4 – Tecniche di Scavo

Gli scavi, ovvero sbancamenti con rimozione delle strutture materiali (naturali o meno) precedentemente esistenti, costituiscono l’operazione iniziale fondamentale per l’esecuzione di qualunque piano costruttivo, modellativo o adattativo, sia destinato alla realizzazione di manufatti semplici che a quella di grandi progetti.

Si distinguono, molto genericamente, in scavi in terra comune e scavi in roccia.

4.1 – Scavi in terra comune

4.1.1 – Generalità

Comprendono la rimozione di rocce incoerenti o decomposte, di ghiaie, sabbie e terre argillose.

Circa la distinzione tra scavi in terra comune e scavi in roccia è opportuno riportare quanto specificano i Capitolati in campo internazionale:

Lo scavo in terra comune consiste nella rimozione e soddisfacente collocamento di materiali di origine eolicaalluvionale o residuidi particolari strati e massi di volume < 2 m3.”

Per maggiore chiarimento:

– per materiali eolici o alluvionali s’intendono ceneri vulcaniche, löss, dune sabbiose, loams, sabbie, limi, ghiaie, argille ed ogni combinazione di questi materiali;

– per materiali residui s’intendono scisti, calcare, arenarie, conglomerati e rocce ignee e metamorfiche che si presentano alterate, degradate, decomposte e comunque non compatte;

– strati particolari sono quelli che, pur essendo formati da roccia compatta, per il loro spessore e la loro posizione non sono sufficientemente rigidi da essere classificati tali.

Lo scavo in roccia include le rocce compatte, non alterate o degradate, solide, rigide, di origine ignea, metamorfica o sedimentaria; include inoltre i massi otrovanti > 2 m3 di volume, le solette in calcestruzzo unitamente agli strati di base, stabilizzati con cemento o in conglomerato bituminoso, aventi uno spessore > 10 cm.

E’ ancora comune l’usanza di definire scavo in roccia quello in cui il terreno resiste all’azione di un solo dente di scarificatore trainato da trattore cingolato di 250 Hp di potenza. Poiché tale verifica, peraltro non sempre di facile attuazione, dipende in buona parte dalla capacità ed esperienza dell’operatore alla guida del trattore, è prevalente oggi affidarsi ai mezzi della Geotecnica.

L’equipaggiamento di scavo in terra comune comprende usualmente:

–       apripiste o bulldozers muniti di scarificatori;

–       ruspe o scrapers trainate da trattori cingolati o gommati oppure semoventi:

–       livellatrici o graders;

e, meno di frequente:

–       escavatori a cucchiaio frontale, a cucchiaio rovescio e a benna trascinata;

–       ribaltabili o dumpers semoventi o a rimorchio;

–       vagonetti e locomotive su rotaia tipo Decauville.

4.1.2 – Escavazione a mano (Tab. 4.1)

E’ indubbiamente il sistema più antico e nella maggioranza dei casi il meno economico. E’ oggi limitato a casi particolari nei quali o per difficoltà del terreno o per l’entità e qualità dei lavori (tipici quelli di finitura) non è consigliabile l’uso delle macchine.

La natura del terreno influisce notevolmente sulla resa; le argille sature, ad es., risultano di difficile maneggio e quindi estremamente costose. L’impiego di carriole è limitato ai 60÷90 m di distanza di trasporto; per distanze maggiori vengono impiegati autocarri ribaltabili o vagonetti su rotaie spinti a mano per distanze fino a 200÷300 m.

Tab. 4.1 – Dimensioni minime dell’armamento di protezione nello scavo in trincea.

4.1.3 – Scavo con bulldozer (Fig. 4.1)

E’ un mezzo efficace di scavo per terre di media consistenza, argille compatte, rocce tenere, pietrame, ghiaie e quando la distanza di trasporto non supera i 40-60 m.

Per la sua manovrabilità viene impiegato col massimo risultato in zone scoscese per l’apertura di accessi a mezza costa, per la formazione di gradoni, per la rimozione di massi e trovanti, per un livellamento grossolano del terreno così da permettere ad altro macchinario di operare.

In terreno pianeggiante è utilizzato per riempimenti di buche e rinterri in genere, sopratutto a ridosso delle opere d’arte.

Fig. 4.1 – Scavo a mezzo bulldozer.

4.1.4 – Scavo a mezzo ruspe (scrapers)

La ruspa è una macchina completa poiché riassume in se l’attrezzatura per lo scavo, il trasporto, lo scarico e lo stendimento di materiale. Trova il più largo impiego nei terreni poco accidentati, non eccessivamente duri e plastici per distanze di trasporto variabili da m 25 a m 150 se il mezzo è cingolato e da m 50 a 600 e più se gommato. L’impiego delle ruspe viene preceduto da una grossolana livellazione dell’area di operazione con piazzole d’accesso ed inversione ad come schematicamente indicato in Fig. 4.2. Si deve inoltre studiare il piano di operazioni in modo da evitare virate inutili, interferenze con altre macchine, percorrendo le distanze più brevi, caricando possibilmente in discesa e verso la zona di scarico. Il cosiddetto percorso a 8 è, ad es., tra i più razionali quando due tagli sono intercalati dal riporto (Fig. 4.2A); altri temi operativi sono illustrati in B e C. A prescindere dalla scelta iniziale del tipo di scrapers da adottare per quel determinato lavoro, scelta che riguarda soprattutto la capacità delle macchine ed il sistema di locomozione (cingoli o ruote), esiste una tecnica di lavoro, derivata dall’esperienza, da impiegare per le diverse terre incontrate.

Fig. 4.2 – Scavo a mezzo scraper: schemi operativi.

Oltre ai suggerimenti fomiti nel capitolo inerente il Movimento Terra, è opportuno conoscere il modo di comportarsi nelle seguenti evenienze:

a) Caricamento della sabbia sciolta e ghiaietto

Data la tendenza di questi materiali a fluttuare davanti al cassone dello scraper senza entrarvi si deve iniziare il carico col grembiule alzato di 15÷30 cm e con l’espulsore arretrato; quando il cassone è caricato a metà circa alzarlo per un tratto e quindi riabbassarlo ripetendo la procedura precedente. Caricato lo scraper al massimo possibile fare in modo che il grembiule chiuda per gravita valendosi del suo peso, scaricando poi strati sottili per favorire il costipamento e facilitare il traffico. Questo metodo, detto a pompaggio, è illustrato in Fig. 4.3.

Fig. 4.3 – Metodo a pompaggio per facilitare il carico di sabbia e ghiaia allo scraper.

b) Caricamento di materiali bagnati e appiccicosi

Le difficoltà sono considerevolmente ridotte se si osservano le seguenti precauzioni:

–       non comprimere troppo il materiale nel cassone caricando a strati sottili;

–       non arrestarsi durante lo scarico o tentare di depositare a strati leggeri;

–       mantenere il cassone sufficientemente alto allo scarico in modo da permettere al materiale di passare sotto di esso;

–       avanzare con l’espulsore a tratti di cm 30 per volta lasciandolo quindi arretrare leggermente per permettere al materiale di sbriciolarsi; ripetere l’operazione fino allo scarico completo del cassone.

c) Caricamento di materiale grossolano

Grossi massi o ceppi possono essere caricati dalle ruspe mantenendo il grembiule completamente alzato e l’espulsore arretrato ed eseguendo una virata ad angolo retto come indicato in Fig. 4.4. Per lo scarico si ripeta la virata, accentuandola il più possibile ed agendo con l’espulsore; è opportuno evitare, poi, con opportuna manovra, che le ruote motrici o i cingoli urtino l’oggetto deposto.

Fig. 4.4 – Virata ad angolo retto di uno scraper.

4.1.5 – Impiego dei trattori di spinta (pushersnel caricamento di ruspe

Con poche eccezioni, l’impiego dei pushers cingolati (e in particolari condizioni, gommati) per aiutare gli scrapers nella fase critica del carico è sempre vantaggioso. La tecnica, già descritta in parte al Capitolo relativo a tali mezzi, serve a ridurre i tempi di carico sopratutto per gli scrapers gommati evitando, inoltre, che i costosi pneumatici slittino sotto lo sforzo.

 

Fig. 4.5 – Operazioni tipiche dell’associazione BulldozerScraper.

Poiché la massima potenza richiesta allo scraper si sviluppa durante il carico è possibile, col pusher, utilizzare uno scraper di capacità maggiore di quella normalmente attribuita alla potenza del trattore oppure, nel caso di scraper semovente, di sovraccaricarlo.

Per motivi economici è necessario determinare il numero approssimato di scrapers che un pusher può servire dividendo il tempo impiegato da una ruspa nel suo ciclo completo di carico, trasporto, scarico e ritorno per il tempo impiegato dal pusher a caricare; ad es., un ciclo di 10 minuti richiesto da una ruspa diviso per il tempo di un minuto richiesto da un pusher dà un rapporto di 10 ruspe per pusher che, in pratica, tuttavia dovrebbe essere ridotto ad 8 ed anche meno in quanto è buona norma avere il pusher in attesa invece della ruspa, tanto più che ben difficilmente svariate ruspe riuscirebbero a mantenere gli arrivi all’area di carico ad intervalli regolari. In terreni di media consistenza si considera ottimale il tempo di 50÷60” per caricare lo scraper nello spazio di ~30 m; un tempo di carico più lungo è giustificato solo nel caso di trasporti lunghi per cui risulti conveniente sovraccaricare lo scraper.

 

Fig. 4.6 – Formazione di una scarpata in sterro nei successivi passaggi con lo scraper.

Assumendo, infatti, un tempo di 2’ per caricare al 100% il cassone, il materiale caricato nei successivi periodi risulta mediamente dalla tabella in Fig. 4.6. Dal che si arguisce che l’ultimo tratto di percorso di carico è il più costoso.

Fig. 4.7 – Operatività di un pusher.

L’esperienza, inoltre, insegna che i tempi di carico di uno scraper monomotore e di un tandem sotto pusher sono praticamente i medesimi in quanto il pusher deve sollevare le ruote posteriori dello scraper diminuendone l’aderenza e lo sforzo trattivo. I tandem-pusher, in ogni caso, abbreviano il tempo di carico di ~15%.

E’ buona norma, ancora, attendere sempre il pusher prima di cominciare a caricare per evitare sforzi inutili della ruspa e percorsi oziosi del trattore, così come risulta sempre conveniente scarificare il terreno quando presenti una certa resistenza allo scavo mentre allo scarico le ruspe debbono preferibilmente depositare il materiale prima della virata di ritorno per facilitare quest’ultima (Fig. 4.8).

 

Fig. 4.8 – Caratteristiche operative di uno scraper in funzione dell’accoppiamento con un pusher.

Infine risulta sempre della massima importanza mantenere in buono stato la pista percorsa dalle macchine ricorrendo, di volta in volta, al grader o al bulldozer. Nel caso di molte macchine in operazione si rende conveniente la presenza di un coordinatore per evitare tempi d’attesa diluendone gli arrivi.

4.1.6 – Scavo a mezzo Livellatrici (graders)

II grader non è una macchina da scavo bensì una finitrice impiegata usualmente nella regolarizzazione di scarpate in terreno di natura sabbio-argillosa, nel livellamento di superfici, nello spandimento di materie sciolte etc.

Tuttavia, quando la consistenza del terreno lo consente e lo scavo, oltre al livellamento della piattaforma stradale, consiste nella formazione delle cunette laterali, è il mezzo più conveniente per una tale tipologia di lavori (Fig. 4.9).

4.1.7 – Scavo a mezzo Escavatori meccanici (excavators)

L’uso degli escavatori a cucchiaio è conveniente nella escavazione di terre comuni quando la superficie è irregolare e lo strato d’asportare è rilevante, oppure quando, per la presenza di massi, non si rende possibile l’utilizzo di ruspe e, infine, quando la distanza di trasporto è lunga e pertanto si rendono più convenienti i ribaltabili.

L’escavatore a cucchiaio frontale è inoltre ideale per il caricamento dei detriti dopo l’uso dell’esplosivo.

Fig. 4.9 – Scavo a mezzo graders. Formazione di una cunetta stradale: a) apertura dello scavo; b) regolarizzazione della scarpata; c) formazione del fondo cunetta; d) riporto del materiale su piattaforma stradale; e) eventuale spandimento.

L’altezza ottimale del fronte di scavo è quella pari all’altezza del braccio o poco più; se il fronte è maggiore è conveniente procedere per gradoni (Fig. 4.10).

Nella Fig. 4.11 sono riportati 2 metodi razionali di carico dei ribaltabili con escavatore a cucchiaio frontale mentre in Fig. 4.12 è riportato uno schema operativo di scavo di una grande trincea utilizzando i vagonetti Decauville.

Fig. 4.10 – Utilizzo dell’Escavatore per scavi a gradoni.

 

Fig. 4.11 – Utilizzo dell’Escavatore: in A e in B caricamenti ottimali di un ribaltabile.

Fig. 4.12 – Schema di trincea per utilizzo vagonetti Decauville.

4.2 – Scavi in roccia

4.2.1 – Resistenza delle rocce

La resistenza offerta allo scavo dalle rocce e dalle terre in genere è funzione della loro durezza, attrito, aderenza, coesione, peso e dimensioni.

Per durezza si intende la resistenza alla penetrazione del mezzo di scavo; questa dipende dalla densità della massa e dalle caratteristiche cementanti del fine contenuto; le argille sono molto dure se il contenuto di umidità è minimo e viceversa per l’azione lubrificante dell’acqua. L’attrito, con la progressiva penetrazione della lama dell’attrezzo assorbe una percentuale sempre più elevata della potenza della macchina mentre l’aderenza, o attitudine del materiale ad attaccarsi all’attrezzo, é trascurabile nelle rocce e rilevante nelle terre fini e bagnate.

La coesione varia con la natura delle rocce: quelle stratificate tendono a sfaldarsi quando il mezzo meccanico agisce tra gli strati a contatto.

4.2.2 – Classificazione degli scavi in roccia

Nei lavori stradali si usa suddividere le rocce a seconda delle difficoltà di escavazione in 2 categorie:

–       Rocce tenere, decomposte, agglomerati e argille compatte che possono essere rimosse soltanto con picchi, barre, demolitori, scarificatori ed escavatori a cucchiaio frontale di media e grande capacità (da 1/2 m3 o più).

–       Rocce dure, compatte, indecomposte che non possono essere rimosse se non a mezzo di esplosivo.

Nella scelta del metodo di scavo, mentre è determinante la durezza della roccia, incidono altri fattori quali:

–       natura ed ampiezza del lavoro:

–       accessibilità della zona di scavo:

–       tempo disponibile per il completamento degli scavi;

–       disponibilità delle maestranze, del macchinario e degli esplosivi;

–       tempo di rifinitura richiesto.

Tab. 4.2 – Caratteristiche macrofisiche delle rocce.

