4 – Prove in situ

4.1 – Introduzione

Le prove in situ, come anticipato più volte in precedenza, risolvono numerosi problemi dell’ingegneria civile in relazione a:

–       classificazione dei terreni e stratigrafie:

–       misure di specifiche proprietà in terreni e rocce;

–       sviluppo di modelli per il progetto di fondazioni;

–       monitoraggi durante la costruzione

–       validazioni a posteriori

 

Le prove in situ, tuttavia, diversamente da quelle di laboratorio, non consentono di norma misure dirette delle proprietà di terreni e rocce in assenza di conoscenze delle condizioni al contorno.

Le principali prove in situ sono illustrate nel Tab. 4.1 unitamente alla loro applicabilità.

Tab. 4.1 – Tavola di Lunne relativa a Prove in situ e applicabilità relativa.

Nella presente trattazione vengono descritte le seguenti prove:

 

–       1 – Prova Scissometrica (FVT)

–       2 – Prova con Dilatometro Piatto (DMT)

–       3 – Prove Penetrometriche Statiche (CPTCPTUSPCTU)

–       4 – Prova Penetrometrica Dinamica Standard (SPT)

–       5 – Prova Penetrometrica Dinamica Continua (DP)

–       6 – Prova Pressiometrica (PBP-SBP-FDP)

–       7 – Prova Dilatometrica in roccia (DRT)

–       8 – Prova di Carico su Piastra (PLT)

4.2 – Prova Scissometrica (FVT)

 

La prova consente di effettuare una misura diretta e sufficientemente accurata della resistenza al taglio non drenata (Suin situ di terreni coesivi saturi. In questa sede va riferito che la resistenza al taglio non drenata dei terreni coesivi non è un parametro univoco del terreno in quanto lungo una potenziale superficie di rottura, nel medesimo terreno, le condizioni di sollecitazione variano al variare della direzione dello sforzo principale (Δσ1) da condizioni di spinta attiva, a quelle di taglio semplice a quelle di spinta passiva (Fig. 4.1)

Il risultato della prova Scissometrica in situ è paragonabile a quello ottenuto in laboratorio su campioni indisturbati con prove triassiali di compressione, consolidate anisotropicamente e non drenate (TX-CAU).

Fig.4.1 – Schema della rotazione dello sforzo principale (Δσ1) di un elemento di terreno lungo una superficie di rottura.

 

La prova consiste nell’infiggere nel terreno al fondo di un foro o di uno scavo una paletta (vane) a 4 lame ortogonali e nel farla poi ruotare misurando il valore massimo (di picco) della forza di torsione necessaria. La misura in situ viene di norma eseguita in presenza di argille a consistenza tenera e media e questo per la resistenza intrinseca delle lame ortogonali, imposte sottili per limitare il disturbo al terreno nella fase d’infissione. La paletta è collegata alla superficie tramite una batteria di aste mentre lo sforzo di torsione viene applicato alla sommità grazie ad uno strumento a leva. II sensore che misura lo sforzo di torsione e la deformazione angolare è di tipo meccanico o elettronico

 

4.2.1 – La norma ASTM D2573

 

In Fig. 4.2 vengono mostrati i due tipi di palette del Vane, rettangolari e lanceolate; queste ultime con angolo di rastremazione di 45°, accettate dalla norma ASTM che ha standardizzato la prova.

Le dimensioni medie sono: 38,1 mm (Y); 50,8 mm (X); 63,5 mm (L); 92,1 mm.

Fig.4.2 – Geometria del Vane: a) ali rettangolari; b) ali rastremate.

Supponendo che la distribuzione dello sforzo di taglio risulti uniforme lungo il perimetro delle palette il valore della costante K (m3), dipendente dalla geometria del Vane, è dato dalla:

K = (1/106) [πD3+0,37(2D3-d3)]

 

dove D è il Ø del Vane (→ del cilindro ottenuto dalla sua rotazione) e d il Ø dell’asta di prolunga.

La norma precisa che la paletta deve avere:

 

–       4 lame disposte ortogonalmente;

–       rapporto altezza (H) / Ø (D= 2;

–       Ø entro 50÷100 mm;

–       velocità di rotazione (nella fase di rottura del terreno) = 0,1°/s (→ 6°/60”).

 

Viene prescritto, inoltre:

 

a) di infiggere la paletta nel terreno non disturbato fino a profondità ~  del foro eseguito in preparazione;

b) di ruotare la paletta dalla superficie impiegando dispositivi riduttori che consentano di operare con la velocità di rotazione indicata;

c) di misurare l’attrito tra l’asta terminale palettata a contatto col terreno ed il terreno stesso, deducendo dallo sforzo totale quello relativo a tale attrito;

d) di misurare la resistenza dopo rimaneggiamento (resistenza al taglio residua (SUR)dopo aver ruotato la paletta per 10 giri completi;

e)di intervallare la prove di almeno 0,7 m salvo diversa indicazione.

 

Per calcolare la resistenza al taglio non drenata (SU) si applica l’espressione:

 

Su = T/K

 

dove T è il momento torcente massimo misurato e K la costante, vista in precedenza, dipendente dalla geometria della paletta utilizzata.

Le proprietà del terreno misurabili con la prova Scissometrica sono:

 

–       la resistenza al taglio non drenata massima (SU) dei terreni coesivi saturi;

–       la resistenza al taglio non drenata residua (SUR) dei terreni coesivi saturi;

–       la sensitività (St) del materiale-terreno.

 

I risultati, normalizzati rispetto alla pressione verticale esistente alla profondità di prova, sono utilizzabili per valutare la storia dello stato tensionale del deposito (grado di pre-consolidazione).

 

4.2.2 – Calcolo della Resistenza al taglio non drenata

 

Dal valore dello sforzo di torsione T si può calcolare la resistenza al taglio SU(FV) misurata in situ, supponendo una piena e uniforme mobilitazione di SU lungo la superficie laterale del cilindro generato dalla rotazione delle palette e distribuzioni variabili in corrispondenza delle 2 estremità.

Fig. 4.3 – Esempio di fattore di correzione (μ) del valore della resistenza al taglio misurata con la prova in argille sovraconsolidate funzione dell’Indice di Plasticità (IP) del materiale (SU = cfv: valore da assum. in analisi di stabilità = cfu).

L’espressione generale per palette di forma rettangolare di altezza (H) e Ø(D), è definita dalla relazione:

SU(FV) = T/{(πD3/2) [(h/D)+(a/2)]}

 

II fattore a, dipendente dalla scelta delle modalità di distribuzione del taglio lungo le estremità del cilindro di rotazione, prende i valori;

 

– 0.66 per sforzo di taglio uniforme;

– 0.60 per distribuzione parabolica dello sforzo;

– 0.50 per distribuzione triangolare dello sforzo.

 

Per palette rettangolari (modello più comune) aventi rapporto H/D=2, considerando uniforme lo sforzo di taglio (a=0.66), l’espressione si trasforma nella:

 

SU(FV) 6T/7πD3 = 0.27T/D3

 

La scelta del valore di a non comporta particolare influenza sul valore di SU(FV): come facilmente osservabile il primo termine dell’espressione diventa 0.28 con a=0.5 e 0.29 con a=0.6.

L’effetto della rottura progressiva, viceversa, influenza fortemente i valori di SU(FV) (Fig. 4.4).

Il modello riportato nell’esempio, infatti, mostra come in argille aventi un certo grado di cementazione (sovraconsolidate) lo sforzo massimo si materializzi quando non s’é ancora sviluppata una reale superficie di rottura del terreno, effetto che avviene quando il valore della resistenza residua diviene costante.

Fig. 4.4 – Resistenza al taglio in relazione a deformazione angolare indotta da rotazione del Vane in un’argilla sensitiva.

4.2.3 – Calcolo della Sensitività (St)

 

Il parametro viene definito dal rapporto tra resistenza al taglio non drenata di picco e resistenza al taglio residua, valutabile dopo rimaneggiamento del terreno; in assenza di variazioni di volume e del tenore d’acqua, la sensitività è legata alla relazione:

 

St = SUmax/SUR

 

St è indice del contributo alla resistenza offerto dalla struttura del deposito e dai legami intergranulari del materiale.

 

4.2.4 – Effetti di Sovraconsolidazione

 

Il grado di sovraconsolidazione di un deposito coesivo influenza il valore della resistenza al taglio SU(FV) misurata in situ.

Diversi studiosi hanno proposto relazioni tra il valore normalizzato della resistenza al taglio misurata (SU/σv0’) e il rapporto di pre-consolidazione (OCR). Jamiolkowski et al., tra questi, hanno proposto un’espressione che lega i dati di prove edometriche di laboratorio a risultati in situ: La relazione è data da:

SU/σv0’ = S1 (OCR)m

 

dove S1 è la resistenza al taglio non drenata dell’argilla in condizioni NC (OCR=1) ed m un esponente variabile entro 0.8÷1.35 (vmed ~ 0.97).

La resistenza al taglio misurata in situ nei depositi coesivi NC, corretta di un fattore μ per tener conto delle caratteristiche di plasticità, è funzione dello sforzo orizzontale efficace (σv0’) ed é pari a:

 

μSU/σv0’ = 0.22 (± 0.03)

 

valore per cui dalla resistenza al taglio misurata in situ é possibile valutare il grado di pre-consolidazione OCR. La relazione consente inoltre di conoscere già durante una prova, noto IP, il grado di consolidazione di un deposito.

 

4.2.5 – Scissometro Tascabile

 

Sebbene le misure eseguite con strumenti tascabili siano da considerarsi indicative, a motivo delle dimensioni dei Vanes e di modalità esecutive lontane dallo standard, per la loro facilità applicativa hanno trovato una grande diffusione, al punto che per qualunque sondaggio le misurazioni pocket system sulle carote sono diventate rito obbligatorio stabilendo, se non valori assoluti, sicuramente validi termini di confronto e riferimento statistico.

 

4.2.5.1 – Torvane (TV)

 

Il Torvane (Slope Indicator) é uno strumento molto pratico grazie soprattutto alle piccole dimensioni.

Il dispositivo (Fig. 4.5) presenta alcune differenze rispetto alle attrezzature tradizionali in quanto può misurare la resistenza al taglio solo di un minimo spessore di terreno (n mm) partendo da una superficie libera (non è prevista infissione in profondità) e per la forma geometrica della paletta, diversa da quella degli strumenti tradizionali.

Fig. 4.5 – Torvane Test.

Lo strumento è costruito per operare su una superficie preparata (tagliata col filo d’acciaio dei campioni indisturbati). Su parete di scavi il suo impiego è poco pratico mentre i valori misurati risultano poco ripetibili poiché le superfici risentono sempre di qualche disturbo connesso a operazioni di scavo o a scarico tensioni.

L’elemento tagliente è intercambiabile entro dimensioni tali da consentire l’uso dello strumento in un ampio campo di consistenza delle argille (0÷250 kPa). Il Test trova la migliore applicazione nella valutazione dell’omogeneità di un campione indisturbato, estratto in laboratorio, al fine della scelta delle parti da sottoporre a prove triassiali, edometriche etc.

Il confronto tra i risultati rilevati in differenti punti di un campione indisturbato fornisce inoltre precise indicazioni sulla qualità del campionamento.

La prova consente una prima valutazione della resistenza al taglio drenata del campione.

 

4.2.6 – Presentazione dati

 

La Fig. 4.6 illustra il grafico di una Prova Scissometrica eseguita con attrezzatura meccanica (Nilcon).

Fig. 4.6 – Esempio di rappresentazione: prova su terreni indisturbato e rimaneggiato.

 

In Fig.4.7 sono riportati i risultati della resistenza al taglio di picco e residua di prove eseguite in un’argilla normal-consolidata di elevata plasticità (50<IP<80) con attrezzatura Vane Borer (Geonor).

Fig. 4.7 – Esempio di verticale eseguita in argilla NC ad elevata plasticità.

 

L’argilla, coperta da riporto recente, mostra valori della resistenza al taglio relativamente elevati nei primi metri a causa del parziale consolidamento. In profondità l’argilla torna ad essere normal-consolidata. (valori SU in accordo con quelli di laboratorio da prove TX).

 

4.3 – Prova con Dilatometro Piatto (DMT)

 

La prova con il Dilatometro Piatto (DMT) consiste nell’infiggere verticalmente nel terreno mediante spinta di tipo statico una lama d’acciaio fino alla profondità voluta e quindi espandere una membrana circolare d’acciaio inserita in un lato della lama usando gas in pressione.

Si misurano le pressioni del gas immesso necessario ad espandere la membrana a 2 deformazioni predeterminate.

Si scarica la pressione del gas consentendo il ritorno della membrana nella posizione di partenza; si reinfigge la lama fino ad un altro livello di profondità scelto ripetendo il ciclo d’espansione-contrazione della membrana (→ sequenza standard ~ 2’).

La lama è collegata all’unità di misura in superficie a mezzo conduttore elettro-pneumatico in grado di trasmettere la pressione gassosa e insieme collegare il dispositivo di segnale (Fig. 4.8).

Fig. 4.8 – Schema del Dilatometro piatto.

La verticale di una prova definisce i dati delle misure eseguite ai vari livelli, elaborati in modo da evidenziarne le variazioni con la profondità. L’incremento di profondità standard adottato in una verticale dilatometrica è pari a 0.2 m.

L’interpretazione utilizza i dati misurati come parametri dilatometrici intermedi derivando da questi i parametri geotecnici d’interesse nell’ambito del tratto coperto dalla prova.

La prova è prevista dallo standard ASTM D6635-2001.

 

 

Fig. 4.9 – Particolare della lama.

4.3.1 – Applicabilità della prova

 

La lama (Fig. 4.9) corrisponde alle misure: 95mm (X), 200mm (Y) e 14mm (Z). Il bordo inferiore è sagomato a tagliente. L’angolo di rastremazione della lama, nel tratto terminale lungo 50 mm, è compreso entro 24°÷32°. L’area della sezione trasversale è pari a 13,3 cm2 ~ = a quella della punta conica del penetrometro statico.

Il campo di applicabilità del dilatometro piatto è congruo a quello del penetrometro statico con alcune differenze limitative per quanto concerne l’ambito dei terreni disuniformi.

 

4.3.2 – Principio di funzionamento

 

La Fig. 4.10 mostra il principio di funzionamento del dispositivo dilatometrico.

Fig. 4.10 – Principio di funzionamento di un Dilatometro piatto.

Sul retro della membrana è posto un disco di contatto, isolato elettricamente rispetto alla lama. Il disco è polarizzato a massa e l’unità di misura emette un suono quando:

 

– la membrana poggia sul disco di contatto (→ pressione 0);

– il centro della membrana s’è spostato di 1,10 mm (→ pressione in incremento) e il cilindretto d’acciaio, sospinto dalla molla, segue lo spostamento della membrana giungendo a contatto col disco fisso posto anteriormente.

 

Aumentando gradatamente la pressione interna fino a bilanciare quella del terreno la membrana perde il contatto col disco (signal off e lettura A).

Senza interrompere il flusso (aumentando la pressione) quando il centro della membrana s’è spostato di 1,10 mm ritorna il contatto con la massa riattivando il segnale (signal on lettura B).

La lama opera in on/off in assenza di trasduttori. La misura delle pressioni avviene in superficie a mezzo di manometri di precisione.

 

4.3.3 – Elaborazione delle misure A e B

 

Oltre alle misure A e B viene talora eseguita una lettura C (o misura A di ritorno da scarico).

La pressione ΔA (negativa ma da annotare come positiva) corrisponde alla pressione necessaria a superare la rigidità della membrana e muoverla fino ad un valore del centro membrana pari a 0,05 mm. La pressione ΔB corrisponde alla pressione necessaria a superare la rigidità della membrana e muoverla fino ad un valore del centro membrana pari a 1,10 mm.

La pressione P0 corrisponde alla lettura della pressione A, corretta sia per la rigidità della membrana ΔA che per l’espansione di questa di 0,05 mm, ricavando una pressione netta del terreno contro la membrana a riposo: tale valore è dato dalla relazione:

 

P0 =  1,05 (A  ZO  ΔA 0,05 (B  ZO  ΔB)

 

dove ZO è l’eventuale offset di 0 della lettura manometrica eseguita quando la lama è alla pressione atmosferica.

La pressione P1 corrisponde alla lettura della pressione B, corretta sia per la rigidità della membrana ΔB che per l’espansione di questa di 1,10 mm, ottenendo la pressione netta del terreno con 1,10 mm di espansione della membrana.

P1 = B–Z0-ΔB

Dai valori P0 e P1 (noto il livello di falda) si ricavano i parametri dilatometrici intermedi:

 

 – ID o Indice Dilatometrico (dimensionale) del materiale, usato per identificare il tipo di terreno e delineare la stratigrafia lungo la verticale della prova, secondo la relazione:

 

ID = (P1-P0)/(P0-U0)

 

dove U0 è la pressione idrostatica di falda alla quota corrispondente al centro della membrana.

 

 – KD, o Indice delle tensioni laterali (dimensionale) legato al coefficiente di spinta delle terre a riposo K0, usato anche per le correlazioni col rapporto di sovraconsolidazione OCR e per determinare la resistenza al taglio non drenata (SU) dei terreni coesivi. KD viene anche utilizzato per la valutazione dell’angolo d’attrito efficace (φ‘) delle sabbie. La relazione base è:

 

KD = (P0–U0)/σv0

 

 – ED, o Modulo Dilatometrico caratterizza la curva sforzo-deformazione durante l’espansione di 1 mm della membrana. Viene utilizzato per le correlazioni col modulo edometrico (confinato) M e, con l’indice ID, per la classificazione e la determinazione del peso di volume dei terreni attraversati.

La relazione base è del tipo:

ED = 34,7 (P1-P0)

 

4.3.4 – Interpretazione dei risultati

 

4.3.4.1 – Variazioni tipologiche del terreno

 

Una verticale dilatometrica fornisce un profilo che evidenzia chiaramente le variazioni del terreno con la profondità.

I grafici della Fig. 4.11 sottolineano come i valori assoluti delle grandezze P0 e P1 unitamente alle differenze tra i due siano indicativi del tipo di terreno.

Fig. 4.11 – Confronto fra i valori delle letture in Argilla e in Sabbia: a) argille normal-consolidate; b) sabbie sciolte.

4.3.4.2 – Pesi di volume e tipologie del terreno

 

Un abaco per individuare il tipo di terreno e valutare il peso di volume (γ) a partire dai valori di ID ed ED è mostrato in Fig. 4.12 (Marchetti) il cui ricavato è significativo per terreni normali.

L’utilizzo preferenziale è quello di costruire un profilo più o meno approssimato di σv0’ finalizzato all’elaborazione del parametro KD.

Fig. 4.12 – Valutazione del tipo di terreno e del peso di volume (γ) dai valori dell’indice del materiale ID e del Modulo Dilatometrico ED.

4.3.4.3 – Rapporto di sovraconsolidazione OCR

 

Il parametro OCR definisce il rapporto tra la pressione verticale massima che un elemento di terreno ha subito nella sua storia geologica e la pressione verticale agente al presente alla profondità considerata.

 

Argille

 

La correlazione per derivare il rapporto di preconsolidazione OCR dall’indice di spinta orizzontale KD è basata sull’osservazione della similarità tra il profilo di questa e il profilo di OCR:

 

OCRDMT = (0.5 KD)1.56

 

Tale corrispondenza è confermata in molti depositi NC laddove KD = 2 sembra rivestire il valore di limite inferiore di KD(NC).

Se un’argilla geologicamente NC, infatti, presenta KD>2, tale eccesso indica la probabile esistenza di aging, strutture o cementazione.

