4 – Canali Artificiali

4.1 – Generalità

I canali artificiali per il trasporto di fluidi a gravità si dividono in due categorie (fisiche):

a – condotte a pelo libero;

b – condotte forzate.

Le prime possono essere costituite da semplici canali aperti, fosse, tubazioni o altre strutture dotate di flusso a carico parziale, variabili, per misura e portata, dai vettori irrigui primari ai solchi di distribuzione colturale. Le seconde possono essere realizzate in legno, metallo, vetro, acciaio, calcestruzzo o altro materiale (ad es. entro roccia) a profilo solitamente circolare, recanti flussi a carico totale anche qui con misure variabili dal dotto alimentatore di un bacino o di una turbina idroelettrica al tubo sottile di un apparato di misura.

Dal punto di vista costruttivo è possibile classificare i canali in altre due categorie e cioè:

a – canali rivestiti (rivestimento rigido o flessibile);

b – canali senza rivestimento.

Nel primo caso i problemi di tenuta dell’acqua sono direttamente risolti dal rivestimento mentre nel secondo occorre stabilire le minime condizioni di permeabilità del mezzo rivestente.

Dal punto di vista geografico, infine, i canali possono essere divisi ancora in due categorie principali e cioè:

a – canali continentali;

b – canali marittimi.

Anche in questi gruppi si possono distinguere tipi diversi in base alle funzioni alle quali sono destinati, da cui, in buona parte almeno, dipendono le caratteristiche morfologiche dei canali medesimi. In ogni caso i canali non di rado sono destinati ad espletare più di una funzione. Fra i canali continentali si possono distinguere i seguenti tipi:

a – Canali di derivazione fluviali e lacustri:

–       irrigui;

–       di bonifica;

–       per impianti idroelettrici;

–       per scopi produttivi diversi.

b – per acquedotti;

c – di drenaggio;

d – per fognature;

e – per navigazione interna.

E’ opportuno rammentare che in queste opere, sovente grandiose, non sempre il canale è totalmente artificiale. Per ridurre i lavori di scavo, infatti, si cerca quasi sempre di utilizzare per quanto possibile raccolte d’acqua esistenti o appositamente create nell’istmo, collegandole fra di loro con canali artificiali.

Nei limiti di competenza della trattazione, nella presente sede verranno illustrati unicamente argomenti d’interesse geologico e dell’ingegneria idraulica.

4.1.1 – Condotte a pelo libero

L’acqua, non essendo un fluido perfetto, per scorrere nell’alveo di un corso d’acqua (canale, torrente, fiume ed anche tubazione) viene a perdere una determinata quantità d’energia; tale perdita è dovuta al manifestarsi della viscosità alla quale viene ad aggiungersi la turbolenza. In particolare, e in maniera tanto più cospicua quanto maggiori sono le dimensioni, la velocità e la scabrezza del corso d’acqua, le perdite sono soprattutto legate al fenomeno della turbolenza che si manifesta per il moto disordinato dei filetti fluidi che si urtano fra di loro provocando fenomeni di dissipazione. A rigore non si potrebbe parlare nemmeno di moto uniforme o permanente, tuttavia, considerando non i valori istantanei ma i valori medi delle caratteristiche del moto, è possibile ancora parlare di moto uniforme e permanente. L’energia per il moto viene fornita dalla gravità.

Se in un lungo canale, con sezione regolare, viene immessa una portata Q, costante, d’acqua, si osserva che, mentre all’imbocco o allo sbocco può aversi un moto permanente, nella zona centrale del canale esiste un tratto a moto uniforme nel quale il pelo libero è parallelo al fondo, e quindi la sezione liquida resta costante procedendo lungo l’asse del canale.

Nel caso di moto uniforme risulta un equilibrio fra l’energia dissipata e quella fornita dalla gravità; tale equilibrio energetico non si verifica nei tratti a moto permanente.

E’ da precisare ancora che in un canale in moto uniforme, o anche in moto permanente, se le variazioni di sezione e di direzione della corrente sono graduali, è possibile ritenere che nel suo interno esista una distribuzione idrostatica delle pressioni. La somma z+(p/γ) in una determinata sezione, con riferimento ad una orizzontale, coincide col pelo libero.

Correntemente, nei canali, z viene ad indicare la quota del fondo: così, al posto di z, si sostituisce l’altezza h dell’acqua rispetto al fondo; e poiché la somma z+(p/γ= z+h indica la piezometrica, in un canale la piezometrica coincide col pelo libero.

Fig. 4.1 – Geometria del profilo di un corso d’acqua in pendenza.

La linea dell’energia è superiore al pelo libero di un valore V2/2g; con la differenza che, essendoci delle perdite, tale linea non risulta orizzontale ma sempre inclinata nel senso del moto e, nel caso di moto uniforme, parallela sia al fondo, sia al pelo libero (Fig. 4.1).

Nei canali la velocità non è uniforme nella sezione: risulta massima in corrispondenza alla mezzeria, un po’ sotto il pelo libero, e diminuisce via via che ci si avvicini alle pareti e al fondo (Fig. 4.2). Nei canali, tuttavia, si considera la velocità media V definita, naturalmente, come rapporto fra la portata e la sezione liquida (V = Q/A).

Il livello del pelo libero di un canale, in condizioni normali è sempre inferiore, per motivi di sicurezza alla quota delle sponde. Tale distanza si chiama franco ed è dell’ordine di qualche decimetro.

Fig. 4.2 – Sezione, linee equi-energetiche e franco.

4.1.2 – Forma delle sezioni e relativi parametri geometrici

Fra le diverse forme delle sezioni delle condotte a superficie libera, sono diffusamente in uso le trapezoidali e rettangolari e, in modo limitato, le triangolari, circolari etc.; in Fig. 4.3 sono rappresentate quattro principali sezioni coi relativi parametri geometrici.

Fig. 4.3 – Parametri geometrici delle sezioni più diffuse.

In Tab. 4.1 sono definite le relazioni che forniscono i valori dei parametri: sezione bagnata (A), contorno bagnato (x), raggio idraulico (R), larghezza in sommità (B).

Tab. 4.1 – Parametri geometrici AxRB.

4.1.3 – Sezioni economiche oppure di minima resistenza

Quando per un dato valore di A si ottiene il minimo dei valori di x, la sezione viene chiamata economica oppure di minima resistenza. La relativa espressione generale è data dalla:

b = 2 h tg(α/2)

Nel caso della sezione rettangolare di minima resistenza risulta: b = 2hA = 2h2 e h = √0.5A.

Come risulta dalle relazioni parziali descritte, per le sezioni trapezoidali e rettangolari di minima resistenza, valgono le relazioni: H = 2RCD = B/2 e x = 2A/h.

Per le sezioni triangolari di minima resistenza le espressioni da applicare sono: α = 90°B = 2h e CD = h√2.