Per l’escavazione delle rocce del tipo a si usa l’escavatore a cucchiaio frontale quando l’altezza di scavo è notevole, oppure le difficoltà del terreno o, ancora, i trasporti lunghi sconsigliano l’uso degli scrapers che vengono invece utilizzati negli altri casi preceduti dal ripper, col compito di sminuzzare i materiale per facilitarne il carico.

Per la escavazione delle rocce del tipo b si ricorre all’esplosivo; il materiale di risulta è rimosso col bulldozer se il trasporto è breve ed è destinato a rifiuto oppure con gli scrapers quando il materiale è sufficientemente frantumato mentre nella maggioranza dei casi si fa uso dell’ escavatore meccanico che carica su dumpers.

A prescindere dalla classificazione della roccia, e conseguente applicazione del relativo prezzo unitario di scavo, all’impresa si pone di frequente il problema se usare lo scarificatore oppure l’esplosivo quando la durezza della roccia lascia aperta la scelta. Per quanto costoso si riveli il dispositivo, !’impiego del rippercosta dal 50 al 70% in meno del lavoro ad esplosivi. Inoltre il materiale scarificato si presenta più frantumato e caricabile dalle ruspe mentre quello ricavato dall’uso dell’esplosivo, se non ulteriormente ridotto, è accessibile solo agli escavatori a cucchiaio ed ai dumpers, più costosi delle ruspe.

E’ comunque necessaria un’oculata scelta tra i 2 metodi (quando evidentemente la durezza della roccia lasci dei dubbi) ricorrendo eventualmente all’uso parziale dell’esplosivo.

Un’analisi superficiale della roccia è in ogni caso la prima operazione da compiere tenendo presente che:

–       è difficoltoso scarificare le rocce ignee, quelle a grana fine ben cementate e le rocce non cristalline;

–       le rocce metamorfiche variano grandemente sotto questo aspetto dagli gneiss agli scisti, alla quarzite etc. ed un giudizio probante deve espresso caso per caso;

–       non è tanto l’origine della roccia quanto il suo aspetto esteriore a contare: fratture, difetti di continuità, presenza di piani di sfaldamento, granulometrie grosse o fini e presenza d’acqua a livello saturazione sono tutti elementi che confermano una possibile scarificabilità.

Le analisi superficiali tuttavia non dicono molto degli strati più profondi e anche la prova diretta con lo scarificatore, sempre ché lo scavo non superi m 1÷1.5 di profondità, può ingannare; è pertanto più sicuro ricorrere all’indagine sismografica esistendo una ben definita relazione tra la velocità delle onde sismiche ed i vari gradi di durezza della roccia come appare evidente dalla Tab. 4.3 dove sono riportati i valori normali.

Tab. 4.3 – Rapporto tra velocità sismica delle onde longitudinali e durezza della roccia.

E’ da tener conto, peraltro, che le onde sismiche aumentano di velocità man mano ci si allontana dalla superficie del suolo in quanto, generalmente, agli strati superiori si trovano le terre e le rocce degradate e pertanto la durezza aumenta con la profondità.

Anche la velocità delle onde sismiche, tuttavia, può indurre in errore quando, ad es., si hanno grossi massi o formazioni colonnari mescolati a terre sciolte per le quali risulta una velocità non corrispondente alla reale situazione del sottosuolo.

4.2.3 – Gli esplosivi

Un esplosivo è una sostanza che, a mezzo d’idoneo trattamento a tempo appropriato, può rapidamente convertirsi in un gas ad alta temperatura e che, espandendosi, viene ad occupare un volume molte volte superiore a quello originale.

La rapidità con la quale la reazione ha luogo esercita un effetto dirompente sul materiale a contatto dell’esplosivo tanto più efficace quanto più completo è tale contatto; in pratica ciò si ottiene comprimendo l’esplosivo in fori di diametro adeguato e facendolo quindi reagire per mezzo di un innesco.

Caratteristica essenziale di un buon esplosivo è la sua stabilità cioè l’impossibilità di esplodere spontaneamente in qualunque momento.

Ulteriori caratteristiche importanti sono:

–       la sensibilità o attitudine della sostanza ad esplodere più o meno facilmente e la capacità di sviluppare l’esplosione lungo l’intera lunghezza della carica;

–       la potenza o effetto utile o contenuto d’energia in rapporto al peso; questa dipende dalla velocità dell’onda esplosiva, dal calore di esplosione e dalla densità di carica: il potenziale dell’esplosivo, valore teorico, è espresso in dinamodi (1 dinamodo = 1000 kgm);

–       la velocità di reazione (m/s): l’esplosione si propaga attraverso l’intera massa tramite le onde esplosive; gli effetti pratici dipendono dall’onda fisica generata da quella esplosiva: negli esplosivi da mina la velocità varia da 1.800 a 8.000 m/s.

Gli esplosivi possono essere classificati: da mina, da scoppio (prevalentemente per usi militari), di sicurezza (senza fiamma e quindi utili nelle miniere) e detonanti (che agiscono per percussione, urto od accensione).

Un’altra classificazione, non rigorosa ma molto indicativa, è invece la seguente:

– esplosivi deflagranti: a bassa velocità di propagazione (fino a qualche centinaio di m/s) sviluppano pressioni intorno a 2.000-4.000 atm e sono anche detti progressivi o propellenti. Comprendono, in particolare, la polvere nera, le polveri da lancio e i fuochi d’artificio.

– esplosivi detonanti: ad alta velocità (1-10 km/s) e pressioni ~200.000 atm. Si dividono in primari o innescanti che detonano semplicemente all’urto (tra i più noti il fulminato di mercurio, l’azotidrato di piombo, lo stifnato di piombo, il tetrazene, la nitromannite) e secondari, o da scoppio, detti anche frantumanti o dirompenti che richiedono l’intervento di un detonatore primario (nitroglicerina, nitrocellulosa, pentrite,T4tritolo, tetrile, acido picrico, nitrato d’ammonio etc.)

Tra gli esplosivi semplici si trovano:

– la nitroglicerina o trinitrina, liquida a temperatura ambiente, è altamente instabile e pertanto è sempre mescolata con stabilizzanti; costituisce la base delle varie dinamiti;

– la nitroglicole: analoga alla precedente è però molto più volatile ed è usata nelle dinamiti gelatinose eventualmente miscelata con citroglicerina;

– la nitrocellulosa: è una miscela al 13÷14% di azoto, insolubile; è anche chiamata fulmicotone. Miscelata alla nitroglicerina fornisce gelatine esplosive;

– la nitromannite: viene utilizzata nei detonatori in quanto molto potente ed è ancora meno stabile della nitroglicerina;

– la pentrite: si trova allo stato solido cristallino; è stabile, potente e tra gli esplosivi più dirompenti; detona facilmente e viene usata nelle micce;

– l’acido picrico: trova impieghi militari come carica nei proiettili;

– il tritolo (trinitrotoluene o TNT); presenta alta velocità di detonazione. Anch’esso è indirizzato ad usi prevalentemente militari;

– il tetrile: abbastanza stabile ma sensibile all’urto è usato come detonatore in miscela col TNT;

– l’exite: è una polvere giallo-bruna simile alla precedente ma meno sensibile all’urto;

– il T4 o anche RDX o, ancora, cyclonite: é solido, bianco, ad alto punto di fusione; è poco solubile ed abbastanza stabile; viene impiegato come innescante o, se mescolato al 30÷50% col tritolo, viene usato nelle cave e per scopi militari;

– il fulminato di mercurio; con gli azotidrati, è un esplosivo detonante molto sensibile allo sfregamento ed utilizzato nelle capsule dei detonatori:

– lo stifnato di piombo è molto sensibile allo sfregamento ed alla scarica elettrica: non è mai usato da solo;

– il tetrazene, solido cristallino, è un esplosivo detonante sensibile alla percussione ed allo sfregamento: è usato anche come stabilizzante di altri esplosivi;

– il nitrato d’ammonio: è praticamente insensibile all’urto ed all’attrito; esplode solo se unito a grandi quantità di tetrile ma non col fulminato di mercurio o coll’azotidrato di piombo: è molto igroscopico e, se umido, intacca i metalli.

Tra gli esplosivi composti si trovano:

– la polvere nera o pirica (75% di nitrato potassico,15% di carbone e 10% di zolfo): è un esplosivo da lancio: non detona ma brucia rapidamente; è oggi d’impiego molto limitato;

– la dinamite: è il tipico esplosivo da mina ed è una mescolanza di nitroglicerina con sostanze assorbenti di origine varia; se l’assorbente è la farina fossile si ha una dinamite a base inerte; se si usano, viceversa, nitrati e clorati inorganici uniti a riducenti (paraffine) si ottengono le dinamiti a base attiva. E’ un esplosivo non gelatinoso e quella a base di ammonio è venduta in gradazioni varianti dal 20 all’80%; al nitrato ammonico sono aggiunte sostanze riducenti (idrocarburi, oli, carbone etc.) ottenendo così un esplosivo di sicurezza a bassa velocità di detonazione (2.000-3.000 m/s) che sviluppa molto gas con forte effetto frantumante e pertanto molto adatto per gli scavi in roccia (assai usato è l’Ammonal A, contenente alluminio). E’ da sottolineare come il grado di un esplosivo non sia una misura diretta della sua potenza ma indichi la % di nitroglicerina in peso; infatti una dinamite ad es. al 60% sviluppa una potenza ~1.5 volte rispetto a quella al 20%. Le dinamiti a gradazione elevata sono più sensibili e veloci e pertanto adatte per rocce dure e terreni fangosi (quando si usi il metodo per propagazione) mentre quelle a bassa gradazione (20÷30%) si impiegano, ad es., nei banchi di argille compatte. Le dinamiti, come tutti gli esplosivi non gelatinosi, sono molto sensibili all’umidità e vanno pertanto convenientemente protette; esplodono se soggette ad urti violenti (ad es. una pallottola di fucile) o a concussione (detonatore) o se sottoposti ad eccessivo calore.

– gli esplosivi al clorato comprendono le note chedditi (70÷80% di clorato di potassio aggiunto a sostanze riducenti);

– gli esplosivi al plastico sono a base di RDX o cyclonite (85÷90%), poli-isobritene ed agenti tensioattivi; possono rivelarsi adattati in cavità etc.

– le gelatine esplosive sono una miscela di nitroglicerina e cotone collodio: la gomma A contiene il 92% di nitroglicerina e l’8% di cotone; si presenta in pasta ed è forgiata in cartucce; per i lavori da mina si aggiunge il nitrato potassico che attenua la violenza dell’esplosione; è molto potente sviluppando un volume di gas 1.350 volte il proprio volume iniziale: viene usata anche nei lavori subacquei; la gelignite ammonica al 74% ed al 60% è usata, specie quest’ultima, nelle zone molto umide e dove gli esplosivi debbono essere conservati per molto tempo in condizioni ambientali avverse.

Tab. 4.4 – Esplosivi da mina comunemente usati in Italia.

Gli esplosivi sono disponibili in cartucce di carta o di plastica (Tab. 4.4) in tubi rigidi di plastica oppure sciolti.

Le cartucce di carta sono usate per lavori da mina a scala ridotta: piccoli fronti di cava, trincee per tubazioni e cunicoli; le cartucce di plastica sono più adatte per fori di largo diametro e forniscono una elevata concentrazione di carica al fondo del foro.

I tubi rigidi di plastica sono utilizzati nei lavori subacquei.

Gli esplosivi sciolti sono allo stato liquido e richiedono speciali inneschi perché difficili da detonare; sono adatti per fronti di cava di eccezionali dimensioni con fori di diametro di almeno 150 mm.

Un esplosivo sciolto molto usato è l’ANFO (ammonium nitrate fuel oil) per la sua economicità.

 

Tab. 4.5 – Varietà delle cartucce nei diversi lavori da mina e dimensioni usuali delle medesime.

4.2.4 – Criteri di scelta degli esplosivi

La formazione di roccia da abbattere è quella che detta il tipo di esplosivo più efficace ed economico da usare. Tenendo conto che gli esplosivi leggeri e lenti tendono a sollevare la roccia ed a spostarla lateralmente mentre quelli ad alta velocità provocano una forte frantumazione locale mentre i gas generati espellono i detriti provocati dall’esplosione senza troppo interessare i lati ed il retro, è opportuno ricordare che:

–       rocce fessurate a strati orizzontali di circa 30÷50 cm richiedono fori distanti tra loro ed esplosivi lenti con alto volume di gas;

–       rocce dense, compatte, richiedono esplosivi ad alta velocità;

–       velocità e densità dell’esplosivo debbono, possibilmente, andare di pari passo con la velocità sismica e la densità della roccia da abbattere anche se la velocità sismica (onde L) di molte rocce non eccede i 4800 m/s mentre esistono parecchi esplosivi con velocità superiori. Tenendo conto anche della densità, infatti, vale la seguente esemplificazione: un granito con vs = 4500 m/s ed una densità di 2.6 dà un coefficiente 4500 2.6/103 = 11.7 mentre un dato esplosivo con velocità detonante = 5250 m/s ed una densità nel foro di 1.3 dà un coefficiente 5250 1.3/103 = 6.8 e pertanto troppo basso;

–       l’esistenza di piani inclinati od orizzontali nella roccia è vantaggiosa agli effetti dello spezzettamento specie se vicini e richiede inoltre un esplosivo leggero; le fratture verticali hanno un comportamento analogo;

–       quando si abbatte roccia da passare al frantoio per ottenerne pietrischi, è opportuno impiegare esplosivo ad elevato potenziale per una maggiore frantumazione e, conseguentemente, una maggior percentuale di elementi a granulometria più fine.

4.2.5 – Accessori per i lavori da mina

a) La miccia è un dispositivo d’avvio usato per accendere a tempo e a distanza il detonatore il quale a sua volta detona (innesca) la carica di esplosivo. Consiste in un cavo contenente polvere nera con un involucro in tessuto impermeabile che ha anche il compito di impedire alla fiamma provocata dalla combustione della polvere nera, di bruciare l’esplosivo a contatto della miccia.

La velocità di combustione è fissata per ragioni di sicurezza in 90÷110 s per m di miccia e deve mantenersi tale anche dopo immersione in acqua 24 h.

La lunghezza della miccia va regolata in rapporto al tempo a disposizione per portarsi in zona di sicurezza dopo l’accensione e quindi in ragione del numero delle cariche da accendere nella medesima volata, delle difficoltà del terreno etc.; lunghezze di 1.0÷1.8 m sono comuni e per distinguere rapidamente gli spezzoni di diversa lunghezza si usano differenti colori.

b) I detonatori hanno lo scopo di provocare lo scoppio delle cariche di esplosivo ad alto potenziale. Possono essere da miccia o elettrici. I detonatori da miccia sono costituiti da un cilindretto di metallo in cui è compresso dell’esplosivo (TNT) seguito da piombo e segatura (Fig. 4.13a dove 1 è la segatura di legno che va tolta per poter inserire la miccia, 2 e 3 sono i composti di piombo e 4 è l’esplosivo). Hanno dimensioni varianti da 2 a 5 cm di lunghezza e 4 mm di diametro. E’ preferibile usare spezzoni di miccia della lunghezza desiderata e col relativo detonatore già fissato in polveriera, ad evitare inconvenienti; tuttavia, sovente, l’innesco è preparato in cantiere rimuovendo prima accuratamente la segatura e fissando poi il detonatore a mezzo di speciali pinze rivestite in alluminio, antistatiche e antiscintilla (Fig. 4.14).

