi per tiranti d’ancoraggio

All’interno delle strutture in C.A. ove siano richieste elevate resistenze a sforzi di trazione e flessione, sono presenti cavi a trefoli in acciaio armonico che vengono messi in tensione dopo il getto del calcestruzzo. Allo stesso modo, entro opere di protezione degli scavi quali paratie di diaframmi etc., per contrastare le spinte dei terreni vengono posti in opera sistemi di ancoraggio (tiranti) anch’essi realizzati con cavi a trefoli. Nel primo caso i cavi vengono ricoperti da guaine (gomma, plastica, alluminio etc.), nel secondo vengono alloggiati in apposite perforazioni; in entrambi i casi le guaine e le cavità sono riempite con boiacche cementizie per assicurare che i trefoli risultino protetti dalla corrosione sotto sforzo (stress corrosion).

9.7.1.5 – Caratteristiche della malta

La malta deve essere fluida e stabile con minimo ritiro ed adeguata resistenza, non deve contenere agenti aggressivi e deve essere composta da cemento, acqua ed eventuali additivi. Eventuali elementi inerti (ad es., farina di sabbia) possono impiegarsi solo per guaine di dimensioni > 12 cm nel rapporto in peso inerti/cemento < 25%. Gli additivi non debbono contenere ioni aggressivi (cloruri, solfati, nitrati etc.) e, in ogni caso, non produrre un aumento di ritiro.

Possono impiegarsi resine sintetiche, bitumi o altro materiale solo comprovata analisi sperimentale. La malta deve essere sufficientemente fluida perché la si possa correttamente iniettare nei canali. E’ consigliabile controllare la fluidità della malta accertando che il tempo misurato con l’imbuto di Marsh (Marsh ConeMarsh Funnel) sia compreso entro 13÷25 s.

La resistenza a trazione per flessione a 8 giorni deve risultare ≥ 4 N/mm2 (40 kg/cm2). Il tempo d’inizio della presa a 30 °C deve essere > 3h. Il rapporto acqua/cemento da determinare sperimentalmente per ogni tipo di cemento deve essere il minore possibile compatibilmente con la fluidità richiesta e comunque ≤ 0.4 (0.38 se con additivi) e inoltre deve essere tale che la quantità d’acqua di essudamento alla superficie della pasta in condizioni di riposo sia < 2%.

Il ritiro a 28 gg non deve risultare > 2.8 mm/m.

9.7.2 – Cementi microfini

La produzione di leganti microfoni ha avuto inizio in seguito al divieto di utilizzare le miscele liquide organiche, a causa della loro tossicità e del loro conseguente rischio di inquinamento, per il consolidamento dei terreni con la tecnica delle iniezioni a bassa pressione. Con tale tecnica un sistema poroso viene consolidato senza perturbare la sua intima struttura, iniettando cioè una miscela liquida a bassa pressione (< 15 bar) attraverso le porosità capillari e le eventuali fratture del sistema stesso che viene consolidato per effetto dell’indurimento della miscela nei vuoti permeati. Nel recente passato le iniezioni di consolidamento a bassa pressione venivano realizzate prevalentemente con miscele di natura organica che inorganica.

Le miscele chimiche di natura organica, a base principalmente di resine acriliche, fenoliche, ureiche ed epossidiche, induriscono in conseguenza di un processo di polimerizzazione: il liquido monomerico, attraverso reazioni chimiche a catena, solidifica formando un polimero solido.

Le miscele chimiche di natura inorganica, generalmente a base di silicato di sodio, induriscono invece formando un composto chimico idrato poco solubile, di natura colloidale (idrogel). Tutte queste miscele hanno un utilizzo abbastanza diffuso perché, essendo dei liquidi puri (esenti da particelle solide) sono in grado di penetrare abbastanza facilmente attraverso porosità o fratture di larghezza anche molto ridotta: ad es. nei pori presenti in depositi di sabbie fini al limite dei limi.

Le miscele chimiche tuttavia presentano alcuni aspetti negativi, il più serio dei quali, come accennato, è il rischio di inquinamento; ulteriori aspetti negativi sono dovuti al fatto che non sempre le miscele chimiche sono in grado di conferire al sistema da consolidare resistenze meccaniche sufficienti e, entro certi limiti, controllabili; inoltre la durabilità del consolidamento non sempre risulta del tutto soddisfacente e la naturale traspirabilità del sistema risulta pressoché annullata. Per questi motivi, ma soprattutto per i rischi ecologici, nasce la tecnologia di produzione dei leganti idraulici microfini, con l’obiettivo di essere utilizzati per la preparazione di sospensioni acquose ad alta capacità di penetrazione, idonee a sostituire le miscele chimiche.

I cementi (→ vol. 1°) sono leganti idraulici completamente inorganici ed atossici: la loro matrice basica viene ottenuta per trasformazione ad alta temperatura di opportune miscele di rocce naturali quali calcari, marne, argille e scisti.

I cementi tradizionali sono normalmente costituiti da granuli di dimensioni comprese fra 1÷100 μm e presentano superfici specifiche (blaine) comprese entro 2800÷5500 cm2/g. Tali caratteristiche granulometriche indicano come i cementi tradizionali (anche quelli più fini) non siano idonei alla preparazione di sospensioni acquose dotate della medesima iniettabilità delle miscele chimiche; inoltre, le sospensioni ottenibili coi cementi tradizionali, spesso risultano troppo viscose e troppo propense alla sedimentazione.