4.1.4 – Parametri idrodinamici del moto dell’acqua nei canali

I parametri idrodinamici del moto dell’acqua nei canali sono:

– la pendenza al fondo (I), in m/m;

– la scabrezza (γmn);

– la velocità media dell’acqua (V), in m/s;

– l’energia specifica, in m;

– il numero di Froude, numero puro;

– la forza specifica, in m3.

Tab. 4.2 – Valori dei coefficienti per determinare i valori dei parametri hbBx ed R nel caso delle sezioni di minima resistenza di forma trapezoidale e rettangolare per diversi valori di m.

4.1.4.1 – La pendenza al fondo

La pendenza al fondo I costituisce un elemento idraulico di base per il moto dell’acqua nei canali. La sua scelta risulta dalla valutazione delle condizioni topografiche e della velocità media dell’acqua da adottare.

La migliore soluzione si rivela quella di scegliere per una data velocità la pendenza naturale del terreno, anche se questo in pratica è difficilmente realizzabile. Quando la pendenza calcolata è sensibilmente superiore a quella naturale del terreno occorre ridurla, per evitare sezioni di grande profondità, mentre nel caso contrario, e cioè quando la pendenza risulta inferiore a quella naturale del terreno, il problema è risolvibile creando cadute successive lungo il profilo del canale.

In linea generale I valori della pendenza da adottare sono:

–       per grandi canali in terra: I compreso entro 0,0002÷0,0001

–       per canali secondari e terziari delle reti di scolo: I compreso entro 0,0005÷0,0015

–       per canali d’irrigazione in calcestruzzo: I compreso entro 0,0100÷0,0005.

4.1.5 – La distribuzione della velocità nella sezione bagnata

La velocità dell’acqua diminuisce dalla superficie verso il fondo e dall’asse xx’ verso le sponde (Fig. 4.4). La velocità media che interessa dal punto di vista idraulico, risulta approssimativamente dalla relazione:

Vm = [V(0.2h)+V(0.8h)]/2

in cui 0.2h e 0.8h sono le profondità misurate sull’asse xx’. La velocità Vmax si rileva intorno al punto 0.2h (sempre sull’asse xx’) e non sulla superficie dell’acqua. Tale andamento della distribuzione della velocità osservato sperimentalmente, può essere attribuito ad un incremento della viscosità dello strato di liquido al confine col pelo libero.

Fig. 4.4 – Andamento della velocità dell’acqua in sezione di canale.

Tab. 4.3 – Valore del rapporto Vm/Vmax.

4.1.5.1 – Formule empiriche per il calcolo della velocità media nei canali

Numerose formule sono state suggerite da diversi autori per la determinazione della velocità nei canali. Alcune di queste sono riportate in Tab. 4.4, tra cui, largamente in uso, sono quelle di Manning (o Gauckler-Strickler), di Bazin e di Kutter. Tali formule derivano dalla relazione di Chézy:

V = C √RJ

dove C è il coefficiente di resistenza i cui valori dipendono dal raggio idraulico e dalla scabrezza.

Tab. 4.4 – Formule per il calcolo della velocità media dell’acqua nei canali.

Analizzando le formule in particolare si hanno le relazioni:

C = 87√R/(γ+√R)            (Bazin)

C = 100√R/(m+√R)        (Kutter)

C = R1/6/n       (Manning, L1/2/T-1)

Nei riquadri di Tab. 4.5 sono riportati i valori suggeriti dei coefficienti di scabrezza nmγ

Tab. 4.5 – Valori dei coefficienti n, m e γ delle formule di Bazin, Kutter e Manning.

L’abaco di Fig. 4.5 è riferito alla formula di Bazin.

Fig. 4.5 – Abaco di Bazin.

4.1.5.3 – Valori massimi della velocità media ammissibile nei canali

In Tab. 4.6 sono riportati alcuni tra i valori massimi ammissibili della velocità media dell’acqua nei canali rivestiti delle reti irrigue (benché raramente questa superi il valore 1,5 m/s) mentre in Tab. 4.7 sono riportati i valori della velocità media ammissibile per canali in terra al fine d’evitare fenomeni di erosione unitamente all’inclinazione delle sponde secondo Fortier-Scobey.

Tali valori della velocità ammissibile possono essere aumentati del 50% nel caso in cui i canali in terra sono rivestiti con copertura vegetale densa, uniforme e ben mantenuta, composta dalla specie di Cynodon dactylon (gramigna capriola) oppure miscela di diversi trifogli.

4.1.6 – La portata

La portata (Q), come noto, rappresenta il prodotto dell’area della sezione bagnata (A) per la velocità media (V) cioè Q = VA.

La portata può essere correlata, nel caso del moto uniforme, con la sezione bagnata, oppure con l’altezza dell’acqua.

Tab. 4.6 – Valori massimi della velocità media ammissibile nei canali rivestiti.

Tab. 4.7 – Valori massimi della velocità media e dell’inclinazione ammissibili nei canali in terra.

Secondo la formula di Bazin si ha:

ponendo:

oppure:

Secondo la formula di Manning si ha:

E’ possibile constatare come esista qualche differenza tra le due relazioni: le equazioni

sono rette del tipo Ψ = K+bx, dove Ψ = log Qx = log A oppure log hK = log a oppure log cb = n oppure b = m.

I parametri anc ed m possono essere determinati, come noto, con l’uso delle seguenti relazioni (minimi quadrati):

4.1.7 – Numero di Froude

Froude ha proposto un numero adimensionale ai fini di caratterizzare lo stato del moto dell’acqua nei canali. L’espressione del numero di Froude (Fr) è data dalla relazione:

Fr = V/√gh

dove V é la velocità dell’acqua (m/s), c = √gh la velocità di propagazione delle piccole onde sulla superficie libera (m/s), g = 9,81 (m/s2) il modulo dell’accelerazione di gravità ed h la profondità della corrente (m).

Per canali rettangolari molto larghi con portata specifica q = Vh risulta:

Fr2 = q2/gh3

Per canali trapezoidali risulta:

Fr2 = Q2/A2gh

e poiché dA/dh = B, consegue che:

Fr2 = Q2B2/A3g

dove B è la larghezza del pelo libero.

Con V = √gh consegue Fr = 1 quindi lo stato del moto risulta critico, con V > √gh consegue Fr > 1 cioè stato supercritico mentre con V < √gh consegue Fr < 1cioè lo stato del moto è lento oppure sottocritico.

In precedenza Bakhmettef aveva proposto un fattore cinematico A = V/√ghc in cui hc è l’altezza critica dell’acqua, molto simile al numero di Froude nello stato critico del moto dell’acqua nei canali.