 

Fig. 4.14 – Tipi di detonatore e collegamento del sistema a miccia.

detonatori elettrici si differenziano dai precedenti per avere due fili conduttori uniti alle loro estremità da una sottile resistenza imbevuta di una composizione simile a quella delle teste dei fiammiferi (Fig. 4.14b: dove 5 sono i fili o reofori; 6 il cappuccio di piombo; 7 la resistenza e 8 l’elemento ritardante).

Resistendo ad elevate pressioni idrostatiche sono adatti anche in immersione. I detonatori elettrici possono essere del tipo istantaneo o ritardato; di quest’ultimo tipo si distinguono quelli lenti (ritardi dell’ordine di 0.1÷1.0 s) e rapidi (OMS) il cui ritardo si misura in millesimi di secondo (ms).

I vari ritardi sono necessari per poter intervallare opportunamente le esplosioni nei fori (vedi paragrafo 4.2.9). In commercio, i vari tipi di detonatori elettrici si riconoscono per le diverse sigle e colori: ad esempio un detonatore istantaneo porta la sigla BRW col colore bianco; un detonatore con ritardo di 80 ms porta la sigla MIZP80 ed una fascetta blu a due tonalità.

c) Gli accenditori, usati per accendere le micce, consistono di una miscela infiammabile pressata in cilindretti di cartone lunghi 20-25 cm e del diametro di 1 cm con un’estremità in legno per evitare ustioni. Durano ~4 minuti consentendo pertanto l’accensione di numerose micce e 30” prima di spegnersi, la fiamma cambia colore.

Un accenditore danneggiato dall’umidità, anche se successivamente essiccato, non deve essere utilizzato potendo bruciare molto più rapidamente del tempo stabilito.

 

Fig. 4.15 – Attacchi con miccia detonante.

d) Cappucci e cordino: i primi sono dei cilindretti metallici muniti di appiglio che vengono fissati all’estremità delle micce fuoriuscenti dai fori, il secondo è un cavetto plastificato che viene fatto passare in successione per i vari appigli di una serie di cariche. Mediante la polvere nera contenuta nel cordino, è possibile dar fuoco a svariate micce accendendone una sola; il sistema è molto usato quando, ad es., si debbano minare svariati massi sparsi in quanto evita all’artificiere di tralasciare accensioni.

e) Gli esploditori (blasting machines) sono dei generatori di corrente portatili: una dinamo azionata da una manovella fornisce l’energia elettrica per fare azionare più detonatori.

Ne esistono di svariate capacità dai piccoli (450 V/160 Ω, sufficienti per 30 detonatori) ai maggiori, sufficienti per 400 detonatori.

4.2.6 – Brillamento delle mine a mezzo della miccia

4.2.6.1 – Innesco con miccia comune od a lenta combustione

L’esplosione di una carica di esplosivo contenuta in un foro è iniziata da una cartuccia-innesco contenente un detonatore che, a propria volta, fa detonare eventuali altre cartucce introdotte nel foro (Fig. 4.16).

Una volta sgombrata l’area interessata da macchinari, attrezzi etc. si procede al caricamento dei fori ognuno dei quali va preventivamente ispezionato con un bastone per accertarsi dell’assenza di ostruzioni; le cartucce vanno poi infilate pressandole ognuna col bastone.

In nessun caso si deve lasciare l’esplosivo esposto per rottura dell’involucro. Riempito per 2/3 il foro si tampona con sabbia o argilla (borraggio o stemming) e se l’accensione della miccia avviene a mano se ne dispone l’estremità fuoriuscente in modo da facilitare l’operazione ricorrendo ad un nodo o collegando più micce tra loro.

L’accensione delle micce viene iniziata solo dopo le opportune segnalazioni di sicurezza.

4.2.6.2 – Impiego della miccia detonante (cordoncino, cordtex etc.)

La miccia detonante è costituita da esplosivo ad alto potenziale racchiuso in un involucro-guaina flessibile: detona ad alta velocità e causa, a propria volta, la detonazione di qualsiasi esplosivo posto al suo contatto. Il cordtex è a base di penta-tritolo tetra-nitrato racchiuso in un avvolgimento tessile a sua volta contenuto in un involucro tubolare di plastica che lo rende impermeabile all’acqua.

Fig. 4.16 – Caricamento del foro.

Il diametro della miccia così formata è di 5 mm, con un peso di 25 g/m; tale confezione ne permette una lunga durata anche se conservato in avverse condizioni. La velocità di detonazione è dell’ordine di 6.500 m/s; la miccia detonante può essere maneggiata con sicurezza, non si accende, infatti, alla fiamma, difficilmente può detonare se esposta al calore e richiede, pertanto, il detonatore (comune o elettrico) che va fissato col fondo rivolto alla carica di esplosivo mentre la miccia può essere fissata alla cartuccia con nastro adesivo.

La miccia detonante è impiegata con successo nell’accensione simultanea di varie cariche, particolarmente nelle cave. E’ spesso preferita all’accensione elettrica perché meno soggetta a danneggiarsi quando si carica il foro; è sovente impiegata nei lavori di demolizione per le medesime ragioni ed è indispensabile nei lavori da mina eseguiti sott’acqua.

4.2.7 – Caricamento pneumatico dei fori da mina

Utilizzando il caricatore pneumatico per introdurre le cartucce nei fori, al vantaggio della rapidità si unisce la maggior sicurezza ed efficienza. Il dispositivo si rileva utilissimo per i caricamenti subacquei e per fori molto profondi per i quali non è necessario rimuovere il cappellaccio.

Il suo uso prende via via maggior diffusione nei lavori in galleria anche perché dà modo di conoscere, sopratutto se si tratta di rocce fratturate, se il foro è ostruito prima di iniziare il caricamento. I caricatori operati a mano sono composti:

– da una valvola di riduzione (3 atm con un max di 10 atm) per il collegamento col compressore d’aria ed una valvola a pedale per scaricare l’eventuale eccesso di pressione nel tubo flessibile;

– da una bocca di carica (Fig. 4.17) provvista di un portello che si chiude automaticamente quando s’immette l’aria compressa;

– da un tubo di caricamento in polythene antistatico flessibile oppure metallico rigido;

– da un getto all’estremità del tubo, provvisto di 3 coltelli longitudinali.

Per le operazioni di caricamento il tubo va introdotto fino a fondo foro. Immettendo nel circuito l’aria compressa questa spinge le cartucce (10 m/s) fino al getto dove, essendo il diametro interno del tubo pari a quello della cartuccia, la velocità diminuisce, le lame dei coltelli tagliano l’involucro e l’esplosivo viene così pressato alla massima densità (~ 1.5 kg/dm3).

Esistono caricatori per cartucce da 22, 25 e 29 mm di diametro; le cartucce da 25 mm possono essere usate per fori da 40÷80 mm. Un solo operatore può collocare fino a 300 kg di esplosivo nel turno di 8 ore in fori di 15 m di profondità. Col caricatore semi-automatico del tipo rappresentato in Fig. 4.17 le operazioni sono molto più spedite e l’operatore deve solamente introdurre le cartucce nella bocca senza preoccuparsi di compattare le cartucce entro il foro e senza dover subire l’effetto poco salutare dei vapori di nitroglicerina che salgono con l’aria di ritorno. Muniti di dispositivi semi-automatici due operatori possono collocare 100 kg di esplosivo per ora in fori da 3″ a 30 m di profondità.

Fig. 4.17 – Caricamento pneumatico dei fori: in A la bocca di caricamento nel tipo semi-automatico; in B il getto con visibili i 3 coltelli.

Più sofisticato è il robot loader (Fig. 4.18) che mediante un movimento alternativo (corsa 10÷15 cm) di un pistone contenuto in un cilindro, introduce le cartucce in continuazione comprimendole lungo il foro proporzionalmente alla pressione dell’aria; in tal modo è possibile ottenere una maggiore densità di esplosivo al fondo rispetto alla colonna. L’apparecchiatura consente anche di introdurre la cartuccia-innesco col relativo  detonatore.

Fig. 4.18 – Dispositivo Robot Loader.

4.2.8 – L’accensione elettrica

L’accensione coi detonatori mediante l’elettricità permette di stabilire in precedenza il succedersi dello scoppio delle mine per cui si può operare in base ad una geometria prefissata col massimo rendimento dell’esplosivo. Il sistema non é tuttavia applicabile in caso di tempo perturbato (temporali) oppure in vicinanza di grandi elettrodotti, sebbene si trovino oggi in commercio detonatori elettrici che risentono molto relativamente dei campi indotti.

L’accensione elettrica é basata sul principio del riscaldamento di una resistenza elettrica alla temperatura necessaria  per accendere una miscela detonante con la quale è a contatto.

Ordinariamente correnti di 400÷500 mA sono sufficienti ad accendere un detonatore, tuttavia le tolleranze di manifattura richiedono un margine di sicurezza. I conduttori dei detonatori sono collegati in modo da formare un circuito elettrico che si chiude sull’esploditore (o generatore).

I detonatori possono essere connessi in parallelo o in serie (Fig. 4.19) a seconda del tipo di lavoro che s’intende eseguire.

Fig. 4.19 – Circuiti elettrici 1 e 2: connessione dei fori in parallelo semplice e bilanciato; 3 e 4: connessione in serie; 5: connessione in serie di 3 file di fori.

II collegamento in parallelo si distingue dal secondo per il fatto che i detonatori formano ognuno un circuito collegato al principale mentre, come si rileva dalla figura, nel collegamento in serie si ha un solo circuito; ne consegue che richiedendo ogni detonatore 500 mA la corrente richiesta è troppo elevata per comuni esploditori. Il metodo è impiegato in grandi operazioni dove la velocità è essenziale; è anche molto usato nell’escavazione delle gallerie (circuito in parallelo ad anello di cui alla Fig. 4.20).

Fig. 4.20 – Circuito in parallelo ad anello impiegato nello scavo in galleria.

Nei circuiti in serie il diverso colore dei due spezzoni uscenti dal foro evita la possibilità di dimenticare la connessione di qualche foro; si può rapidamente controllare il circuito col galvanometro ed è facile individuare un collegamento difettoso.

Il calcolo del circuito è basato sulla Legge di Ohm (I = E/R) dove I è l’intensità di corrente (A), E la ddp (tensione) (V) ed R la resistenza (Ω).

Se una ddp di 220 V viene applicata ai capi di un circuito che oppone una resistenza di 5 Ω, l’intensità della corrente passante è pari a 220/5 = 44 A.

Si abbia, ad es., un circuito con 75 detonatori (6 m di filo ognuno) connessi a 120 m di filo del numero 14 e due fili del numero 12, ognuno di 300 m, del collegamento principale.

Nel collegamento in parallelo è norma concedere 0.5 A per detonatore; pertanto: 75 x 0.5 = 37.5 A.

Quando i detonatori sono collegati in parallelo la loro resistenza totale è pari a quella di uno singolo diviso per il loro numero: 1,74/75 = 0,0232 Ω e pertanto ininfluente (in pratica non la si tiene in considerazione). La resistenza del filo di collegamento secondario è usualmente calcolata su metà della sua lunghezza e pertanto: 120/2 x 8/103 = 0.5 Ω, mentre quella dei due fili principali è: 2×300 x 5.3/103 = 3.2 Ω; la resistenza totale è quindi 0.5 + 3.2 Ω = 3.7 Ω.

La potenza richiesta per questa volata è (almeno in teoria): (37.5)2×3 7 = 5.2 kW.

Nel caso di circuito in serie, viceversa, si abbia, ad es., un circuito di 50 detonatori elettrici collegati da due fili del numero 14 di 300 m ognuno: ogni detonatore ha 6 m di filo di rame ed una resistenza di 1.74 Ω (Tab. 4.6).

Con un collegamento in serie la corrente deve essere almeno 1.5 A; il voltaggio richiesto per qualsiasi serie si ottiene calcolando la resistenza totale del circuito e moltiplicandola per 1.5 A e quindi: 50×1.74 = 87 Ω per i detonatori, 2x300x2.5/103 = 5 Ω per il filo; in totale 92 Ω mentre il voltaggio richiesto è pari a 92×1.5 = 138 V che rappresenta la caduta di tensione nella volata portando alla conclusione che un generatore da 220 V è più che sufficiente.

La potenza (teorica) richiesta è allora pari a (1.5)x92 = 207 W.

Tab. 4.6 – Resistenze dei fili di rame e d’alluminio (sx) e Resistenze dei detonatori con filo di rame.

4.2.9 – Accensione elettrica a tempi differiti

E’ la tecnica, chiamata in campo internazionale a short delay, per la quale serie di cariche vengono fatte esplodere, secondo un programma prestabilito, in tempi diversi con intervalli (delays) che vanno da 5 a 40 ms a seconda del tipo di lavoro che s’intende realizzare.

I vantaggi conseguiti sono notevoli:

–       aumento della frantumazione della roccia e maggiore uniformità di pezzatura nei lavori di cava;

–       riduzione delle vibrazioni e del rumore, apprezzabile quando si lavora vicino a centri abitati;

–       riduzione del cosiddetto back-break, cioè degli effetti dell’esplosione oltre la superficie prevista del taglio;

–       maggior controllo dei massi volanti;

–       economia nella perforazione dei fori e nell’esplosivo per le maggiori distanze consentite tra i fori stessi.

Per realizzare tale tecnica si può alternativamente ricorrere ad un interruttore a sequenza, a detonatori a short delay (o a microritardo) oppure a relè detonanti.

Un interruttore a sequenza è un dispositivo che alimenta in successione i detonatori elettrici ad esso connessi; controllando usualmente 14 linee può essere regolato in modo che gli intervalli tra le successive accensioni possano configurarsi da un minimo di 12 ms in su.

Il dispositivo offre il vantaggio di poter essere usato congiuntamente a detonatori istantanei di costo economico; per contro il complesso dei circuiti da realizzare è complicato e quindi costoso.

detonatori a microritardo sono normalmente forniti in serie di 16 graduazioni dal numero 0 (istantanei) al numero 15 che comporta il tempo più lungo; è da notare che mentre nei numeri bassi l’intervallo è pari a 25 ms, questo aumenta nei numeri più alti.