Per concludere, intendendo comunque stimare il parametro OCR in diverse argille, è quindi opportuno seguire le seguenti indicazioni:

 

– la correlazione originale OCR–KD rappresenta un valido punto di partenza per ottenere una prima interpretazione del profilo di OCR o informazioni sulla sua forma.

– più in generale il profilo di KD si rivela utile a comprendere la storia pensionale del deposito permettendo di distinguere argille NC da argille OC identificando con precisione croste superficiali o sepolte.

– l’esame del profilo di KD permette di distinguere argille NC (KD  2 costante con la profondità) da argille OC (KD ~ 3-4, costante con la profondità)

– in argille OC il controllo del profilo di KD non rivela la cementazione altrettanto chiaramente che nelle argille NC.

– in argille OC non fessurate i profili di KD sono uniformi e continui; viceversa in argille OC fessurate i profili si presentano seghettati. La differenza suggerisce come le fessure siano identificate dai punti di minimo dei profili di KD.

– la sensitività di KD alle fessure risulta utile nelle analisi delle fessurazioni. Il valore di KD in corrispondenza di fessure un’argilla OC risulta >>2 in quanto le fessure non sono superfici di scorrimento caratterizzate da KD = 2.

 

Sabbie

 

La determinazione di OCR nelle sabbie risulta complessa: infatti tale parametro, per quanto concerne i depositi granulari, è spesso il risultato di un’intricata successione di precarichi, essiccazioni e/o altri effetti; soprattutto perché, diversamente dalle argille, non può essere confrontato con rilievi derivati da prove edometriche.

Una metodologia per ottenere informazioni su OCR in sabbie è quella di utilizzare il rapporto MDMT/qc basandosi sui dati sperimentali ottenuti da sabbie prima e dopo compattazione o in camera di calibrazione. Le risultanze mostrano come il rapporto MDMT/qc aumenti per effetto della compattazione/precompressione. Di conseguenza il parametro OCR può essere valutato dal rapporto MDMT/qc secondo le relazioni

 

(sabbie NC) → MDMT/qc = 5÷10

(sabbie OC) → MDMT/qc = 12÷24

 

4.3.5 – Valutazione del coefficiente di spinta orizzontale in situ KO

 

II coefficiente di spinta orizzontale in situ viene valutato nelle argille utilizzando il parametro KD mentre nelle sabbie la valutazione diviene più complessa richiedendo l’utilizzo del parametro qc ottenibile dalla Prova Penetrometrica Statica CPT.

La correlazione relativa ad argille NC proviene dall’espressione:

 

KO = (KD/1.5)0.47  0.6

In argille OC l’applicazione della formula conduce a sovrastimare KO in modo notevole in quanto parte del valore di KD è dovuto alla cementazione.

Per quanto riguarda KO nelle sabbie, le molteplici elaborazioni di diversi studiosi ha proposto le relazioni algebriche di seguito esposte:

 

KO = 0,376+0,095 KD  0.0017 qc/σvO

KO = 0,376+0,095 KD  0.0046 qc/σvO

 

Una forma d’espressione aggiornata prevede un valore dell’ultimo termine =  0,005 da inserirsi in caso di sabbie d’antica deposizione.

 

4.3.6 – Densità relativa DR nelle sabbie

 

Per quanto concerne sabbie NC la correlazione tra Densità relativa (DR) e KD viene mostrata in Fig. 4.13. In sabbie OC la relazione tende a sovrastimare DRin quanto parte del valore di KD è dovuto alla sovraconsolidazione.

Fig. 4.13 – Relazione KD-DR per sabbie NC.

 

4.3.7 – Resistenza al taglio non drenata (SU)

 

La relazione per determinare SU dai parametri derivati dalla prova DMT è la seguente:

 

SU = 0.22 σvO’ (0.5 KD1.25

 

La Fig. 4.14 riporta un confronto tra valori di SU ottenuti con differenti metodologie in situ e in laboratorio.

Fig. 4.14 – Confronto fra i valori di SU ottenuti con differenti prove in situ e in laboratorio.

4.3.8 – Angolo d’attrito φ

 

La stima dell’angolo d’attrito richiede la conoscenza del parametro qc ottenuto con la prova penetrometrica statica CPT derivando KO da qc, come indicato in precedenza, e utilizzando di seguito l’abaco in Fig. 4.15.

Fig. 4.15 – Grafico qc-KD finalizzato alla stima di φ.

4.3.9 – Modulo confinato M

II modulo M ricavato da una prova DMT corrisponde al modulo verticale drenato confinato (monodimensionale) determinabile anche in laboratorio a mezzo prove edometriche (E0ED).

 

Tab. 4.2 – Tavola Formularia RM = f(ED,ID).

MDMT è calcolato applicando ad ED il fattore correttivo RM secondo l’equazione:

 

MDMT = RM ED

 

Le relazioni che definiscono RM quale funzione di KD ID sono riportate in Tab. 4.2.

RM (variabile di norma entro 1÷3) aumenta all’aumentare di KD mentre MDMT varia nell’intervallo 0.4÷400 MPa.

Fig.4.16 – Confronto fra i valori del modulo dilatometrico MDMT e i valori del modulo M da prove edometriche

 

4.3.10 – Modulo di Young E’

 

Anche il modulo di Young E’ dello scheletro solido può essere derivato da MDMT utilizzando la Teoria dell’elasticità.

E’ = (1-ν) (1-2ν) [MDMT/(1-ν)]

 

Applicando la relazione con un rapporto di Poisson v entro 0.25÷0.30 si ricava un valore di E’ ~0,8 MDMT.

 

4.3.11 – Modulo di taglio massimo GO

 

Tanaka & Tanaka hanno proposto la relazione:

 

GO/ED = 7.5

evinta da studi su argille NC (KD = 2).

Per siti sabbiosi vale invece la relazione empirica:

 

GO/ED decresce 7.5 → 2 all’aumentare di KD (>5)

 

4.3.12 – Coefficiente di consolidazione ch

 

Il coefficiente di consolidazione ch può essere derivato da prove di dissipazione DMT: la prova consiste nell’arrestare la lama del Dilatometro ad una determinata profondità monitorando il decadimento nel tempo della pressione di contatto σh definendo ch in base alla velocità di tale decadimento.

 

4.3.12.1 – ch da dissipazioni DMT-A

 

La metodologia consiste nel creare un grafico della curva del valore di lettura A in funzione di log t identificando il punto di flesso e il tempo corrispondente (tFLEX) come per una prova edometrica, dove ch risulta dalla relazione:

ch(OC) = 7 cm2/tFLEX

 

valida nel campo OC. Una tipica curva di decadimento DMT-A è mostrata in Fig. 4.17.

Fig. 4.17 – Curva di decadimento DMT-A.

Il metodo DMT-A non richiede la conoscenza della posizione della falda (e di conseguenza nemmeno della pressione neutra d’equilibrio U0) in quanto utilizza quale elemento di identificazione il flesso e non un luogo dei punti.

 

4.3.13 – Coefficiente di permeabilità kh

 

Per quanto concerne il Coefficiente di Permeabilità kh, Schmertmann ha proposto la relazione:

 

kh = ch γW / Mh

 

dove Mh = KMDMT assumendo Mh proporzionale alla tensione efficace nella direzione desiderata e γW il peso di volume del fluido interstiziale.

 

4.4 – Prove Penetrometriche Statiche (CPT  CPTU  SCPTU)

 

La prova penetrometrica statica CPT (Cone Penetration Test) si attua spingendo verticalmente nel terreno, mediante pressione, una punta conica di dimensioni standard, misurando separatamente, nel continuo, lo sforzo necessario per la penetrazione della punta (qc) e l’adesione terreno-acciaio di un manicotto posto sopra la punta (fS). La misura delle due resistenze avviene direttamente in superficie (punta meccanica CPT) oppure strumentando la punta con sensori elettrici trasmittenti in superficie i segnali relativi via cavo (punta elettrica CPTE).

Munendo la punta elettrica di una finestra porosa dotata di sensore atto a rilevare la pressione è possibile misurare congiuntamente anche la pressione dell’acqua nei pori del terreno. Tale tipo di dispositivo viene chiamato Piezocono prendendo a sigla il termine CPTU.

Per mezzo del piezocono è possibile eseguire, arrestando la penetrazione, misure di dissipazione dell’eccesso di pressione nei pori dovuto alla penetrazione ricavando i parametri di consolidazione e di permeabilità dei terreni fini saturi; nei terreni granulari sotto falda la prova di dissipazione consente di misurare il valore della pressione idrostatica agente alla profondità della punta.

 

4.4.1 – Limiti di applicabilità della prova CPT/CPTU

 

Le prove classiche sono eseguibili nei terreni sabbiosi e in quelli fini (limi, argille); risulta viceversa impossibile la penetrazione nei terreni contenenti ghiaia, soprattutto se medio-grossa.

La profondità di penetrazione dipende dalla capacità di spinta del sistema dinamico di base oltre che dalla natura e consistenza del terreno da attraversare .

I risultati del test vengono utilizzati per conoscere la stratigrafia del terreno unitamente ad osservazioni dirette (sondaggi con campionamento o per raffronto con dati da altre prove, in situ o di laboratorio.

I risultati consentono anche la determinazione delle proprietà di resistenza e di deformabilità dei terreni. I dati ricavati dalle prove CPT vengono inoltre utilizzati per stabilire la profondità e le caratteristiche di strati di terreno molto addensati per il dimensionamento di palificate,

Unendo ai test di base le estrapolazioni evinte da una punta piezoconica si ottengono anche le determinazioni utili a definire le caratteristiche di consolidazione e permeabilità del terreno in esame. La Prova CPT è inserita negli Standard Test ASTM (D 3441-79-86).

Fig. 4.18 – a) Punta meccanica semplice; b) Punta protetta; c) Punta a frizione di Begemann.

4.4.2 – Correzione ed Elaborazione dati

 

Insieme all’influenza della pressione nei pori sui valori delle resistenze alla punta e dell’attrito laterale, dovuto a caratteristiche costruttive del dispositivo, esistono ulteriori fattori in grado di poter influenzare le misure (variazioni di temperatura, eccentricità del carico, limiti nei sensori o nella  strumentazione etc.). Il peso di tali fattori muta in relazione all’attrezzatura, al tipo di terreno da attraversare ed allo scopo cui i dati misurati sono destinati.

 

4.4.2.1 – Influenza della pressione nei pori sulle resistenze qc ed fS

 

Un importante effetto che viene a crearsi durante l’infissione consiste nel fatto che la pressione nei pori presente attorno alla punta agisce sull’incavo alla base del cono favorendo l’inserimento del manicotto d’attrito nonché sulle estremità del manicotto medesimo. Tale effetto è rilevabile sulla qc (resistenza di punta) solo nelle prove con piezocono dove si misura la u2; per poterne valutare l’influenza su fS (resistenza laterale) risulta necessario misurare anche la u3 alla sommità del manicotto di attrito (Fig. 4.19). La resistenza alla punta corretta (qt) viene ricavata dalla relazione:

 

qt = qc+u2 (1-a)

 

dove a = An/Ac rapporto tra la sezione della cella di carico An. e la sezione del cono Ac.

Fig. 4.19 – Setti porosi e tipologie livelli di pressione nei pori.

La correzione di qc per l’effetto della pressione nei pori risulta significativa in argille tenere, soprattutto laddove le prove vengano eseguite con punte a differente geometria (Fig. 4.20).

Fig. 4.20 – Correzione qt rispetto qc (pressione nei pori su aree differenti).

 

La curva di sinistra mostra i valori della qc ottenuti con punte proponenti differenti rapporti An/Ap; nella curva a destra, viceversa, tali differenze tendono ad annullarsi calcolando la qt.

La correzione del valore di fS per l’effetto della pressione nei pori, invece, non viene mai effettuata in quanto richiedente la misura della pressione nei pori alla sommità del manicotto d’attrito (u3) parametro non rilevato da alcuna punta in commercio.

Di norma, per quanto concerne sondaggi in mare, i sensori del piezocono vengono azzerati al fondale o al fondo foro: di conseguenza i dati ottenuti con prove puntuali, dopo l’azzeramento, devono essere corretti per poterli confrontare coi risultati di prove ottenute a differenti modalità.

 

4.4.3 – Log penetrometrico

 

La presentazione dei dati comprende l’esposizione dei parametri misurati, dei parametri corretti e derivati oltre ad eventuali dati accessori. Le scale raccomandate per il log sono le seguenti:

 

–       Scala delle profondità z:            asse verticale (ordinata): 1 unità di lunghezza per1 m;

–       Resistenza di punta qc           asse orizzontale (ascissa): 1 unità di lunghezza per 2 MPa;

–       Resistenza laterale fS             asse orizzontale (ascissa): 1 unità di lunghezza per 50 kPa;

–       Pressione nei pori u:              asse orizzontale (ascissa): 1 unità di lunghezza per 20 kPa.

 

Fig. 4.21 – Prova CPT elaborata standard.

Operativamente, oltre all’elaborazione standard, può rivelarsi significativo elaborare i dati anche con scale che evidenzino con maggior dettaglio talune caratteristiche. Come per il Dilatometro la curva di dissipazione viene posta in relazione a log t (ascissa) e pressione nei pori u (ordinata).

 

4.4.4 – Parametri derivati

 

Vengono inoltre calcolati e posti in diagramma, laddove possibile, anche alcuni parametri derivati da quelli misurati, e cioè:

 

– qt resistenza alla punta corretta per l’effetto della pressione nei pori;

– ft attrito laterale corretto per l’effetto della pressione nei pori, eseguibile conoscendo la u alle estremità del manicotto (u2 e u3);

– Rf rapporto d’attrito (fS/qc oppure fS/qt, espressi percentualmente);

– Bq rapporto della pressione nei pori [Bq = Δu/(qtvo) dove Δu è la sovrapressione nei pori dovuta alla penetrazione (u-uo), uola pressione idrostatica in sito alla profondità della misura e σvo

sforzo verticale totale in situ alla profondità della misura.

 

4.4.5 – Interpretazione dei dati CPT-CPTU

 

Per mezzo dei risultati delle prove è possibile definire la stratigrafia del terreno identificando i corpi attraversati e stimare alcuni parametri geotecnici utilizzabili per la progettazione.

 

4.4.5.1 – Stratigrafia e classificazione del terreno

 

L’identificazione tipologica del terreno, evincibile da prove penetrometriche statiche dipende:

 

– dalla dimistichezza dell’operatore coi terreni in esame;

– dalla disponibilità di sondaggi in parallelo;

– dal tipo di punta utilizzata.

 

Se i primi 2 fattori non richiedono approfondimenti l’impiego di differenti tipi di punta comporta alcuni chiarimenti:

 

Punta Meccanica (Begemann)

 

Utilizzando una punta meccanica la valutazione avviene, in pratica, esclusivamente sulla base del grafico della resistenza alla punta di Schmertmann:

Fig. 4.22 – Interpretazione del tipo di terreno basata sui valori della resistenza alla punta (Schmertmann).

 

Se per i terreni argillosi l’interpretazione è semplice, potendo facilmente distinguere le argille NC da quelle OC, per quanto attiene ai sedimenti granulari sciolti le differenze tra stato d’addensamento e grado di sovraconsolidazione risultano meno evidenti. Begemann, a questo riguardo, ha proposto un abaco di classificazione (Fig. 4.23) in grado di determinare il tipo di terreno in relazione ai valori della resistenza alla punta (qc) e dell’attrito laterale (fS).

Fig. 4.23 – Identificazione del terreno da prove CPT eseguite con punta meccanica Begemann.

 

Allo stesso modo Schmertmann (Fig. 4.24) ha proposto un abaco più articolato per la valutazione del tipo di terreno da prove CPT (sempre eseguite con punta meccanica) basato sui valori di qc in relazione al rapporto delle resistenze (Rf = 100 fS/qc).

Fig. 4.24 – Identificazione del terreno da prove CPT eseguite con punta meccanica secondo Schmertmann.

 

Con questa relazione gli strati sabbiosi si possono distinguere visivamente (alta resistenza alla punta e basso attrito laterale) da quelli argillosi (bassi valori di resistenza alla punta ed elevati valori dell’attrito).

Fig.4.25 – Identificazione del terreno e di alcune proprietà geotecniche da prove CPT eseguite con punta elettrica.

Punta Elettrica

 

L’abaco elaborato da Douglas & Olsen (Fig. 4.25) sulla base di numerose prove con punta elettrica costituisce un altrettanto utile strumento di valutazione per la tipologia del terreno e per taluni parametri geotecnica.

 

Piezocono di Robertson

 

L’utilizzo del piezocono (ovvero l’abbinamento di un penetrometro statico ad un rilevatore delle pressioni indotte dall’avanzamento della punta) consente un maggior dettaglio nel rilievo stratigrafico e nella definizione del tipo di terreno.

Fig. 4.26 – Abachi di Robertson per Punta Elettrica.

Le Δu nei pori rivelate dal filtro poroso, infatti, non risentono, come per la resistenza alla punta, della natura e consistenza degli strati anche prima dell’arrivo della punta; di conseguenza lo spessore di questi (per quanto poco permeabili siano) viene definito con buona precisione dai valori della pressione nei pori.

Essendo le misure di fS meno precise di quelle di qc (poiché sensibili alle tolleranze nella geometria del manicotto di attrito) il tipo di terreno viene valutato utilizzando tutti i parametri misurati: qcfSu.

Un abaco basato su questi 3 parametri è stata proposto da Robertson et al. (Fig. 4.26).

Il fatto di non tener conto della profondità della prova (tensioni geostatiche, totali ed efficaci, presenti alle profondità delle misure) comporta degli errori nella valutazione del tipo di terreno; i valori di resistenza tendono infatti ad aumentare con la profondità anche nel medesimo deposito, in quanto aumentano le tensioni che agiscono sull’elemento di terreno. Al fine di tener conto delle tensioni geostatiche verticali occorre introdurre la pressione idrostatica ed il peso di volume dei vari strati. E’ stato allora realizzato, per le prove con piezocono, un abaco di classificazione nel quale si utilizzano i valori normalizzati (Fig. 4.27):

Qt = (qcyo)/σyo

FS=100 fS/(qtyo)

Bq = (u2–uO)/(qtyo)

 

Tale strumento permette d’individuare i terreni NC nonché variazioni nella sensitività StOCR e stato senile di taluni depositi.

Fig.4.27 – Identificazione del terreno e di taluni parametri geotecnici mediante utilizzo di valori normalizzati.

 

4.4.6 – Rapporto di sovraconsolidazione (OCR)

 

Il rapporto di sovraconsolidazione OCR è definito come rapporto tra la massima pressione di consolidazione (σP‘) subita nel corso della storia geologica (glaciazioni, essiccamento, erosione, variazioni del livello della falda etc.) e la pressione (geostatica) efficace (σV0‘) esistente al presente sull’elemento del terreno:

OCR = σP‘/σv0

 

La valutazione di σP‘ viene effettuata, di norma, in laboratorio mediante prove edometriche su campioni indisturbati, per quanto diversi studi abbiano mostrato la possibilità di valutare il valore di OCR con i dati di prove CPTU. A tale proposito occorre rammentare come il rapporto OCR sia riferito unicamente agli effetti delle pressioni di consolidazione (non comprendendo fenomeni allargati o a valenza simile relativi a invecchiamento e/o cementazione) motivo per cui la valutazione di OCR occorre scinda i primi effetti dai secondi.