I leganti idraulici microfini, costituiti dalla medesima matrice basica, inorganica ed atossica dei cementi tradizionali, si differenziano per la finezza molto più spinta. Sono infatti costituiti da granuli che, in funzione della tipologia del microcemento, presentano dimensioni comprese tra 0.1÷10 μm quelli a finezza più spinta ed entro 0.1÷25 μm per quelli a finezza meno spinta offrendo superfici specifiche tra 8.000÷15.000 cm2/g.

9.7.2.1 – Caratteristiche granulometriche

Dal punto di vista granulometrico i leganti microfini vengono spesso individuati per mezzo di due dimensioni caratteristiche: la dimensione caratteristica massima (D98) e la dimensione caratteristica media (D50). La dimensione caratteristica massima D98 è la dimensione in mm al di sotto della quale sta il 98% del legante, così pure la dimensione caratteristica media D50 è la dimensione in mm al di sotto della quale sta il 50% del legante. Ciò che più interessa nei cementi microfini è la dimensione massima dei grani che li compongono in quanto è proprio tale dimensione che, dovendo risultare ragionevolmente inferiore alla larghezza minima dei pori del sistema da permeare, ne limita la iniettabilità.

Dal punto di vista puramente granulometrico, infatti, l’iniettabilità di una dispersione di microfìne attraverso un terreno sabbioso è condizionata sia dalla dimensione massima delle particelle di legante, sia dalla dimensione minima dei granuli di sabbia. Considerazioni teoriche di natura geometrica, supportate da esperienze di laboratorio, portano alla necessità di ottemperare al seguente requisito dimensionale:

D95 ≤ 0.08 D5 s

dove D95 è la dimensione in mm al di sotto della quale sta il 95% del legante; D5s è la dimensione in mm al di sotto della quale sta il 5% della sabbia.

Questa relazione limita la dimensione massima delle particelle del legante (rappresentata dal D95’s) in funzione della dimensione minima dei granuli di sabbia (rappresentata dal D5 s) che sono quelli che generano i pori di diametro minore. Ad es. un terreno sabbioso caratterizzato da D5s = 120 μm può essere iniettato solo con sospensioni di leganti che abbiano D95 < 0,08 120 um, ossia < 9.6 μm. Il rispetto del citato requisito granulometrico, tuttavia, fornisce solo la capacità potenziale di una dispersione a permeare attraverso il sistema poroso e quindi può non essere sufficiente a garantirne la reale intrusione. Si richiede in aggiunta, infatti, che la viscosità della dispersione risulti sufficientemente bassa per non dover impiegare pressioni di iniezione troppo elevate, tali cioè da danneggiare meccanicamente il sistema da consolidare. È necessario, inoltre, che il requisito granulometrico si mantenga soddisfatto anche in fase dispersa, che non si determini cioè un sensibile rigonfiamento delle singole particelle o un loro agglutinarsi quando vengono a contatto con l’acqua. Un parametro spesso utilizzato per valutare la permeabilità di un sistema poroso è il coefficiente di permeabilità all’acqua (k) (grandezza fisica funzione della porosità intercomunicante globale del sistema e, soprattutto, della distribuzione dimensionale dei pori che la caratterizza.

Fig. 9.5 – Iniettabilità delle varie miscele in funzione del coefficiente di permeabilità k dell’acqua.

9.7.2.2 – Caratteristiche reologiche

E’ stato affermato in precedenza che il requisito granulometrico, pur essendo una condizione necessaria, non è condizione sufficiente a garantire la corretta iniezione di una sospensione microdispersa in un sistema poroso; occorre infatti, tra l’altro, che siano soddisfatti altri 2 requisiti di carattere non più granulometrico, ma reologico e precisamente:

–       bassa viscosità;

–       alta stabilità.

9.7.2.2.1 – Viscosità

La bassa viscosità delle sospensioni è richiesta dalla necessità di eseguire l’intrusione nel sistema da consolidare in tempi brevi e con pressioni di pompaggio necessariamente inferiori a quelle di cedimento meccanico del sistema stesso (claquage).

Entro certi limiti la viscosità può essere abbassata agendo sul rapporto acqua/legante, ossia operando con rapporti più elevati (1 ≤ A/L < 4) oppure si può far ricorso ad appropriati agenti fluidificanti, richiesti specialmente ai più bassi valori del rapporto suddetto.

La Fig. 9.6 illustra la variazione della viscosità apparente in funzione del rapporto acqua/legante per alcuni microfìni e per un cemento 525 Portland. E’ possibile notare dal grafico come le sospensioni dei microfini, a parità di rapporto A/L, hanno una viscosità sensibilmente più bassa.

Fig. 9.6 – Variazione della viscosità apparente in funzione del rapporto A/L.

9.7.3.2.2 – Stabilità

Le particelle solide omogeneamente disperse in una sospensione acquosa, se lasciate in stato di riposo, tendono a sedimentare sotto l’azione della forza di gravita, separando una fase acquosa surnatante praticamente pura. Il rapporto fra il volume d’acqua così separato e il volume totale della miscela definisce la % di sedimentazione, parametro che viene utilizzato come indice della instabilità di una sospensione.