Nei canali di sezione rettangolare, triangolare, parabolica la larghezza alla sommità è uguale a:

II numero di Froude per un canale triangolare con inclinazione delle sponde m = cotg aB = 2mh e A = mh2K = m e n = 1, è dato dalla relazione:

Fr2 = 2Q2/gm2h5

Per i canali parabolici, B = ah1/2A = 2h3/2/3, cioè K = 2a/3 e n = 1/2, il numero di Froude risulta uguale a:

Fr2 = 27Q2/8ga2h4

4.1.8 – L’energia specifica e le condizioni di moto critico

facendo riferimento ad una corrente rettilinea uniforme quasi cilindrica, su un canale a debole pendenza (Fig. 4.6), dove cos υ ≈ 1, l’energia meccanica totale per unità di peso del fluido (i.e. il carico totale H) risulta:

H = Z1+E = Z1+h+(V2/2g)

Fig. 4.6 – Moto uniforme in un canale.

la quantità E = V2/2g esprime l’energia specifica. Nella realtà il rapporto tra il valore medio delle altezze generatrici delle velocità locali (I/A ∫A v2/2g dA) e l’altezza generatrice della velocità media (V2/2g) è diverso dall’unità; di conseguenza, indicando tale rapporto con α, l’espressione della energia specifica diventa:

E = h+αV2/2g

Bazin, analizzando i limiti del rapporto α, trovò:

–       α = 1.032 per condotte con pareti lisce;

–       α = 1.122 per condotte con pareti rugose.

Poiché, nella pratica operativa, V2/2g risulta una quantità piccola, il valore di α si assume = 1.

Ricordando la definizione di velocità media V = Q/A  l’equazione diventa:

E = h+(Q2/2gA2)

Per canali rettangolari ove Q = qB e A = hB risulta:

E = h+(q2/2gh2)

oppure:

(Ehh2 = q2/2g

Dall’equazione si desume che esistono 2 linee asintotiche: E = h e h = 0. Quindi, in un sistema di coordinate Eh l’equazione rappresenta, per un dato valore di q, una curva avente un lato asintotico verso la retta h = 0 ed un altro lato asintotico verso la bisettrice dell’angolo E = h (90°), e tutta la curva si trova a destra di detta bisettrice passando da un minimo (Fig. 4.7b).

 

Fig. 4.7 – a)altezze coniugate con carico costante; b) altezza critica h con portata costante.

Facendo riferimento alla Fig. 4.7b, si definisce profondità critica (hc) quella che rende minimo il carico specifico (E) a portata specifica (q) assegnata.

Per valori di h1 > hc si hanno condizioni di moto di corrente lenta e per valori di h < hc di corrente veloce. Analogamente per profondità h2 = hc si stabilisce la velocità critica Vc, dove per h1 > hc si  stabilisce una velocità V1 < Vc (moto sub-critico – corrente lenta) e per h2 < hc si ha V2 > Vc (moto supercritico – corrente veloce).

Aumentando il valore di q, si determinano altre curve simili, sempre a destra della bisettrice (Fig. 4.8); il motivo è evidente, in quanto dall’equazione ultima, per un dato valore h, l’energia specifica E aumenta all’aumentare del valore di q.

Derivando l’equazione generatrice rispetto ad h, (q costante) risulta:

dE/dh = 1–(q2/gh3) = 1Fr

La condizione di minimo della funzione E(h) si traduce nell’annullamento della derivata dE/dh = 0, e cioè:

1-(q2/gh3) = 0

q2 = gh3 oppure hc = 3√q2/g

Fig. 4.8 – Relazione tra l’energia specifica E e l’altezza dell’acqua h al crescere del valore q.

Di conseguenza l’equazione ultima determina il valore dell’altezza critica hc quando è nota la portata specifica. E poiché q = Vh, dalla relazione risulta anche Vc2 = gh oppure Vc = ±√ghc.

L’equazione ultima fornisce il valore della velocità critica associata all’altezza critica hc; dividendo questa per 2g risulta:

Vc2/2g = hc/2

Dalle equazioni viste, per moto critico, risulta:

Ec = hc+Vc2/2g = hc+hc/2 = 3hc/2

hc = 2Ec/3

che esprime la relazione tra carico specifico e profondità della corrente in condizioni critiche.

Le equazioni finali derivano dalla equazione iniziale considerando la portata q costante e l’energia specifica E variabile. Assume altresì pari importanza lo studio della variazione della portata q con l’altezza h per un dato valore E0 costante. L’equazione prende la forma:

q2 = (E0h)2gh2

Da questa equazione risulta che q = 0 quando h0 e hE0 mentre la funzione assume il suo valore massimo per un valore h entro 0÷E0 (Fig. 4.7a).

Derivando l’equazione ultima risulta:

2q dq/dh = 4gE0h6gh2

La condizione di estremo di tale funzione (dq/dh = 0) comporta che:

6gh2 = 4ghE0

hc = 2E0/3

Le due equazione, di conseguenza, sono identiche.

Pertanto si può concludere che la condizione di moto critico si stabilisce:

–       quando l’energia specifica E è minima, assegnata la portata q = cost;

–       quando la portata q in transito è massima, assegnata l’energia specifica E = cost.

Concludendo, nel caso del moto critico nei canali rettangolari intercorrono le seguenti relazioni:

Vc/(hcg)1/2 = 1 (valore di Froude per moto critico).

Nel caso di canali rettangolari molto larghi R = A/x = bH/(B+2h) senza sensibile errore. In questo caso:

Le equazioni usate per il calcolo dell’altezza critica hc e di seguito degli altri parametri idrodinamici nel caso di canali rettangolari, possono esser applicate, in modo approssimativo, anche per i canali di forma non rettangolare. Un procedimento è costituito dall’uso delle seguenti relazioni (Fig. 4.9):

Fig. 4.9 – Canale di forma irregolare.

4.1.9 – Teorema dell’impeto

Si consideri una corrente liquida (di densità p uniforme e costante) monodimensionale: il flusso della quantità di moto attraverso la sezione A è detto impeto(D):

D = γ Q V/g

In condizioni di moto permanente, la legge di conservazione della quantità di moto impone che la variazione dell’impeto tra due sezioni 1 e 2 lungo il canale sia bilanciata dalle forze esterne di massa (che agiscono sul volume di fluido racchiuso tra le sezioni medesime) e di superficie (che sono applicate sulla superficie di contorno di detto volume) (Fig. 4.10).

In Fig. 4.10 il peso dell’acqua fra le due sezioni 1 e 2 viene indicato con G, mentre G senα e G cosα sono rispettivamente la componente parallela e verticale del peso rispetto al fondo del canale. F‘ è la forza dell’attrito fra l’acqua, le pareti ed il fondo della condotta mentre P1 e P2 sono le forze idrostatiche e v1 e v2 le velocità rispettivamente alle sezioni 1 e 2.

Con queste condizioni il teorema dell’impeto si configura nell’equazione:

oppure:

Quando l’angolo α è piccolo, come di norma nei canali, il termine G senα è trascurabile. Inoltre, considerando le due sezioni assai vicine fra loro, risulta trascurabile anche il valore F‘.

Le precedenti assunzioni conducono ad una semplificata espressione del teorema dell’impeto, e cioè:

γ/g Q (v2v1) = P1P2

Fig. 4.10 – Forze agenti su un volume d’acqua corrente in un canale aperto.