Intendendo ricavare OCR da prove CPT-CPTU è bene tener presente che la stima risulta in ogni caso approssimata in quanto influenzata anche da altre caratteristiche (sensitività, modalità di pre-consolidazione, tipologia del terreno etc.). Tra i metodi utilizzati per valutare OCR da prove CPTU in argille una prima approssimata valutazione dell’eventuale sovraconsolidazione di uno strato si ottiene osservando la pendenza del profilo di resistenza alla punta qc nel grafico qc-profondità e prolungando il profilo stesso fino al piano di campagna (Fig. 4.42)

Un’ulteriore opportunità si concreta nel tracciare l’andamento tipico della resistenza alla punta corretta (qt) sul grafico qt-profondità per argille NC sapendo che il rapporto:

 

(qtv0)/σv0

 

presenta valori entro 2.5÷5 in relazione all’indice di plasticità (IP); la distanza tra il profilo misurato della qt e il tracciato del campo tipico delle argille NC, è un decisivo indice della presenza o meno dei fenomeni di sovraconsolidazione.

 

4.4.8 – Resistenza al taglio non drenata (SU) in argille

 

La resistenza al taglio non drenata (SU) delle argille, come visto, non è un parametro univoco del terreno in quanto dipendente dal tipo di rottura, dall’anisotropia del materiale, dalla velocità di deformazione e dalla storia del suo stato tensionale. La possibilità di utilizzare il parametro SU derivato da prove penetrometriche statiche, di conseguenza, deve tener conto dell’influenza di tali fattori non acquisibili in contemporanea con la prova in situ.

Operativamente il valore di SU da prove CPT-CPTU viene espresso dalla relazione:

 

SU = (qcvo)/NK

 

nella quale NK rappresenta un fattore-cono, variabile entro 8÷20 in relazione alle variabili citate oltre che all’influenza della pressione nei pori sulla qc. In Fig. 4.28 la variabilità di tale fattore è rapportata, ad es., alla rigidezza del materiale.

Fig. 4.28 – Valutazione teorica del fattore-cono Nkt in funzione dell’indice di rigidezza (Ir) delle argille.

L’indice di rigidezza delle argille (Ir) è ricavato dalla relazione: Ir = G/Su dove G è il modulo di taglio per piccole deformazioni mentre nella figura il coefficiente α nella figura rappresenta il coefficiente di rugosità del cono (pari a 1 per superfici rugose e a 0 per superfici perfettamente lisce).

E’ possibile ricavare il valore di SU da prove triassiali per mezzo dell’equazione di Wroth & Houlsby:

SU = (M/2) (OCR/2)Λ σv0

 

dove M = (6 sen φ‘)/(3  sen φ‘) rappresenta la pendenza della linea dello stato critico nel piano medio dello sforzo deviatorico efficace, Λ è un coefficiente che rappresenta le modalità di rottura del terreno assumendo valori compresi entro 0.75÷0.85 e φ‘ è l’angolo di attrito in termini di sforzi efficaci.

Sostituendo il valore di OCR nella relazione col valore ricavabile dalla espressione:

 

OCR = 2 {[(1/1.95M) + 1] [(qc-u2)/σv0’]}1/Λ

 

si può ricavare il valore della Su direttamente dalle letture della prova CPTU avvalendosi dell’equazione derivata:

SU = (M/2)[(qc-u2)/(1.95M+1)]

 

valida per prove con filtro alla base del cono (u2).

 

4.4.9 – Consolidazione e permeabilità in argille

 

Coefficiente di consolidazione (c) e permeabilità di un terreno (k) sono proprietà collegate dall’espressione:

c = k MC/γw

nella quale MC rappresenta il modulo confinato (edometrico).

Interessando c e k ambiti di valori interessanti diversi ordini di grandezza, tali parametri richiedono operazioni complesse per essere misurati in situ al punto da far ritenere accettabili accuratezze di 1 ordine di grandezza.

 

4.4.9.1 – Coefficiente di consolidazione

 

Il decadimento della pressione nei pori può essere misurato con un piezocono arrestando la penetrazione e osservando la velocità di dissipazione della pressione nei pori creata dall’effetto del dispositivo. L’interpretazione dei dati derivati da una prova di dissipazione a mezzo piezocono avviene utilizzando il metodo monodimensionale della cavità espansa: secondo tale metodo il coefficiente di consolidazione può essere ricavato dalla relazione:

 

c = T50r2/t50

 

nella quale il fattore tempo T50 viene ricavato a mezzo dalla grafico in Fig. 4.29 applicativo della teoria della cavità espansa, t50 è il tempo corrispondente al 50% della dissipazione della pressione nei pori in eccesso ed r il raggio del cono quando si utilizza il filtro alla base del medesimo.

Fig. 4.29 – Valutazione del fattore tempo T50 dai valori della dissipazione secondo la Teoria della cavità espansa.

Per l’interpretazione si utilizzano i valori della pressione nei pori dovuta alla penetrazione normalizzati rispetto alla sovrapressione iniziale (ui) della fase dissipativa e della pressione idrostatica u0.

La sovra pressione normalizzata (u) si calcola dalla relazione:

 

U = (ut-u0)/(ui-u0)

 

nella quale ut è la pressione nei pori al tempo tui la pressione nei pori iniziale al tempo t0 e u0 la pressione idrostatica di falda prima della penetrazione del cono.

Sulla base di quanto esposto è stato predisposto un abaco (Fig. 4.30) che consente l’apprezzamento del coefficiente di consolidazione orizzontale chdirettamente dal valore-tempo al 50% della dissipazione (t50) introducendo valori approssimati dell’indice di rigidezza Ir.

Fig. 4.30 – Abaco di Robertson per la valutazione diretta del coefficiente di consolidazione ch dal valore t50.

L’abaco è stato realizzato osservando che il tratto iniziale della curva di dissipazione con la radice quadrata del tempo in ascissa, è assimilabile ad una retta a gradiente (m). Il valore di ch è quindi ricavabile dalla relazione:

ch = (m/M2√Ir r2

dove M = 1.15 per il filtro alla base del cono (u2) e = 1.63 per il filtro nel cono (ui); m è il gradiente misurato del tratto iniziale lineare della dissipazione espresso in unità di radice quadrata del tempo.

 

4.4.9.2 – Permeabilità

 

Al fine di valutare, almeno approssimativamente, il coefficiente di permeabilità orizzontale (kh) dal coefficiente di consolidazione sono disponibili diverse indicazioni allo stesso modo che, in funzione del tipo di deposito, è possibile valutare il rapporto tra il coefficiente di permeabilità orizzontale (kh) e verticale (kv).

L’abaco di Fig.4.31 (anche questo proposto da Robertson) consente la valutazione di kh dal valore del t50 della prova di dissipazione.

 

 

 

Fig.4.31 – Grafico per la valutazione diretta del coefficiente di permeabilità orizzontale kh dal valore t50 della prova di dissipazione.

 

4.4.10 – Sedimenti sciolti granulari (sabbie)

 

II fenomeno della dilatanza delle sabbie durante il taglio rende complessa l’analisi rispetto al caso delle argille motivo per cui gli operatori, anche in carenza di soluzioni alternative modernamente sviluppate, utilizzano in prevalenza le correlazioni di tipo empirico ottenute con le prove in camera di calibrazione.

Tab. 4.3 – Stima del campo di variazione del coefficiente di permeabilità k (m/s).

 

Come noto (e carattere peculiare) nelle sabbie l’elevata permeabilità provoca l’immediata dissipazione delle pressioni nei pori generantisi durante la penetrazione del cono; quale effetto conseguente i metodi interpretativi delle prove penetrometriche statiche nelle sabbie e, più in generale, nei terreni granulari, si riferiscono a condizioni drenate.

 

4.4.10.1 – Densità relativa (DR)

 

II parametro della Densità Relativa (DR) è un parametro intermedio che è stato sovente utilizzato in geotecnica per le correlazioni con l’angolo d’attrito interno e il potenziale di liquefazione.

Le possibili correlazioni tra la resistenza alla punta ricavata da prove penetrometriche statiche e la densità relativa presentano carattere empirico e sono principalmente ottenute da ricerche di laboratorio rivelatrici, in ogni caso, di come tale parametro venga influenzato dalle caratteristiche intrinseche del sedimento (→ aumenti della dimensione dei grani comportano, a parità di DR, un aumento della resistenza penetrometrica).

Operativamente la densità relativa viene valutata dai valori normalizzati della resistenza alla punta mediante gli abachi e le relazioni mostrati nelle Figg.4.32 – 4.33 per le sabbie NC (normal-consolidate) e per quelle OC (sovra-consolidate). La correlazione di tipo empirico utilizzata è quella ricavata da prove in camera di calibrazione su differenti tipi di sabbie NC non cementate.

Fig. 4.32 – Valutazione della densità relativa da prove CPT in funzione dello sforzo verticale efficace, di sabbie quarzose NC non cementate.

Fig. 4.33 – Valutazione della densità relativa da prove CPT in funzione dello sforzo verticale efficace di sabbie quarzose OC non cementate.

 

DR = (1/C2ln [qc/C0 (σ’)C1]

 

dove C0C1 e C2 sono delle costanti del terreno; σ’ è lo sforzo efficace σvo’ in kPa (oppure lo sforzo medio σm‘) e qc la resistenza alla punta.

 

4.4.10.2 – Parametri di stato

 

II parametro di stato (ψ) è un fattore legato all’influenza del rapporto dei vuoti e del livello di sforzo riferiti ad uno stato ultimo o critico. Tale valore viene utilizzato al posto della densità relativa intendendo descrivere il comportamento delle sabbie; secondo numerosi ricercatori, infatti, T si correlerebbe con l’angolo di attrito interno in termini di sforzi efficaci σ’.

Il parametro è definito dalla differenza tra il rapporto dei vuoti di un terreno ad un dato sforzo efficace medio e cioè :

σm = (σvo+2σho’)/3

 

e il rapporto dei vuoti del medesimo terreno sulla linea dello stato critico al medesimo sforzo efficace medio.

Il parametro viene utilizzato per conoscere se una sabbia si contrae (ψ positivo) o è dilatante (ψ negativo) qualora sottoposta a grandi deformazioni.

il parametro ψ può essere ricavato da prove penetrometriche statiche eseguite in camera di calibrazione su alcune tipologie di sabbie, scegliendo il tipo di sabbia più simile a quella in situ (Fig. 4.32).

Fig. 4.32 – Andamento delle linee dello stato critico di alcune sabbie tipiche.

 

4.4.10.3 – Angolo di attrito efficace di picco (φ’)

 

Il metodo classico tuttora utilizzato è quello che valuta l’angolo di attrito di picco φ’ di sabbie sciolte sulla base della densità relativa DR e dello sforzo verticale efficace σvo’ agente alla profondità considerata. La correlazione usata è quella illustrata nella Fig. 4.33.

 

4.4.10.4 – Modulo confinato drenato Mo

 

Una stima del modulo tangente drenato analogo a quello (M) ottenuto in laboratorio con la prova edometrica è stata ricavata da prove CPT eseguite in camera di calibrazione.

La correlazione coinvolge la resistenza alla punta normalizzata e lo sforzo verticale efficace normalizzato secondo l’espressione:

MO = kM pa (σvo’/pa)n

 

nella quale n è l’esponente dello sforzo pari a 0.2 per sabbie NC e a 0.128 per sabbie OCpa è la pressione atmosferica nelle medesime unità di Moσvo’ e qckM un numero adimensionale del modulo che può essere derivato, utilizzando l’abaco di Fig. 4.34, in base al valore stimato di OCR.

Fig. 4.33 – Stima dell’angolo d’attrito di picco φ’ dalla resistenza alla punta e dallo sforzo verticale efficace.

Fig. 4.34 – Stima del numero adimensionale del modulo confinato dalla resistenza alla punta e da OCR.

 

4.4.10.5 – Potenziale di liquefazione

 

Nelle regioni potenzialmente soggette a sisma si rivela d’importanza fondamentale la stima corretta del potenziale di liquefazione dei terreni granulari.

Diventando infatti troppo elevati gli sforzi ciclici lungo un sufficiente periodo di tempo, le sabbie più sciolte, situate sotto il livello di falda, possono liquefare perdendo ogni capacità portante.

Nonostante la complessità dell’analisi di liquefazione sono state proposte indicazioni molto semplici per valutarne il potenziale dai dati delle prove in situ.

La prova CPT, infatti, si presta a tali stime in quanto permette di determinare rapidamente e con precisione la stratigrafia del terreno valutandone con accuratezza le caratteristiche del terreno in esame.

La composizione granulometrica del terreno può essere stimata mediante l’abaco di Fig. 4.27 o tramite analisi di laboratorio; per valutare, invece, se un terreno può perdere le proprie caratteristiche di resistenza in seguito all’azione di forze cicliche tipiche da sisma viene determinato il profilo del rapporto di sforzo ciclico (CSR) del terreno interessato con la relazione:

 

CSR = τav/σvo

 

dove τav è lo sforzo ciclico medio e σvo’ lo sforzo verticale efficace agente alla data profondità.

Tale rapporto viene determinato sperimentalmente a mezzo di prove TX cicliche, di taglio diretto semplice o con tavola vibrante.

In alternativa il rapporto può essere stimato tramite un’espressione che include la magnitudo standard del terremoto di progetto (7.5°R), l’accelerazione massima alla superficie del terreno (una frazione dell’accelerazione di gravita), gli sforzi totale ed efficace e la profondità.

La valutazione del rapporto di sforzo ciclico medio da prove CPT/CPTU è stata proposta per via indiretta trasformando la resistenza alla punta in valori N (n° colpi) della prova SPT ed utilizzando in seguito le correlazioni tra il rapporto e i valori di N.

Alcuni ricercatori hanno proposto una relazione diretta tra resistenza alla punta, rapporto dello sforzo ciclico medio e diametro medio dei grani (D50) sulla base di dati di siti terremotati in differenti territori (Fig. 4.35).

Traguardando nel grafico di Fig. 4.35 i dati normalizzati della resistenza alla punta relativi agli strati più deboli del deposito in esame è possibile verificare se possa manifestarsi (o no) la liquefazione.

Fig. 4.35 – Correlazione tra resistenza alla punta normalizzata (qc) e resistenza alla liquefazione tenendo conto della granulometria (D50) della sabbia.

 

4.5. La prova penetrometrica dinamica SPT

 

La prova SPT (Standard Penetration Test) consente di determinare la resistenza offerta da un terreno alla penetrazione dinamica di un campionatore infisso a partire dal fondo di un foro di sondaggio. La prova consente, in contemporanea, il prelievo di un campione (non indisturbato} del terreno interessato.

Operativamente il test consiste nel far cadere un maglio del peso di 63.5 kg, da un’altezza di 760 mm, su una testa di battuta fissata alla sommità di una batteria di aste alla cui estremità inferiore è montato il campionatore di dimensioni standard (Fig. 4.36).

Fig. 4.36 – Schema del dispositivo SPT.

 

Il numero di colpi necessari a far penetrare il campionatore è funzione della resistenza del terreno, ossia del tipo e delle caratteristiche peculiari del terreno attraversato.

Il numero di colpi (N) necessario a una penetrazione del campionatore di 30 cm (successivamente all’eventuale penetrazione per gravità e a 15 cm di penetrazione dinamica per la messa in posto) rappresenta il dato preso come indice della resistenza alla penetrazione (NSPT).

La prova è compresa tra gli standard ASTM (D 1586-67-74; D 1586-84; D 4633-86).

 

4.5.1 – Applicabilità della prova

 

La prova SPT presenta alcuni pregi rispetto alle altre prove in situ:

 

–       consente l’esecuzione nel corso di un sondaggio senza dover adottare dispositivi d’adattamento:

–       permette l’esecuzione in ogni tipo di terreno (rocce escluse);

–       si rivela decisiva nello studio dei fenomeni di liquefazione dei terreni non coesivi soggetti ad azioni dinamiche;

–       é un test largamente diffuso in ogni nazione.

 

Accanto ai pregi il test rileva tuttavia in termini incompleti il comportamento del terreno nel campo delle sollecitazioni statiche consentendo di correlare i risultati ai parametri geotecnici solo a livello empirico offrendo talora valori fortemente influenzati dalle caratteristiche dell’attrezzatura, dalle modalità esecutive e dalla maggiore o minore esperienza dell’operatore.

 

4.5.2 – Calcoli

 

La forza trasmessa alle aste viene calcolata con la relazione

 

F(t) = Aa Ea εm(t)

 

nella quale εm(t) è la deformazione assiale misurata dell’asta strumentata al tempo tAa l’area della sezione trasversale dell’asta strumentata mentre Earappresenta il modulo di Young dell’acciaio dell’asta strumentata.

La velocità v(t) della particella, nella sezione strumentata, viene calcolata dall’integrazione dell’accelerazione a(t) rispetto al tempo t.

L’energia considerata è il valore medio ottenuto con almeno 5 misure secondo la:

n

Emeas = 1/n Σ E

                                                                                      1

II rendimento di maglio che caratterizza ciascun dispositivo di battitura è dato dalla relazione:

 

Er = Emeas/Eteor  1

dove Eteor = mgh.

Alcuni esempi di misure ricavabili da SPT sono proposti in Fig. 4.37.

Fig. 4.37 – Esempio di misure (Forza, Velocità delle onde sismiche, Accelerazione, Deformazione assiale) rilevate a mezzo strumentazione SPT.

 

4.5.3 – La prova LPT e NSPT

 

Nei terreni contenenti ghiaia i valori di NSPT misurati sono influenzati dalla dimensione dei clasti a causa del modesto Ø interno del campionatore (35 mm). Di conseguenza è stata realizzata una prova, analoga a quella standard, che impiega un campionatore di dimensioni maggiori, tali da risentire meno dell’effetto della dimensione della ghiaia.

Tab. 4.4 – Dettagli del dispositivo SPT e dei principali dispositivi LPT.

 

La prova, siglata LPT (Large Penetration Test), è stata utilizzata inizialmente per lo studio dei problemi di liquefazione dei depositi sabbioso-ghiaiosi sotto effetto sismico. In tab. 4.4 sono riportate le principali caratteristiche delle attrezzature più comuni nonché quelle dell’Attrezzatura Standard di riferimento definita per consentire il raffronto fra i differenti dispositivi.

In Italia, diversamente da altri paesi dove il sistema è stato progettato con rapporto delle aree analogo a quello della prova SPT, il dispositivo presenta un rapporto fra energia fornita e area utile del campionatore analogo a quello della prova Standard SPT.

La Fig. 4.38 mostra lo schema del campionatore e del dispositivo di battitura con sganciamento automatico del maglio dell’attrezzatura LPT italiana

Fig. 4.38 – Schema del campionatore e del dispositivo di battitura dell’ LPT italiano.

 

Nella Fig. 4.39 viene mostrato un esempio di misura dell’energia trasmessa con un colpo. Il grafico a) riproduce i segnali degli estensimetri (misura di F) applicati alle aste. Il grafico b) riproduce l’andamento nel tempo dell’accelerazione, misurata con 2 accelerometri applicati all’asta all’altezza degli estensimetri.

Fig. 4.39 – Esempi di misura dell’energia prodotta da un colpo di maglio della prova LPT italiana: a) registrazione del segnale del ponte estensimetrico da cui si deriva il valore di Fb) registrazione del segnale in uscita agli accelerometri.

L’elaborazione di queste due letture permette di risalire all’energia effettivamente trasmessa alle aste con ciascun colpo e di qui al rendimento del dispositivo.

In Fig. 4.40 sono mostrati i grafici della forza (estensimetri), in funzione del tempo, per 37 colpi di una prova lLPT (LPT italiana) completa; nel grafico sono osservabili le variazioni nell’energia fra colpi differenti lungo un andamento considerabile comunque uniforme.

Fig. 4.40 – Esempi di grafici della Forza in funzione del tempo per 37 colpi di una prova ILPT completa.