I detonatori a tempo possono essere collegati in serie e fatti esplodere con un comune esploditore oppure con la corrente di rete.

relè detonanti sono usati assieme alla miccia detonante, inseriti sul circuito di questa tra fori o gruppi di fori adiacenti fornendo un ritardo di 17÷20 ms nella propagazione dell’esplosione attraverso la miccia al punto d’inserimento. Sono sicuri e di facile uso; offrono, inoltre, la possibilità di infinite combinazioni.

Fig. 4.21 – Posizioni della cartuccia innesco in una carica di dinamite.

Per conseguire i migliori risultati nelle tecniche precedentemente descritte è utile seguire le regole seguenti valide nella maggioranza dei casi:

–       più breve è l’intervallo di tempo tra l’accensione delle successive cariche e maggiore è il grado di frantumazione della roccia; tale intervallo deve comunque essere tanto breve da permettere la rottura e lo spostamento della roccia prima che sia cessato l’effetto dell’esplosione precedente in ogni direzione; il suo valore è dell’ordine di 5÷3 ms dipendentemente dalla formazione rocciosa e dallo schema circuitale;

–       due o più cariche contigue, sia di lato che in profondità non dovrebbero mai esplodere con- temporaneamente;

–       l’intervallo tra i fori deve essere almeno ≥ 35 cm (Fig. 4.22) ad evitare la rottura tra foro e foro;

–       la profondità del foro deve eccedere tale misura per evitare il cosiddetto effetto a cratere e conseguente deformazione del fronte.

4.2.10 – Controllo dei circuiti elettrici

Le cause del mancato funzionamento dei congegni di un circuito sono quasi sempre da attribuire:

–       all’uso di un generatore difettoso o d’insufficiente potenza od ancora al suo incorretto impiego;

–       alla perdita di corrente tra due conduttori per difettoso isolamento;

–       ad eccessive resistenze nel circuito per connessioni difettose, cavi troppo lunghi o di sezione inadeguata;

–       a perdite di corrente tra uno dei cavi principali ed un punto del circuito oppure nel sistema delle connessioni ai detonatori;

–       a corti circuiti di alcuni detonatori in serie dovuti a fili non ben isolati o a contatto.

Nel controllo del circuito s’ispezionano dapprima a vista i fili; qualora non si notasse alcun apparente difetto si procede per eliminazione controllando prima i cavi principali per constatare se l’interruzione è in questi oppure nei circuiti dei detonatori.

Se l’interruzione è nei fili conduttori ad un detonatore entro il foro si rimuove prima il tampone e si inserisce una nuova cartuccia-innesco connettendo i relativi fili al circuito dopo aver staccato quelli difettosi. Quando si verifica la mancata accensione di una o più cariche, prima di procedere ad una verifica, è obbligatoria l’attesa per almeno 15 minuti.

Fig. 4.22 – Schemi di perforazione ed accensione della cariche a tempi differiti.

4.2.11 – Distruzione degli esplosivi

Può essere a volte necessario distruggere esplosivo deteriorato oppure cartucce danneggiate etc. Premesso che si dovranno seguire scrupolosamente le norme locali, le aree più adatte sono quelle sabbiose evitando possibilmente pietraie o zone a densa vegetazione.

I detonatori, tagliati prima i fili se elettrici o la miccia fuoriuscente, si avvolgono in un pacco di carta con un detonatore in buone condizioni o una cartuccia-innesco; quindi si pone il pacco in una buca e si fa esplodere.

Un altro metodo è quello di scavare una piccola trincea da riempire con segatura mettendo poi i detonatori in fila distanziati di circa 10÷20 cm; si spande successivamente petrolio (non benzina) e si dà fuoco.

L’esplosivo in cartucce, anch’esso avvolto in un pacco con una cartuccia-innesco al centro,  lo si fa detonare in una buca del terreno oppure lo si può bruciare a piccole quantità per volta (max 10 kg) disponendo le cartucce in una trincea in fila con segatura e petrolio; è opportuno evitare con tale metodo le giornate ventose; è buona norma altresì accendere sottovento ad evitare la detonazione per eccessivo calore.

4.3 – Tecniche di scavo in roccia nelle cave e nella costruzione di strade

4.3.1 – Criteri per definire il livello di perforabilità di una roccia

Nell’ambito delle attività di un cantiere applicato al movimento terra non è compresa, in generale, la presenza di un laboratorio attrezzato per la valutazione dei parametri geomeccanici in grado di definire qualità e caratteristiche di una roccia e stabilirne, di conseguenza, i criteri  di perforazione in funzione dell’esplosivo che sarà impiegato per abbatterla.

Non rimanendo che il rilevamento speditivo è opportuno rammentare che sono 4 gli aspetti da rilevare in una roccia: durezza, tessitura, caratteristiche di rottura e tipo di formazione.

Per durezza s’intende la resistenza che una superficie levigata offre alla abrasione con riferimento alla nota Scala di Mohs; per quanto riguarda le rocce più dure, un pezzo di vetro scalfisce una roccia di durezza fino al grado 6 di tale scala; un pezzo di quarzo fino a 7 mentre una punta di roccia di durezza pari ad 8÷9 scalfisce il vetro ed il quarzo (ma è già difficile incontrarla nei lavori da mina). Nelle prove occorre accertarsi che effettivamente sia scavato un solco nella superficie esaminata estendendo inoltre il tentativo a varie parti del campione potendo influire sia la diversa direzione che la presenza di altri minerali.

Tab. 4.7 – Velocità di perforazione in rapporto alla durezza.

Per quanto riguarda la tessitura e con riferimento alla velocità di perforazione, le rocce possono essere divise in 5 categorie:

–       rocce porose, molto tenere, che si perforano facilmente;

–       rocce granulari, contenenti frammenti consolidati sparsi (durezza 3÷4) che richiedono velocità da rapide a medie;

–       rocce granitoidi che richiedono una velocità media;

–       rocce a tessitura molto fine (tipo selce) che si perforano meglio a media-bassa velocità;

–       rocce dense in cui non si distinguono i granuli, usualmente molto dure e per le quali sono consigliabili le basse velocità.

Un campione, colpito col martello, si anche distingue per i diversi modi di rottura:

–       se si spacca con un leggero colpo in pezzi minuti richiede alta velocità di perforazione:

–       se la superficie da frattura si presenta liscia come il vetro, velocità da rapida a media;

–       se si rompe facilmente ed a scaglie preferire la velocità media;

–       se per la rottura sono richiesti colpi violenti, velocità lenta o media;

–       se malleabile, tenero, velocità media;

Infine, per il tipo di formazione :

– una roccia compatta, con poche venature richiede alta velocità;

– a strati orizzontali di 1÷2.5 m di spessore, da alta a media;

– laminata sottile (30÷90 cm) in assenza di terra o polvere: media velocità;

– a strati inclinati o contorti: bassa-media velocità per la tendenza che ha il fioretto a seguire l’andamento dello strato;

– molto fratturata, con larghe aperture : si richiede bassa velocità; è facile inoltre che il fioretto si inceppi e che il foro si ostruisca.

Tab. 4.8 – Perforabilità di differenti rocce.

4.3.2 – Scavo con esplosivo nelle cave

Nelle cave è reperito il materiale che attraverso i frantoi fornirà il pietrisco nelle varie pezzature.

Scelta la zona più idonea le diverse fasi operative sono:

– formazione degli accessi e dei drenaggi,

– eventuale disboscamento e rimozione del cappellaccio per mettere a nudo la roccia madre;

– lavori da mina primari coi quali si riduce la roccia compatta in detriti di dimensioni variabili;

– lavori da mina secondari(o alternativi) per ridurre le dimensioni dei massi troppo grossi peri il trattamento ai frantoi;

– carico e trasporto del materiale di risulta.

La seconda fase, che è la più complessa, ha inizio con la formazione di una faccia (Fig. 4.22-A1) da sviluppare con le successive volate in un unico fronte di cava (Fig. 4.22-A2-3) oppure a gradoni (Fig. 4.22-B2) a seconda del tipo di roccia, della morfologia del terreno, dell’utilizzazione del materiale e dell’equipaggiamento disponibile.

E’ sempre opportuna, all’inizio dei lavori, la ricerca di un eventuale letto o frattura orizzontale da utilizzare come piattaforma operativa sia per le successive volate che per il carico materiale.

L’avanzamento a fronte di cava unico se, come spesso avviene, si sviluppa su un pendio in salita diventa ad un certo punto pericoloso per l’eccessiva altezza; questa può anche raggiungere i 30÷40 m anche se è consigliabile evitare tali valori sia con una opportuna scelta dell’orientamento del fronte che ricorrendo ai gradoni i quali peraltro creano notevoli problemi di rampe e accessi.

Nei fronti unici d’altezza rilevante (> 9÷10 m) che si estendono su tutta la larghezza della cava (soluzione adottata quando si richiede un’elevata produzione di aggregati) il lavoro da mina primario viene effettuato saltuariamente, anche solo 3÷4 volte l’anno, ottenendo un effetto maggior oltre ad una più grande sicurezza operativa.

Fig. 4.22 – Fasi di sviluppo di una cava in roccia.

In un fronte di cava lo spessore dello strato verticale di roccia compreso tra la faccia libera e la fila dei fori verticali e, di conseguenza, lo spessore che viene abbattuto con la volata viene detto piede o burden; e sfondo se in galleria.

La perforazione, per piccole altezze di fronte, può essere orizzontale od obliqua; in entrambi i casi viene spinta normalmente ad un livello 5÷10% oltre il previsto piano di frattura.

Anche nella perforazione verticale si adotta tale eccesso sempre che non esista una frattura orizzontale al piano di cava nel qual caso l’extra perforazione sarebbe dannosa.

Ad evitare una scarsa frammentazione della roccia e per ottenere un regolare arretramento del fronte, quest’ultimo deve mantenersi verticale così che il piedesia costante sia alla base che in sommità. Per raddrizzare un fronte, un metodo comunemente usato è quello delle buche di serpente (U in Fig. 4.23) costituite da fori orizzontali o leggermente inclinati verso il basso alla base del fronte da brillare contemporaneamente ai fori verticali.

Fig. 4.23 – Metodo a buche di serpente.

4.3.3 – Numero, intervallo e diametro dei fori in cava

A titolo indicativo, il piede deve risultare, grosso modo, pari all’intervallo tra i fori e ~2/3 dell’altezza del fronte. Tuttavia i 2 valori sono funzione della natura e densità della roccia, del tipo d’esplosivo e della sua quantità, del diametro dei fori e, infine, della tecnica usata.

Il calcare è, usualmente, una roccia di media durezza ma sovente tenace e a volte spugnosa; in questi casi una buona distribuzione dei fori, e quindi dell’esplosivo, risulta essenziale per una frammentazione soddisfacente.

L’arenaria, viceversa, è porosa, tenace ed è frequentemente più dura da spaccare del calcare.

L’intervallo deve essere scelto in rapporto alla carica per ogni foro ed il cosiddetto sistema di perforazione sbilanciato per il quale gli intervalli sono maggiori dei piedi è considerato oggi molto efficace specie per formazioni massicce di roccia.

Tipici schemi di perforazione nel calcare sono: intervallo 6 m e piede 4.2 m con diametro del foro 5÷6.5″ per fronti di 9÷15 m e, rispettivamente, 7.2 m e 4.8 m per fronti di 15÷23 m con un’eccedenza della profondità dei fori, rispetto al piano cava, di 80÷150 cm per tener conto anche della fanghiglia e della polvere prodotta con la perforazione accumulatisi al fondo.

La perforazione viene eseguita su un’unica fila eccetto che per fronti < 6÷12 m dove 2 o 4 file sono più frequenti per fornire una maggior quantità di materiale all’escavatore.

Nei fronti di cava < 12 m d’altezza s’impiegano per la perforazione i wagon-drills con fori da 2.5÷4″ purché la roccia non sia troppo aperta o stratificata.

Dovendo scegliere tra questi diametri e quelli maggiori è necessario tener conto che, stante la piccola differenza nella quantità percentuale dell’esplosivo riferita all’unità di roccia, è da preferire il diametro col costo di perforazione minore tenendo tuttavia presente che, dove la roccia è dura, la migliore distribuzione dell’esplosivo (quindi minori diametri ) si rivela più vantaggiosa.

Nei fronti di cava >12 m è prevalente l’impiego di macchine da perforazione, a rotazione o percussione, più pesanti per diametri di 6.5÷9″( 16÷22 cm) che possono arrivare a qualsiasi profondità ed in qualsiasi tipo di roccia.

L’utilizzazione di una singola fila di fori è la regola specialmente nelle rocce dure in quanto un numero maggiore accumulerebbe ad ogni volata troppo materiale di difficile maneggio e renderebbe più problematico mantenere il fronte.

Sempre per quanto concerne i grandi fronti di cava, è molto in uso la perforazione detta deep hole ottenuta con macchinario non più a percussione ma a rotazione con punte a coni rotanti provvisti di bottoni al carborundum che scheggiano la roccia mentre l’aria, spinta a pressione lungo il fioretto, porta in superficie i detriti; alternativamente si usa la perforazione a rotazione idraulica, con immissione di fango nel foro, anche se quella ad aria è preferita perché più semplice, di maggior velocità e minor consumo delle punte.

La scelta dei compressori d’aria con entrambi i metodi deve tener conto della pressione e del volume richiesti. La prima è molto importante nel deep hole in quanto deve vincere anche la resistenza della pressione statica causata dall’eventuale colonna d’acqua che si forma nel foro e che può essere assunta, in bar, al 10% dell’altezza della colonna (pertanto per 40 m d’altezza la pressione è 4 bar o ~ 4 kg/cm2).

Ulteriori funzioni dell’aria sono quelle di raffreddare e tener pulita la punta e far salire i detriti di roccia, operazioni, queste, in cui ha valore il volume d’aria immesso e lo spazio anulare tra aste e foro. Esiste, infatti, una velocità minima dell’aria (normalmente 900 m/min) al disotto della quale i detriti non possono essere eliminati; la velocità ottimale può essere calcolata con la formula empirica: (V (m3) x 104)/spazio anulare (m3) nella quale V rappresenta il volume d’aria al minuto fornito dal compressore all’attrezzo. Un calcolo speditivo, per i comuni diametri di foro ed asta, può essere eseguito con la Tab. 4.9.

Tab. 4.9 – Relazioni tra Ø aste, Ø fori, Volumi d’aria e Velocità di perforazione.

Alternativamente si possono addizionare all’aria sostanze schiumogene in grado di ovviare alla carenza di pressione. In conclusione, il compressore deve essere in grado di mantenere nell’attrezzo una velocità d’aria ~1400÷1600 m/min; infatti velocità > 2000÷2100 m/min danneggiano troppo la punta a causa del cosiddetto effetto sabbiatura.

4.3.4 -Tipo e quantità di esplosivo

L’esperienza indica che, in via di massima, una quantità pari a 0.5 kg d’esplosivo ad alto potenziale è in grado capace di rompere da 1 a 3 m3 di roccia e pertanto, in mancanza di altre indicazioni, per la prima volata si può adottare il rapporto 0.5 kg per 1.5 m3 dopodiché è possibile osservare il grado di frammentazione ottenuto oltre alla forma del cumulo di detriti e quindi adottare le modifiche più opportune.