Per contro, la stabilità di una sospensione corrisponde alla sua capacità intrinseca di mantenere omogeneamente disperse nel tempo, in stato di quiete e sotto l’azione della sola gravità, tutte le fasi che lo compongono. L’instabilità di una sospensione influisce in modo negativo sulla sua capacità di consolidare un sistema poroso, in quanto il volume di vuoti realmente consolidati non sarà quello corrispondente al volume di miscela iniettato, bensì solo quello corrispondente alla sua frazione sedimentata, ossia quello complementare alla % di sedimentazione.

La Fig. 9.7 riporta l’evoluzione nel tempo della % di sedimentazione delle miscele di leganti microfini e di un cemento 525 Portland.

Fig. 9.7 – Curve di sedimentazione a vari rapporti A/L.

Si nota, dai diagrammi, la netta differenza di stabilità fra le sospensioni dei microcementi e quelle del cemento 525 Portland a parità di rapporto acqua/legante: risulta pure evidente come la stabilità delle sospensioni diminuisca con l’aumentare del rapporto acqua/legante e con il diminuire della finezza della fase dispersa. Per migliorare la stabilità delle sospensioni, soprattutto di quelle caratterizzate da più alti rapporti A/L, si possono impiegare opportuni additivi sospensivanti che riducono sensibilmente la % di sedimentazione. Questi agenti, tuttavia, devono risultare ecologicamente compatibili col sistema da consolidare e chimicamente compatibili anche con il legante microfine.

Poiché in generale al diminuire del rapporto acqua/legante la stabilità delle sospensioni aumenta, ma aumenta pure la sua viscosità, è necessario trovare di volta in volta, un adatto compromesso, operando col più basso rapporto acqua/legante in grado di garantire, con l’eventuale ausilio di idonei agenti sospensivanti e/o fluidificanti, valori accettabili della viscosità e della % di sedimentazione.

9.7.3.2.3 – Resistenze meccaniche

I leganti microfini, in virtù della loro estrema finezza, sviluppano elevate resistenze meccaniche sia a flessione che a compressione. Le caratteristiche meccaniche ottenibili con malte particolari rivestono un certo interesse in quanto approssimano, con sufficiente attendibilità, le prestazioni minime ottenibili dalla permeazione di sistemi porosi del tutto incoerenti a tessitura fine, quali quelli che si possono incontrare in terreni e in strutture o murature fortemente ammalorate.

9.7.3.2.4 – Test di permeabilità

La capacità di permeazione (iniettabilità) di una sospensione di legante microfine in un sistema poroso, viene determinata in laboratorio. In un cilindro (colonna) avente diametro interno di 40 μm e altezza di 1000 mm viene costipata omogeneamente una prefissata quantità di sabbia a granulometria standardizzata, in modo da ottenere un letto con una porosità residua del 36÷38%. Questo sistema poroso standardizzato è caratterizzato da una distribuzione dimensionale dei pori capillari che dipende dalla distribuzione granulometrica della sabbia standard utilizzata per preparare la colonna. La sospensione omogenea del legante microfine viene iniettata a pressione costante (generalmente compresa entro 2÷8 bar) attraverso il letto poroso della colonna e si determina il tempo impiegato dalla sospensione a permeare attraverso uno strato di 1000 micrometri di sistema poroso. Si determina pure il tempo impiegato per la fuoriuscita, alla sommità della colonna, di un volume determinato di miscela (generalmente 50 cm3). Dalle analisi della miscela rifluita si deduce il rapporto acqua/legante medio della fase iniettata e, conseguentemente, è possibile risalire ad una stima preventiva della capacità di consolidamento.

Fig. 9.8 – Alcune applicazioni dei leganti microfini.

9.8 – Modifica delle condizioni piezometriche

Considerando il concetto di peso specifico sommerso risulta evidente come la pressione intergranulare possa venire incrementata rimuovendo l’effetto di spinta dell’acqua; l’effetto può essere realizzato abbassando il livello della falda. In molti casi l’azione non si rivela possibile o rappresenta, talora, solo un espediente momentaneo. Qualora, viceversa, l’azione risultasse possibile si rileva un immediato aumento della pressione intergranulare di γwz dove z rappresenta la variazione del livello piezometrico (del quale, viceversa, occorre controllare l’effetto collaterale all’area di cantiere per eventuali coinvolgimenti verso altre strutture).

9.9 – Utilizzo delle fibre geotessili

Un geotessuto può definirsi come un tessuto sintetico che sia sufficientemente duraturo per un determinato periodo di tempo nell’ambiente ostile del terreno naturale.

Numerosi tessuti costituiti da materiali sintetici, comunemente poliesterenylonpolietilene e polipropilene, sono utilizzati come geotessili per migliorare il terreno. Le matrici dei tessuti possono essere intessute o saldate e i geotessili usati in strisce per rinforzare la massa del terreno oppure in fogli di plastica impermeabili o permeabili per impermeabilizzare una porzione del terreno, per limitare l’erosione o per separare materiali di natura differente. Talune configurazioni di tessuto possono essere disposte nel terreno in luogo degli strati di sabbia per il drenaggio del suolo.

Gran parte dell’uso che ne viene attualmente fatto riguarda la protezione o il rinforzo del terreno. La protezione del suolo consiste nel controllo dell’erosione sebbene possa anche consistere nell’isolamento della massa del terreno dall’acqua. Una specifica tipologia d’installazione riguarda lo scavo di uno strato di 0.4÷4 m di terreno suscettibile di cambiamenti di volume, la disposizione di una pellicola di plastica e un successivo riempimento realizzato con cura.