4.5.4 – Relazioni tra NSPT e NLPT

 

Nel tempo é stata creata una raccolta dati relativi a prove LPT ed SPT eseguite in parallelo nei medesimi siti dove è stata valutata anche la dimensione della ghiaia presente nel deposito.

E’ noto dalla letteratura che per un dato terreno ed un dato sforzo verticale efficace (σvo’) il numero di colpi della prova SPT è proporzionale al quadrato della densità relativa (DR), definita come dipendenza dall’indice dei vuoti con la relazione:

 

DR = (emax – e)/(emax – emin)

 

nella quale emax ed emin sono l’indice dei vuoti massimo e minimo misurabili in laboratorio.

A seguito di una raccolta dati da prove SPT in situ e in camera di calibrazione, normalizzando i risultati sulla base di una stima empirica del rendimento alla battitura, Skempton ha osservato che i valori normalizzati (N1)60 correlano ragionevolmente col logaritmo del Ø medio D50. Elaborata successivamente tale raccolta ha portato a un’equazione che descrive la relazione tra vari fattori, comprendenti preconsolidazione e invecchiamento (Fig. 4.41):

 

(N1)60/DR2 60 + 25 log D50

Fig. 4.41 – Relazione tra valori normalizzati (N1)60 della prova SPT e densità relativa DR (Skempton).

Numerosi ricercatori hanno incrementato la raccolta di Skempton (Fig. 4.42a); da questa distribuzione la correlazione più significativa (Cubrinowski & Ishihara) viene definita dalla seguente equazione includente la perdita d’energia per il rendimento del dispositivo di battitura:

 

(N1/DR2) = 9 [0.23+(0.06/D50)]-1.7

Fig. 4.42 – Relazione tra valori normalizzati (N1)60 della prova SPT e densità relativa DR (rielaborati).

 

Le differenze tra i valori dei 2 depositi ghiaiosi (“KJ-graveI” e “T-graveI“) provengono da un determinato grado di cementazione del deposito “KJ-graveI” evidenziato dai valori del modulo di taglio a piccole deformazioni (GO). All’interno dei dati del deposito “T-graveI” si osservano comunque notevoli scarti (Fig. 4.42a). Gli autori hanno raccolto i dati normalizzando anche i risultati delle prove LPT sulla base dei fattori di correzione illustrati in Tab. 4.4; il grafico relativo, illustrato in Fig. 4.42b, appare interessante per l’andamento a concavità verso il basso dei valori funzione di D50. Un esempio di verticali SPT ed lLPT adiacenti viene illustrato in Fig. 4.43.

Fig. 4.43 – Relazione tra valori normalizzati (N1)60 della prova SPT e densità relativa DR ottenuta a seguito raccolta dati relativi a prove LPT normalizzati ai sensi della Tab. 4.4.

4.5.5 – Utilizzo dei dati

 

La prova SPT fa parte di quel gruppo di prove in situ che producono nel terreno percorsi degli sforzi efficaci differenti da quelli normalmente definiti in Geotecnica; i risultati della prova possono di conseguenza, essere correlati solo empiricamente con le specifiche proprietà del terreno in situ. Sotto tali presupposti si rivela allora necessario conoscere le molte limitazioni di tali correlazioni, a causa dei diversi fattori che influiscono sul comportamento non lineare e plastico dei terreni e cioè:

 

–       composizione mineralogica;

–       sforzi agenti in sito;

–       storia dello stato tensionale e deformazionale;

–       cementazione;

–       sensitività;

–       invecchiamento;

–       struttura;

–       resistenza a frantumazione dei grani sottoposti ad elevati sforzi dovuti alla penetrazione.

 

La prova SPT viene richiesta essenzialmente nei terreni granulari (sabbie, sabbie con ghiaie) dove non sempre risulta possibile prelevare campioni indisturbati per le analisi di laboratorio od eseguire significative prove in situ d’altra natura (CPTDMT). Tuttavia il test viene spesso richiesto anche nei terreni coesivi (soprattutto semicoesivi) dei quali può fornire una valutazione della consistenza utile all’operatore per orientare un progetto.

Nel prosieguo, di conseguenza, viene proposta per i terreni coesivi solo la stima di cui sopra mentre per le correlazioni verrà dedicato maggior spazio ai terreni granulari.

 

4.5.5.1 – Consistenza delle argille

 

In Tab. 4.5 viene definita la stima proposta da Terzaghi & Peck riportante anche i valori della resistenza al taglio non drenata (SU), il comportamento del materiale qualora manipolato e l’indice di consistenza (IC).

Tab. 4.5 – Stima della Consistenza delle argille.

 

4.5.5.2 – Classificazione e densità relativa (DRnelle sabbie

 

Non disponendo dei valori normalizzati di prove SPT risulta opportuno utilizzare le relazione di Tab. 4.6 (Terzaghi e Peck).

Disponendo viceversa dei valori normalizzati (N1)60 viene utilizzata la Tab.4.7 (Clayton) che fornisce una valutazione dello stato di addensamento e della densità relativa delle sabbie.

Tab. 4.6 – Relazione NSPT/DR.                                             Tab. 4.7 – Relazione (N1)60/DR.

 

4.5.5.3 – Angolo di resistenza al taglio di picco (φ’) nelle sabbie

 

La resistenza al taglio drenata dei depositi sabbiosi viene ricavata dalla correlazione N1/φ’ proposta da Hatanaka & Uchida dove N1 è il valore di NSPT corretto per lo sforzo verticale efficace σvo’.

Fig. 4.44 – Relazione tra il valore NSPT normalizzato nei confronti dello sforzo verticale efficace (N1) e l’angolo di resistenza al taglio drenato (φ’) delle sabbie.

La correlazione adattata (Fig. 4.44) può essere espressa dalla seguente equazione:

φ’ = (20 N1)0.5+20 ± 3

Un’ulteriore possibilità è offerta dall’abaco di Schmertmann (Fig. 4.45) che pone in relazione φ’ con DR per diversi terreni.

Fig. 4.45 – Relazione tra l’angolo di resistenza al taglio drenato delle sabbie (φ’) e la densità relativa (DR) per varie granulometrie di terre sciolte granulari.

4.5.6 – Deformabilità delle sabbie

 

Modulo di deformazione in condizioni drenate

 

Per determinare il modulo di deformazione in condizioni drenate (Modulo di YoungE’), utilizzato per stimare i cedimenti del terreno di fondazione, si può applicare la correlazione illustrata nella Fig. 4.46. In ordinata il grafico pone il rapporto E’/N60 (espresso in MPa); il valore di NSPT è quindi riferito al rendimento standard del 60%; in ascissa il grafico riporta il rapporto qnetta/qult dove qnetta è la pressione netta al contatto tra la fondazione e il terreno e qult la pressione di rottura.

Fig. 4.46 – Relazione tra il modulo di deformazione E’ ed i valori di NSPT corretti (N60).

La correlazione distingue tra depositi normalconsolidati (NC) e sovraconsolidati (OC).

In alternativa il valore del modulo di deformazione operativo (E’) può essere stimato dalla seguente correlazione basata sui dati relativi al cedimento delle fondazioni esprimendo E’ in MPa:

 

E’/N(60) = α

 

I valori medi di α = f(NSPT) sono esposti in Tab. 4.8.

Tab. 4.8 – Valori medi del coefficiente a.

 

Modulo di taglio per piccole deformazioni (Go)

 

Per la valutazione del modulo di taglio dinamico GO si utilizza il metodo proposto da Ohta & Goto che calcola dapprima la velocità delle onde di taglio VS = f(NSPT):

VS = 54.33 NSPT α β (z/0.303)0.193 m/s

 

dove z è la profondità (m), α un coefficiente che dipende dall’età del deposito → (= 1 per depositi olocenici; = 1.3 per depositi pleistocenici e terziari), β un coefficiente che dipende dalla composizione granulometrica → (= 1 per limi e argille; = 1.09 per sabbie; = 1.19 per sabbie e ghiaie). Il modulo di taglio a piccole deformazioni (GO) può quindi essere ricavato dalla seguente espressione:

GO = VS2(γ/g)

 

dove γ é il peso di volume unitario (kN/m3) e g l’accelerazione di gravità (9,81 m/sec2).

Confrontando i valori di VS ottenuti da Ohta & Goto e quelli ottenuti da misure cross-hole (CHin situ emerge che la relazione è valida per sabbie pulite di recente deposizione mentre all’aumentare del contenuto di ghiaia, del contenuto di fino (passante al vaglio 200 ASTM) e dell’età del deposito la formula tende a sottostimare il valore di VS.

Altri ricercatori, proseguendo sulla medesima traccia in camera di calibrazione e in situ, hanno rilevato correlazioni statistiche fra VS ed NSPT analoghe a quella di Ohta & Goto, tra cui:

 

Sabbia fine                                  VS = 49 NSPT 0.25 (σvo’)0.14

Ghiaia 25%                                 VS = 56 NSPT 0.25 (σvo’)0.14

Ghiaia 50%                                 VS = 60 NSPT 0.25 (σvo’)0.14

Qualsiasi terreno                        VS = 55 NSPT 0.25 (σvo’)0.14

 

Il modulo di taglio a piccole deformazioni (GO) è ricavabile anche dalla relazione di Crespellani & Vannucchi data dall’espressione:

GO = a (NSPT)b

 

dove a = 8.1 e b = 0.611 per sabbie olocenichea = 31.3 e b = 0.526 per sabbie pleistoceniche.

 

Valutazione del potenziale di liquefazione

 

La prova SPT si é rivelata molto utile per la stima della resistenza alla liquefazione dei depositi granulari. Le ragioni possono essere riassunte dalle seguenti considerazioni:

 

–       SPT è una prova in situ i cui risultati sono influenzati da proprietà e caratteristiche dei terreni granulari (granulometria, addensamento, struttura, storia dello stato tensionale e deformazionale, tensione efficace orizzontale) fattori noti per la loro influenza sulla resistenza alla liquefazione ma diversi dei quali difficili da conservare col campionamento indisturbato;

–       SPT è comunque una prova di resistenza al taglio in condizioni non drenate (ad eccezione dei terreni grossolani);

–       Sono disponibili numerosi valori di NSPT ottenuti in terreni soggetti in passato a fenomeni di liquefazione. Il metodo che considera questi casi può riflettere il comportamento reale del terreno sottoposto a terremoti, meglio di quanto non possano fare le simulazioni in laboratorio;

–       La prova SPT consente il prelievo di campioni per la determinazione della granulometria, parametro  fondamentale per ogni studio sulla liquefazione.

 

Viceversa la prova mostra i seguenti limiti:

 

–       Si tratta di una prova puntuale, discontinua, non in grado di fornire informazioni sulla resistenza del terreno lungo tutta la verticale;

–       Attrezzatura e modalità esecutive non sono così uniformi da poter essere considerate realmente standardizzate;

 

Concludendo la prova SPT può risultare utilmente impiegata per la valutazione della resistenza alla liquefazione di un sito purché i dati siano ottenuti con modalità standard, si rivelino sufficientemente rappresentativi della variabilità del deposito ed i valori vengano normalizzati rispetto alla pressione verticale efficace esistente e al rapporto di rendimento del dispositivo di spinta.

Per quanto concerne l’ultimo punto il valore usato nelle correlazioni è quello normalizzato (N1)60.

 

Criterio di valutazione della resistenza alla liquefazione

 

L’indice utilizzato nelle correlazioni per determinare la resistenza alla liquefazione di un terreno è lo sforzo ciclico normalizzato (cyclic stress ratio) definito dall’espressione:

 

τav/σvo’ = 0.65 rd (amax/g)/(σvo/σvo’)

 

nella quale amax è l’accelerazione massima al piano di campagna, σvo la pressione verticale totale agente alla profondità considerata, σvo’ la pressione verticale efficace agente alla medesima profondità, rd fattore di riduzione dello sforzo che decresce dal valore 1 (piano di campagna) al valore 0.9 (profondità 10 m) e g l’accelerazione di gravità.

 

4.5.7 – SPT e Resistenza alla liquefazione

 

Il grafico in Fig. 4.47 mostra la relazione fra lo sforzo ciclico e il valore di N (normalizzati) per siti sabbiosi con % di fine  5%, che hanno (e non) mostrato fenomeni di liquefazione a seguito di sismi a Magnitudo standard (7.5). I simboli pieni rappresentano i terreni che hanno subito liquefazione, i vuoti terreni che non l’hanno subita. La linea continua definisce il limite di separazione fra terreni liquefacibili e non (Seed) mentre la tratteggiata indica la correlazione proposta da Tokimatsu & Yoshimi.

Fig. 4.47 – Stima della possibilità di liquefazione di sabbie in base a valori normalizzati (N1)60 di prove SPT.

La Fig. 4.48 riporta, unitamente alle linee di separazione prima descritte, anche una sintesi dei risultati di prove di laboratorio di resistenza alla liquefazione su campioni indisturbati prelevati dopo congelamento in situ.

E’ da notare come tali risultati si pongano nei pressi delle rette limite definite sulla base di prove di laboratorio su campioni ricostituiti.

Fig. 4.48 – Stima della possibilità di liquefazione di sabbie soggette a sismi di varie Magnitudo.

4.5.7.1 – Influenza della magnitudo (M)

 

E’ possibile tener conto di magnitudo diverse da quella di standard (7.5) assumendo che il numero dei cicli dello sforzo di taglio aumenta con l’aumento della magnitudo del sisma. Nella Fig. 4.48 sono riportate le curve limite proposte da Tokimatsu sulla base di risultati di laboratorio ottenuti su campioni indisturbati prelevati dopo congelamento e in buon accordo con quelle proposte da Seed.

Fig. 4.48 – Stima della possibilità di liquefazione di sabbie in base a prove di laboratorio eseguite su campioni indisturbati.

4.5.7.2 – Influenza della percentuale di fine (F)

 

La % di fine (F → % passante al vaglio 200 ASTM) riduce il valore di NSPT senza variare significativamente la resistenza alla liquefazione; questo a causa della maggior pressione nei pori, generatasi durante una prima penetrazione, comportante una minor resistenza nei confronti della successiva penetrazione. L’influenza della % di frazione fine è funzione anche dell’indice di plasticità (IP) che rappresenta un fattore decisivo.

 

4.6 – Prova Penetrometrica Dinamica Continua (DP)

 

La prova penetrometrica dinamica continua (DP) consiste nell’infiggere verticalmente nel terreno una punta conica posta all’estremità di un asta di acciaio, prolungabile con l’aggiunta di successive aste (Fig. 4.49).

Figura 4.49 – Dispositivo tipo per prove penetrometriche dinamiche continue.

L’infissione avviene per battitura facendo cadere sulla sommità delle aste , da un’altezza costante, un maglio di determinato peso contando i colpi necessari per la penetrazione di ciascun tratto di lunghezza stabilita.

La resistenza del terreno è funzione inversa della penetrazione per ciascun colpo e, diretta, del numero di colpi (NDP) per una data penetrazione (Fig. 4.50).

Fig. 4.50 – Grafico con risultati della prova (colpi/profondità).

Il test viene largamente utilizzato nella progettazione delle fondazioni su pali prefabbricati battuti in quanto i modelli di infissione sono del tutto analoghi.

Il problema principale relativo alla precisione della misura della resistenza del terreno e nel raffronto tra differenti misure proviene dalla difficoltà di isolare la componente della resistenza dovuta all’attrito laterale del terreno lungo la batteria di aste; tale componente è separabile da quella dovuta alla resistenza alla penetrazione della punta solo a mezzo di particolari accorgimenti.

Le differenze tra i penetrometri esistenti e le modalità esecutive sono tuttavia diverse, tra queste le più significative sono:

 

– la massa del maglio: (10÷100 Kg);

– l’altezza di caduta: (20÷76 cm);

– il Ø della punta: (2.2÷6.3 cm);

– la forma della punta;

– il Ø esterno delle aste: (1.6÷4.5 cm);

– la penetrazione di riferimento: (10÷30 cm);

– la tecnica per diminuire gli effetti dell’attrito laterale: (rivestimento, fango attraverso aste etc.).

 

Sotto tali presupposti è scaturito che, diversamente da quanto verificatosi per altri test in situ, le correlazioni tra i risultati di prove penetrometriche dinamiche continue e i parametri geotecnici e/o comportamentali dei manufatti non sono state sviluppate e unificate internazionalmente; dei diversi tipi di penetrometro dinamico in uso in Italia, infatti, le Raccomandazioni AGI prendono in considerazione unicamente la prova con penetrometro super-pesante (tipo Meardi), come eseguita nella pratica italiana (EN ISO 22-476-2:2003 → CEN/TC 341).

 

4.6.1 – La procedura di riferimento (CEN/TC 341)

 

La prova, derivata dallo standard europeo, risulta adatta per la determinazione qualitativa del profilo di un terreno laddove supportata dalla taratura d’indagini dirette e/o con raffronto di altre prove in situ. I test vengono anche utilizzati per la determinazione della resistenza e della deformabilità dei terreni (soprattutto granulari ma anche fini) attraverso particolari correlazioni.

I risultati, infine, vengono usati per determinare la profondità di strati molto addensati (basi utili per palificate) nonché per rilevare livelli sciolti o vuoti, riempimenti e rinterri.

La norma stabilisce, come per le prove SPT, alcuni concetti base:

 

Energia effettiva (Emis): è l’energia misurata che entra nelle aste immediatamente sotto la testa di battuta (anvil).

Energia teorica (Eteor): è l’energia teorica fornita dal sistema di battitura espressa dalla relazione:

 

Eteor = m g h

 

nella quale m è la massa del maglio (63,5 kg), g l’accelerazione di gravità e h l’altezza di caduta libera del maglio (76 cm).

Rendimento energetico (Er): è il rapporto tra l’energia effettiva misurata (Emis) e quella teorica (Eteor) espresso in %.

NXY: è iI numero di colpi per far penetrare la punta conica di un tratto definito x (cm) dal tipo di penetrometro y.

Lavoro specifico per colpo (En): è il valore ricavabile dall’espressione:

 

En = mgh/A = Eteor/A

 

Nella quale mgh e Eteor sono stati definiti in precedenza e A è l’area nominale della base della punta conica (calcolata in base al Ø D).

Fig. 4.51 – Tipologie di Penetrometri Dinamici continui (DP).

 

4.6.3 – Procedura esecutiva della prova

 

La batteria di aste e la punta conica vengono infisse verticalmente senza flessioni del tratto che sporge dal piano di campagna. L’azione deve essere continua mentre occorre mantenere la velocità di battitura deve essere mantenuta entro 15÷30 colpi/1’: interruzioni > 5’ vanno segnalate. Le aste devono essere ruotate di 1.5 giri o fino a raggiungere la massima torsione almeno ogni 1m di penetrazione. Al fine di minimizzare l’attrito laterale, possono essere iniettati acqua o fango attraverso fori praticati nelle aste cave in prossimità del cono e diretti orizzontalmente o verso l’alto; può venire utilizzata al medesimo scopo una tubazione di rivestimento (casing).

Il numero di colpi deve essere memorizzato dopo la penetrazione di ciascun tratto di 10 cm per le prove DPLDPM e DPH ed ogni 10÷20 cm per DPSH-A e DPSH-B (modelli ultra-pesanti).

Il campo operativo normale di colpi è compreso fra: N10 = 3÷50 per DPLDPM e DPH e fra N20 =: 5÷100 per DPSH-A e DPSH-B.

In terreni duri o in rocce tenere, dove la resistenza alla penetrazione è molto elevata o supera il campo normale di valore del numero di colpi, può essere annotata la pene- trazione per un certo numero di colpi, come alternativa al valore di NDP.

Di norma la prova viene arrestata quando il numero di colpi supera il doppio del valore massimo indicato oppure il valore massimo è continuamente superato per 1 m di penetrazione.