Per quanto concerne la gradazione dell’esplosivo è preferibile, per rocce dure, partire a valori ~ 40% per aumentare il livello al 50÷60% a cava avviata. Dalla quantità di esplosivo per m3 di roccia, stabilita la carica per buca, si calcola il piede e l’intervallo dei fori.

Tab. 4.9 – Relazioni tra Ø fori,  Ø cartucce da usare e peso dell’esplosivo per metro lineare di foro.

Tab. 4.10 – Valori del piede e dell’intervallo in m in rapporto ai m3 di roccia spostata per m lineare di foro.

Esempio di calcolo

Sia un fronte cava alto13.5 m in granito; diametro dei fori 75 mm; esplosivo → gelignite 60% in cartucce di 55 cm di lunghezza e 62 mm di diametro; peso 1.2 kg. Si presume che i fori siano borrati per 1/5 dell’altezza del fronte e quindi ~2.7 m per cui l’altezza della colonna d’esplosivo, tenuto conto di un valore extra perforazione del 10%, risulta pari a 12.15 m.

Il volume di roccia spostato da ogni foro è: H (altezza) x P (piede) x S (intervallo) e supponendo 2.7 m3 di roccia per 1 kg d’esplosivo, il peso di quest’ultimo per foro è pari a H x P x S/2.7 (kg) che,

eguagliato alla relazione (peso esplosivo per foro = peso esplosivo/min x 0.90 H) dà:

P x S = 1.56 √peso/mlin

Assumendo per semplicità P = S ed essendo il peso della gelignite pari a 4 kg/mlin si ottiene:

P = S = ~3.1 m mentre il Peso dell’esplosivo per buca  è pari a (4 x 12,15) = 48.6 kg.

Nella scelta del diametro della cartuccia in rapporto a quello del foro si deve tener conto che se troppo piccolo, il vuoto risultante limita la resa dell’esplosivo; per contro, se la cartuccia forza nel foro si perde tempo nel caricamento.

La Tab. 4.11 fornisce valori comprensivi del fatto che anche la miccia deve trovar posto nel foro.

Tab. 4.11 – Lavori da mina. Dati speditivi per fronti di cava fino a 9÷10 m d’altezza.

4.3.5 – II lavoro da mina secondario

In tutte le cave, dopo ogni volata, è invariabilmente necessario un ulteriore lavoro di riduzione degli elementi di roccia che si sono staccati dal fronte di cava conservando dimensioni eccedenti la capacità dell’escavatore ed ancor più del frantoio primario. I metodi impiegabili sono 3:

a) Con l’impatto, a mezzo di un maglio d’acciaio del peso di 500÷4000 kg che, sospeso o fissato ad un braccio, viene fatto cadere sul masso da frantumare;

b) Con l’esplosivosenza ricorrere alla preventiva perforazione. E’ un metodo applicabile solo quando i massi sono pochi risultando troppo oneroso portare in sito martelli, compressore etc. in quanto l’effetto non risulta spesso proporzionale alla carica d’esplosivo applicata. Si può porre direttamente l’esplosivo in una cavità naturale del masso coprendolo poi con argilla (Fig. 4.24A) nel qual caso una carica di 0.2 kg di dinamite rompe un masso di circa 0,15 m3 ed una di 0.6 kg un masso di circa 0.5 m3 (la stessa quantità di esplosivo, se agisce all’interno della massa produce effetti 5÷10 volte maggiori); oppure si può infilare la carica in un foro praticato sotto al masso (Fig. 4.24B) con effetto più accentuato.

c) Con l’esplosivo previa perforazione degli elementi da ridurre. E’ il metodo applicato nella maggioranza dei casi anche perché, dopo la volata principale, è spesso necessario regolarizzare il fronte di cava con buche di serpente o con operazioni analoghe. S’impiegano normalmente i martelli perforatori a mano con fioretti da 1÷1.2”. Data l’irregolare disposizione dei massi è necessaria la massima attenzione per non dimenticare di perforare qualche masso che ostacolerebbe in seguito le operazioni di carico, oppure per non lasciare qualche foro vuoto al momento della carica (col medesimo inconveniente) ed infine per non lasciare cariche inesplose o perché dimenticate nell’accensione a mano o perché non collegate al circuito principale nella accensione comandata. Con l’accensione manuale di ogni singola carica si utilizza la miccia comune, tagliata in spezzoni di lunghezza tale da lasciare tempo ai minatori di attivare tutte le cariche; a tale proposito si rammenta come risulti buona norma usare 2 detonatori-segnale con miccia più corta di quelle impiegate nelle cariche con il compito di preavviso.

Fig. 4.24 – 3 sistemi per ridurre un masso a mezzo esplosivo.

L’accensione mediante circuito elettrico è sempre consigliabile quando le mine sono numerose in quanto è possibile individuarle con calma e collegarle al circuito principale effettuando eventuali controlli prima dell’attivazione che può realizzarsi con la tensione normale (220v) dell’impianto fisso di cava o tramite esploditore.

Un terzo metodo, che ovvia agli inconvenienti del primo ed alla possibilità di accensioni premature per tempo perturbato o per altri impulsi esterni come può accadere coi circuiti elettrici, è quello che utilizza una speciale miccia rapida (ad es. quarrycord DuPont) attivabile con qualsiasi fiamma e che brucia alla velocità di 1 metro ogni 3 secondi ed alla quale si collegano le micce comuni fuoriuscenti dai massi (Fig. 4.26).

Fig. 4.25 – Impiego della tensione di rete per detonare circuiti elettrici in impianti fissi.

Una importante precauzione con questo metodo è di assicurarsi che tutte le micce siano già accese prima dello scoppio della prima carica per evitare che sassi volanti trancino qualcuna di esse lasciando le relative mine gravide.

Fig. 4.26 – Uso della quarrycord: le cravatte s abbreviano i tempi d’accensione.

4.3.6 – Escavazione con esplosivo in area stradale

Nell’escavazione per formare una sede stradale, a seconda della profondità del taglio in roccia, si può procedere per fronte di cava oppure, più frequentemente e per spessori massimi di qualche metro, con la perforazione verticale della superficie di roccia esposta procedendo, se è il caso, per successivi strati.

In entrambi i casi la frantumazione della roccia va sempre portata oltre (25÷30 cm) il piano d’appoggio del pavimento (che sarà temporaneamente anche il piano d’operazione dell’ attrezzo escavatore) in modo che lo strato di fondazione così formato coi detriti possa essere costipato alla quota di progetto; conseguentemente i fori, a seconda del tipo di roccia, esplosivo etc. dovranno sopravanzare tale piano d’appoggio di almeno 50÷60 cm.

Il materiale sciolto e la roccia degradata vengono prima asportati con gli scrapers intervenendo col ripper ogni qual volta il terreno diventi troppo duro; messa a nudo la superficie rocciosa si sceglie il metodo di perforazione in base allo spessore della roccia ed alla sua conformazione tenendo presenti le esigenze dell’escavatore e, soprattutto, dei mezzi di trasporto impegnati a portare i detriti nei luoghi prestabiliti.

Difficilmente si possono utilizzare gli scrapers nel trasporto di tali detriti per le difficoltà di carico.

Fig. 4.27 – Schema di perforazione di una trincea stradale: a) miccia comune; b) detonatore di partenza; s) detonatori a tempo; P) piano appoggio pavimento; G) limite del taglio.

Operando per strati orizzontali, lo spessore più economico da rimuovere volta per volta è di 5÷6 m quando s’impiegano i wagon-drills; il cumulo è così sufficiente per riempire il cucchiaio dell’escavatore con una sola manovra. Chiaramente se lo spessore totale da rimuovere è poco di più vale la pena rimuovere l’intero strato in una volta sola.

Nei tagli profondi, dell’ordine di 15 m e più, è conveniente l’apertura di un fronte con perforazione a grande diametro (60÷120 mm) e 2 o 3 file di fori attraverso tutta la sezione stradale per ogni volata. Laddove si rivelasse fattibile (strade a 4 e più carreggiate) la convenienza è maggiore nell’apertura di un fronte parallelo all’asse stradale.

Per quanto attiene alla quantità di esplosivo da usare, a titolo indicativo, in presenza di arenaria o calcare di media durezza, impiegando dinamite al 40%, ne occorrono circa 450 g/m3 di roccia.

Se si tratta invece di scisti, soprattutto se laminati, possono essere sufficienti anche 200 g.

I valori si riferiscono al procedimento per strati orizzontali; con il fronte di cava la quantità richiesta di esplosivo è minore.

4.3.7 – Taglio di un  scarpata e metodi di controllo dell’overbreak

II taglio in roccia lungo un piano stabilito, quale può essere una scarpata, risulta sempre difficoltoso sopratutto se la roccia non è d’uniforme consistenza o si mostra stratificata, in quanto l’esplosivo ha effetti diversi nelle diverse zone col risultato di disporre una superficie irregolare sovente non accettata dalla direzione lavori in quanto antiestetica e comunque onerosa per l’impresa cui spetta il compito, non remunerato, di rimuovere i detriti derivanti dagli eccessi di scavo (overbreak) che si verificano spesso dove la roccia è meno compatta nonché gli spuntoni rocciosi rimasti qua e là dove la roccia era più dura.

Il fenomeno, cui è sempre stato difficile porre rimedio, è oggi maggiormente controllato mediante una oculata disposizione dei fori e delle cariche di esplosivo. Le tecniche correnti di controllo dell’ overbreak sono:

aMetodo della perforazione marginale che consiste nell’eseguire delle linee di fori di piccolo diametro a distanza ravvicinata, la più esterna coincidente col piano di taglio previsto così da ridurre la resistenza. I fori esterni non sono caricati mentre le linee intermedie vengono caricate solo a metà. I migliori risultati si ottengono su rocce omogenee e ben consolidate. La minima distanza richiesta tra i fori, tuttavia, rende costosa la procedura.

bMetodo del cuscinetto (trim-blasting) che è usato quando la roccia è poco consistente ed allentata. Consiste nel perforare e brillare le cariche interne così da rimuovere il grosso della roccia per poi perforare lungo la linea di scavo una fila di piccoli fori alternati ad altri di maggior diametro; soltanto questi ultimi vanno poi caricati e brillati utilizzando esplosivo di limitata potenza ma ben distribuito lungo i fori. Il metodo presenta l’inconveniente che il macchinario da perforazione deve essere rimosso dopo la prima operazione e quindi riportato in sito per la seconda.

cMetodo del taglio anticipato (pre-splitting): è il più usato in campo stradale e consiste nel perforare come in a). I fori ravvicinati al limite dello scavo vanno però caricati e brillati prima di quelli interni così da fratturare in precedenza la superficie di taglio.

Questo metodo si basa sul principio che se due cariche sono brillate contemporaneamente in due fori contigui, la collisione delle onde d’urto crea una frattura tra i due fori così che la volata successiva delle cariche principali rimuove la roccia solo fino al limite di scavo prestabilito.

4.3.8 – Scavo di trincee

Nelle Figg. 4.28-A e B sono riportati schemi di perforazione e di caricamento dei fori in una trincea di m. 1.3÷1.5 di larghezza in roccia scistosa con mica ed in una trincea larga 0.7 m in arenaria.

Fig. 4.28 – Scavi di trincee a mezzo esplosivo.

4.3.9 – Scavo di pozzi

E’ opportuno procedere con 4 fori centrali (a circa mezza via tra il centro e le pareti del pozzo) convergenti; caricati e brillati si perfora ai bordi con fori leggermente divergenti. Dopo ogni volata è bene attendere il tempo necessario per la fuoriuscita dei gas prima di ripetere il ciclo.

4.3.10 – Rimozione di ceppi e radici con l’esplosivo

Per rimuovere ceppi di 30 e più cm di diametro è a volte conveniente l’esplosivo. Scavata una buca a mezzo trivella nel terreno sottostante la radice in modo che ne oltrepassi grosso modo il suo centro, la si carica nel modo usuale con dinamite. Se il ceppo è di notevoli dimensioni si esplode una prima, leggera carica sotto di esso per formare una cavità e quindi dopo una mezz’ora si carica quest’ultima con una maggiore quantità di esplosivo. Normalmente occorrono 0.6÷0.8 kg di dinamite per ogni 30 cm di diametro del ceppo.

4.3.11 – Perforazione a mano dei fornelli da mina

Si ricorre alla perforazione manuale quando ovviamente non si dispone di attrezzatura meccanica oppure non vale la pena, per l’esiguo numero dei fori richiesti, di provvedere al suo impianto. La massima profondità raggiungibile è comunque intorno ai 2÷2.5 m impiegando punta e mazza oppure con la barra a gravità.

Col primo sistema s’impiegano barre a sezione ottagonale, o circolare, da 1″, di diverse lunghezze (0.6-1.2-1.8-2.1-3.0 m) munite di taglienti fissi o staccabili di larghezze decrescenti da 2″ ad 1.5″ e che vanno affilate ogni 30÷60 cm di foro.

La penetrazione delle successive barre di lunghezza crescente è ottenuta con una mazza di 3 kg di peso, ruotando ad ogni colpo la barra di 1/8 di giro e ripulendo di tanto in tanto il foro con un apposito estrattore. Occorrono normalmente 3 operatori dei quali uno a tenere la barra e due alle mazze; la resa è la seguente:

Diametro del foro             1″          2″           3″

Nel basalto ……m/h        0.6       0.15       0.07

Nell’arenaria…. m/h        0.8       0.20       0.10

Con la barra a gravità il foro è ottenuto sollevando la barra per circa 30 cm e lasciandola quindi cadere con una leggera rotazione dell’attrezzo ad ogni colpo. Si impiegano due barre a doppia punta, lunghe rispettivamente m 1.8 e 3.5 iniziando con la punta più larga ed il progresso orario in roccia media è di 40÷50 cm.

Tab. 4.12 – Materiali e mano d’opera nei lavori da mina nelle cave per aggregati.

4.4 – Scavi in galleria

Le gallerie sono oggetto di particolari ricerche e controlli a partire dalla progettazione e fino ad oltre l’ultimazione dei lavori per le numerose, impreviste difficoltà che possono insorgere. Le ricerche sono volte a stabilire:

–       la natura delle terre e l’andamento degli strati;

–       la tipologia delle spinte;

–       la presenza d’acque;

–       le temperature e i gas che possono svilupparsi all’interno durante la escavazione.

I controlli sono necessari per verificare in continuazione la congruità dei calcoli e delle metodologie adottate sia per prevenire inconvenienti più o meno gravi che per evitare extracosti. Si distinguono:

– gallerie artificiali (galleries) che vengono costruite sulle mezze coste dei rilievi e che per la loro scarsa copertura sono considerate, dal punto di vista dello scavo, quali trincee e quindi ricoperte da solette per proteggere la strada dalla caduta di massi, frane o valanghe;

– gallerie naturali (tunnels) o a foro cieco, che si sviluppano interamente nel sottosuolo con lo scopo di attraversare tramite un percorso più breve ed agevole rilievi montagnosi od agglomerati urbani.