L’acqua capillare o di falda migrante verso la superficie viene arrestata dalla pellicola cosicché la potenziale variazione di volume nel terreno saturato dall’acqua intrappolata è confinata dallo strato di terreno superiore e dal peso della costruzione. Tale tecnica richiede una profonda caratterizzazione del terreno e protezione nei confronti dell’ingresso di acqua dall’alto.

I geotessili possono venire utilizzati in strisce per rinforzare il terreno; l’operazione è normalmente effettuata per pareti in terra armata ma in alcuni casi possono essere utilizzati per la realizzazione di terrapieni in maniera da poter adottare pendenze superiori.

Presentano inoltre una potenziale applicabilità al di sotto di fondazioni o attraverso canali sotterranei sia per migliorare la capacità portante che per diffondere il carico su un’area più estesa. L’interazione tra il tessuto (le cui dimensioni sono grandi rispetto a quelle dei granuli) e il terreno aumenta efficacemente l’angolo d’attrito interno e la coesione.

Al momento non esiste ancora una teoria soddisfacente per calcolare la quantità richiesta, il tipo o altre caratteristiche geometriche del rinforzo geotessile. Le installazioni vengono effettuate, di norma, attraverso indicazioni empiriche oppure metodi di tentativo.

10– Caratteristiche dei terreni

10.1 – Caratteristiche dei terreni in funzione dell’impianto di fondazioni

Quale prassi geotecnica di base le fondazioni devono essere disposte al di sotto dei seguenti livelli:

–       linea di gelo;

–       limiti inferiori di zone soggette a significative variazioni di volume dovute a fluttuazioni dell’umidità;

–       limiti inferiori di strati superficiali facilmente comprimibili (materiali organici, torbe, altri depositi organogeni, riporti non consolidati, rifiuti etc. ).

Le fondazioni devono essere realizzate al di sotto della linea di gelo per evitare una possibile deformazione, dovuta al gelo medesimo, delle costruzioni e, soprattutto, perché l’alternarsi gelo-disgelo comporta l’effetto di mantenere il terreno in uno stato non consolidato.

I terreni argillosi, inoltre, tendono a ritirarsi quando il clima è secco e ad espandersi quando è umido: di norma, quanto più è basso il Limite del ritiro e quanto più è ampio l’intervallo di variazione dell’Indice di plasticità, tanto più si manifesta una variazione di volume (Tab. 10.1) e tanto più grande risulta l’entità di tale variazione. Tali variazioni di volume possono essere causate dall’essiccamento del terreno dopo la costruzione della struttura oppure dovute ad una perdita di umidità naturale in seguito al riscaldamento degli edifici. Variazioni di volume, ancora, possono essere generate dall’essiccamento del suolo prodotto dalla vegetazione (alberi o arbusti intorno alle strutture per motivi estetici). Variazioni di volume, infine, possono avvenire anche in conseguenza di un aumento artificiale dell’umidità del terreno al di sotto della struttura (edifici per la conservazione frigorifera soggetti a gradiente termico e privi di un adeguato isolamento).

Tab. 10.1 – Potenziale di cambiamento di volume in funzione dell’Indice di plasticità Ip e del Limite liquido wL.

E’ opportuno in ogni caso, prima di avviare le procedure di calcolo di un progetto di fondazione, provvedere ad analizzare anche le caratteristiche meteorologiche del sito.

I periodi di siccità tendono a essiccare il terreno; dopo di che le piogge causano notevoli rigonfiamenti. Non esistendo precipitazioni sufficienti a dilavare ed alterare i minerali di argilla responsabili delle variazioni di volume i medesimi permangono inalterati in prossimità della superficie del suolo inumidendosi rapidamente durante i periodi piovosi.

In queste regioni il terreno risulta di utilizzo particolarmente complesso per le costruzioni in quanto il vapore acqueo, migrando dalla falda freatica (talora distante dal livello del suolo)  si condensa sui lati inferiori delle platee e delle fondazioni. Il terreno al di sotto delle zone interne delle costruzioni può, infine, diventare saturo per effetto della condensa giungendo a rigonfiamenti a meno che la costruzione non sia sufficientemente pesante da contrastare la pressione (elevata) di reazione.

Un’ulteriore difficoltà nasce dal fatto che nei climi aridi il terreno intorno alla parte perimetrale delle costruzioni si mantiene in uno stato assai più secco rispetto a quello delle zone interne, per cui ne risultano notevoli movimenti differenziali. La Tabella 7.1, basata su proprietà caratterizzate da indici facilmente determinabili, può essere utilizzata come guida nella valutazione del potenziale del cambiamento di volume dei terreni. In termini di valori relativi si possono assumere come variazioni di volume basse quelle che presentano valori ≤ 5 mentre si possono interpretare come molto grandi quando > 25.

Le strutture le cui fondazioni sono disposte su terreni dilatabili (o espansivi) richiedono particolari tecniche di costruzione per le fondazioni stesse.