 

4.6.4 – Prove DP in terreni granulari grossolani

 

E’ stato riscontrato, a parità di altre condizioni, che la resistenza alla penetrazione aumenta più che linearmente con l’aumento della DR del terreno, così come terreni con spigoli vivi o clasti scabri presentano una resistenza alla penetrazione maggiore rispetto a terreni con clasti arrotondati e lisci. Si è inoltre potuto verificare che ciottoli e trovanti possono aumentare in quantità significative la resistenza alla penetrazione influenzabile anche da parte del coefficiente di uniformità e della forma della curva granulometrica,

In Fig. 4.52 sono esposti i risultati di prove dinamiche con penetrometro DPL in terreni risistemati con posa di strati di sabbia medio-grossa con differenti valori di DR.

Fig. 4.52 – Esempi di variazione della resistenza alla penetrazione al variare della densità relativa.

 

La resistenza alla penetrazione mostra grande sensibilità alle variazioni di DR in quanto aumenta bruscamente con l’aumento della medesima.

La Fig. 4.53 espone le modalità d’aumento di resistenza alla penetrazione in presenza di sottili strati contenenti dei ciottoli. I picchi della resistenza alla penetrazione verificantisi localmente non sono rappresentativi della capacità portante totale dello strato.

Fig. 4.53 – Aumento della resistenza alla penetrazione per la presenza di ciottoli.

La Fig. 4.54 mostra come la resistenza alla penetrazione vari più fortemente nei terreni granulari grossolani rispetto ai terreni granulari fini. Il campo di variazione risulta più ampio nelle ghiaie che nelle sabbie.

Fig. 4.54 – Variazioni nella resistenza alla penetrazione in terreni granulari fini e grossolani.

 

La Fig. 4.55 espone l’effetto, sulla resistenza alla penetrazione, della cementazione delle particelle di uno strato di sabbia.

Fig. 4.55 – Aumento della resistenza alla penetrazione di una sabbia media a causa della cementazione.

 

4.6.5 – Prove DP in terreni granulari fini

 

Nei terreni fini l’attrito laterale lungo la batteria di aste presenta notevole influenza sulla resistenza alla penetrazione. La Fig. 4.56 mostra come i risultati di prove di penetrazione standard (SPT) in argille non siano simili a quelli ottenuti col penetrometro dinamico pesante (DPH) in quanto nella prova SPT l’attrito lungo le aste è stato eliminato col sondaggio di preparazione.

Fig. 4.56 – Aumento nella resistenza alla penetrazione per l’attrito lungo le aste, in prove con il penetrometro dinamico pesante (DPH) in confronto con prove standard SPT.

La Fig. 4.57 mostra profili di prove penetrometriche dinamiche eseguite con (e senza) l’ausilio di fango. L’iniezione di fango riduce l’attrito laterale lungo le aste consentendo la penetrazione a maggiori profondità.

Fig. 4.57 – Riduzione dell’attrito lungo le aste per l’iniezione di fango.

 

La Fig. 4.58 espone i risultati di prove con penetrometro DPM della Fig. 4.57, corretti utilizzando le letture della torsione per correggere l’effetto degli attriti lungo le aste.

Fig. 4.58 – Esempio dell’effetto della correzione dei dati per effetto delle misure della torsione.

 

La Fig. 4.59 espone i risultati di una prova con penetrometro leggero (DPL) in cui si evidenzia l’influenza delle variazioni strutturali nel terreno sulla resistenza alla penetrazione in limo naturale (a) e in limo leggermente compattato (b).

Fig. 4.59 – Resistenza alla penetrazione in limo naturale (a) e in limo leggermente costipato ad una densità analoga (b).

La Fig. 4.60 mostra come la torba decomposta presenti resistenza alla penetrazione molto bassa.

Fig. 4.60 – Prove penetrometriche dinamiche in torba decomposta.

La Fig. 4.61 mostra come una torba poco decomposta, fibrosa, presenti resistenza alla penetrazione ed attrito laterale elevati. Effetti del tipo si ritrovano in argille e limi fortemente organici.

Fig. 4.61 – Esempio di risultati di prove dinamiche in terreni a granulometria mista.

 

4.6.6 – Prove DP in terreni granulari misti

 

I fattori d’influenza mostrati possono sovrapporsi nei terreni misti inducendo probabili errori di interpretazione. La Fig. 4.62 espone le variazioni nei valori della resistenza alla penetrazione di una prova con penetrometro dinamico medio (DPM) in differenti tipi di terreno.

Fig. 4.62 – Variazioni della resistenza alla penetrazione (DPM) in differenti terreni.

 

Le variazioni sono maggiori in terreni a granulometria mista a causa della più alta proporzione di grani grossi rispetto a terreni fini con presenza di materie organiche.

4.6.7 – Prove DP superficiali

 

Nei terreni granulari grossolani, la profondità critica, (1 o 2 m sotto il piano di campagna) aumenta con la densità relativa ed il diametro della punta conica. Inoltre, la resistenza alla penetrazione aumenta rapidamente fino alla profondità critica. Al di sotto di tale profondità la resistenza alla penetrazione rimane quasi costante a parità di altre condizioni. Il terreno sovrastante lo strato interessato (per esempio, un rinterro) oppure ogni sovraccarico sul terreno (per esempio, il carico di una fondazione ) possono aumentare la resistenza alla penetrazione.

La Fig. 4.63 illustra i risultati di 2 prove dinamiche con penetrometro leggero (DPL). in uno scavo di prova  con sabbia a densità costante.

 

Fig. 4.63 – Bassi valori della resistenza alla penetrazione nella zona prossima alla superficie in sabbia addensata.

 

Come illustrato nel grafico la prova (a) è stata eseguita dalla sommità dello scavo rinterrato mentre la (b) è stata invece eseguita da una superficie ottenuta dopo aver tolto la sabbia di rinterro per uno spessore di 1.3 m. E’ da notare come la prova (a) mostri un incremento rapido della resistenza fino alla profondità critica sotto la quale diventa praticamente costante; la prova (b) partendo dalla nuova superficie, mostra inizialmente una minore resistenza alla penetrazione ma, dopo un brusco aumento della resistenza, ripresenta i medesimi valori della prova (a) sebbene a profondità assoluta maggiore rispetto alla prima prova.

 

4.6.8 – Influenza della falda

 

Nei terreni granulari, a parità delle altre condizioni, la resistenza alla penetrazione sotto falda risulta minore che al di sopra e ciò a causa del minor sforzo verticale efficace presente. Nei terreni fini la resistenza può essere uguale o più alta, a causa della capillarità. La resistenza alla penetrazione può essere anche influenzata dalla pressione dell’acqua nei pori e dal flusso d’acqua sotterranea.

Fig. 4.64 – Influenza della falda sulla resistenza alla penetrazione in una sabbia medio fine.

I dati della Fig. 4.64 esprimono l’influenza della falda in terreni granulari. In presenza di falda, infatti, si misurano resistenze alla penetrazione più basse per quanto a parità di densità relativa. Si Di seguito è mostrato un caso di quantificazione dell’influenza della falda sul risultato della prova penetrometrica dinamica nei terreni non coesivi (esecuzione di prove comparative con penetrometro DPL in una sabbia poco gradata (SP), e DPH in sabbie e ghiaie ben gradate (GW) in condizioni controllate, sopra e sotto il livello della falda.

La Fig. 4.65 mostra la relazione tra il numero di colpi N10L ed N10H sopra falda ed il numero di colpi N10L’ sotto falda.

Fig. 4.65 – Influenza della falda sui risultati di prove penetrometriche dinamiche.

La relazione ha la seguente forma generale:

 

N10 = a1 N10’ + a2

I valori hanno natura deterministica e sono da stimare come conservativi.

I coefficienti a1 e a2 si ricavano indicativamente dalla Tab. 4.9:

 

Tab. 4.9 – Coefficiente a1 e a2 funzione del terreno.

 

4.6.9 – Interpretazione dei risultati utilizzando la resistenza alla punta

 

I risultati delle prove penetrometriche dinamiche sono di norma esposti come numero di colpi per 10 cm di penetrazione (N10) in funzione della profondità e dovrebbero essere compresi entro il campo di valori standard (3÷50). I valori di N10 possono essere interpretati per fornire valori della resistenza unitaria alla punta (rd) e della resistenza dinamica alla punta (qd).

II valore di rd rappresenta il lavoro di battitura resosi necessario per la penetrazione nel terreno.

Un successivo step nel calcolare qd modifica il valore di rd per tenere conto dell’inerzia delle aste e del maglio dopo l’impatto.

Il calcolo di rd comprende le differenze di peso del maglio dell’altezza di caduta e delle diverse dimensioni della punta conica. La differenza nelle dimensioni e nel numero della batteria di aste sono comprese nel calcolo di qd che, quindi, dovrebbe consentire il raffronto tra dati ottenuti con differenti configurazioni dell’attrezzatura. Le equazioni generalmente utilizzate sono:

 

rd = Eteor/(A e)

oppure:

rd = Emis/(A e)

o anche:

qd = [(m/(m+m’)] rd

 

dove rd e qd sono valori di resistenza in Pa, m la massa del maglio in kg, g l’accelerazione di gravità in m/s2h l’altezza di caduta del maglio in m, A l’area della base del cono in m2e è la penetrazione media in m, per colpo (0.1/N10, per DPLDPM e DPH e 0.2/N20, per DPSH), N10 il numero di colpi per penetrazione di 10 cm, N20 il numero di colpi per la penetrazione 20 cm, m’ la massa totale della batteria in kg alla profondità di riferimento.

La Fig. 4.66 illustra dati di prove con DPLDPM e DPH in un’area di argilla compatta sovraconsolidata. Sebbene ogni configurazione d’attrezzatura fornisca un differente valore di N10, il calcolo di rd avvicina i dati DPL e DPM mentre il calcolo di qd mostra che le 3 tipologie configurative  forniscono profili assai simili.

La Fig. 4.67 espone i dati di prove in terreni morenici sovraconsolidati comprendendo risultati di prove con DPLDPMDPH, e DPSH.

Fig. 4.66 – Dati da prove con DPLDPMDPH e DPSH in un sito d’argilla compatta sovraconsolidata.

 

Fig. 4.67 – Dati da prove con DPLDPMDPH e DPSH in terreno morenico sovraconsolidato.

Anche sotto queste condizioni i valori di rd avvicinano i dati rilevati mentre il calcolo di qd mostra profili molto simili. L’uso di qd ha la potenzialità di consentire variazioni nella configurazione dell’attrezzatura uniformando i diversi profili ottenuti.

 

4.6.10 –  Utilizzo dei risultati delle prove DP

 

l’Eurocodice fornisce diverse indicazioni per derivare la densità relativa (DR) dai risultati di prove DP in sabbia, in funzione del coefficiente di uniformità (UC) validi entro un campo di variabilità dei colpi: 3<N1050. I dati si riferiscono a prove con penetrometri DPL e DPH.

 

asabbia poco gradata (UC ≤ 3) sopra falda:

 

DR = 0.15+0.260 log N10 (DPL)

DR = 0.10+0.435 log N10 (DPH)

 

bsabbia poco gradata (UC ≤ 3) sotto falda:

 

DR = 0.21+0.230 log N10 (DPL)

DR = 0.23+0.380 log N10 (DPH)

 

csabbia con ghiaia ben gradata (UC ≥ 6) sopra falda:

 

DR =  0,14+0.550 log N10 (DPH)

 

4.7 – Prova Pressiometrica

 

La prova pressiometrica permette di misurare in situ le caratteristiche di deformazione dei terreni e delle rocce tenere alle diverse profondità mediante l’espansione di una membrana cilindrica flessibile pilotata da incrementi di pressione generati dall’esterno.

L’analisi dell’espansione di una cavità di qualunque forma, infatti, riveste importanza notevole per lo studio di molteplici aspetti dell’ingegneria civile (capacità portante dei pali, campo tensionale nell’intorno delle gallerie etc.).

Con la prova, almeno dal punto di vista teorico, si possono misurare direttamente alcune caratteristiche dei terreni:

 

–       tensione geostatica orizzontale (σho);

–       modulo di deformazione al taglio da cicli scarico/ricarico (GUR);

–       pressione a rottura dei terreni (ρLM).

 

Di fatto misurare la pressione orizzontale si rivela operazione complessa a causa del disturbo che la perforazione induce nella cavità: unicamente a mezzo di prove con pressiometro autoperforante appare possibile limitare tali effetti. Tuttavia, laddove la prova pressiometrica è molto diffusa (Francia et al.) l’osservazione del comportamento dei manufatti ha consentito di elaborare una serie di applicazioni dirette dei risultati della prova al calcolo delle fondazioni sia superficiali che profonde nonché alla valutazione dei cedimenti.

Per quanto riportato in seguito si fa riferimento al documento “European Prestandard” ENV 1997-3 così come per l’utilizzo diretto dei risultati della prova Mènard si fa riferimento al “Cahier 62” delle norme francesi AFNOR.

 

4.7.1 – Attrezzature di prova (Fig. 4.68)

 

Le attrezzature pressiometriche sono raggruppabili in 4 tipi:

 

– MPM (Mènard Pressure-Meter): tipico test Ménard;

– PBP (Pre Borea Pressuremeter);

Ambedue le prove vengono eseguite entro un foro-prova predisposto.

– SBP (Self Boring Pressuremeter) inserito nel terreno mediante dispositivo autoperforante con tagliente all’estremità inferiore in grado di rimuovere il terreno pre-profilando il foro di prova, installando contemporaneamente la sonda.

– FDP (Fall Displacement Pressuremeter): la sonda pressiometrica dispone di una parte conica all’estremità inferiore che permette di essere fatta penetrare per spinta nel terreno, creando così il foro di prova.

Anche l’attrezzatura MPM, sotto talune condizioni, può venire infissa a percussione nel terreno.

Le sonde PBPSBP e FDP assumono diverse forme, motivo per cui la descrizione richiede vengano esplicitati il metodo di perforazione assieme al sistema di misura.

Di norma, le prove vengono eseguite con 2 procedure facendo riferimento allo standard operativo:

 

– 1 procedura utile a ricavare il Modulo Pressiometrico (Em) e la Pressione Limite (ρLM) ovvero valori utilizzabili nella progettazione (Fig. 4.69);

– 1 procedura utile a ricavare taluni parametri geotecnici tra i quali: rigidità e resistenza del terreno in situ.

Fig. 4.68 – Schema della Prova Pressiometrica.

 

4.7.1.1 – Correzione dei dati delle prove pressiometriche

 

La pressione applicata deve essere convertita in termini di sforzo (correzione per la resistenza della membrana): utilizzando, infatti, un pressiometro con misura dello spostamento radiale, le letture dello spostamento vanno convertite in deformazione della cavità e, se la prova è in rocce alterate, corrette per la compressione e il conseguente assottigliamento della membrana.

 

Fig. 4.69 – Calcolo dei valori del modulo pressiometrico (Em) e della pressione limite (ρLM) per una prova MPM.

Se, viceversa, viene utilizzato un pressiometro con misura delle variazioni di volume (Mènard) le letture di volume devono essere corrette per le deformazioni di volume del complesso dell’attrezzatura.

 

4.7.2 – Prova con Pressiometro Mènard (MPM)

 

4.7.2.1 – La sonda pressiometrica

 

La sonda pressiometrica realizzata da Mènard è costituita da una cella centrale piena d’acqua collegata a un serbatoio in superficie (separatore aria-acqua) e da 2 celle laterali con funzioni di contenimento. La pressione viene fornita da gas neutro (aria o N) e la variazione di raggio del foro, conseguente all’espansione della membrana centrale, viene ottenuta indirettamente misurando la variazione di volume dell’acqua nella cella centrale.

Le 2 celle laterali (o di guardia), dotate anche queste di membrana elastica, vengono espanse mediante pressione di gas o acqua tramite un circuito indipendente dal primo (cella centrale di misura).

Lo scopo delle celle laterali è quello di evitare che la cella centrale possa espandersi in direzioni diverse dalla radiale. Alle celle laterali viene fornito gas alla medesima pressione della cella centrale. Quando le stesse sono riempite d’acqua la pressione si rivela identica a quella della cella centrale (di misura); se le celle laterali si espandono col solo gas, la pressione effettiva risulta, di norma, minore di quella della cella centrale causa l’assenza del carico idrostatico.

Fig. 4.70 – Schema del pressiometro Mènard.

La Fig. 4.70 mostra lo schema di un pressiometro MPM. L’unità di misura delle variazioni di volume si trova in superficie ed è collegata alla sonda mediante 2 tubi coassiali: quello interno reca il fluido alla cella centrale mentre nello spazio anulare fra i 2 tubi viene immesso il fluido per le 2 celle di guardia. Mediante tale accorgimento si riduce al minimo la correzione di volume dovuta all’espansione del sistema allorché soggetto alle crescenti pressioni nel corso della prova.

E’ da segnalare come debba essere dedicata una grande attenzione alla scelta delle modalità di perforazione della tasca di prova per l’installazione della sonda, in quanto nessuna tecnologia d’avanguardia o raffinata metodologia interpretativa può compensare dei dati qualitativamente scadenti.

Operativamente, infatti, si deve procedere a una corretta installazione della sonda, posizionamento che si rivela quasi sempre differente da quello relativo ad una normale perforazione a scopo geotecnico. Nel caso del pressiometro, infatti, è la parete del foro a subire il minor disturbo anziché il fondo del foro. L’esame in situ delle curve pressione-volume relative al tipo di prova consente così di valutare se il foro è risultato sovra o sotto dimensionato rispetto al Ødella sonda pressiometrica consentendo d’intervenire in loco modificando metodi e/o parametri di perforazione.

In Fig. 4.71 sono esposte 3 curve-tipo ottenute con prove MPM.

Fig. 4.71 – Influenza della preparazione del foro sui risultati di una prova MPM.

4.7.2.2 – Perforazione per l’installazione della sonda

 

Mènard ha stabilito numerosi metodi d’installazione della sonda MPM con l’intento di:

 

–       ampliare il più possibile il campo d’applicabilità della prova;

–       ottenere sempre più dati qualitativamente significativi.

 

Per effettuare prove in ghiaie non autosostenute né perforabili con gravi-rotazione a fango, Mènard suggerisce d’inserire nel terreno (percussione o vibrazione) un tubo d’acciaio con fresature longitudinali per consentirne la dilatazione, attrezzato con punta conica terminale.

Il tubo viene infisso dal fondo mediante una batteria d’aste poggiante direttamente sulla punta conica: al termine dell’operazione la batteria viene estratta facendo successivamente discendere la sonda pressiometrica posizionandone il centro sonda al centro del tratto fresato.

I risultati di una prova eseguita con tale metodologia, tuttavia, possono essere utilizzati solo qualitativamente in quanto percussione e vibrazione inducono disturbi al terreno circostante alterando sostanzialmente le proprietà del terreno.

I metodi più utilizzati per l’esecuzione del foro atto a installare la sonda MPM, sono:

 

–       rotazione con carotaggio;

–       rotazione a distruzione di nucleo;

–       campionamento a pressione;

–       autoperforazione con o senza sonda applicata direttamente al dispositivo di avanzamento.

 

4.7.2.3 – Interpretazione dei risultati

 

In taluni paesi (Francia, GB, USA etc.) si utilizzano i dati delle prove pressiometriche (in generale di tipo Mènard) per calcolare la capacità portante di fondazioni superficiali (dirette) e profonde (su pali) nonché i cedimenti verticali e gli spostamenti orizzontali delle opere di sottofondazione.