I metodi d’indagine comprendono la foto-interpretazione, o studio degli aerofotogrammi, l’esame preventivo delle carte geologiche e di ogni altra documentazione esistente relativamente all’area interessata dal manufatto oltre ad una ricognizione di dettaglio volta a definire nei particolari le caratteristiche fisico-strutturali dell’ambito in esame.

4.4.1 – La ricognizione (prefattibilità)

Le condizioni geologiche e idrogeologiche sono fattori determinanti del grado di complessità progettuale ed esecutiva, e quindi di costo, di una galleria.

Ai problemi individuabili con la ricognizione si aggiungono gli imprevisti quali, ad es., un’imprevista venuta d’acqua a forte pressione in grado di bloccare il lavoro per lunghi periodi di tempo o, al limite, porre in discussione la fattibilità dell’opera.

La ricognizione inizia quasi esclusivamente con gli studi di superficie in fase di progetto sommario per poi continuare nel seguito dei lavori.

Nella prima fase si tratta di scegliere il miglior tracciato con l’identificazione dei terreni attraversati e delle falde e conseguentemente decidere i metodi esecutivi con l’ausilio della documentazione già citata, col rilievo degli affioramenti e con un approfondito studio stratigrafico-tettonico.

Col progetto definitivo si passa ai sondaggi e relativi esami di laboratorio e in situ, alla sismica a rifrazione (per la ricerca del substrato roccioso, dello spessore delle alterazioni etc.), alla gravimetria (o misura delle variazioni di peso specifico per localizzare eventuali cavità sotterranee), ai test elettrici ed elettromagnetici (per l’interpretazione della natura mineraria, delle falde, di depositi ghiaiosi) al telerilevamento ed ai test sonici per individuare faglie antiche o in atto, anomalie meccaniche, cavità etc. All’inizio degli scavi si proseguono i sondaggi ricorrendo quando è il caso alla galleria pilota o di ricognizione. La presenza dell’acqua si rileva con l’individuazione di sorgenti e di pozzi, con la misurazione delle loro portate, col rilevamento delle zone d’infiltrazione e coi metodi di ricerca precedentemente elencati.

Evidentemente, se il tracciato generale di una via di comunicazione non può essere mutato per effetto delle più diverse considerazioni, modifiche limitate dell’asse viario possono essere imposte dalla natura sfavorevole dei terreni sia per la loro qualità che per la presenza di rilevanti discontinuità e, soprattutto, per la presenza dell’acqua che, nel caso di terreni comuni, causa cedimenti in volta, assestamenti sotto i piedritti etc. rendendo disagevoli gli scavi e, nel caso di rocce, provoca pressioni e rigonfiamenti (anidriti, marne), alterazioni rapide del tessuto roccioso e venute improvvise con ulteriori problemi d’avanzamento (Fig. 4.29).

Fig. 4.29 – Andamento degli strati e problematiche connesse.

4.4.2 – II pre-dimensionamento della galleria

Rimandando per un approfondimento dell’argomento a 3° volume, ci si limita nella presente sezione a segnalare come il termine sia usato negli studi preliminari per definire la metodologia di scavo ed il tipo di sostentamento della galleria da applicare in rapporto alla classificazione dell’ammasso roccioso.

I metodi empirici applicabili sono diversi e prendono il nome dagli studiosi che li hanno eseguiti.

Alcuni di questi, peraltro, sono ormai da ritenere sorpassati quali il metodo Terzaghi (1946) o quelli di Protodiakonov (1954) e Lauffer (1958).

Il metodo R.Q.D. (Rock Quality Designation) di D.Deere (1964), visto nel 1° vol., prende avvio, come visto, da osservazioni eseguite su campioni prelevati col carotaggio al fine di ricavare l’omonimo parametro, e cioè:

R.Q.D. = 100 x lunghezza totale dei pezzi >10 cm / lunghezza carota

Si devono utilizzare carote di almeno 50mm di diametro e per pezzi di 10 cm si intendono quelli di roccia sana mentre la lunghezza della carota è quasi sempre presa pari ad 1 metro.

Col valore ottenuto si classifica la roccia in base alla Tab. 4.13.

Tab. 4.13 – Classificazione sulla base dell’Indice R.Q.D.

L’R.Q.D. è utilizzato da vari autori (→ metodo Barton di cui alla Tab. 4.14).

Z.Bieniawski (1983) viceversa, utilizza 5 parametri (Tab. 4.15) attribuendo ad ognuno di essi un punteggio ed il totale dei punti serve a qualificare la roccia previa una correzione a seconda dell’orientamento dei giunti (correzione = 0 se molto favorevole ; = -12 se molto sfavorevole come, ad es., se giunto parallelo, o quasi, all’asse della galleria). I parametri sono:

– la classe R.Q.D. di cui sopra che caratterizza la qualità della roccia: 20 punti per R.Q.D. compreso entro 90÷100: 3 punti se < 25;

– la resistenza alla compressione semplice, o prova Franklin (da 15 a 0 punti);

– la spaziatura dei giunti tra strati o fratture o scistosità (da 30 punti se ≥ 3 m a 5 punti se < 50 mm);

– la natura dei giunti (25 punti per superfici molto rugose fino a 0 per giunti aperti o molli);

– le venute d’acqua (10 punti se assenti fino a 0 se notevoli).

La Tab. 4.14, dove al punteggio totale (N) più basso corrisponde il materiale più scadente, serve in via di massima ad orientare il tecnico sulle modalità di scavo e sulle opere di sostegno del manufatto.

4.4.3 – Le tecniche di scavo

La galleria naturale, a seconda della lunghezza, comporta uno o più cantieri d’estrazione che avanzano per incontrarsi. E’ opportuno prevedere una pendenza verso l’imbocco più basso per facilitare il deflusso delle acque d’infiltrazione anche se, nel caso di doppio attacco, si possono creare problemi nell’escavazione dall’imbocco superiore.

Se la galleria è lunga e il profilo longitudinale lo consente, possono facilitare le operazioni due livellette a schiena d’asino.

Per accelerare i tempi in gallerie molto lunghe si aprono attacchi intermedi ricorrendo a pozzi e finestre (Fig. 4.30) utilizzando eventualmente quelli perforati durante gli studi geologici.

Tab. 4.14 – Metodo di Barton per progettare le opere di sostegno in galleria in base alla classificazione della roccia da Eccellente (Q = 1000) a Mediocre (Q = 1) a Pessima (Q = 0.1).

La distribuzione di questi pozzi o finestre dovrebbe essere tale da consentire il completamento dei vari cantieri nel medesimo periodo di tempo. Le finestre risultano molto utili per l’evacuazione dello smarino e dell’acqua ragion per cui vengono possibilmente aperte in corrispondenza dei compluvi e, comunque, dove il percorso per raggiungere l’esterno è più breve.

Nella scelta dei luoghi ove ubicare i cantieri esterni si deve tener conto che:

– l’area deve essere sufficientemente piana ed estesa (tenendo conto del materiale di smarino), in posizione favorevole per clima ed esposizione (sicurezza da frane, slavine, valanghe etc.) e facilmente collegabile alla rete stradale esistente;

– il tempo programmato per l’esecuzione dei lavori determina il numero e il tipo di maestranze e di mezzi e, per conseguenza, la quantità delle strutture che usualmente comprendono:

Tab. 4.15 – Metodo di Bieniawski: classificazione degli ammassi rocciosi, modalità d’avanzamento in galleria e principali provvedimenti di sicurezza in base alla classe per γ x h < 250 kg/cm2.

 – locali per il personale:

– servizi generali: uffici, magazzini, officine, centrale forza motrice ecc;

– impianti per la produzione d’aria compressa con serbatoi di raccolta e serbatoi equilibratori lungo la tubazione principale entro la galleria;

– impianti per ventilazione e raffreddamento;

– impianti per produzione, stoccaggio degli inerti e centrale di betonaggio.

Fig. 4.30 – Profilo longitudinale e planimetria di una galleria con diversi fronti d’attacco:

E, imbocchi; W, pozzi o camini; F, finestre; S, fronti d’attacco degli scavi.

Si possono distinguere due tecniche di scavo:

–       tecniche basate su operazioni d’avanzamento ciclico o per sfondi : scavo – smarino – sostegno per un tratto della galleria (detto, appunto, sfondo) e quindi nuovamente scavo – smarino -sostegno di un secondo sfondo e così via;

–       tecniche per le quali le due prime operazioni, e talvolta anche la terza, vengono effettuate in continuità con macchine da scavo ad attacco globale.

Quando le condizioni lo consentono, la tecnica di scavo ottimale è quella a sezione intera.

Fig. 4.31 – Diagramma di classificazione delle rocce con riferimento allo scavo in sotterraneo (Louis).

M, modulo di fatturazione o distanza media delle fratture (cm); S, velocità sonica misurata in situC, velocità sonica misurata su carota; IR, classificazione RQDRC, resistenza alla compressione (MPa); A, esplosivo; B, esplosivo o escavatori per rocce dure; C, escavatori comuni; D, fresa o martello idraulico; E, pala.

Nelle sezioni di galleria oltre i 40 m2 risulta necessaria, tuttavia, la presenza di macchinari molto costosi il cui ammortamento è possibile solo se la galleria è molto lunga oppure se i tratti in galleria si susseguono per uno sviluppo notevole.

L’avanzamento a sezione intera si conferma la tecnica più usata nelle rocce di buona o discreta tenuta. Quando, invece, la qualità del terreno è scadente si procede col metodo parziale. Quello detto austriaco prevede lo scavo di un primo cunicolo in basso; quello detto italiano, adatto per rocce spingenti anche dal basso, simile al precedente, e assieme il belga modificato, rappresentato in Fig. 4.32, sono quelli oggi più in uso.

Si tratta, evidentemente, di procedimenti lenti e costosi; per contro, la decompressione del terreno è più facilmente controllabile e gli effetti di cattive sorprese vengono limitati.

Fig. 4.32 – Metodo d’attacco parziale: terminologia.

Fig. 4.33 – Modalità d’attacco in terreni molto scadenti.

Sono prevalentemente applicati nello scavo di grandi sezioni quali ad es. centrali idroelettriche sotterranee, in campo autostradale oppure sotto centri urbani con una copertura limitata.

Lo scavo può essere eseguito con esplosivo oppure meccanicamente o con la combinazione di entrambi i metodi o ancora, in casi particolari dove si debbano evitare eccessivi rumori, vibrazioni del terreno, emanazione di gas etc., impiegando particolari sostanze chimiche che attaccano la roccia disgregandola e facilitandone di seguito la rimozione.

4.4.4 – Scavo con esplosivo

In teoria, l’effetto dell’esplosivo dovrebbe limitarsi alla demolizione della roccia seguendo il profilo trasversale previsto, tenuto conto dell’eventuale rivestimento. Un eccesso, infatti, di tale azione potrebbe scuotere violentemente la roccia circostante portandola a fessurazione, con la conseguenza di un dimensionamento delle opere di sostegno più oneroso e, particolarmente se la stratigrafia e sfavorevole, una maggiorazione dello scavo (il cosiddettooverbreak o hors profil) rispetto a quanto previsto, scavo che dovrà poi essere riempito con calcestruzzo nel caso in cui segua il rivestimento. Un’azione difettosa dell’esplosivo, per contro, lascia un profilo trasversale incompiuto che costringe ad una seconda operazione di scavo selettivo alterando oltretutto anche i tempi previsti per le diverse fasi dei lavori.

All’atto pratico, tuttavia, anche conseguendo i migliori risultati ad ogni volata, l’overbreak è spesso presente sia pure in misura limitata al punto che risulta quasi sempre necessaria, prima di procedere alla rimozione dei detriti (marinaggio o smarino), la purga dell’intradosso e del fronte al fine di regolarizzare la sezione e per rimuovere i lastroni di roccia instabili.

Quando la situazione lo richiede, le opere di sostegno (spritz-beton, gunitatura, ancoraggi e centinatura) precedono in tutto od in parte lo smarino.

4.4.5 – Macchine e tecniche di perforazione (Fig. 4.34)

In galleria si usano perforatori pesanti che aprono fori da 1.7÷2″ (40÷50’) e diametri maggiori per rocce più compatte. La necessità di forare in spazi limitati (scavo parziale) unita al peso degli attrezzi esclude che questi possano essere usati senza l’ausilio di servosostegni o di slitte funzionanti ad avanzamento automatico: i wagon-drills, tuttavia, non sono di norma usati in galleria ma solo per lavori complementari. Vengono usati, invece, gli air-tracks, più pesanti e montati su cingoli, che funzionano anch’essi tramite aria compressa, elemento che aziona l’unità perforatrice, controlla i congegni aerodinamici per il brandeggio della slitta ed infine alimenta i motori che consentono al veicolo di spostarsi.

4.34 – Martello con servosostegno: 1, perforatore; 2, tubo aria compressa; 3, oliatore; 4, tubo acqua; 5, sostegno con asta a tenuta ed azionata dall’aria compressa.

L’esigenza della rapidità nella perforazione che richiede, per la sezione intera, l’uso contemporaneo di numerosi perforatori e la riduzione dei tempi morti che si verificano col posizionamento degli stessi, è soddisfatta dall’ unità di perforazione meccanizzata che completa di tutta l’attrezzatura occorrente, autonoma per quanto riguarda i comandi di distribuzione dell’aria e dell’acqua e quindi delle manovre di avvicinamento al fronte di scavo e del successivo arretramento per consentire la volata, rappresenta l’equipaggiamento più idoneo nel campo.

4.35 – Schema di carro Jumbo a struttura fissa con piattaforma di carico estensibile e 2 bracci per gallerie di sezione limitata (40÷50 m2) visto di lato (a) in pianta (b) e di fronte (c).

Elementi principali di questa unità, nota col nome di Jumbo (Fig. 4.35), sono i bracci aerodinamici che mediante pistoni idraulici portano i perforatori nella posizione voluta e ne consentono l’operazione oggi completamente computerizzata. A prescindere dai vari modelli di diverse dimensioni, 2 sono i tipi diJumbos: quelli a portale che permettono il passaggio dei mezzi di smarino verso l’uscita della galleria e quelli a struttura piena.

Un Jumbo a portale si muove su ruote pneumatiche o su binari attraverso carrelli bilanciati a più ruote; è costruito a più piani ed il vano centrale ha un ponte levatoio per consentire appunto il passaggio dei mezzi di carico.

Esistono Jumbos a struttura deformabile che si aprono fino a coprire una sezione di 100 me più per ridursi quindi in fase di smarino a dimensioni tali da consentire agevolmente tale operazione. L’aria compressa, ovvero il fluido motore della maggioranza delle macchine di galleria in quanto non inquinante, viene fornita dai compressori che, nel caso di un cantiere a lunga durata, sono del tipo stazionario, e installati, nel numero e capacità richiesti, fuori della galleria anche a motivo di un più facile controllo e manutenzione.