10.2 – Prescrizioni in vicinanza di altre opere

Realizzando fondazioni in prossimità di una struttura esistente (Fig. 10.1) la linea congiungente la base della nuova fondazione con la base della fondazione esistente deve formare un angolo ≤ 45° col piano orizzontale. Da ciò segue che la distanza m (Fig. 10.1a) deve risultare maggiore della distanza verticale tra le due fondazioni (zf); l’approssimazione produce pressioni molto a favore della sicurezza nella zona in cui a tali pressioni contribuisce più di una fondazione.

Fig. 10.1 – Considerazioni sulla disposizione delle fondazioni su plinti.

In Fig. 10.1b, viceversa, viene mostrato che se la nuova fondazione è disposta a maggiore profondità rispetto all’esistente, esiste l’eventualità che il terreno possa scorrere lateralmente al di sotto della fondazione esistente. L’effetto, oltre che aumentare il lavoro di scavo può dar luogo nella struttura esistente a fessure dovute ai cedimenti. E’ possibile ricavare un’approssimazione della profondità di sicurezza zf per un terreno dotato di coesione e attrito usando le relazioni di Mohr in quanto σ3 = 0 sulla faccia verticale dello scavo. La pressione verticale σ1 include la pressione generata dalla fondazione esistente.

La Fig. 10.2 illustra l’eventualità d’incontrare problemi scavando in prossimità di una fondazione esistente tanto da perdere il contributo del termine qNqnell’equazione della capacità portante.

Fig. 10.2 – Potenziale cedimento dovuto a perdita di pressione geostatica.

Risulta arduo calcolare quanto vicino sia possibile scavare a fondazioni esistenti come quelle nelle figure senza disturbare strutture adiacenti. Il problema, in genere, viene superato costruendo strutture di sostegno per contenere il terreno al di fuori dello scavo nello stato K0. La soluzione operativa di tale intervento senza causare danni alle proprietà adiacenti costituisce il maggior problema nella realizzazione di scavi per nuove costruzioni entro aree urbane.

10.3 – Effetti dovuti alla rimozione del terreno

II terreno viene sempre rimosso per disporre una fondazione. Nel caso di fondazioni su plinti il volume rimosso è uguale al volume della fondazione e a quello, trascurabile, del pilastro che appoggia sulla fondazione. Nel caso di seminterrati, le piastre di pavimentazione poggiano direttamente sulla fondazione. In altri casi si effettua uno scavo per la fondazione, viene gettata la fondazione stessa e il pilastro, e la rimanente parte dello scavo viene riempita fino al piano di campagna (Fig. 10.3a).

Quando la fondazione è al di sotto del livello del terreno si adotta un piedistallo di calcestruzzo al quale viene collegato il pilastro d’acciaio per evitare fenomeni di corrosione. Con pilastri in calcestruzzo il pilastro viene collegato alla fondazione ripartendo dal getto dei ferri d’ancoraggio opportunamente predisposti,uscenti dalla sommità della fondazione stessa.

Fig. 10.3 – Disposizione delle fondazioni e significato di qa se il valore è un incremento di pressione netta.

10.4 – Pressioni del terreno

Le equazioni che forniscono la capacità portante sono basate sulla pressione lorda del terreno qULT che è prodotta da tutti i carichi applicati al di sopra del livello di fondazione.

I cedimenti sono causati solo da incrementi netti di pressione che si aggiungono all’esistente pressione geostatica. Pertanto, se la pressione ammissibile è basata sulle equazioni della capacità portante, la pressione è una pressione lorda.

Se la pressione ammissibile, viceversa, è determinata in base a considerazioni sui cedimenti, allora questa è una pressione netta e i calcoli procedono tenendo conto di tale definizione.

In generale, comunque,da quanto esposto a proposito del campionamento, delle prove e delle difficoltà di calcolo, la pressione portante è ben lungi dal poter essere considerata un valore esatto; di conseguenza fa poca differenza se si superano i valori forniti con uno scarto variabile entro 2÷10 kPa a meno che tali riferimenti non siano < 50 kPa, nel qual caso non è consigliabile superare i valori raccomandati di oltre 2 kPa.

10.5 – Problemi di erosione per strutture in prossimità di acque in movimento

Pile e spalle di ponti, basi di dighe, muri di sostegno e fondazioni di ogni altra struttura in prossimità oppure collocata in acqua corrente, devono essere posizionate a profondità tali che l’effetto di erosione o di escavazione non asporti il terreno sotto la fondazione causando la rottura della struttura. La profondità di erosione dipende dalla storia geologica del luogo (profondità di precedenti erosioni fino al substrato roccioso e successiva deposizione di sedimenti, velocità della corrente e portata di deflusso nella zona). Dove il deposito di sedimenti sul letto del corso d’acqua risulti dell’ordine di 15÷60 m, si rende necessaria un’attenta analisi dei sondaggi nei sedimenti allo scopo di prevedere la profondità di massima erosione al fine di realizzare una fondazione che sia economica.

È possibile adottare fondazioni su plinti se questi possono essere disposti a una profondità sufficiente sebbene, di norma, siano necessari dei pali per sostenere la fondazione e risulti necessaria un’accurata analisi della profondità di erosione allo scopo di adottare pali della minor lunghezza possibile. Disponendo inoltre di un’accurata documentazione sulla resistenza all’infissione, è possibile stimare la profondità di erosione come quella profondità in corrispondenza della quale le resistenze alla penetrazione, con prove Penetrometriche standard (SPT) o statiche (CPT), subiscono un sostanziale incremento.