Nel nostro paese le prove pressiometriche vengono richieste soprattutto per la definizione delle caratteristiche di deformabilità dei materiali molto consistenti o difficili dove, cioè, torna difficile prelevare campioni indisturbati di elevata qualità per prove di laboratorio.

 

4.7.2.3.1 – Modulo Pressiometrico (Eme Pressione Limite (ρLM)

 

L’Eurocodice prescrive di ricavare questi due parametri dalle curve pressiometriche MPM (Fig. 4.69) dove la pressione limite ρLM è definita quale pressione richiesta per raddoppiare il volume totale della cavità dal punto (pt,Vt) del grafico.

La pressione pt è quella dove: d(ΔV)/dp è minimo e Vt è il corrispondente valore di volume immesso. Vc è il volume della sonda pressiometrica scarica (alla pressione atmosferica).

Operativamente si disegna il grafico della curva pressiometrica corretta con le pressioni (in ascissa) e i volumi (in ordinata) immessi nella cavità.

Sotto questo grafico se ne traccia un secondo con in ascissa ancora le pressioni nella medesima scala del precedente e in ordinata il rapporto d(ΔV)/dp tra le variazioni di volume e le corrispondenti variazioni di pressione (letture ai 60” di ciascun gradino di carico): in corrispondenza del minimo di questo secondo grafico si legge la pressione pr ed in corrispondenza di quest’ultima si legge sul primo grafico il valore Vr. Sommando al valore di Vr quello di Vc si va a trovare sulla curva pressiometrica o sul suo ipotetico prolungamento il valore della pressione limite.

Il Modulo Pressiometrico Em viene calcolato con la formula:

 

Em = 2.66 V (Δp/ΔV)

 

dove V = Vr + VcΔp si ottiene tracciando sul 2° grafico una retta orizzontale in corrispondenza del valore minimo d(ΔV)/dp moltiplicato per 1.2.

Seguendo la costruzione illustrata nella Fig. 4.69 si determinano facilmente l’intervallo Δp ed il corrispondente ΔV da introdurre nella relazione.

 

4.7.2.3.2 – Pressione Limite – Metodo della retta log ΔV/V = 1

 

Il metodo viene utilizzato nell’elaborazione delle prove SBP ed FDP eseguite a deformazione controllata. Diagrammando le coppie di valori corretti:

 

p = f(log ΔV/V)

 

ottenuti con una prova pressiometrica, questi si dispongono, dopo un tratto iniziale curvilineo, lungo una retta il cui prolungamento fino al valore log ΔV/V = 1consente di valutare la pressione limite ρLM corrispondente (Fig. 4.72).

Fig. 4.72 – Stima della pressione limite ρLM per estrapolazione del rapporto ΔV/V espresso in scala logaritmica in funzione della pressione nella cavità.

4.7.2.3.3 – Pressione limite – Metodo della retta inversa

 

Questo metodo viene utilizzato nell’elaborazione delle prove SBP ed FDP eseguite a deformazione controllata come in precedenza. Per valutare il valore di ρLM si traccia il grafico:

 

P = f(1/εc)

dove εc è la deformazione della cavità.

oppure: 1/[100(ΔR/R)] dove R è il raggio della cavità. II valore della ρLM corrisponde all’intercetta 1/εc = 0, e cioè:

εc   (Fig. 4.73)

 

II valore di ρLM ottenuto col metodo della retta inversa è ritenuto corrispondere al limite inferiore della ρLM mentre quello della retta log ΔV/V = 1 corrispondere al limite superiore del valore di ρLM.

Fig. 4.73 – Stima della pressione limite ρLM per estrapolazione fino allo 0 del valore inverso della deformazione

della cavità(1/εc) in funzione della pressione.

4.7.2.4 – Argille:valutazione del modulo di taglio (G)

 

II Modulo di Taglio di un’argilla è una misura delle sue caratteristiche di deformazione elastica; la sua conoscenza consente di stimare la Compressibilità ed il Modulo di Young.

E’ possibile stimare un modulo iniziale tangente (Gi) dalla pendenza iniziale della curva pressione-deformazione o pressione-volume (Fig. 4.74).

Fig. 4.74 – Determinazione del Modulo iniziale tangente della curva pressione-deformazione della cavità pressiometrica in argille.

Si rivela tuttavia meglio affidabile misurare il Modulo di Taglio GUR (unload-reload) dalla pendenza media dell’asola di un ciclo scarico-ricarico eseguito nel corso della prova; e ciò per garantirsi di operare in una fase di comportamento elastico del terreno in prova.

Si sceglie, così, l’inizio dello scarico quando la prova ha superato il tratto a comportamento elastico; l’ampiezza del gradino di scarico-ricarico non deve essere superiore a 2SU, dove SU è la resistenza al taglio non drenata dell’argilla in prova.

Il Modulo di Taglio tangente (Gi) viene misurato sul grafico delle curve pressiometriche secondo quanto segue:

Curva pressione (p)-volume della cavità (V): Gi = V0 (Δp/ΔV)

Curva pressione (p)-deformazione cavità (εc): Gi = 0.5 (Δp/Δεc)

 

Dalla curva pressione-deformazione della cavità: p = f(εc) viene stimato anche un modulo secante (GS) riferito a un determinato valore di deformazione εc(supponendo εc = 0.5γ valore della deformazione di taglio nella cavità):

GS(εc) = 0.5 (Δp/Δεc)

Nelle Figg. 4.75 e 4.76 vengono proposti esempi di stime del Modulo di Taglio tangente da prove eseguite col pressiometro MPM e col pressiocono FDP.I valori del modulo tangente misurati col pressiometro risultano più elevati di quelli misurati in laboratorio con le prove TX mentre sono in buon accordo con quelli ricavati da prove di carico su piastra di grande diametro. Anche i valori del modulo secante (GS) misurati col pressiometro autoperforante SBP risultano più elevati di quelli ottenuti con prove TX e tanto più elevati (da 4 a 10 volte) quanto maggiore è il grado di sovraconsolidazione dell’argilla. Nelle argille tenere il valore misurato con il pressiometro SBP risulta da 1 a 3 volte maggiore rispetto a quello ottenuto dalle prove TX.

Col pressiometro FDP è opportuno misurare il modulo tangente da un ciclo di scarico-ricarico (GUR) ottenuto nella fase di scarico della prova pressiometrica (Fig. 4.76).

Fig. 4.75 – Curva MPM eseguita su argilla con stima dei moduli di taglio Gi e GUR.

Fig. 4.76 – Curva FDP in argilla con stima del moduli di taglio GUR ottenuto da un ciclo scarico-ricarico.

4.7.2.5. Argille: tensione orizzontale in sito (σho)

 

Si tratta di un parametro importante per risalire al valore della spinta a riposo (ko) ma difficilmente misurabile sia in situ che in laboratorio. La prova pressiometrica, eseguita con strumento autoperforante SBP o col tipo MPM, è una delle poche che consentano una valutazione diretta di tale parametro. Vari metodi permettono di dedurre il valore di σho dai risultati della prova pressiometrica:

 

–       il metodo del distacco, applicabile solo con prove SBP;

–       il metodo dell’iterazione grafica, applicabile anche a prove MPM;

–       il metodo grafico per la valutazione delle condizioni iniziali di riferimento.

 

Tutti queste metodologie richiedono, oltre ad attenzione ed esperienza, numerosi calcoli iterativi.

Per di più, non sempre la curva pressiometrica consente un’interpretazione attendibile.

Una valutazione di σho col metodo della pressione di distacco (SBP) è esposta in Fig. 4.77, dove viene rappresentata, in scala ampliata, la fase iniziale della prova. La valutazione viene effettuata analizzando lo spostamento di ciascuno dei bracci dello strumento.

Fig. 4.77 – Stima della pressione orizzontale σho dell’argilla col metodo della pressione di distacco (SBP).

4.7.2.6 – Argille: Resistenza al taglio non drenata (SU)

 

La resistenza al taglio non drenata di un’argilla non è un valore intrinseco di un dato terreno poiché dipende anche dalle condizioni in cui il taglio avviene (rapporto fra gli sforzi nelle 3 direzioni). Le resistenze misurate con prove pressiometriche devono, di conseguenza, essere paragonate solo a quelle ottenute in laboratorio con prove di taglio in condizioni di deformazione piana a seguito di consolidazione anisotropa. Operativamente, tuttavia, il valore di SU viene spesso assunto come intrinseco di un terreno e vengono direttamente confrontati i dati ottenuti anche da prove molto diverse. Una stima della resistenza al taglio da prove pressiometriche viene ottenuta coi seguenti 2 metodi:

 

–       dalla pendenza della retta p = f [log (Δp/ΔV)]

–       dalla interpretazione della curva pressiometrica.

 

4.7.2.6.1 – Stima di SU dalla pendenza della curva p = f [log (Δp/ΔV)]

 

Si parte dall’assunto che l’argilla tenga un comportamento elastico-perfettamente plastico con un coefficiente di Poisson v = 0.5. Le coppie di punti (pressione, ΔV/V) ottenuti con la prova vengono diagrammati con ΔV/V in scala logaritmica naturale.

La pendenza della retta che meglio approssima i punti per regressione lineare fornisce il valore di SU del terreno in corrispondenza delle pareti della cavità (Fig. 4.78).

Fig. 4.78 – Stima della resistenza al taglio non drenata SU dell’argilla dalla pendenza della retta p = f [log (Δp/ΔV)].

Un andamento curvilineo, sempre con ΔV/V in scala logaritmica (Fig. 4.79) indica un terreno con resistenza minore a grandi deformazioni, caratterizzato da un valore massimo (di picco) e da un valore finale inferiore (residua).

Fig. 4.79 – Stima della resistenza al taglio non drenata SU dell’argilla dalla pendenza della retta p = f [log (Δp/ΔV)] con andamento della resistenza variabile da SU di picco a SU residua. a) curva p = f [log (Δp/ΔV)]; bSU dedotta.

4.7.2.6.2 – Stima di SU col Metodo dell’interpretazione della curva

 

Il metodo si fonda sull’assunzione che un’argilla a comportamento elastico-perfettamente plastico non cambi di volume quando raggiunge lo stato plastico per effetto degli sforzi di taglio (condizione non drenata). Si suppone inoltre che entro un’argilla uniforme, qualora sottoposta a sforzo di taglio per espansione cilindrica della cavità, ad una determinata velocità di deformazione ogni elemento di terreno corrispondente agli infiniti raggi sia soggetto a deformazioni del medesimo tipo differenti solo nell’intensità (deformazione di taglio piana in assenza di deformazioni parallele all’asse della cavità).

I diversi elementi di terreno corrispondenti ai vari raggi vengono, perciò, a trovarsi lungo la curva sforzo di taglio-deformazione di taglio tipica dell’argilla (Fig. 4.80).

Da questa teoria si ricava che per piccoli valori della deformazione della cavità (εc), lo sforzo di taglio (τ) :

τ = εc (Δp/Δεc)

espressione che consente di costruire la curva sforzi: deformazioni da quella pressioni: deformazioni mediante la costruzione della sottotangente (Fig. 4.81).

 

Fig. 4.80 – a) elementi di terreno a differenti distanze dalla cavità in espansione; b) posizione dei medesimi sulla curva sforzi-deformazione.

Il metodo può essere adottato in terreni uniformi e con prove in cui il disturbo della cavità sia molto piccolo (SBP); e particolarmente nelle argille OC dove la resistenza al taglio massima viene mobilitata a piccole deformazioni. Il metodo, tuttavia, porta a sovrastimare la resistenza al taglio tanto più quanto maggiore è il disturbo iniziale del foro, risentendo inoltre della precisione delle misure (effettuate fra piccoli intervalli di deformazione).

Fig. 4.81 – Costruzione della curva sforzi-deformazione dalla curva pressiometrica col metodo della sottotangente.

Nella Fig. 4.82 sono riportati esempi di valori SU dedotti da prove eseguite a differenti profondità in 3 argille e confrontati con quelli misurati o stimati da altre prove in situ e di laboratorio. Il valore di SU misurato, come osservabile, è quasi sempre il più alto fra quelli ottenibili con altre prove venendo quindi adottato con criteri prudenziali.

Fig. 4.82 – Valori di resistenza al taglio (SU) ottenuti su 3 argille con prove SBP e altri metodi.

4.7.2.7 – Prove pressiometriche su Sabbie

 

In teoria la prova pressiometrica permetterebbe la stima di taluni parametri di un terreno granulare non coesivo e permeabile, e cioè:

 

–       il modulo di taglio: (Gi,GUR)

–       lo sforzo orizzontale totale in situ: (σho)

–       l’angolo d’attrito massimo in sforzi efficaci: (φ’)

–       l’angolo di dilatanza: (ψ).

 

Operativamente, tuttavia, a causa della sensibilità delle formazioni sabbiose al disturbo connesso all’inserimento della sonda nonché a motivo di una non ancora soddisfacente trattazione analitica del fenomeno di formazione e deformazione della cavità in presenza delle variazioni di volume tipiche dei terreni permeabili; solo il modulo di taglio fornisce valori paragonabili a quelli ottenuti in laboratorio e da altre prove in situ.

 

4.7.2.7.1 – Sabbie: Modulo di Taglio

 

II modulo di taglio G può essere ricavato dalla curva pressione-volume ottenuta con la prova pressiometrica (valori corretti) secondo la già incontrata espressione:

 

G = 0.5 (Δp/Δεc)

 

E’ infatti possibile, allo stesso modo che per le argille, determinare un modulo di taglio iniziale (Gi) dove anche la sabbia mostra un comportamento elastico, oppure un modulo (GUR) dall’asola di un ciclo scarico-ricarico ipotizzando (con sufficiente approssimazione) che la sabbia mantenga anche in questo caso un comportamento elastico.

Poiché utilizzando pressiometri che agiscono in preforo (MPM) o elementi infissi a pressione (FDP) il valore del modulo iniziale è troppo influenzato dal disturbo connesso al metodo d’installazione della sonda, viene consigliata, di norma, l’esecuzione di uno o più cicli di scarico-ricarico.

Il grafico in Fig. 4.83 riporta i risultati di una prova eseguita col pressiometro MPM in una sabbia residuale: nel calcolo il valore del modulo iniziale è risultato pari a Gi =1.28 MN/m2 mentre quello ricavato nell’asola ha prodotto GUR = 8.95 MN/m2 (7 volte maggiore).

Fig. 4.83 – Valori dei moduli di taglio Gi e GUR in sabbie residuali da prova MPM.

Come per le argille, allora, l’ampiezza del gradino di scarico deve risultare una frazione della pressione efficace nella cavità all’inizio del ciclo, assumendo che l’ampiezza del tratto a comportamento elastico (Δp) coincida coi limiti tra rottura attiva e passiva della legge di Mohr-Coulomb. Una stima a questo proposito dei moduli GUR ricavati da una prova con pressiometro FDP è mostrata in Fig. 4.84 dove il valore del modulo tende ad aumentare con la deformazione.

Fig. 4.84 – Stima dei moduli di taglio ottenuti da cicli scarico-ricarico in sabbie sciolte da prova FDP.

Tale incremento del modulo viene giustificato tenendo presente come in una prova pressiometrica drenata il livello dello sforzo efficace non permanga costante durante la prova ma aumenti con l’aumentare dell’espansione e che la resistenza di una sabbia sia proporzionale al livello dello sforzo efficace.

 

4.7.2.7.2 – Sabbie: angoli di attrito e di dilatanza (φ’,ψ)

 

Per quanto concerne il calcolo degli angoli d’attrito e di dilatanza il metodo attualmente più diffuso é quello di Hughes; tale approccio considera che, dopo una fase iniziale di deformazione elastica, la rottura della sabbia segua il criterio di Mohr-Coulomb (Fig. 4.85) con mobilitazione dell’angolo di attrito drenato (φ‘).

Fig. 4.85 – Schema di rottura drenata secondo il criterio di Mohr-Coulomb con mobilitazione dell’angolo di resistenza al taglio drenato (φ‘).

Al momento della rottura, in corrispondenza di ogni raggio, gli sforzi radiali (σr’) e circonferenziali (σθ’) sono legati dalla relazione di Hughes:

 

σr’/σθ’ = (1+sen φ‘)/(1-sen φ‘)

 

Qualora una sabbia venisse sottoposta a rottura per taglio essa mostrerebbe un valore dell’angolo d’attrito in costante aumento fino al valore di picco (φp‘) nel caso di sedimento sciolto (Fig. 4.86a) oppure una diminuzione dopo il valore di picco fino ad un termine a volume costante, o valore dello stato critico, (φcv‘) ne! caso di terreno a grana media o addensata (Fig. 4.87a).

La sabbia sciolta continuerebbe a contrarsi (diminuzione di volume) durante tutta la deformazione, dove la deformazione volumetrica si rivelerebbe sempre negativa (Fig. 4.86b).

La sabbia media o densa, viceversa, si contrarrebbe fino al valore dello stato critico (φcv‘) per poi dilatarsi portando la deformazione volumetrica (V) a divenire positiva (Fig. 4.87b).

 

 

Fig. 4.86 – Andamenti tipici (sabbia sciolta) della resistenza al taglio dell’angolo di dilatanza: a) angolo d’attrito per taglio a volume costante (φcv‘); b) angolo di dilatanza (ψ) mobilitato con la deformazione di volume.

Fig. 4.87 – Andamenti tipici (sabbiaa grana media e densa) della resistenza al taglio dell’angolo di dilatanza: a) angolo d’attrito per taglio a volume costante (φcv‘); b) angolo di dilatanza (ψ) mobilitato con le deformazioni di volume.

L’angolo di dilatanza (ψ) è dato da:

sen ψ =  dV/

essendo γ la deformazione di taglio.

Operativamente:

V = c  γ sen ψ

dove c è l’intercetta del prolungamento del tratto rettilineo sull’ordinata (y = 0) (Fig. 4.87b).

La relazione che lega ψφ‘ e σho’ è la seguente:

 

 

Quando inizia fa rottura della cavità:

(p-Uo) = σho’(1+sen φ‘)

 

nella quale p è la pressione contro la parete, Uo è la pressione nei pori in sito (idrostatica) e σho’ è lo sforzo orizzontale efficace.

E’ stato inoltre dimostrato che, dall’inizio della rottura, fra la pressione nella cavità e la deformazione esiste la relazione semplificata:

 

 

nella quale A è una costante e c l’intercetta prima definita.

L’equazione significa che diagrammando in scala logaritmica entrambi i valori (p-Uo) e (εc+c/2) si ottiene una retta con pendenza s. Ma essendo:

 

 

e tenendo presente la relazione generale si ricavano le espressioni:

 

La conoscenza di φ‘ e ψ richiede allora, oltre al calcolo di s, anche la stima del valore di φcv‘ che può essere dedotto da prove di taglio piano o, seppure con grande approssimazione, essere assunto pari a 35° (valore medio). In Fig. 4.88 è riportato un nomogramma che lega i 4 parametri ψφ’, s e φcv’.

Fig. 4.88 – Nomogramma di correlazione tra i diversi parametri che governano la resistenza al taglio delle sabbie:

ψ angolo di dilatanza, φ’ angolo d’attrito efficace drenato, φcv’ angolo d’attrito a volume costante

s pendenza del tratto rettilineo della relazione log(p-Uo)/log(εc+o.5c).

 

4.7.2.8 – Rocce tenere

 

La prova pressiometrica viene utilizzata anche per la determinazione di alcuni parametri caratteristici delle rocce tenere. Dalla Tab. 4.10, infatti, si ricava che nelle rocce tenere comprese nella categoria B neppure le prove di laboratorio forniscono risultati corretti in quanto la natura dell’ammasso non si presta a carotaggi di buon livello.

Tab. 4.10 – Categoria delle rocce tenere ai fini delle prove.