4.1.10 – Stabilità dei canali; elementi conservativi della funzionalità dei canali

Nel progettare un canale in terra, d’irrigazione o di scolmata, si deve tener conto da un lato della forza erosiva dell’acqua fluente e dall’altro della forza di resistenza opposta dal materiale terroso presente sul fondo e sulle sponde.

Il problema diviene ancora più complesso laddove le acque trasportino in sospensione del materiale solido in quantità non trascurabile. In tal caso, infatti, occorre evitare che questo materiale sedimenti in quantità apprezzabile lungo i canali ma giunga nei recapiti, nel caso dei canali di scolo, o sui terreni, nel caso dei canali di irrigazione (per quanto la sedimentazione sul terreno di materiali in sospensione trasportati dalle acque di irrigazione, rappresenti, in genere, un fattore positivo, costituendo un elemento fertilizzante o tale da modificare in senso favorevole la struttura fisico-meccanica del suolo.

Il problema anzidetto non può essere risolto se non entro certi limiti e in base all’esperienza dell’operatore, tenendo conto, fra l’altro, del fatto che, nel caso dei canali di scolo, i limiti ottimali di tollerabilità contro i fenomeni della sedimentazione o dell’erosione possono essere considerati solo a titolo puramente orientativo in ragione del fatto che il regime idraulico al quale possono essere sottoposti i canali stessi non dipende tanto da un optimum calcolato quanto dalle condizioni variabili in cui, nella realtà operativa, si verifica l’afflusso dell’acqua verso la rete scolante.

La stabilità dei canali dipende da molti fattori.

Secondo Lane questi fattori possono essere distinti in quattro gruppi:

–       fattori idraulici (pendenza, scabrezza, raggio medio, profondità, velocità media e distribuzione della velocità);

–       forma dei canali (larghezza, profondità e inclinazione delle sponde);

–       materiale trasportato (diametro del materiale, forma, peso specifico, dispersione e quantità) e natura del fondo e delle scarpe dei canali,

–       caratteristiche del moto dell’acqua nei canali.

Fra questi fattori, secondo Lane, prevalgono: la velocità media dell’acqua, la sua distribuzione, la forza di trascinamento, il diametro del materiale solido, l’entità della portata solida e la natura del fondo e delle sponde del canale.

Il trasporto del materiale solido, a seconda del diametro delle sue particelle, avviene per trascinamento o per sospensione. Fortier & Scobey sostengono che non esista un vero limite determinante della velocità critica al disotto del quale cominci la sedimentazione del materiale trasportato e al disopra del quale cominci l’erosione del fondo e delle sponde dei canali.

Secondo questi studiosi, i limiti di velocità entro i quali il materiale solido continua ad essere trasportato in sospensione senza provocare fenomeni di erosione, sono molto ampi.

I medesimi autori hanno in seguito accertato che i valori massimi ammissibili per la velocità media V(m/s) nei canali in terra sono quelli riportati in Tab. 4.7, tenendo conto che per un’altezza dell’acqua nei canali stessi > 0.9 m, tali valori vanno aumentati in ragione di 0.15 m/s.

Una parte delle relazioni proposte per conservare i canali è basata sulla correlazione fra la velocità critica e l’altezza dell’acqua nei canali stessi.

Kennedy aveva proposto la formula:

Vc = chm

nella quale Vc é la velocità (media) critica dell’acqua nel canale, dalla quale non derivano fenomeni di sedimentazione o di erosione, c un coefficiente dipendente dalla natura del materiale solido trasportato, h l’altezza dell’acqua nel canale ed m un esponente.

Questa formula è stata ricavata da osservazioni e misurazioni effettuate su 150 km lineari di canali di una rete che presentano per lo più le seguenti caratteristiche: larghezza variabile entro 2.4÷2.7 m; altezza dell’acqua entro 0.7÷2.2 m; sezione, quasi rettangolare; tessitura del terreno sabbioso-limosa.

Secondo Kennedy il valore del coefficiente e varia con il diametro del materiale solido trasportato nei canali, mentre il valore dell’esponente n rimane costante. Per i canali sui quali questo autore ha effettuato i suoi studi, il valore di c è risultato 0.55 e quello di n 0.64.

Il diametro del materiale trasportato non viene indicato da Kennedy ma secondo Lacey si aggirava mediamente ~0.4 mm.

Secondo i risultati ottenuti da Kennedy, la portata di acqua torbida risulterebbe proporzionale all’esponente 2.56 della velocità media dell’acqua.

Griffith ha apportato una modifica alla formula di Kennedy, prendendo in considerazione la forma

della sezione dei canali. La relazione da lui proposta è la seguente:

Vc = mchn

nella quale m è un fattore dipendente dalla forma della sezione del canale, che assume i seguenti

valori:

– 1.0 per canali di sezione rettangolare;

– 1.3 per canali di sezione triangolare;

– 1.1 per corsi d’acqua naturali.

Halkias, dalle osservazioni compiute in ambito di pianura, rilevò c = 0.63÷0.82, applicando le relazioni:

–       Vcs = 0.63 h0.64 a difesa contro la sedimentazione;

–       Vcs = 0.82 h0.64 a difesa contro l’erosione.

La sezione dei canali considerati era scavata in terreni alluvionali provenienti dalle vecchie sedimentazioni di un fiume mentre il materiale trasportato e depositato nei canali presentava la composizione indicata di seguito.

Nei riquadri di Tab. 4.8 sono riportati alcuni valori comparativi per c = 0.55 (secondo Kennedy) e c = 0.63 (secondo Halkias) a difesa contro la sedimentazione, e per c = 0.55 (secondo kennedy) e c = 0.82 (secondo Halkias) a difesa contro l’erosione.

Tab. 4.8 – Dati comparativi di Kennedy e Halkias.

Tenendo presente che il materiale solido trasportato dalla rete irrigua della pianura era costituito per il 95% da particelle di Ø < 0.04 mm, i valori più alti della velocità critica ricavati da Halkias in ambedue i casi possono sembrare, a prima vista, fuorvianti, ma si deve ritenere che le discordanze riscontrate siano per gran parte attribuibili al fatto che, mentre Kennedy ha operato su canali a sezione quasi rettangolare, Halkias ha invece sperimentato su canali a sezione trapezoidale senza contare che un’influenza importante sulla differenza dei risultati può essere stata provocata dalla diversa natura e composizione dei materiali costituenti l’alveo dei canali di entrambi i casi.

4.1.11 – Il trasporto solido nei corsi d’acqua naturali

II materiale solido, trasportato a valle dalla corrente dei torrenti e dei fiumi, rappresenta un anello di congiunzione tra i fenomeni di erosione e quelli di sedimentazione e di scarico. Si tratta, soprattutto nei termini dei corsi d’acqua naturali, di un fenomeno molto complesso, e pertanto le relazioni di seguito indicate devono considerarsi di larga approssimazione, particolarmente quando si riferiscono a torrenti montani e/o con forti pendenze..