10.6 – Fondazioni su depositi sabbiosi

Le fondazioni su sabbia richiedono vengano presi in considerazione alcuni aspetti:

–       capacità portante;

–       cedimenti (i depositi sciolti possono essere addensati allo scopo di ridurre i cedimenti);

–       posizionamento della fondazione a sufficiente profondità affinché il terreno sottofondazione risulti confinato; se la sabbia non è confinata, infatti, è possibile un suo scorrimento fuori dal perimetro della fondazione con perdita di densità e capacità portante. L’acqua e il vento possono erodere la sabbia sottofondazione se questa è posta troppo in prossimità della superficie del terreno.

Le fondazioni su sabbia possono essere realizzate con plinti, platee o pali in funzione della densità, dello spessore, del costo necessario per addensare il deposito e dei carichi di costruzione. Palificate realizzate con elementi di grande volume e a sezione piena si usano sia per trasferire carichi in profondità sia quale mezzo per compattare il deposito. Palificate realizzate con pali di piccolo volume sono adottate di norma per trasmettere carichi prossimi alla superficie attraverso depositi di sabbia sciolta fino a strati compatti sottostanti. Vengono adottate fondazioni su plinti se il deposito si rivela abbastanza denso per sopportare i carichi senza eccessivi cedimenti.

I cedimenti nei depositi in sabbia sono classificati immediati e la maggior quota di questi si sviluppa col procedere della fase di costruzione per effetto della progressiva applicazione dei carichi e delle vibrazioni.

In generale è valutata pratica non corretta disporre fondazioni su depositi in sabbia dove la densità relativa non sia ≥ 60% o che non presentino una densità prossima al 90% circa (o più) di quella massima ottenibile in laboratorio. Tale stato addensato riduce la possibilità sia di cedimenti dovuti a carichi che di eventuali danni d’assestamento dovuti a vibrazioni generate dal passaggio di mezzi di cantiere, da sismi etc.

10.7 – Fondazioni su terreni collassabili

I terreni predisposti al collasso sono generalmente depositi eolici o depositi di tipo lössico, dune di sabbia e ceneri vulcaniche. I löss, dal punto di vista sedimentologico sono considerati terreni sciolti per quanto stabili, dotati di punti di contatto ben cementati tra loro ma con un legante solubile in acqua, al punto che la concomitanza di determinate situazioni di carico e umidità produce il collasso della struttura del terreno unita a conseguenti grandi cedimenti.

Il löss si rivela predominante fra i terreni predisposti al collasso ed è molto diffuso coprendo il 17% degli USA come dell’Europa, il 15% dei territori dell’ex URSS e gran parte della Cina. Secondo Flint il löss è poco presente in Canada mentre risulta assente in Australia e in Africa (ma entrambi i continenti possiedono altri tipi di depositi eolici).

Il löss, geneticamente, é originato da depositi formati da particelle trasportate dal vento sopra zone soggette a dilavamento glaciale, di modo che l’umidità intercettata ha causato la precipitazione delle particelle di terreno. Ne consegue che le aree non glaciali non possiedono depositi di löss.

Lo spessore dei depositi varia da meno di 1m fino a oltre 50m, ma sono molto diffusi spessori standard di 2÷3 m.

Il löss e altri terreni suscettibili di collasso sono caratterizzati da una completa assenza di ghiaia o ciottoli e dal fatto che la maggior parte del materiale passa al setaccio N. 200. Il peso specifico varia entro 2.6÷2.8 sebbene la maggior parte dei valori si trova entro 2.65÷2.72.

La densità secca in situ varia entro 10÷16.5 kN/m3. I limiti di Atterberg dipendono dalle intrusioni di argilla mentre wL comunemente varia da 25÷55 e wP da 15÷30.

La prova di costipamento standard fornisce γdry dell’ordine di 15.5÷17.5 kN/moltre ad un contenuto d’umidità ottimale entro 12÷20%; l’indice dei vuoti in situ e0varia entro 0.67÷1.50.

La densità del löss (e altri terreni predisposti al collasso) è uno dei parametri più significativi per stimare il potenziale di collasso. Alcuni studiosi suggeriscono di utilizzare tale parametro insieme a wL per valutare il potenziale di collasso secondo la relazione:

γdry = 110 – 1.17(wL16)

dove wL è espresso in %. Quando la densità in situ risulta inferiore al valore fornito dalla relazione, il terreno è suscettibile di collasso con un rapporto suscettibilità/entità crescente al diminuire di γ. Una volta identificato il potenziale di collasso, l’area può essere utilizzata attraverso:

a – costipamento del terreno (scavo e successivo ripristino) fino ad ottenere γdry ≥ 15.5 kN/m3;

b – impiego di miscela durante il costipamento (calce, calce-cenere volatile o cemento Portland);

c – adozione di provvedimenti assicuranti che il terreno non si bagni;

d – utilizzo di pali per attraversare lo strato cedevole fino a uno strato sottostante più compatto.

10.8 – Fondazioni su terreni dilatabili

I terreni soggetti a cambiamenti di volume a seguito di cicli umido-secco vengono denominati terreni dilatabili. Tali terreni si trovano principalmente in aree aride e semiaride e contengono una gran quantità di minerali d’argilla. Le basse precipitazioni non hanno reso possibile la trasformazione della montmorillonite in argille meno attive, neppure consentendo un dilavamento sufficiente a trasportare le particelle abbastanza lontano all’interno degli strati da ridurre il loro effetto.