La Tab. 4.11 mostra la scala delle resistenze a rottura mediante compressione semplice per la definizione del campo in cui si collocano le rocce tenere. In quest’ultima tabella è riportato anche il criterio di distinzione proposto da Morgenstern & Eigenbrod fra argille e argilliti con l’introduzione di una zona di transizione all’interno della quale il materiale viene definito argilla (terreno) o argillite (roccia) in relazione alla perdita di resistenza per rammollimento (terreno→ perdita > 60%; roccia →perdita < 40%)

Tab. 4.11 – Scale di resistenza per la classificazione delle rocce. ΔSU rappresenta la perdita di resistenza al taglio

non drenata per rammollimento a seguito d’immersione in acqua.

II dispositivo maggiormente impiegato nelle rocce tenere è quello di Mènard (MPM); gli altri tipi, come per i terreni, richiedono comunque la formazione di un preforo.

L’utilizzo del pressiometro nelle rocce tenere è riservato quasi esclusivamente alla stima del modulo elastico, valutazione che può essere tentata solo in quegli aggregati che presentano un comportamento analogo a quello delle argille sature, ossia che si deformino a volume costante.

A tale tipo di rocce appartengono le argilliti, le marne e le siltiti. Lo sforzo orizzontale esistente in sito può essere, inoltre, ottenuto solo in taluni casi e in ogni caso, contrariamente a quanto avviene per i terreni, non esistono altri sistemi di misura in situ del parametro σho per cui i valori ottenuti non possono essere paragonati con quelli ottenuti per altre vie. In molte rocce, infine, a causa dell’excursus geologico, lo sforzo orizzontale può variare frequentemente di direzione col variare della profondità. Il metodo di stima del valore di σho nelle rocce tenere è comunque congruo a quello descritto per le argille.

 

4.7.2.8.1 – Rocce tenere: Modulo di Taglio e Modulo di Young

 

Come per le argille viene determinato un modulo Gi nel tratto a comportamento elastico (rettilineo) della curva d’espansione quindi il modulo GUR quando nel corso della prova siano stati eseguiti uno o più cicli di scarico-ricarico. Vengono utilizzate le relazioni già indicate per le argille, e cioè:

 

Gi = 0.5 (Δp/Δεc)

Gi = Vo (Δp/ΔV)

 

In Fig. 4.89 sono mostrati i due metodi di calcolo. Nell’eseguire un ciclo scarico-ricarico l’entità del gradino viene di norma scelta pari al 25% della pressione raggiunta al momento dello scarico; e questo per evitare che si verifichi una rottura inversa unita a isteresi e non linearità. In Fig. 5.90 è illustrata una prova MPM eseguita in una siltite tenera. Il modulo Gi è risultato pari a 495 MN /m2 mentre il modulo GUR a 630 MN/m2 generando un rapporto GUR/Gi pari a 1.27.

I moduli G misurati con la prova vengono espressi come Moduli di Young presupponendo l’assunzione del valore del coefficiente di Poisson (v) in quanto:

 

E = 2G(1+v)

 

Assumendo allora il valore del coefficiente di Poisson (v) è possibile calcolare Ep dal valore di Gi ed E dal valore di GUR (modulo di taglio da ciclo di scarico-ricarico).

Fig. 4.89 – Stima del modulo di taglio iniziale e da cicli di scarico-ricarico da curve pressiometriche in rocce tenere.

(Ro = raggio iniziale; R = raggio della cavità alla deformazione εcpo = pressione corrispondente al volume Vo della cavità originale (o del foro).

Fig. 4.90 – Prova MPM in siltite tenera con stima dei Moduli di Taglio.

Dei 3 moduli indipendenti che si riferiscono alle corrispondenti modalità di taglio a volume costante va tuttavia ricordato che quello misurabile col pressiometro è unicamente quello relativo al taglio nel piano orizzontale; la scelta del coefficiente di Poisson (assieme al valore del modulo di Young ottenutone) deve, di conseguenza, tener conto di tale fatto laddove l’ammasso presenti evidenti anisotropie comportamentali.

 

4.7.2.8.2 – Rocce tenere: pressione limite

 

La pressione limite ρLM, viceversa, può essere valutata per estrapolazione coi metodi già descritti per le argille solo in quelle rocce tenere in cui si verifica durante la prova una deformazione plastica nella zona adiacente alla sonda pressiometrica. La metodologia, di conseguenza, risulta applicabile solo alle formazioni per le quali è ipotizzabile una deformazione a volume costante durante una prova non drenata come avviene per le argille sature e in questo caso solo le argille preconsolidate, argilliti, siltiti e marne presentano tali requisiti.

In rocce molto permeabili o fortemente fratturate non viene, di norma, richiesta la stima della resistenza al taglio e, comunque, il loro comportamento durante l’espansione della cavità non consente di applicare i metodi interpretativi utilizzati per le argille.

In Fig. 4.81 è mostrato il metodo di valutazione della resistenza al taglio SU intesa come pendenza del tratto rettilineo della curva p = f log(ΔV/V). Tale metodo, come per le argille, viene preferito rispetto a quello che deriva SU dalla stima della pressione limite in quanto non richiede complicazioni di calcolo prescindendo dalla conoscenza del valore di G.

Fig. 4.81 – Prova MPM in una siltite tenera con stima della resistenza al taglio SU.

 

4.7.2.9 – Utilizzo dei risultati nei calcoli geotecnici

 

Calcolo della capacità portante di fondazioni dirette

 

La capacità portante viene calcolata dalla relazione:

 

R/A‘ = σvo + k (ρLM – pO)

 

nella quale R è la capacità portante della fondazione nei confronti dei carichi, A‘ l’area di base efficace (secondo la norma ENV 1997-1), σvo lo sforzo verticale totale iniziale alla quota della base della fondazione, ρLM la pressione limite ottenuta con prova MPM rappresentativa del terreno alla base della fondazione, pO = [Ko (σvo-u)+u] con Ko convenzionalmente uguale a 0.5 e u pressione nei pori alla quota della prova, k fattore della capacità portante (→ Tab. 4.12), B la larghezza della fondazione, L lunghezza della fondazione e De la profondità equivalente della fondazione.

Tab. 4.11 – Valori del fattore di capacità portante k per le fondazioni dirette da prove MPM.

Calcolo dei cedimenti (sdi fondazioni da prove MPM

 

I cedimenti vengono calcolati utilizzando la relazione:

 

s = (q-σvo) [(2Bo/9Ed) (λdB/Bo)α+(αλcB/9Ec)]

 

nella quale Bo è una larghezza di riferimento pari a 0.6 m, B la larghezza della fondazione, λd e λc fattori di forma (→ Tab. 4.12), α è il fattore reologico (→ Tab. 4.13), Ec è il valore di Em immediatamente al di sotto della fondazione, Ed la media armonica di Em dei terreni compresi fino a 8B sotto la fondazione, σvo lo sforzo verticale totale(iniziale alla quota di base della fondazione, q la pressione normale di progetto applicata alla fondazione.

Tab. 4.12 – Coefficienti di forma λd e λc per il calcolo dei cedimenti di fondazioni dirette da prove MPM.

Tab. 4.13 – Valori derivati del coefficiente α per fondazioni dirette da prove MPM.

Calcolo della resistenza a rottura (Qdi pali da prove pressiometriche MPM

 

La resistenza a rottura viene valutata dalla relazione:

 

Q = A k (ρLM-po)+(qsi zi)

 

nella quale A è l’area di base del palo, uguale all’area reale per pali a punta chiusa ed a parte di quell’area per pali a punta aperta, ρLM il valore rappresentativo della pressione limite (pressiometrica) alla base del palo corretta per eventuali strati deboli sottostanti, po = Ko (σvou)+u con Koconvenzionalmente uguale a 0.5σvo è lo sforzo verticale totale alla quota della prova, u la pressione nei pori alla quota della prova, k un fattore derivato di capacità portante (→ Tab. 4.14), P il perimetro del palo, qsi la resistenza laterale unitaria di uno strato generico i (→ Fig. 4.82 letta con l’ausilio della Tab. 4.15) e Z lo spessore dello strato generico i.

 

 

Tutti le tabelle inserite nonché le formulazioni di riferimento provengono dal Cahier ANFOR 62 a propria volta ripreso dall’EuroCode 7.

 

 

Tab. 4.14 – Valore del fattore di capacità portante k da prove MPM.

Tab. 4.15 – Scelta delle curve di progetto (in Fig. 4.82) per stimare la resistenza laterale unitaria di pali da prove MPM.

Fig. 4.82 – Grafico per la stima della resistenza laterale dei pali in funzione della pressione limite ρLM.

4.8 – Prova dilatometrica in roccia (EDT)

 

Proseguendo nel panorama delle prove riservate all’analisi delle rocce il presente test definisce l’equivalente della prova pressiometrica vista in precedenza eseguita, tuttavia, tramite attrezzature atte a misurare piccole deformazioni immettendo pressioni più elevate necessarie a determinare le caratteristiche sforzi-deformazioni degli ammassi rocciosi.

Il dispositivo viene definito come dilatometro flessibile ad alta prestazione per misure in roccia. Le tipologie di tali attrezzature sono:

 

–       strumentazione che misura le variazioni del diametro in base al volume di fluido immesso nel circuito di pressurizzazione (tipo Rodio). Tale tipologia viene di norma utilizzata unicamente per misure in terreni duri o rocce tenere;

–       strumentazione che misura le variazioni raggio/diametro interni della guaina flessibile a mezzo trasduttori di spostamento;

–       strumentazione che misura direttamente la variazione raggio/diametro del foro con trasduttori di spostamento posti a contatto con la roccia (tipo ISMES) attraverso inclusi metallici inglobati nella gomma della membrana flessibile (Fig. 4.83).

Fig. 4.83 – Dilatometro per prove in roccia tipo c) con trasduttori operanti direttamente sulla parete del foro.

La misura della pressione applicata alla roccia viene misurata con manometri in superficie o con trasduttori di pressione elettrici inseriti nella sonda dilatometrica. Questi ultimi consentono di eliminare la correzione dovuta alla colonna di liquido compresa tra il manometro ed il centro della sonda. A tutto ciò fa eccezione il metodo di pressurizzazione attuato con gas inerte (N) che non richiede correzioni ma, in prove ad elevata profondità, richiede determinati tempi per la stabilizzazione della pressione.

I modelli descritti sono definiti flessibili poiché applicano una pressione uniforme alle pareti della tasca cilindrica di prova realizzata con la perforazione; differiscono cioè dai dilatometri rigidi (fissili) del tipo Goodman Jack (Slope Indicator), nel quale 2 piastre d’acciaio semicilindriche e rigide vengono spinte contro la parete del foro.

Il volume di roccia interessato da una prova è limitato (~0.2÷0.3 m3) oltre che del tutto insufficiente per l’applicazione diretta dei risultati ai fini progettuali. Si rende necessario, di conseguenza, disporre di diverse prove nella medesima formazione rocciosa, specialmente se la stessa è ricca di giunti di strato.

Si rammenta che coi dilatometri di tipo b) occorre correggere le misure delle variazioni di raggio/diametro per considerare la compressione della membrana quando si dilata leggendo la pressione misurata per tener conto della rigidezza della membrana, ovvero della pressione necessaria per dilatarla alla pressione atmosferica.

La prova (Rock Dilatometer Test) è compresa nell’EuroCode 7 – ENV 1997-3.

 

4.8.1 – Procedura di prova

 

Usufruendo di un’attrezzatura che misuri le variazioni di volume in superficie (e non direttamente le variazioni di diametro a livello sonda) deve essere eseguita una taratura per determinare la rigidezza del sistema (MS) quando sottoposto alle varie pressioni.

Usufruendo, viceversa, di attrezzature che utilizzino un fluido per dilatare la sonda il circuito e la sonda devono essere collegati tra loro e riempiti completamente di olio idraulico prima della taratura.

Una volta proceduto alle taratura per la rigidezza della membrana e/o per la compressione della medesima (standard variabili da modello a modello) si prosegue con la perforazione del tratto di prova, azione cui deve essere rivolta la massima cura per quanto attiene alla stabilità delle pareti del foro.

 

Esecuzione della prova

 

La membrana flessibile, come per i terreni. viene espansa fino al contatto con la parete della tasca di prova, contatto caratterizzato da un improvviso aumento della pressione. Successivamente la pressione viene aumentata fino ad un valore entro 2÷5% della pressione massima attesa.

Partendo da questa pressione la roccia viene poi caricata con incrementi di pressione per gradi, ciascuno per un tempo entro 1÷3’, annotando i valori della pressione e della dilatazione diametrale o radiale della tasca di prova.

Le procedure di prova solitamente utilizzate sono 2:

 

–       con incrementi per successivi gradini di carico con cicli di scarico-ricarico;

–       per incrementi continui della pressione fino alla rottura della roccia o ai limiti di pressione e dilatazione dell’attrezzatura.

 

Nel caso della procedura per gradini di pressione vengono eseguiti, di norma, anche 2 cicli di scarico-ricarico aumentando in ciascun ciclo la pressione fino a raggiungere, tramite un terzo ciclo, la pressione massima compatibile con le caratteristiche della roccia o coi limiti dell’attrezzatura.

Il primo ciclo di carico avviene lungo 5 gradini uguali: la pressione viene poi scaricata in almeno 4 gradini (i medesimi della fase di carico) fino ad una pressione leggermente maggiore di quella di contatto. Si procede successivamente all’esecuzione dei 2 cicli di scarico-ricarico.

Utilizzando un dilatometro flessibile può anche essere stimata la deformazione nel tempo, a pressione costante della roccia in prova (creeps). Questo viene realizzato mantenendo costante la pressione prescelta per alcune ore misurando e annotando periodicamente le relative variazioni diametrali.

 

4.8.2 – Interpretazione dei risultati

 

Modulo di taglio (G)

 

Effettuando una prova con dilatometro flessibile eseguita a gradini di carico, il modulo di taglio (G) viene calcolato dall’espressione:

G = D (Δp/Δd)

nella quale D è il Ø iniziale del foro corrispondente alla lettura della pressione di contatto, Δp la variazione di pressione scelta a livelli maggiori di quella di contatto e Δd l’incremento di Ø a seguito della variazione di pressione Δp. I valori di Δp e Δd sono quelli corretti secondo taratura.

 

Modulo elastico E (di Young)

 

II modulo elastico della roccia (modulo di Young) da prova con dilatometro flessibile (EFDT) può essere calcolato introducendo il valore del Coefficiente di Poisson (v) della roccia con la relazione:

 

EFDT = 2G(1+v)

L’analisi dei grafici pressione-spostamento relativi a ciascuno dei sensori inseriti nella sonda consente di ricavare informazioni sull’anisotropia della roccia in prova.

 

Criterio di Schneider

 

II rapporto tra modulo calcolato nella fase di carico (EC) di un ciclo di prova e quello calcolato nella successiva fase di scarico-ricarico (ESC) è un utile parametro per stimare le caratteristiche elastiche della roccia; in particolare:

 

– se ESC/EC < 4 la roccia è sana;

– se 4 < (ESC/EC< 10 la roccia è mediamente sana;

– se ESC/EC > 10 la roccia presenta giunti o fessure aperte.

 

Per il calcolo dei 2 moduli si usa considerare le pressioni e le corrispondenti deformazioni comprese entro 25÷75% della pressione massima di ciascuna fase.

Fig. 4.83 – Schema di attrezzatura con pressurizzazione della sonda mediante gas inerte.

In Fig.4.84 viene riportato un modulo base con le indicazioni generali relative al foro di sondaggio, alla prova, all’attrezzatura; è riportato inoltre il grafico pressione-deformazione diametrale media dei 3 sensori di spostamento inseriti nella sonda, ed il valore del modulo di Young calcolato nel secondo ciclo di scarico-ricarico.

Fig. 4.84 – Esempio di scheda di una prova con dilatometro flessibile.

In Fig. 4.85 mostra i grafici pressione-spostamento, misurati con ciascuno dei 3 sensori inseriti nella sonda flessibile.

Fig. 4.85 – Tabulato relativo ai grafici pressione-spostamento dei 3 sensori inseriti nella sonda.

In Figg. 4.86 e 4.87 sono indicati i valori dei moduli calcolati per ciascun sensore assieme al valore medio dei 3 calcolati lungo ogni fase di scarico-ricarico definendo il grafico pressione-tempo di prova.

Fig. 4.86 – Tabulato riassuntivo pressioni-deformazioni con relativi valori del modulo di deformazione.

Fig. 4.87 – Diagramma pressione-tempo di prova riferito al test di Fig. 4.86.

 

4.9 – Prova di carico su piastra (PLT)

 

La prova di carico su piastra, tenendo in conto l’effetto scala, è la prova in situ che meglio simula il comportamento sotto carico sia di una fondazione superficiale che della base di una fondazione profonda.

La prova è standardizzata presso molti paesi mentre l’ASTM ha considerato 3 tipi di prova, due dei quali vengono utilizzati in modo particolare nel dimensionamento delle pavimentazioni (rigide e flessibili) stradali ed aeroportuali. L’EuroCode 7 considera la prova su piastra in riferimento alla norma ENV 19997-3:1999.

Il test tradizionale consiste nel sovraccaricare per gradini successivi e regolari una piastra rigida circolare appoggiata alla superficie del terreno in esame misurando il cedimento corrispondente ad ogni gradino di carico (Figg. 4.88 e 4.89).

Fig. 4.88 – Schema della prova PLT con tiranti d’ancoraggio o pali a trazione per il contrasto.

Con tali modalità di prova, inserendo anche cicli di scarico-ricarico, risulta possibile stimare i diversi moduli (deformazione, compressione, elasticità) del terreno oltre ai coefficienti di sottofondo e di Winkler.

Il test può anche essere condotto per altra via caricando il terreno con una determinata velocità di deformazione fino a provocarne una rottura in condizioni drenate oppure non drenate. In tal caso si misura la capacità portante del terreno in termini di sforzi efficaci o totali.

In taluni casi le prove possono essere eseguite anche in pozzi profondi o in fori di notevole diametro, rivestendone opportunamente le pareti; relativamente a quest’ultimo caso la piastra presenta un diametro leggermente minore di quello del sondaggio.

Fig. 4.89 – Schema della prova PLTa) contrasto con zavorra, b) semisfera per la centratura del carico, c) strumentazione di misura per carichi e cedimenti.

Possono essere infine eseguite prove a gradini o a rottura a varie profondità tramite una piastra costituita da un solo passo di elica che viene avvitata nel terreno a mezzo di un dispositivo analogo a quello utilizzato per eseguire i sondaggi a rotazione.

 

4.9.1 – Generalità

 

La prova di carico su piastra determina il cedimento verticale e le caratteristiche di resistenza in situ di terreni e rocce annotando il carico e il corrispondente cedimento del terreno indotti da una piastra rigida. Il presente capitolo si occupa di prove di carico eseguite su superfici del terreno perfettamente livellate o al fondo di uno scavo ad una determinata profondità o al fondo di un foro di grande diametro.

Il test, applicabile in teoria a tutti i terreni, riporti e rocce, non è tuttavia adatto ai depositi coesivi teneri; il medesimo deve essere altresì eseguito con una metodologia che segua le prescrizioni standard.

 

Terminologia specifica

 

Pressione di contatto (p): è la pressione di contatto uguale alla pressione applicata più il peso dell’attrezzatura agente direttamente sulla piastra più il peso della piastra, divisi per l’area di base della piastra.

 

Pressione di contatto ultima (pU): è la pressione di contatto maggiore possibile o quella per la quale il cedimento raggiunge uno specifico valore o incremento.