Il materiale solido trasportato dalla corrente, come noto, può muoversi in 3 maniere:

– in sospensione, cioè tenuto in sospensione nell’acqua, nonostante abbia maggior peso specifico rispetto a questa, per effetto della turbolenza della corrente liquida, meglio, della componente del moto turbolento diretta verso l’alto. Il materiale in sospensione è quello di dimensione minore (argilla, limo, sabbia);

– per saltellamento, cioè procedendo a salti, toccando il fondo, ma anche sollevandosi da esso; per saltellamento si muove il materiale di media dimensione;

– per trascinamento, ovvero strisciando o rotolando sul fondo, ed è questo il movimento dei materiali di maggiori dimensioni.

Il volume di materiale solido che un corso d’acqua trasporta in questi 3 modi, nell’unità di tempo, si dice portata solida; sovente, invece della portata solida, viene indicato il peso del volume solido trasportato nell’unità di tempo. In genere tali grandezze sono riferite ad 1 m di larghezza dell’alveo. La portata solida quale fenomeno naturale si rivela molto più variabile della portata liquida: i corsi d’acqua, infatti, trasportano una sensibile quantità di materiale solido solo quando sono in piena o in torbida e la portata solida cresce più rapidamente della portata liquida.

In magra, particolarmente per i corsi d’acqua alpini, il trasporto solido risulta pressoché nullo.

E’ possibile misurare con precisione, a mezzo di sonde torbiometriche, la portata solida in sospensione; molto più difficile è la misura della portata solida per saltellamento e sul fondo. Dati globali per il trasporto solido si hanno considerando gli interrimenti dei serbatoi; come valori massimi indicativi, per il materiale trasportato in sospensione, si rilevano ~5 kg/m3 per i fiumi alpini, 20 kg/m3 per i fiumi appenninici, per quanto con alcune rare punte attorno a 100 kg/m3.

Le dimensioni massime del materiale che un corso d’acqua può trasportare (sul fondo) diminuiscono andando dall’origine alla foce, poiché la forza di trascinamento di un corso d’acqua, cioè la forza con cui una corrente agisce sul materiale di fondo è pari a:

τ γ r i ≈ γ h i

dove la pendenza i è molto maggiore nel tratto montano che nel tratto di pianura (il profilo di un corso d’acqua infatti è concavo), mentre la variazione di r, pur essendo in senso inverso, non è cosi forte.

Lo studio del fenomeno del trasporto solido è stato affrontato dapprima in forma empirica, poi, essenzialmente per merito di Shields, in forma razionale ed omogenea, partendo dalla formula della spinta idrodinamica su una particella di materiale (F = k A γ v2/2g) e dalla distribuzione della velocità lungo la verticale. Per particelle di misura uniforme si è allora trovata la seguente relazione funzionale:

τ0/(γsγ)d = φ(dghi/v)

dove la forma della funzione è rappresentata, in Fig. 4.11, dalla linea continua, e ad essa corrispondono le condizioni di inizio del movimento. I punti sotto la linea rappresentano lo stato di non movimento del materiale mentre per i punti posti sopra la linea il materiale si muove come indicato nel diagramma dove d è il diametro della particella supposta uniforme, ys il suo peso specifico, h l’altezza del pelo d’acqua rispetto al fondo, v la velocità dell’acqua e φ simbolo di funzione.

Questo metodo che senz’altro è il più razionale, oltre che confortato da numerose conferme sperimentali, è però valevole solo per particelle di dimensioni uniformi, ed inoltre è più adatto per lo studio del trasporto solido nei fiumi piuttosto che nei torrenti.

Fig. 4.11 – Diagramma di Hjulström-Shields.

4.1.11.1 – Velocità limite

Un clasto ghiaioso, nell’alveo, può muoversi o per strisciamento o per rotolamento. Si consideri prima la condizione di moto per strisciamento.

Un elemento di forma cubica di dimensione generica d e peso specifico γs, posto su un letto ghiaioso avente una pendenza i = tgα investito dall’acqua, di peso specifico γs, è soggetto alla spinta idrodinamica che, con la componente del peso nel senso del moto, tende a muoverlo mentre è trattenuto per effetto dell’attrito. La condizione di equilibrio per un elemento ghiaioso di dimensione generica d (sezione d2, volume d3) è data dalla:

dove k è il coefficiente di forma per la spinta idrodinamica ≈ 0.5÷1.0 ed f è il coefficiente d’attrito a 0.6÷0,8.

La condizione di equilibrio rispetto al rotolamento, ossia rispetto alla rotazione attorno allo spigolo anteriore, è rappresentata dall’equilibrio del momento ribaltante dovuto alla spinta idrodinamica ed alla componente del peso nella direzione del moto e del momento stabilizzante dovuto alla componente del peso, normale al terreno, rispetto a detto spigolo. Si ha allora:

Poiché l’angolo α è in genere molto piccolo, senα ≈ 0 e cos α ≈ 1, per cui le espressioni diventano:

Poiché  0.6÷0.8 risulta che la velocità per muovere un sasso per strisciamento è minore che per il rotolamento. Tale risultato è legato al fatto di aver assimilato il casto ghiaioso ad un cubo. I sassi hanno forma ben diversa, però quasi sempre un po’ appiattita, perciò è più facile che un sasso si muova per strisciamento pur non mancando, specie quando essi hanno forma vicina alla sferica, il moto per rotolamento.

La velocità che interessa, tuttavia, è quella al fondo; se l’altezza dell’acqua è notevole rispetto alla dimensione del materiale, è possibile ritenere che la velocità sul fondo Vf sia pari a 0.75 la velocità media V; se però la dimensione del materiale è dello stesso ordine di grandezza rispetto all’altezza dell’acqua, la velocità sul fondo è praticamente uguale alla velocità media.

Le formule precedentemente riportate sono state semplificate da alcuni Autori; ad es. la relazione:

Vf = c√d         (Vf in m/s e d in m)

con c coefficiente variabile entro 4÷6 e, secondo altri autori, anche 8.

In altri casi sono state compilate delle tabelle che danno la velocità media limite V che non provoca il movimento, come ad es. la Tab. 4.9 dovuta ancora a Fortier.

Tab. 4.9 – Tabulati di Fortier per velocità limite in corsi d’acqua naturali.

Analogamente si può prevedere l’inizio del movimento dei materiali di fondo in base ad un valore limite τ0 della forza di trascinamento τ  γ r i.

Una formula di base sperimentale, come visto è ancora la:

τ0 = c(γsγ)d          (kg/m2)

con c variabile entro 0.045÷0.076.

Infine è possibile seguire la tabella seguente che indica il valore limite della forza di trascimento per cui inizia il trasporto di materiale.

sabbia fine              τ0 = 0.24 kg/m2

sabbia grossa         τ0 = 0.65 kg/m2

ghiaietta                  τ0 = 1.25 kg/m2

ghiaia                      τ0 = 1.40 kg/m2

ghiaia grossa          τ0 = 3.10 kg/m2

ciottoli (Ø 5 cm)      τ0 = 5.00 kg/m2

Come facilmente rilevabile controllare la formula ultima e la tabella non sempre risultano d’accordo.