Una volta individuati caratteristiche e limiti del problema, sono possibili:

– modifica dello stato del terreno: l’aggiunta di calce, cemento o altre miscele riduce o elimina il cambiamento di volume nei periodi di umido o in quelli di secco. E’ possibile effettuare un costipamento a basse densità con contenuto d’acqua di poco superiore a quello ottimale.

– controllo della direzione dell’espansione: in genere si consente che il terreno espanda in cavità realizzate nella fondazione; riducendo i movimenti della fondazione a una quota tollerabile. Una pratica diffusa consiste nel realizzare una soletta a cialda in modo che gli irrigidimenti svolgano la funzione portante mentre le parti vuote consentano l’espansione del suoli (Fig. 10.4

Fig. 10.4 – Soletta a cialda.

 – controllo della presenza d’acqua: il terreno risulta scavabile fino a una profondità tale che il peso del terreno medesimo limiti il rigonfiamento; si dispone successivamente un tessuto plastico per poi riempire nuovamente. Il vapore acqueo che tende a risalire verso la superficie viene intrappolato dal geotessile mentre ogni successivo cambiamento di volume viene limitato dal peso del materiale sovrastante e della costruzione. Anche l’umidità in sommità deve essere controllata predisponendo una pavimentazione, livellando opportunamente etc. Uno strato granulare dello spessore di 0.3m fino a 1m o più controlla la risalita per capillarità dell’acqua e mantiene un più uniforme contenuto d’acqua nell’argilla.

– ignorare il rigonfiamento; posizionando le fondazioni a una sufficiente profondità e/o lasciando una zona di espansione tra la superficie del terreno e la costruzione il rigonfiamento può verificarsi senza dar luogo a movimenti dannosi. Una procedura diffusa consiste nell’usare pali ad estremità svasata (Fig. 10.5) con la medesima collocata a sufficiente profondità nel terreno affinché la tensione sul fusto non tenda a sfilare il palo stesso e il cambiamento di volume non sollevi l’intero sistema. E’ possibile anche adottare dei piccoli tubi portanti a fondo pieno allo scopo di isolare le strutture più piccole dal terreno in espansione. Il fusto dei pali deve essere il più piccolo possibile ad evitare elevati sforzi di trazione dovuti alla pressione di espansione e all’adesione.

Fig. 10.5 – Pali ad estremità svasata.

 – precarica del terreno fino ad una determinata intensità di sforzo per bilanciare la pressione di rigonfiamento; il metodo è adottato in molti riporti dove il peso del riporto bilancia la pressione di rigonfiamento. L’accorgimento può essere adottato anche al di sotto di edifici sia usando fondazioni su plinti progettate per trasmettere elevate pressioni di contatto che scavando diversi dm nell’argilla e riempiendo con riporto granulare. Tale riporto, combinato con le pressioni delle fondazioni, contiene il rigonfiamento.

Il rigonfiamento dei terreni espansivi è un effetto difficile da stimare in quanto l’entità dipende dalla mineralogia dell’argilla, dall’orientamento delle particelle, dalla pressione geostatica di confinamento e dal contenuto d’acqua istantaneo in situ al momento di riferimento.

Stime del rigonfiamento si possono ottenere da prove di consolidazione nelle quali il campione è soggetto a una pressione di confinamento molto bassa (5÷8 kPa) e gli è consentito di assorbire acqua e rigonfiarsi. Misurando il cambiamento di volume sotto tali condizioni si ottiene una prova a rigonfiamento libero. Facendo in modo di impedire l’espansione del campione è possibile misurare la pressione richiesta per mantenere una variazione di volume nulla. I dati così ottenuti possono essere estrapolati al rigonfiamento atteso o alla pressione della fondazione o pressione di sovraccarico da applicare per eliminare il rigonfiamento. Le stime ricavate sono accurate quanto lo sono la qualità del campione e il valore istantaneo wN se il grado di saturazione per la variazione di volume in laboratorio è rappresentativo del valore in situ a lungo termine. Questa considerazione è di notevole importanza poiché il campione di laboratorio è sottile e ha accesso a sufficiente quantità d’acqua per raggiungere S = 100% in breve tempo; ciò non avviene mai in situ.

Le correlazioni, utilizzando proprietà indice, possono fornire utili stime del cambiamento di volume. Una stima della pressione di sovraccarico necessaria a contenere l’espansione entro una quantità tollerabile si ottiene dall’equazione di Komornik & David:

log PS = 2.132 + 2.08 wL + 0.665 ζd – 2.69 wN      (kg/cm2)

dove wL e wN sono il Limite liquido e il Contenuto naturale di umidità espressi informa decimale e ζd la densità secca in g/cm3. La % di rigonfiamento è spesso di qualche importanza nella determinazione dei cedimenti differenziali. L’equazione di Johnson & Snethen fornisce risultati ben confrontabili col rigonfiamento misurato:

log Sp = 0.0367 wL – 0.0833 wN + 0.458       (%)

Un’equazione simile, presentata da O’Neill & Ghazzaly, è definita dall’espressione:

Sp = 2.27 + 0.131 wL – 0.27 wN        (%)

Entrambe le equazioni sono basate su analisi statistiche e i contenuti d’acqua devono essere usati in %. Il rigonfiamento libero ottenuto mediante queste equazioni può essere posto in relazione con la pressione di confinamento σv adottando un’equazione ottenuta dall’interpretazione delle curve di rigonfiamento % in funzione della pressione di confinamento di Cogoli. Questa equazione è:

Sp = Sp (1 – A√σv)

dove A = 0.0735 (kPa).