 

4.9.2 – Interpretazione dei risultati

 

I risultati di una prova PLT vengono presentati come grafico della pressione di contatto applicata (p) in funzione delle curve di cedimento, con valutazione della pressione di contatto ultima (pU) come indicato in Fig. 4.90. La pressione di contatto ultima (pU) può venire valutata come:

 

–       la massima pressione (pU1)) in argille sensitive o sabbie dense (Fig. 4.90);

–       la pressione (pU2) alla quale il valore della deformazione viscosa (creeps2 = s(t+Δt)-s(t) aumenta notevolmente (Fig. 4.91);

–       pari alla pressione (pU3) corrispondente ad un cedimento definito (15% del Ø o della larghezza della piastra.

 

 

Fig. 4.90 – Relazione tra pressione di contatto applicata e cedimento di una piastra in prova su argille sensitive o sabbie dense.

Fig. 4.91 – Diagramma PLT con i valori della deformazione viscosa (creep) in funzione della pressione applicata; il valore della pressione pU2 costituisce un metodo alternativo per determinare la pressione limite ultima pU.

4.9.3 – Fattori influenzanti i risultati

 

Dimensioni della piastra

 

La Fig. 4.92 mostra come i cedimenti a parità di carico verificantisi sotto 2 piastre di diverse dimensioni non sono uguali in quanto il volume di terreno interessato (bulbo delle tensioni al di sotto della piastra) è diverso. Per la Teoria dell’elasticità risulta, infatti, che un sovraccarico (Δp) applicato ad una piastra di dimensioni D (Ø o lato minore) poggiante su un terreno avente modulo

di elasticità E provoca un cedimento della piastra (Δs) ricavabile dalla relazione:

 

Δs = D(1- v2Cd Δp/E *

 

dove v è il coefficiente di Poisson e Cd il fattore che tiene conto della forma e della rigidezza della fondazione.

Fig. 4.92 – Effetto Scala: a) influenza delle dimensioni della piastra o della fondazione sul volume di terreno interessato, b) influenza delle dimensioni sui cedimenti e sul valore della pressione di contatto a rottura (qU)

Il cedimento, di conseguenza, è direttamente proporzionale al Ø (o lato) della piastra caricata.

Il rapporto tra cedimenti (SS1) misurati con piastre o fondazioni di differente diametro o lato (bb1) in terreno omogeneo, è mostrato in Fig. 4.93.

Fig. 4.93 – Rapporto tra i cedimenti misurati con piastre o fondazioni di differenti dimensioni in terreno omogeneo.

 

Forma e rigidezza della piastra

 

In Tab. 4.16 sono riportati i valori del fattore Cd per il calcolo dei cedimenti di un’area di carico agente sulla superficie di un semispazio elastico.

Tab. 4.16 – Rapporto tra i cedimenti misurati con piastre o fondazioni di differenti dimensioni in terreno omogeneo.

 

Profondità della prova

 

Eseguendo la prova su piastra ad una profondità (z) rispetto al piano di campagna si deve considerare, nella stima del cedimento, un fattore di approfondimento (CZ) che dipende sia dal rapporto Z/D (Z/B in caso di piastra non circolare e di lato minore B), che dal coefficiente di Poisson (v). In Fig. 4.94 è possibile valutare il fattore di approfondimento CZ per piastre circolari e quadrate (L/D=1) oltre che per piastre rettangolari (L/D=5), nonché per coefficienti di Poisson pari a 0.3 e 0.5. Il cedimento (ΔsZ) per prove al di sotto del piano di campagna, è calcolabile con:

 

ΔsZ = Δs CZ

 

dove Δs è definito dalla relazione *.

Il fattore di profondità (CZ) non viene, viceversa, applicato nel caso di prove profonde laddove lo scavo presenta dimensioni tali per cui la distanza (a) fra la parete verticale più vicina e il bordo della piastra é a < 0.75 D.( → prove profonde in pozzo ai § successivi).

Fig. 4.94 – Valori del fattore di profondità (CZ) in funzione del rapporto Z/D (o Z/B) per differenti valori di v (Poisson).

 

Dimensioni dei grani

 

In questa sede di ricorda che quanto prescritto nella Norma Svizzera [Ø della piastra (D) pari ad almeno 3÷5 volte il Ø massimo dei clasti (d)] può essere utilizzato per tutti i tipi di prova.

Altre fonti suggeriscono di adottare valori del rapporto D/d anche superiori (D/d > 8).

 

Disturbo del piano d’appoggio

 

Le operazioni di scavo e i tempi d’attesa fra la fine di questo e l’inizio della prova, disturbano sovente la parte più superficiale del terreno interessato dalla prova. Tale aspetto assume notevole importanza nelle prove profonde (presenza di falda → infiltrazioni d’acqua) e di Ø relativamente piccolo nel quale non è possibile la pulizia manuale. Lo stesso si può dire per le prove su piastra di grande Ø (1÷2 m) su terreni coesivi dove é richiesto tempo per i preliminari della prova.

E’ opportuno rammentare, a questo punto, che il terreno d’appoggio al fondo di scavi profondi può risultare disturbato anche per fenomeni di rottura dovuti alla spinta passiva, indipendentemente dalla cura impiegata nello scavo e nella preparazione del piano d’appoggio.

Di conseguenza, al momento di valutare l’importanza del disturbo superficiale, è utile tener presente l’effetto scala in quanto, ad es., risultando il terreno disturbato per uno spessore di 15 cm questo può influenzare in una determinata misura i risultati di una prova su piastra di Ø 30 cm ma in misura assai minore una fondazione di 200 cm di lato.

 

Interazione piastra-terreno

 

Per quanto attiene ai terreni sciolti il comportamento del terreno caricato dalla piastra non corrisponde al modello teorico che considera il mezzo elastico, lineare, omogeneo ed isotropo; e questo a causa di alcuni fattori tra i quali:

 

–       il rifluimento del terreno in esame ai bordi della piastra, influenzante in modo diverso, e in relazione al Ø, la forma del diagramma di carico;

–       i fenomeni di plasticizzazione del terreno a contatto con la piastra (ad es. sabbie dense);

–       la dipendenza del modulo di elasticità dalla tensione ottaedrica efficace che aumenta con la profondità (→ moduli diversi per piastre o fondazioni di dimensioni diverse);

–       le possibili differenze del coefficiente d’attrito fra piastra (o fondazione) e terreno.

 

In Fig. 4.95 viene mostrata l’evoluzione delle pressioni di contatto, dal campo elastico a quello plastico (terreni sciolti) al crescere del carico applicato rispetto a quello limite ultimo (ossia al ridursi del coefficiente di sicurezza).

 

Fig. 4.95 – Evoluzione delle pressioni di contatto dal campo elastico a quello plastico in terreni incoerenti al crescere del carico applicato.

 

4.9.4 – Interpretazione dei risultati PLT

 

Modulo di elasticità E (di Young)

 

Per motivi di chiarezza si riporta la relazione generale utilizzabile per ricavare il modulo secante da prova su piastra (EPLT) che può essere un modulo drenato (E‘) oppure non drenato (EU) a seconda del tipo di materiale e delle modalità della prova, e cioè:

 

EPLT = D Cd CZ (1-v2Δp/Δs

 

dove Δp è il valore del sovraccarico applicato, Δs il corrispondente cedimento, D il Ø della piastra (o lato minore), v il coefficiente di Poisson, Cd il fattore che tiene conto della forma e della rigidezza (Tab. 4.16) e CZ il fattore di approfondimento (Fig. 4.96).

Fig. 4.96 – Stima del fattore di profondità (CZ) in funzione della dimensione della piastra e della profondità della prova; viene applicato a risultati PLT ottenuti con piastra al fondo di un foro non rivestito.

Modulo di deformazione EV (norme DIN)

 

Per la prova PLT la normativa tedesca DIN propone la valutazione di un Modulo di deformazione:

 

EV = 0.75 D Δp/Δs

che per le piastre circolari (Cd=0.79) e per prove superficiali (CZ=1) corrisponde al Modulo di Young per un coefficiente di Poisson v = 0.21 tipico delle sabbie.

Modulo di deformazione EV e Modulo di Young sono, di conseguenza, equivalenti solo per prove eseguite in terreni granulari.

 

Coefficiente dì compressibilità ME (norme SNV)

 

II coefficiente ME utilizzato nella normativa svizzera (per piastra circolare) già definito:

 

ME = D Δp/Δs

 

risulta comunque più elevato sia del modulo di elasticità EPLT che del modulo di deformazione EV della norma DIN. La relazione fra ME ed EPLT è data dalla:

 

EPLT = ME Cd Cz (1-v2)

 

che per piastre circolari (Cd=π/4) e per prove superficiali (CZ=1) si può scrivere:

 

EPLT = 0.785 ME (1-v2)

 

E’ da notare, infine, che rispetto al Modulo Edometrico (Eed) ricavabile in laboratorio (prova a deformazione laterale impedita) si rileva che:

 

EPLT = Eed (1+v) (1-2v)/(1-v)

 

Di conseguenza fra ME ed Eed esiste la relazione:

 

Eed = 0.785 ME (1-v2)/(1-2v)

 

In Fig. 4.97 è mostrata la relazione fra coefficiente di Poisson (v) e angolo d’attrito in sforzi efficaci (φ‘) in prove drenate, secondo l’equazione:

 

v = (1-sen φ‘)/(2-sen φ‘)

 

II valore del coefficiente di Poisson per le prove non drenate è: v = 0.5.

Fig. 4.97 – Relazione tra coefficiente di Poisson (v) e angolo d’attrito efficace (φ’) drenato.

Resistenza al taglio non drenata (SU)

 

Nel caso di prove tradizionali eseguite in superficie o in scavi sufficientemente ampi (pozzetti, trincee), la resistenza al taglio dell’argilla in prova può essere ricavata dalla pressione a rottura (qu), applicando un coefficiente di capacità portante NC = 6.2 derivato da quello della teoria della capacità portante (π+2), ma corretto per considerare i vari fattori. Si ha cioè:

 

SU = qu/6.2

 

Per il valore di qu, di norma, si consiglia di assumere quello [qu(15%)] corrispondente al 15% della deformazione normalizzata (ovvero 15% del rapporto fra deformazione e Ø della piastra).

 

Modulo di deformazione non drenato (argille)

 

Le prove su piastra, come detto in apertura, non vengono eseguite su argille normalconsolidate (NC) a causa delle difficoltà di minimizzare il disturbo e per la possibilità di ottenere tale dato a mezzo di prove in situ più semplici.

Nelle argille preconsolidate (OC) la prova su piastra (soprattutto se di grande Ø) risulta invece molto utile a causa della difficoltà di prelevare campioni di laboratorio indisturbati rappresentativi (fessurazione, durezza etc.) e per la relativa non adeguatezza di una certa parte delle prove in situ convenzionali (ad es. le penetrometriche).

Il modulo non drenato secante EV viene determinato nell’intervallo di sollecitazioni compreso fra quella esistente in situ e quella che comporta un aumento dello sforzo di taglio massimo, nel terreno in esame, pari alla resistenza al taglio non drenata SU del terreno stesso. In pratica, tale incremento dello sforzo di taglio si verifica ad una pressione (q) pari a 3.3 SU.

A motivo del fatto che il valore SU ricavato dalla pressione limite risulta SU=qu/6.2 ne consegue che il campo di sollecitazione per il calcolo del modulo secante corrisponde all’intervallo fra 0 e metà del carico di rottura.

q = 3.3 SU = 3.3 qu/6.2 = 0.5 qu

Nella formula generale basata sulla teoria dell’elasticità, al valore di Δp viene sostituito il valore di q mentre il valore di Δs corrisponde alla deformazione rilevata fra 0 e q.

 

Coefficiente di sottofondo (o di Winkler)

 

Il coefficiente di Winkler di un terreno (ks|) è definito come il cedimento (Δs) di un elemento di fondazione di dimensioni unitarie caricato con una pressione unitaria (Δp). E’ quindi espresso dalla relazione:

ksl = Δp/Δs (ton/0.093 m2)

 

La prova di carico su piastra, tenuto conto della scala, è la prova in situ più appropriata per una valutazione diretta del coefficiente di sottofondo.

Si determina prima il coefficiente di sottofondo del terreno (ks) relativo alle dimensioni della piastra utilizzata (di lato B o diametro D) e da questo si ricava il coefficiente di sottofondo (ksl) per una dimensione di fondazione unitaria (0.3048 m, norme USA).

A complemento dell’argomento é opportuno rammentare alcune considerazioni generali, e cioè:

 

–       nelle argille normalconsolidate (NC), dove la fondazione viene in genere considerata come infinitamente rigida; il coefficiente di sottofondo non interviene nel calcolo delle pressioni di contatto;

–       nelle argille preconsolidate (OC) il cedimento da considerare è quello a lungo termine; le prove su piastra devono, quindi, essere di tipo drenato e l’esecuzione può richiedere tempi notevolmente lunghi;

–       nelle argille il cedimento della fondazione viene considerato proporzionale alla profondità del bulbo delle tensioni create nel terreno per effetto del carico imposto;

–       nelle sabbie e, in generale, nei terreni granulari permeabili la compressibilità del terreno sotto la fondazione viene considerata diminuire regolarmente con la profondità.

 

 

4.9.5 – Interpretazione delle prove di carico su piastra in foro

 

Riprendendo quanto descritto in precedenza si tratta di prove in foro, eseguite in argille preconsolidate quindi caricate fino a rottura con una velocità di deformazione costante prestabilita, dalle quali è possibile ricavare i seguenti parametri:

 

Resistenza al taglio non arenata (SU)

 

Quando il carico applicato è sufficiente a portare il terreno fino a rottura, la pressione limite di rottura (qU) viene valutata mediante l’equazione della capacità portante:

 

qU = (NC SU+ Σγz

 

nella quale NC è il coefficiente di capacità portante (adimensionale), Σγz la pressione geostatica totale alla quota della prova (σvo), γ il peso di volume del terreno sovrastante e z la profondità del piano di campagna. II valore del coefficiente NC risulta pari a 9.34 per un terreno coesivo ideale in cui lo sforzo di taglio alla base corrisponda alla resistenza al taglio dell’argilla.

Alcuni ricercatori hanno stabilito di assumere quale valore di qU quello corrispondente al 15% della deformazione normalizzata (rapporto fra deformazione e Ø della piastra = 0.15), avendo in precedenza scelto uno spessore della piastra pari al 15% del relativo Ø.

Grazie a tale accorgimento sono confrontabili i dati di prove sia confinate che non confinate in quanto, a seguito di una deformazione del 15%, i due tipi di prova si trovano nella medesima situazione poiché anche il bordo superiore della piastra, nella prova confinata, esce dal rivestimento.

Le numerose prove eseguite hanno consentito di stabilire che per una deformazione normalizzata pari al 15% si ottiene NC = 9.25; al fine di tener conto però della quota di resistenza al taglio mobilitata dalla superficie laterale della piastra è tuttavia opportuno assumere: NC = 9.6.

La resistenza al taglio Su può essere perciò ricavata dalla seguente espressione:

 

SU = (qU(15%)  σvo)/9.6

 

Modulo di elasticità (EU)

 

II modulo di elasticità non drenato (EU) viene ricavato con la nota equazione generale (eq. **), scegliendo sulla curva carico-cedimento l’intervallo di carico o di deformazione corrispondente al caso in esame (tangente iniziale, secante ad una data deformazione, da un ciclo di scarico-ricarico).

 

4.8.7 – Interpretazione delle prove di carico su piastra ad elica

 

Per quanto attiene alla prova su Piastra ad Elica (screw plate) viene riportato in sintesi quanto suggerito da Brown risultando tuttavia opportuno far precedere talune considerazioni riguardanti l’andamento delle tensioni, agenti con l’aumento del carico, sopra e sotto la piastra correttamente installata ad una certa profondità.

Chiamando P il peso totale applicato sulla piastra ed A l’area della stessa, la Fig. 4.98 mostra l’evoluzione delle tensioni sopra e sotto la piastra dall’istante P = 0 a quello in cui:

 

P/A = σvo → P/A = vo → P/A = vo

 

Le tensioni aventi carico superiore a vo (Fig. 4.98d) presumono che l’interfaccia fra terreno e piastra non porti alcuna resistenza a trazione.

Gli schemi presentati valgono per le argille e per le sabbie addensate, per la quali cioè non si verifichi collasso nel materiale sopra la piastra dal momento in cui l’aumento del valore del carico applicato (P/A) annulli e superi la tensione (σvo) esistente sopra la piastra.

Nelle sabbie sciolte, laddove si verifichi il collasso della struttura, l’evoluzione delle tensioni sopra e sotto la piastra immersa nel terreno viene schematizzata come in Fig. 4.99.

 

 

 

Fig. 4.98 – Sforzi medi agenti su una piastra di area A, immersa in argilla o sabbia densa.

Fig. 4.99 – Sforzi medi agenti su una piastra di area A, immersa in sabbia sciolta.

 

Modulo di elasticità (E)

 

Per le argille e le sabbie dense si può applicare un’altra espressione, valida per i valori di q < vo:

 

E = q [ πD (3-4v) (1+v) / s 32 (1-v)]

dove q è il carico sulla piastra, s il cedimento della piastra, D il Ø della piastra e v il coefficiente di Poisson.

Per quanto compete a sabbie sciolte la formula è più complessa poiché considera la piastra rigida immersa nel terreno però a contatto con questo solo con la faccia inferiore.

 

Coefficiente di consolidazione (CV)

 

Dei vari metodi utilizzabili viene preferito il criterio di Small & Booker che analizza il caso di una piastra circolare rigida immersa in profondità nel terreno in grado di mediare nelle migliori condizioni il reale comportamento del terreno nel caso della piastra ad elica.

La Fig. 4.100 espone le differenze fra i diversi metodi utilizzabili mediante la rappresentazione delle corrispondenti curve dove il grado di cedimento (U) è funzione del fattore adimensionale TV.

Fig. 4.100 – Variabilità nella stima del fattore adimensionale tempo (TV) secondo vari autori.

 

Il metodo McKinley (Janbu-Senneset) valuta il coefficiente di consolidazione CV determinando il TV corrispondente ad un valore di v = 0.9. E’ possibile rilevare come tale fatto implichi una stima di TV circa 30 volte minore di quella ottenibile con la curva di Small & Booker.

Davis & Poulos (Kay-Avalle), viceversa, valutano CV determinando il valore di TV corrispondente a v = 0.7, scelta che conduce a una stima di TV circa 5 volte maggiore di quella deducibile dalla curva di Small & Booker.

Nessuno dei criteri citati considera tuttavia espressamente il fatto che la piastra sia costituita da un’elica.

 

Resistenza al taglio non drenata (SU)

 

Nelle argille sature (φ=0c=SU) la resistenza al taglio non drenata (SU) viene ricavata dalla relazione utilizzata per il dimensionamento delle piastre d’ancoraggio verticale immerse profondamente, ossia:

qU = SU FC

 

nella quale qU è la resistenza limite a rottura e FC’ un fattore adimensionale della capacità di ancoraggio.

Il valore FC’è compreso entro 6÷12 in relazione al rapporto (σvo/SU) fra la pressione verticale totale esistente in situ, dovuta al peso degli strati sovrastanti, e la resistenza al taglio non drenata.

Operativamente:

 

– per σvo/SU > 6 (argille NC) → FC’ = 12 per cui SU = qU/12

 

– per σvo/SU < 6 (argille OC) → FC’ = 6 + (σvo/SU)

 

Bisogna, di conseguenza, stimare a priori un valore del rapporto σvo/SU, calcolare il corrispondente valore di FC‘ e successivamente quello della SU, utilizzando le relazioni ultime viste, controllando poi che il valore di SU assunto per la stima di σvo/SU sia prossimo a quello di SU risultante.

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