4.1.11.2 – Portata solida

A parere di Du Boys il peso G del volume solido trascinato sul fondo può essere valutato in base all’eccedenza della forza di trascinamento effettiva r rispetto alla forza di trascinamento limite τ0. Il peso solido in kg per metro di alveo può essere rappresentata dalla formula:

ove β è un valore che dipende dal peso specifico del materiale e dell’acqua

e mediamente vale 0.88.

Un’altra formula, proposta da Meyer-Peter e valevole per materiale di dimensioni uniformi mette in confronto il peso solido e la portata unitaria liquida q:

ove G e q sono sempre espressi in m kg/s, e m l/s e d (dimensione del materiale) in m. Esplicitando rispetto a G si ha:

Si ricava anche facilmente, ponendo la condizione G = 0, la portata liquida alla quale non si ha trasporto di materiale di dimensione d. Risulta;

q = (17d/i)3/2

E’ possibile constatare facilmente come, al superamento di tale valore caratteristico della portata liquida, la portata solida aumenti più rapidamente della portata liquida.

4.1.11.3 – Trasporto isolato e trasporto di massa

II trasporto di materiale, come visto finora e come avviene normalmente, è un trasporto isolato o di classamento. In questo tipo di trasporto i corpi solidi mossi dall’acqua si muovono separatamente, e i più pesanti, cioè i più grossi, si muovono più lentamente dei corpi di dimensioni minori. Si forma perciò una cernita nel movimento dei materiali.

La quantità, o meglio, il peso di materiale che una corrente di determinata velocità e portata è in grado di trasportare ha un limite, e in tal caso si dice che sotto queste condizioni la corrente è satura. Con tale ipotesi qualunque aumento della quantità di materiale trasportato, inizialmente fermo, provoca un rallentamento della corrente che deve fornire una parte della sua energia per porre in moto il materiale (cioè fornire la quantità di moto atta a porlo in movimento) e, per tale motivo, ad ogni aumento di materiale deve corrispondere una deposizione di pari peso (ferme restando le condizioni della corrente) del materiale più grosso trasportato dalla corrente stessa.

Esiste anche un’altra forma di trasporto solido, molto meno frequente ma assai più pericolosa: si tratta del fenomeno conosciuto come trasporto di massa o lave torrentizie o colate di fango o anche mure (dal tedesco muren).

E’ questo il fenomeno più catastrofico cui possa dar luogo un torrente e viene a formarsi quando una grande quantità di materiale sciolto, misto a terra, fango, detriti, elementi vegetali etc., si accumula in un determinato posto dell’alveo e viene investito dall’acqua del torrente.

Tutto ciò può avvenire a causa di una frana il cui materiale va ad invadere l’alveo, oppure perché si è formata nell’alveo una ostruzione temporanea che poi cede di colpo sotto l’aumentata pressione da monte.

Talora si tratta, semplicemente, di materiale accumulatosi, nel giro di alcuni anni, nel letto del torrente e che, per effetto di una pioggia (anche di entità non eccezionale) si mette in movimento. Questo ammasso spappolato e lubrificato dall’acqua, si mette in moto all’unisono, come una colata di lava, sconvolgendo e travolgendo tutto quello che incontra lungo il cammino, in quanto possiede una forza distruttiva estremamente rilevante, molto più grande di quella delle piene d’acqua, per il forte peso specifico della massa in moto (fino a 1800 kg/m3 ), e per il suo forte coefficiente d’attrito. Da valutazioni effettuate lungo l’arco alpino è risultato che la spinta provocata da una lava torrentizia possa essere considerata da 7 a 10 volte maggiore della spinta idrostatica. Questa massa riesce a spingere enormi massi che sembrano quasi galleggiare in essa, massi del volume fino a 800 m(2000 t di peso); è tuttavia da osservare però che, accanto a questi massi e ad elementi grossolani, una % non indifferente del materiale costituente la lava è formato da particelle molto sottili. Le conoscenze relative a questo fenomeno sono molto incerte e contraddittorie, soprattutto perché mancano precise osservazioni dirette e ci si basa su modelli spesso personali o su tracce lasciate dal passaggio della lava e rilevate in seguito.

Basandosi sul sovralzamento dalla parte esterna della curva per effetto centrifugo della corrente lavica, ad es., Aulitzky valutò la velocità di detta corrente dell’ordine di 30 m/s sebbene, nonostante la notevole pendenza del torrente esaminato (22.5%), tale velocità possa risultare analiticamente eccessiva. Altri autori parlano di velocità dell’ordine di 5 m/s. Purtroppo, come più volte ripetuto, mancano modelli completi diretti mentre si ritiene, da parte di altri autori, che la composizione della lava, e in particolare la % d’acqua, abbia sensibile influenza sulla grandezza della velocità.

4.2 – Condotte forzate

Le condotte forzate vengono comunemente utilizzate per impianti civili quali acquedotti e fognature o rurali, quali bonifiche e irrigazioni, inseriti entro scavi effettuati generalmente in terreni alluvionali; assumono, tuttavia, un particolare significato per talune strutture (dotti idroelettrici, d’adduzione o scolmatori) laddove lo scavo può avvenire in roccia e dove per le pressioni in gioco, causate dalle elevate velocità che assume il fluido in tali contesti, lo studio geologico-tecnico si rivela fondamentale quanto quello dedicato ai fronti spondali nei canali a pelo libero.

4.2.1 – Generalità

La differenza di base fra il moto dell’acqua nei canali e il moto dell’acqua nelle condotte forzate risiede nel fatto che mentre nel primo caso la linea piezometrica coincide con quella della superficie libera dell’acqua, nel secondo caso la linea piezometrica, di norma, non viene a coincidere con l’asse del condotto: la distanza tra queste è proporzionale alla pressione agente sul fluido in condotta. Se il fluido si muove in filetti paralleli rispetto all’asse del tubo, si ha il cosiddetto moto viscoso o laminare oppure di Poiseuille in onore dello studioso che per primo ne studiò le caratteristiche. La formula elaborata è:

y = 32 L v V/g D2

nella quale y è la perdita di carico (m), L la lunghezza del tubo (m), v la viscosità del liquido (m2/s), V la velocità del fluido (m/s), g l’accelerazione di gravità (9,81 m/s2) e D il diametro del tubo (m).

Condizioni favorevoli per il mantenimento del moto viscoso sono:

–       movimento del liquido lento;

–       diametro del tubo piccolo;

–       elevata densità del fluido.

In genere, moto viscoso si ha nei tubi capillari e nel flusso di oli pesanti.

Quando la velocità di un fluido, viscoso, aumenta progressivamente e supera un certo limite, le caratteristiche del moto si modificano drasticamente. I filetti paralleli si modificano in curve irregolari, che si intersecano fra loro, ed il moto si sviluppa in forma caotica. Tale tipo di moto si chiama moto turbolento.