Da queste equazioni emergono risultati con un errore dell’ordine di ± 50%, non molto differente da quello ottenibile con una prova di consolidazione.

10.9 – Fondazioni su argille e limi

La consistenza dei depositi di argille e limi può variare da molto soffice a normalmente consolidata fino a molto dura e ad altamente sovraconsolidata. I problemi più controversi sono sempre associati a depositi molto soffici e soffici, in riferimento sia alla capacità portante che ai cedimenti di consolidazione.

E’ opportuno osservare come il termine soffice implichi che il terreno sia molto umido o saturo; i cedimenti di consolidazione, infatti, avvengono entro depositi ad alto contenuto d’acqua, come quelli che si trovano in prossimità di laghi, oceani oppure nei letti di preesistenti laghi e di vecchi corsi dove l’acqua abbia mutato direzione e verso ma la falda freatica sia rimasta alta.

Limi caratterizzati da valori elevati d Ip e wL vengono detti limi plastici. Questi limi manifestano approssimativamente le medesime caratteristiche delle argille soffici.

Le caratteristiche plastiche derivano da contaminazione della massa del terreno con minerali di argilla o con materiale organico. Limi inorganici e limi a basso contenuto di argilla possono presentarsi sotto forma sciolta ma il comportamento è più simile a quello delle sabbie mentre le procedure di progetto e di addensamento sono simili.

In natura si trovano pochi depositi di limo puro. La maggior parte dei depositi contiene particelle di argilla (con risultante plasticità/coesione) o una determinata quantità di sabbia da fine a media. A tale riguardo è da notare che anche una piccola quantità di argilla (~5%) può fornire coesione al limo; un tasso dal 10 al 25% di particelle di argilla può fare in modo che il deposito sia considerato in argilla. Per tutti questi tipi di terreno è necessario effettuare la più equilibrata stima della capacità portante ammissibile per controllare la rottura al taglio con un opportuno coefficiente di sicurezza e stimare i probabili cedimenti di consolidazione. La capacità portante viene il più delle volte determinata adottando la resistenza al taglio non drenata ottenuta da campioni cilindrici di qualità o da campioni ottenuti da una ordinaria prova penetrometrica standard. Se il terreno presenta elevata sensitività (resistenza al taglio del terreno rimaneggiato ~ 0.2 di quella del terreno indisturbato) si devono prendere in considerazione prove di resistenza in situ quali la prova scissometrica o la prova penetrometrica statica.

Le argille preconsolidate presentano fratture dovute al ritiro e giunti (fratturati in una quantità di piccoli blocchi). La presenza di difetti strutturali rende talora complesso determinare la resistenza a compressione non confinata. In molti casi, soprattutto soprafalda (S<<100), la resistenza determinata attraverso campioni occasionalmente intatti ottenuti mediante SPT o con l’uso di un penetrometro tascabile forniscono indicazioni adeguate sulla resistenza.

Per stime migliori è possibile ricorrere a prove con piastra di carico in quanto è molto difficile ottenere campioni cilindrici di qualità sufficiente per la realizzazione di prove triassiali; la pressione di cella entro tali prove, infatti, tende a richiudere le fessure in maniera da fornire solo un’approssimazione della resistenza al taglio in situ. Se il deposito non è eccessivamente fessurato e la fondazione è vicina alla superficie del terreno può essere recuperato manualmente un campione adatto. Se il terreno non è saturo, per ottenere stime dei cedimenti si possono adottare le equazioni che forniscono i cedimenti immediati, insieme con valori empirici di Es.

Queste stime risultano adeguate se le pressioni di fondazione non sono estremamente elevate; nel caso di richiesta di una stima precisa del cedimento, è necessario determinare un valore affidabile di Es.

I cedimenti di consolidazione in argille preconsolidate possono essere stimati mediante la teoria della consolidazione e tenendo conto della sovraconsolidazione. È, viceversa, poco probabile che stime dei cedimenti di consolidazione basate su correlazioni diano risultati univoci in quanto la maggior parte delle correlazioni vale per argille normalmente consolidate.

La pressione portante ultima netta per carichi verticali viene calcolata attraverso una semplificazione delle formule di Meyerhof o di Hansen presentate in precedenza, e cioè con la:

qULT = c Nc Sc dc + q Nq sq dq – q

spesso scritta come:

qULT = c Nc Sc dc – q(Nq – 1)

Quando c = su, si ha Φ = 0 e Nq = 1.0. Sotto queste condizioni si ottiene:

qULT  = c Nc sc dc

L’effetto combinato di Nc sc dc comporta un valore prossimo a 9.0 (Tab. 10.2) per fondazioni quadrate e rotonde e a 7.6 per fondazioni nastriformi, per ogni D/B> 5. I valori effettivi variano entro 7.5÷12.0 per cui, in assenza di dati locali specifici che diano diverse indicazioni, viene usato il valore 9.0 quando D/B ≥ 5 e quando la base della fondazione risulta rotonda o quadrata.

Tab. 10.2 – valori di Ncscdc per diversi termini del rapporto D/B.

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