Nell’installazione di una centrale di compressione d’aria, assume grande importanza la sua corretta collocazione con particolare riguardo agli aspiratori che non debbono aspirare aria polverosa proveniente, ad es., da frantoi e anche al rumore che essa produce. A titolo indicativo, per una galleria autostradale, sono necessari 8÷10 compressori da 20÷25 103 l/min forniti di motori da ~ 200 Hp.

Utilizzando l’esplosivo in galleria è da tener presente che maggiore è la superficie libera verso la quale possono spostarsi i frammenti di roccia al momento della volata (o tiro) e più grande è la resa unitaria dell’esplosivo impiegato. Da ciò la convenienza a scegliere la migliore disposizione dei fori sul fronte di scavo e a differenziare i tempi di detonazione delle cariche per aumentare tale superficie.

Lo scopo è usualmente raggiunto facendo esplodere per prime alcune cariche al centro della rosa dei fori (mine di rinora o tir de bouchon). La sezione è poi allargata ai valori previsti con l’esplosione delle altre cariche (tiro principale o dégraissage) utilizzando dei ritardi (intervalli di 0.5 s) e microritardi di 25 ms per grandi sezioni.

Il posizionamento dei fori determina, in larga misura, la dimensione e giacitura dei detriti ed è pertanto opera di specialisti sopratutto quando, subito dopo la volata e prima dello smarino, è necessario procedere alla posa di un primo strato di rivestimento della volta.

In generale, ed evidentemente, le modalità di perforazione e di tiro variano col tipo di roccia incontrata: una tecnica impiegata per rocce poco resistenti e grandi sezioni di galleria è rappresentata in Fig. 4.33). Il metodo consiste nello scavo in calotta a tutta larghezza con fori orizzontali o poco inclinati con rimozione successiva della parte inferiore a mezzo perforazione verticale, tipica del fronte di cava, con più file di fori e detonatori a tempo.

La tecnica di far convergere i fori verso il centro, o svedese (Fig. 4.36-sx), limita la profondità dello sfondo ed è usata raramente. Preferita quella canadese, a fori paralleli, sia per i migliori risultati (tanto migliori quanto più accurato è il parallelismo) che per l’impiego generalizzato dei Jumbos che, operativamente, impongono tale di tipo di tecnica. In Fig. 4.36-dx è rappresentata una tipica volata con 41 fori per una galleria di m 4.2×4.2 inclusa una doppia combinazione di fori convergenti per le mine di rinora.

                                                    Fig. 4.36 – Tecnica Svedese (sx) e Canadese.

Perforazioni di questo tipo richiedono un Jumbo a 4÷5 perforatori con uno sfondo di 2.5-3.0 m per volata. Onde limitare i danni alla roccia fuori del taglio previsto e perché quest’ultimo risulti più preciso si ricorre a due procedure poco diverse l’una dall’altra: il prédécoupage dei francesi e lo smooth-blastingstatunitense.

Nel primo caso dopo le mine di rinora, per levare il tappo centrale e prima del tiro principale, si fanno esplodere simultaneamente i fori cosiddetti di réglage in volta ed ai piedritti in modo tale che la roccia si fessuri solo tra foro e foro. Ciò richiede fori perfettamente paralleli, vicini, di grosso diametro e poco caricati.

Con lo smooth-blasting, oggi il più usato, la detonazione dei fori di regolazione (sempre molto ravvicinati (Tab. 4.16) segue quella del tiro principale.

Tab. 4.16 – Tecnica smooth-blasting: valori tabulari.

La profondità dei fori e quindi lo sfondo è di ~3÷4 m. Quando con lo scavo della galleria ci si avvicina ad edifici ed altre strutture che potrebbero essere danneggiate dalle vibrazioni il controllo di queste ultime viene affidato a geofoni, installati o sigillati sui muri delle strutture interessate posti verso le volate.

4.4.6 – Scavo meccanico

Lo scavo meccanico della sezione della galleria senza cioè ricorrere all’esplosivo,ha preso piede sopratutto dagli anni ‘70 col progresso delle macchine escavatrici capaci di scavare le rocce più dure. Esistono evidentemente delle limitazioni di carattere economico quando il rendimento della macchina non è in rapporto favorevole con la sua usura, effetto che può essere accertato a priori a mezzo dell’esame della resistenza della roccia e della sua abrasività.

Per contro evitare l’esplosivo significa realizzare un taglio più regolare (minimo overbreak e minor fatturazione della roccia e quindi minor spessore del rivestimento) oltre che minori vibrazioni in riferimento a strutture esterne.

Due sono i tipi di macchine escavatrici: ad attacco globale o a scudo (TBM o Tunnel Boring Machines) e ad attacco parziale o puntuale (BTM o Boom Type Machines).

4.4.6.1 – Scavo a sezione intera (macchine TBM)

Lo scudo o TBM di cui alle Figg. 4.37, 4.38 e 4.39, noto fin dagli albori del secolo scorso (sia pure con una struttura ben più rudimentale dell’odierna) è una macchina molto complessa e costosa, non sempre disponibile che trova i suoi vantaggi in gallerie a sezione circolare di notevole lunghezza e in presenza di rocce non molto dure (sovente il rivestimento segue immediatamente lo scavo) evitando l’impiego dell’esplosivo con tutti i suoi inconvenienti.

Tra gli svantaggi, oltre al notevole impegno finanziario che non consente valutazioni errate, il suo diametro fisso che può creare costosi contrattempi quando il rivestimento deve avere uno spessore superiore al previsto con conseguente riduzione del diametro libero e per la difficoltà di accesso al fronte di scavo a fini ricognitivi quando la macchina è in posizione e tanto meno quando è in funzione.

4.4.6.1.1 – Scavo meccanico in terreni plastici, sciolti od acquiferi

Le macchine usate in questi casi sono dette a scudo (senza riferimento al TBM ) in quanto sono provviste di un sistema di protezione delle pareti dietro il quale viene subito eseguito il rivestimento spesso costituito da conci prefabbricati.

Fig. 4.37 – Funzionamento di uno scudo per scavo in roccia.

Si distinguono:

–       scudi aperti che lasciano il fronte accessibile al macchinario da scavo (a fresa o a cucchiaio) e, nel caso di terreni molto franosi, consentono di limitare l’area di scavo con l’applicazione di pannelli mobili;

–       scudi rotativi del tipo OCMS (Okumura Circulation Mechanical Shield) sulla cui corazza sono applicate feritoie ad apertura variabile dalle quali, mentre questa avanza, sono iniettati fanghi a bentonite che facilitano la rimozione dei detriti, successivamente convogliati mediante un tubo fuori della galleria. Una centrale automatica controlla l’avanzamento dello scudo, la circolazione dei fanghi, la loro densità e pressione, rispondendo alle fluttuazioni della pressione idrostatica sul fronte di scavo. Tale metodo evita la necessità di abbassare la falda freatica e quindi il pericolo di cedimenti del suolo in superficie quando siano presenti centri abitati; richiede inoltre poco personale addetto per lo più alla centinatura; ancora, non è necessaria la pressurizzazione dell’ambiente ed infine, nel caso di forti venute d’acqua, lo scudo agisce da sigillo. L’avanzamento è dell’ordine di 2÷3 m giornalieri.

Oltre agli scudi sopradescritti, altre tecniche sono correntemente applicate in presenza d’acqua sotto pressione associata con masse mobili di terreni incoerenti: quella delle iniezioni solidificanti (grouting) e quella del congelamento (→ vol. 3°).

4.4.6.1.2 – Demolizione senza impiego degli esplosivi

Come già accennato nel precedente paragrafo è abbastanza frequente la necessità di demolire la roccia, o opere in calcestruzzo, nelle vicinanze dei centri abitati oppure in ambiti molto ristretti dove l’esplosivo, per i suoi effetti e con riferimento alla sicurezza, all’inquinamento acustico e dei gas, non trova possibilità d’impiego. Si possono utilizzare in questi casi agenti chimici che attaccano la roccia e il calcestruzzo sgretolandoli.

Allo scopo, sul fronte di scavo, vengono effettuati dei fori nei quali viene poi introdotta una miscela composta dall’agente (all’aspetto simile al cemento e consistente in silicati e sostanze organiche la cui formula è brevettata) unitamente ad un’appropriata quantità d’acqua.

Indurendo la miscela si espande esercitando una fortissima pressione che provoca un progressivo sgretolamento dell’ammasso.

Fig. 4.38 – Funzionamento dello scudo per terre sciolte: a,b,c,d elementi del rivestimento posti in opera man mano che lo scudo avanza; m, martinetti; s, scudo; r, armamento del fronte di scavo.

Per ottenere i migliori risultati evidentemente dipendenti dal tipo di materiale da demolire si effettuano prove iniziali variando diametro, spaziatura e profondità dei fori tenendo presente che il massimo effetto è ottenuto con fori verticali.

Gli scudi moderni, pur diversificandosi in alcune caratteristiche, hanno in comune l’avanzamento automatico (dell’ordine di 12÷20 m al giorno) con scavo, carico e allontanamento del marino meccanizzati; operazioni, queste, che, assieme all’eventuale rivestimento, condizionano la velocità d’avanzamento.

Fig. 4.39 – Schema di fresa puntuale a braccio brandeggiabile per lo scavo e la profilatura delle gallerie.

Uno tipico scudo è contenuto in un cilindro d’acciaio di sezione pari all’estradosso del rivestimento della galleria. Il suo corpo principale, o corazza, ruota sul suo asse (che è anche l’asse della galleria) e porta i taglienti, i motori e i comandi per l’avanzamento. Questo è usualmente conseguito mediante martinetti idraulici (fino a 36 in taluni modelli) che servono anche da guida allo scudo nei tratti in curva o in pendenza e che spingono la corazza facendo forza sul rivestimento che procede al seguito della macchina.

Trovandosi di fronte a terre sciolte o a rocce tenere l’escavazione è ottenuta con frese a tagliente, del tipo a braccio rotante oppure a denti radiali. Per rocce dure si preferiscono i rulli taglienti o mole.

Un compromesso tra il metodo di scavo con lo scudo e con l’esplosi vo è costituito da una speciale macchina attrezzata con una sega a catena (del tutto simile a quelle utilizzate per il taglio degli alberi) che si sposta lungo l’arco della galleria mediante una cremagliera tagliando la roccia lungo la linea prevista per una profondità variabile entro 1.5÷4.0m.

Segue poi l’esplosivo col vantaggio del controllo del taglio, di una buona frammentazione della roccia e della riduzione delle vibrazioni.

4.4.6.2 – Lo scavo a sezione intera (metodo BTM)

In presenza di rocce non eccessivamente dure (dolomite, calcare, arenaria, tufi e simili) con resistenza a compressione semplice max 50÷80 MPa si preferisce a volte all’esplosivo il cosiddetto scavo puntuale impiegando macchine provviste di una testa posta all’estremità di un braccio mobile e provvista di uno scalpello o di un disco o di un rullo a punte.

Lo scalpello è l’attrezzo più comune, escluse le rocce più dure dove sono più efficaci dischi e rulli puntati.

Pur essendo il procedimento più lento rispetto allo scudo, i vantaggi sono molteplici: minor costo e maggiore mobilità della macchina, possibilità di scavare qualsiasi tipo di sezione con una precisione nella profilatura dell’ordine di 10 cm eliminando quindi overbreak e rifilaggi, attacco nei punti stabiliti con libero accesso al fronte di scavo per la ricognizione.

L’impiego delle frese è peraltro richiesto anche quando lo scavo è eseguito con lo scudo che per la sua conformazione produce un foro circolare che deve essere modificato, appunto con le frese, in quanto la sezione della galleria stradale è usualmente a D ribaltato.

Le frese ad attacco puntuale (roadheaders) oggi sono mosse con sistemi computerizzati di allineamento e profilatura e vengono usate anche nei casi in cui si nutrono timori sulla tenuta della roccia per cui, adottando lo scavo a sezione parziale, scavano in calotta mentre il successivo ribasso è affidato a demolitori o rippers.

La resa delle frese puntuali è dell’ordine di 30-80 m3/h.

Anche i martelli idraulici sono impiegati con successo quando la roccia non è molto tenace.

I martelli più pesanti (2.5÷3.0 t) vengono impiegati per gallerie di almeno 25÷30 m2.

L’energia d’impatto, comunque, sebbene il martello sia più leggero, non deve essere < 6 MJ.

Il martello può essere montato in pochi minuti su di un normale escavatore cui è stata tolta la benna; operativamente s’inizia al centro della sezione e in basso (m 1.0÷1.5 da terra) per poi aprirsi verso l’alto ed ai fianchi per uno sfondo max di 1.5÷2.0 m con un avanzamento giornaliero di 4÷7 metri nelle 12 ore su sezioni di 60÷90 m2 (300÷900 m3).

4.4.7 – Estrazione del marino (materiale di risulta)

Nello scavo meccanico (scudo, frese, martelli) il marino o materiale di risulta dello scavo è usualmente raccolto da pale rotanti e trasferito ad un nastro trasportatore; s’impiegano anche pompe a pistoni simili a quelle per calcestruzzi e pompe ad aria aspiranti dal fronte di scavo.

Nello scavo con esplosivo lo smarino è condizionato dal metodo usato: se a sezione intera o parziale, ed assume grande importanza l’efficacia del sistema di ventilazione.

Con lo scavo a sezione intera infatti e per gallerie molto corte e dotate di un buon impianto di ventilazione (sempre necessario quando la galleria supera i 150 m di lunghezza) capace di eliminare rapidamente i gas di scarico degli automezzi, si usano le comuni pale ed i dumpers nei loro diversi modelli. Negli altri casi si usano pale elettriche o ad aria compressa che si muovono su ruote, cingoli o binari (questi ultimi poco preferiti per gli ostacoli che rappresentano all’interno della galleria).

L’aria compressa impiegata alla pressione di esercizio, che s’aggira sulle 6÷7 atm, muove i motori pneumatici a pistoni o a palette (analoghi a quelli dei compressori) e tutti gli ingranaggi ad essi collegati; anche la sterzatura è ottenuta con un servosterzo ad aria compressa sulle ruote motrici. Più rapide sono le macchine a carico e scarico continuo che in luogo della cucchiaia portano anteriormente una apparecchiatura a dischi rotanti che fanno convergere il marino su di un nastro trasportatore centrale; questo a sua volta fa cadere posteriormente il materiale sui mezzi di carico. L’impiego dei binari a scartamento ridotto e dei vagonetti trainati da locomotive elettriche ad accumulatori presenta, come s’è detto, l’inconveniente dell’intralcio dei binari stessi sul pavimento della galleria e quello dei tempi morti dovuti all’avvicendamento dei vagonetti pieni e vuoti se lo spazio è ridotto.