Il passaggio dal moto laminare a quello turbolento non è immediato, esistendo una zona di transizione in cui le caratteristiche del moto sono d’incerta determinazione (moto transitorio). Fissate le caratteristiche di viscosità del fluido in esame e le caratteristiche geometriche del condotto, il moto laminare persiste per valori di velocità inferiori ad un valore limite (o critico) Vc.

Al disopra di detto valore si sviluppa il moto turbolento.

Nelle usuali condizioni di flusso relative ai campi applicativi di interesse della presente trattazione, il moto è, di norma, turbolento.

4.2.2 – Numero di Reynolds

Fra gli studiosi che si sono occupati del moto dei fluidi nei condotti emerge il nome di Reynolds, il quale studiò entrambi i tipi del moto dell’acqua usando dei condotti di diametro variabile e acqua corrente a temperatura differente. Dai suoi studi sono stati ottenuti i seguenti risultati:

a) la velocità critica Vc è inversamente proporzionale al diametro del tubo e alla temperatura dell’acqua. Col crescere del diametro oppure della temperatura, Reynolds constatò che il limite menzionato di velocità risulta inferiore;

b) vibrazioni del tubo provocano una riduzione della velocità critica massima;

c) il passaggio dall’uno all’altro tipo di moto non è solamente una funzione della viscosità, ma del rapporto tra la viscosità e la densità del liquido (viscosità cinematica).

Si consideri ora il numero di Reynolds (numero puro):

Re = ρVD/n

che è espressione dal rapporto tra gli sforzi alla parete del condotto nelle condizioni di moto turbolento e moto laminare. Nella precedente espressione V è la velocità del fluido (m/s), Re il numero di Reynolds (adimensionale), n il coefficiente di viscosità del fluido (N m-2s), ρ la densità del liquido = γ/g (kg/m3), γ il peso specifico del liquido (N/m3), g l’accelerazione di gravità (9.81 m/s2) e D il diametro del condotto (m)

Dalla lettura della relazione si deduce che all’aumentare del valore di Re prevalgono gli sforzi associati al moto turbolento rispetto a quelli di origine viscosa, pertanto il numero di Reynolds è da interpretarsi come indicatore delle caratteristiche del moto in condotta.

Osservazioni sperimentali identificano con 0 < Re ≤ 2000 l’intervallo associato alla regione di moto laminare; per Re > 4000 si verifica il moto turbolento mentre per valori 2000 < Re < 4000 le caratteristiche del moto rimangono di incerta determinazione (moto transitorio).

Il numero di Reynolds può anche essere espresso per mezzo della viscosità cinematica v = n/ρ (L2/T). E poiché per tubi circolari si ottiene la relazione:

Q = AV = πD2V/4

si ha:

Re = 4Q/πDv

oppure, essendo R = A/x = 4/πD = D/4:

Re = Q/nRv

II coefficiente della viscosità cinematica v dell’acqua per diverse temperature (°C) assume i valori indicati in Tab. 4.10. Nella Tab. 4.11 sono compresi, separatamente, i valori di n e ρ.

Sul numero di Reynolds, elemento fondamentale nell’Idraulica dei condotti in pressione, come quello di Froude per i canali, sono state effettuate, e sono in corso da tempo, numerose ricerche.

Tab. 4.10 – Valori del coefficiente v = n/ρ per acqua pura.

Tab. 4.11 – Valori dei coefficienti n e ρ per acqua pura.

4.2.3 – Teorema di Bernoulli e sua estensione in presenza di effetti dissipativi

Daniel Bernoulli, come noto, formulò nel 1738 un principio riferito al caso del moto permanente dei fluidi perfetti (cioè non dissipanti energia) e incomprimibili; tale teorema esprime la conservazione dell’energia meccanica totale del fluido. In particolare, nelle ipotesi suddette, il teorema esprime la conservazione del carico totale H (energia meccanica totale per unità di peso del fluido) lungo le traiettorie. Il carico totale H è la somma di 3 altezze:

– geometrica z (riferita ad un piano orizzontale qualunque), corrispondente all’energia potenziale per unità di peso del fluido;

– rappresentatrice delle pressioni ρ/γ, corrispondente all’energia di pressione per unità di peso del fluido;

– generatrice della velocità V2/2g corrispondente all’energia cinetica per unità di peso del fluido.

H = z+ρ/γ+V2/2g

II teorema di Bernoulli può essere esteso a correnti finite di fluido ideale anziché limitarne la sua applicazione alle singole traiettorie descritte dalle particelle. In considerazione della effettiva distribuzione della velocità nell’ambito della sezione, occorre introdurre il coefficiente di Coriolis (o di ragguaglio della potenza cinetica:

α = ∫A v3dA/V3A     (adimensionale)

dove v è la velocità locale nella sezione e V = <v> è il valore medio della velocità nella sezione A. In virtù di tale coefficiente è possibile riscrivere la espressione del carico totale per correnti di fluido ideale, pesante, incomprimibile, in moto permanente lungo un condotto a sezione finita:

H = z+ρ/γ+αV2/2g = cost.

Nelle applicazioni correnti, il coefficiente α supera l’unità di pochi percento (α < 1.1).

Di conseguenza tale circostanza, unitamente al fatto che l’altezza generatrice delle velocità è di norma piccola rispetto al carico totale, è possibile considerare α= 1 commettendo un errore certamente trascurabile.

Fig. 4.12 – Elementi del Teorema di Bernoulli applicato nel caso di fluidi reali o naturali.

Il teorema può essere opportunamente esteso anche al caso di fluidi reali, i quali in moto danno origine a dissipazioni energetiche prodotte dall’attrito lungo le pareti e da ostacoli localizzati lungo il percorso. In particolare, se con J indichiamo la cadente effettiva cioè la perdita di carico totale per unità di percorso (J = -dh/ds) dovuta agli attriti, e con ΔHci la generica perdita di carico per accidentalità nella sezione i-esima, la perdita di carico totale (ΔH) lungo il percorso (L) risulta:

Si consideri quale esempio applicativo il caso del moto permanente all’interno di un condotto di derivazione da un serbatoio avente il pelo libero a quota Z1invariante nel tempo.

– per il punto 1 sulla superficie libera entro la vasca Hi = Z1+0+0: infatti sul pelo libero della vasca si ha: Vi = 0 poiché l’acqua è sostanzialmente ferma sul pelo libero della vasca ρ1/γ = Patm/γ = 0 poiché, come spesso accade in campo tecnico, si considerano le pressioni effettive, cioè si riferisce il valore di pressione alla pressione atmosferica (patm).

– per il punto 2 si ha:

 – per il punto 3 si ha:

 – per il punto 4 si ha:

nella quale la relazione ρ4/γ = 0 poiché il flusso è a pressione atmosferica (pressione effettiva nulla).