4.4.8 – Scavo di camini o pozzi

Lo scopo dell’apertura dei camini è quasi sempre quello di aerare la galleria sia durante la costruzione che quando essa è in esercizio; più di rado, quando l’apertura di una finestra non risulta fattibile nella pratica, gli stessi servono ad aprire fronti d’attacco intermedi.

I camini possono essere verticali oppure inclinati; se l’inclinazione rispetto all’orizzontale non supera i 45° prendono il nome di discenderia.

La metodologia di scavo dei camini cambia a seconda dello scopo cui sono destinati; se per aprire nuovi fronti di attacco, s’inizia dall’alto, se per ventilazione dal basso.

Anche la natura del terreno influisce: se si tratta di materiale sciolto la procedura di scavo è lenta e costosa dovendosi continuamente armare la sezione man mano che s’avanza.

Qualunque sia il metodo adottato, la prima operazione consiste nel perforare dall’alto un foro di 100÷300 mm di diametro eseguito con wagon-drill o air-track.

Il foro, oltre a servire di controllo per una corretta localizzazione del pozzo, ha lo scopo di alloggiare la fune di traino dell’elevatore, di aerare il pozzo durante la sua costruzione (soprattutto per lo sfumo delle volate) ed infine serve come foro di rinora (→ sistema d’intesto volate).

L’elevatore consiste in una gabbia metallica, nella quale prendono posto gli operatori addetti alla perforazione ed alla carica dei fori, che viene portata in posizione di attacco mediante un argano e quindi defilata al momento dell’esplosione.

4.4.9 – Problemi caratteristici dei lavori in galleria

Ventilazione: prescindendo dalla ventilazione della galleria in esercizio è necessario, durante i lavori, eliminare i gas naturali, quelli di scarico degli automezzi e sopratutto quelli dovuti alle esplosioni; questi ultimi nel tempo più breve possibile (10÷30’) per consentire la prosecuzione dei lavori.

Con la ventilazione s’abbassa anche la temperatura della rocce (e quindi dell’ambiente) che, come è noto, aumenta con la profondità (1°C ogni 30 m in verticale) e che diventa poco tollerabile oltre i 25°C.

L’eliminazione dell’aria viziata e dei gas è ottenuta normalmente immettendo aria fresca durante la perforazione e lo smarino (facendo quindi funzionare rimpianto a pressione) ed aspirando i gas dopo ogni volata portandoli all’esterno prima che si disperdano lungo il percorso (impianto in aspirazione).

Il calcolo della quantità d’aria fresca Q (m3/sec) necessaria per diluire il tappo gassoso tossico prodotto dall’esplosione può essere calcolato con la relazione empirica:

Q = 0.003 n P + 0.1 C

dove n è il numero delle volate nelle 24 ore; P il peso dell’esplosivo in kg per volata e C la potenza (Hp) dei trattori diesel in servizio nella galleria. Con la formula si suppone che il pericolo di intossicazione sia raggiunto a 20 ppm di CO.

Ogni impianto deve essere dotato di meccanismi di riserva per scongiurare pericolosi ristagni d’aria viziata e gas in caso di rotture.

Nello scavo della galleria del Monte Bianco (sezione m2 82, lunghezza 11,6 km, 2 fronti d’attacco senza camini intermedi) la portata dell’impianto, pari a ~140 m3/sec, é stata prodotta da 6 gruppi elettroventilatori per un totale di 2700 Hp con 2 tubazioni (funzionanti quasi sempre in aspirazione) del diametro di m 2 e 2.5 appese alla calotta e con uno dei tubi che arrivava a 100 m dal fronte di scavo; l’ultimo tratto era aerato da un ventilatore da 20 m3/sec.

Protezione del personale e dei macchinari dagli effetti delle volate: ogni esplosione produce polvere e gas, rimossi con la ventilazione, e frammenti di roccia di varie dimensioni che vengono proiettati all’intorno a forte velocità. Da ciò la necessità in galleria di arretrare a distanza di sicurezza personale e macchine, condutture d’aria e d’acqua ed altri servizi prima di ogni volata per poi riportarli avanti per il successivo sfondo.

L’operazione è sempre lenta ed influisce notevolmente sul progresso generale degli scavi, pertanto qualsiasi mezzo che accorci il ciclo pur mantenendo gli standards di sicurezza è sempre da prendere in considerazione.

L’uso di schermi di protezione è oggi a volte adottato pur presentando l’inconveniente che tanto più sono robusti da resistere ad un uso ripetuto, tanto più sono pesanti e complicati da maneggiare.

Si preferisce uno schermo fatto di fibra poliammide ad alta resistenza che viene tenuto aderente alla parete dello sfondo mediante sacchi di gomma rinforzata gonfiabili; sullo schermo sono praticati dei fori da 25 mm che consentono ai gas ed alla polvere di essere assorbiti e convogliati all’esterno.

Illuminazione della galleria: la visibilità, durante i lavori, deve risultare significativa per una migliore resa del personale e delle macchine ed una maggior sicurezza. Nell’area di lavoro sono richiesti almeno 20 lux mentre ne sono richiesti 10 nei tratti di carreggio. Si ricorre ad impianti elettrici fissi, in cavi sottopiombo mantenendo la tensione molto bassa.

Acque di infiltrazione: in galleria sono frequenti infiltrazioni d’acqua, più o meno consistenti, delle quali si deve tener conto nella progettazione mediante la convessità del profilo longitudinale per facilitarne lo scolo verso gli imbocchi se questi ultimi sono alla medesima quota. Se ciò non è possibile si dovranno prevedere impianti di pompaggio per la galleria in esercizio. Quando, durante la costruzione, risulta dall’osservazione che le infiltrazioni sono in aumento (acque meno chiare e più fredde) è necessario prendere immediatamente misure per aumentare la capacità di drenaggio e di aggottamento provvedendo nei casi più seri allo sgombero delle maestranze e delle macchine. Tali misure vanno prese quando il quantitativo di acqua eccede i 5 l/sec misurato strumentalmente a circa 50 m dal fronte di scavo.

In linea di principio non bisogna opporsi con mezzi risolutivi allo scorrimento delle acque d’infiltrazione cercando, al contrario, di facilitarne il deflusso lungo le cunette verso l’uscita; infatti , nel caso opposto, il loro livello potrebbe pericolosamente aumentare provocando crolli e frane.

E’ tuttavia evidente che l’incontro di una sorgente o di una falda acquifera avente portata superiore al previsto richiede una sua riduzione ricorrendo a sacchi di cemento o di malta o di argilla o, ancora, ad iniezioni di cemento o di miscele impermeabilizzanti.

Il drenaggio della parete rocciosa è ottenuto generalmente con l’inserimento di tubi Ø 40÷70 mm porosi o perforati, in fori preparati con martelli che durante l’operazione utilizzino, eventualmente, fanghi bentonitici ad evitare crolli. Numero e posizionamento dei tubi variano evidentemente caso per caso; in ogni caso vanno spinti a 10÷30 m oltre il fronte di scavo interrompendo poi lo scavo stesso quando la stabilità è minacciata dall’eccessivo afflusso di acqua per poi riprendere non appena posizionati nuovi tubi.

L’acqua proveniente dai vari drenaggi deve essere convogliata ad un unico punto di raccolta per essere misurata (anche a fini contabili per i compensi all’impresa costruttrice) e quindi portata fuori galleria o mediante cunette laterali oppure pompe del tipo a pistone, se la quantità di acqua è rilevante, oppure ad aria compressa, più leggere, maneggevoli e non inquinanti.

Natura delle terre attraversate: per quanto siano stati accurati gli studi geologici eseguiti sia in fase di progetto che durante gli scavi, le terre attraversate riservano quasi sempre sorprese.

Oltre alla instabilità che può verificarsi per effetto della decompressione causata dal vuoto della galleria, si possono incontrare sabbie allo stato fluido (le cosiddette sables boulants), marne porose, rocce solubili come il gesso decomposto dall’infiltrazione delle acque, oppure che rigonfiano (scisti) o che reagiscono all’aria umida come l’anidrite (solfati di calcio anidri), terre plastiche e comunque instabili, rocce degradate etc.

La continua osservazione man mano che avanzano gli scavi, della natura del suolo, delle piccole frane (fornelli), degli stillicidi e delle vene d’acqua, consente nella maggioranza dei casi di provvedere per tempo evitando danni gravi.

Assai utile (→vol. 3°) è l’osservazione delle deformazioni subite dalla struttura della galleria nei vari stadi della sua costruzione e del loro comportamento nel tempo per avere indicazioni sulla entità e distribuzione delle pressioni e per individuare i possibili punti di cedimento prima che questi siano visibili ed i rimedi diventino più costosi.

Allo scopo si usano strumenti topografici di precisione (distometri, Fig. 4.40), oppure sensori elettronici, coi quali si possono tenere sotto controllo bulloni infissi nella roccia in successive sezioni della galleria presso il fronte d’avanzamento, rilevandone ad intervalli di tempo la loro posizione reciproca.

rimedi comunemente adottati sono:

– se la roccia diventa friabile al contatto con l’aria o per altre ragioni diventa superficialmente instabile si può provvedere ad una stabilizzazione chimica o più frequentemente, alla gunitatura;

Fig. 4.40 – Diagramma di controllo dei movimenti in calotta a mezzo Distometro.

– in presenza di anidrite, che si rivela facilmente per il rigonfiamento che subisce la roccia assorbendo acqua, si rimuove lo strato superficiale tenero che s’intonaca con prodotti bituminosi prima di procedere al rivestimento.

– il contenimento di masse plastiche fino alla esecuzione del rivestimento può essere raggiunto, se non si dispone di mezzi meno costosi, con la tecnica del pre-grouting o del congelamento.

– il pericolo del distacco di lastroni di roccia dalla volta o dalle pareti della galleria si evita con bulloni e tiranti cui può essere fissata una rete metallica;

– nel caso di frane è necessario innanzitutto limitarne l’estensione procedendo al sostenimento delle masse adiacenti prima di togliere i detriti caduti; se non si può accedere subito alla cavità fon-nata dalla frana è opportuno circoscriverla alla base con un muretto a secco realizzato, ad es., con blocchi in calcestruzzo dietro il quale possono essere spostati i detriti;

– in assenza di roccia compatta, oltre alle iniezioni (grouting), l’armatura provvisoria è sempre necessaria in attesa del rivestimento definitivo entro il quale la centinatura è spesso annegata; oppure si può ricorrere agli ancoraggi mediante chiodi e tiranti da porre in opera subito dopo ogni sfondo, appena esaurito Io sfumo e prima dello smarino. Ai chiodi verrà fissata una rete metallica per procedere poi alla gunitatura per uno spessore di 5÷10 cm;

– in presenza di rocce particolarmente fratturate combinazioni delle tecniche descritte sono frequenti per permettere di avanzare a sezione piena;

– quando la situazione consigli di procedere col cunicolo iniziale ancora frequente è l’impiego del legname col quale si montano i quadri composti da cappello, gambe e traversa, che serrano contro la parete di scavo i correnti longitudinali o guarniture, in legno tondo o tavolame. Il legname deve essere verde, in tronchi senza corteccia possibilmente diritti e con pochi nodi, delle seguenti tipologie: pino, faggio, olmo, castagno, acacia (conservandone la corteccia) mentre se in galleria l’umidità è elevata si preferiscono il rovere ed il larice rosso. I tronchi debbono arrivare sul luogo d’impiego già tagliati nelle lunghezze previste per limitare al massimo il lavoro dei carpentieri in galleria ed ancor più nel cunicolo dove dispongono di pochi e semplici attrezzi. I quadri metallici per cunicoli e sezioni ridotte sono simili a quelli in legno (il cappello viene imbullonato alle gambe mediante staffe); sono generalmente in profilato a doppio T e poggiano, se il terreno è sufficientemente duro, su una semplice immorsatura. Le centine sono calcolate per una pressione superiore ai 1500 kg/cm2 e, se è il caso, vengono montate anche a soli 50÷60 cm d’interasse mentre la guarnitura può essere in lamiera, rete metallica o marciavanti. Le strutture reticolari sono preferite per il minor peso a parità di resistenza. Dallo scavo a sezione completa si deve subito passare alla sezione parziale o al cunicolo pilota non appena si prospetta un quadro d’instabilità per il quale potrebbe essere pericoloso adottare misure meno drastiche ed, al limite, è sempre preferibile cambiare il tracciato della galleria quale alternativa ad opere di consolidamento incerte e comunque sempre onerose.

Attraversamento di zone abitate: le vibrazioni del terreno per effetto delle esplosioni possono costituire un pericolo per la stabilità di edifici, possono danneggiare impianti ed installazioni soprattutto elettroniche (centrali telefoniche, computers etc.) ed arrecare disturbo alle persone. La considerazione è valida sia che si tratti di gallerie sotto-passanti centri abitati che di trincee; in questo secondo caso si aggiunge il pericolo creato dai detriti di roccia proiettati all’intorno nella volata. Studi recenti hanno provato che la velocità delle vibrazioni nel terreno è un valido parametro per valutare le possibilità di danno delle vibrazioni stesse. La Tab. 4.17 è indicativa a riguardo. Nel progettare il lavoro da mina si deve pertanto tener conto della relazione esistente tra distanza, quantità d’esplosivo e vibrazione del terreno, espressa dalla formula di Langefor:

V (velocitàvibrazioni) = k (Q/R3/2) (mm/s)

dove Q è la carica detonante istantanea (kg), R la distanza (m), k una costante dipendente dalla compattezza della roccia e da determinare sperimentalmente (per il granito è pari a ~ 400). Ne consegue la necessità di ridurre la detonazione istantanea al minimo con l’uso di detonatori a tempo per diluire l’intensità delle vibrazioni diminuendo se necessario la spaziatura dei fori e, conseguentemente, la quantità d’esplosivo per foro.

Tab. 4.17 – Entità delle vibrazioni nel terreno normalmente ammesse nella valutazione del rischio di danni agli edifici.

Pertanto all’inizio degli scavi nell’area interessata ci si atterrà alle seguenti misure cautelative:

–       limitare la profondità dei fori per uno sfondo compreso tra m 1 e 1.6;

–       impiegare detonatori microritardati (25 ms per le mine di rinora e 0.5 s per le altre, soprattutto quelle perimetrali);

–       misurare le vibrazioni del terreno dopo ogni volata per poter apportare quelle variazioni che, aumentando lo sfondo, non modificano le vibrazioni stesse oltre i limiti di tolleranza.

In Fig. 4.41 è illustrato un metodo di perforazione e brillamento intesi a ridurre le vibrazioni sul lato destro della galleria e pertanto i fori per le mine di rinorasono state perforati nell’angolo sinistro in basso coi 2 fori di maggior diametro (75 mm) al centro e non caricati.

Fig. 4.41 – Metodo di perforazione riducente le vibrazioni.

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