La superficie libera dell’acqua nella vasca rappresenta, con la sua quota, il carico iniziale.

Se si inseriscono lungo la condotta dei piezometri semplici (Fig. 4.12), l’acqua risale all’interno dei medesimi fino alla quota che bilancia l’energia potenziale totale posseduta dal fluido per unità di peso in corrispondenza della sezione ove il piezometro è installato.

L’energia potenziale per unità di peso è h = Z+ρ/γ (detto carico piezometrico) somma della quota e della altezza rappresentatrice della pressione. La linea congiungente i peli liberi all’interno dei piezometri (o più in generale i carichi piezometrici) è detta linea piezometrica.

In ciascuna sezione del condotto la linea dei carichi totali o effettivi (H) sovrasta quella dei carichi piezometrici della altezza generatrice delle velocità essendo H = h+V2/zg.

La linea congiungente i carichi totali in ciascuna sezione lungo il condotto è detta linea dei carichi totali o effettivi. Sovente, nelle applicazioni progettuali, quando l’altezza generatrice delle velocità è modesta in relazione a quella rappresentatrice delle pressioni, le due linee dei carichi totali e piezometrici si possono confondere.

La perdita di carico totale per unità di lunghezza di condotto J = ΔH/L è detta cadente effettiva, quella di carico piezometrico i = Δh/L è detta cadente piezometrica.

4.2.4 – Moto dell’acqua nelle condotte forzate

Come già visto per le correnti a pelo libero è possibile individuare anche in questo caso diverse condizioni di moto:

– moto uniforme: la velocità in condotta non varia nello spazio;

– moto uniforme stazionario: la velocità non cambia nello spazio e nel tempo;

– moto stazionario (o permanente): la velocità non cambia nel tempo;

– moto vario: la velocità cambia nello spazio e nel tempo.

Le principali cause di non uniformità del moto sono dovute a:

a) apertura o chiusura, lenta o rapida, di saracinesche o di valvole;

b) cambio di direzione (gomiti, diramazioni);

c) brusco cambio del diametro (restringimento o allargamento);

d) inserimento di diaframmi o di orifizi;

e) accensione o arresto di una pompa che alimenta la rete;

f) fughe dell’acqua dal sistema tubato;

g) entrata dell’aria nel sistema.

4.2.4.1 – Velocità e perdite di carico per attrito nel moto uniforme e stazionario

Simboli

D il diametro (m), A la sezione bagnata (m2)(A = πD2/4), x il contorno bagnato (m), (x = πD), R il raggio medio A/x = D/4Q = AV la portata (m3/s), V la velocità media (m/s), J la pendenza motrice = ΔH/L (m/mlin), ΔH le perdite di carico (m) ed L la lunghezza della condotta (m).

4.2.4.2 – Formule relative alla velocità media e alle perdite di carico lineari

a) Formula Chézy-Tadini.

V = c√Rj

Secondo Bazin:

c = 87R/(γ+√R)

Secondo Kutter:

c = 100R/(m+√R) = 100√D/4/(m+√D/4)

Secondo GauckIer-Strickler-Manning:

c = R1/6/n

I coefficienti di scabrezza γm e n sono riportati nelle Tab. 4.12. e 4.13.

Tab. 4.12 – Coefficienti di scabrezza da adottare per moto dell’acqua nelle condotte a regime uniforme.

Tab. 4.13 – Valori di n per tubi secondo Horton (relazione di Manning).

4.2.4.3 – Abaco di Moody

Moody ha elaborato l’abaco esposto in Fig. 4.13; tale diagramma costituisce, insieme, una sintesi e una combinazione dei dati e risultati ottenuti da Poiseuille-Hägen, Reynolds, Darcy-Weisbach, PrandtI-Karman, Colebrook-White, Rouse ed altri.

Dall’abaco risulta che:

–       a – nel caso di regime laminare il valore di λ dipende solamente dal numero di Reynolds;

–       b – anche nel caso del moto turbolento nei condotti lisci il valore di λ dipende solamente dal numero di Reynolds;

–       c – nel caso del regime puramente turbolento il valore di λ dipende dalla scabrezza relativa che è indipendente dal numero di Reynolds;

–       d – per i casi della zona di transizione (Colebrook-White) i valori di λ dipendono dalla scabrezza relativa e dal numero di Reynolds.

Nei casi che ricadono nella zona di transizione, che sono i più frequenti nella pratica operativa e in cui è applicata la formula di Colebrook-White, il Ministero dell’Agricoltura francese ha adottato la formula di Lechapt-Calmor:

J = aQm/Dn

Fig. 4.13 – Abaco di Moody.

4.2.4.4 – Formule empiriche

Sono state proposte anche numerose formule empiriche del tipo V = CRxJy molto usate a motivo della loro semplicità:

– Formula Darcy-Weisbach

oppure

– Formula Chézy-Tadini

– Formula Manning-StrickIer

– Formula Scimemi per tubi nuovi di cemento-amianto

– Formula Ludin per tubi di cemento-amianto in esercizio da alcuni anni

– Formula Scimemi-Veronese per tubi d’acciaio senza saldature

4.3 – Calcolo idraulico di un canale a pelo libero

I calcoli riguardanti i canali (o più genericamente i corsi d’acqua a pelo libero) possono essere di 2 tipi: di verifica, quando si conoscono le caratteristiche del canale e si deve controllare la portata che esso è in grado di convogliare, di progetto quando è data la portata e si devono stabilire le caratteristiche del canale.

4.3.1 – Calcolo di verifica

Qualora di un canale si conoscano le caratteristiche geometriche (sezione trasversale) e la pendenza del fondo, la velocità (quindi la portata) può essere ricavata facilmente applicando la formula di Chézy una volta fissato il valore del parametro (γm o k) che caratterizza la scabrezza. La difficoltà maggiore consiste nel fissare un valore sufficientemente approssimato di tale parametro, e questa difficoltà é tanto maggiore quando si tratta di alvei resi seminaturali il cui letto, oltre ad essere irregolare, è formato da ghiaie a varia classatura per le quali i valori della scabrezza non sono indicati nella tabella. In questi casi γ può assumere anche valori pari a 4÷6, m a 5÷7 e k a 17÷12. Allo stesso modo nei casi semplici come, ad es., nei canali rivestiti di lastre di calcestruzzo, occorre una certa pratica per scegliere un valore appropriato della scabrezza, anche perché tale valore è soggetto a variazioni nel tempo. Infatti nei canali in terra, ed anche nei canali rivestiti con lastre di calcestruzzo, crescono sulle pareti delle formazioni vegetali che ne aumentano la scabrezza. Inoltre, col tempo, i canali in terra, subiscono fenomeni di degradazione per corrosione e franamenti delle sponde, mentre quelli rivestiti denotano spesso una certa sconnessione delle lastre di rivestimento.

4.3.2 – Calcolo di progetto

In generale si rivela più complesso il calcolo di progetto, nel quale i dati conosciuti sono la portata, i punti iniziali e terminale del canale col loro dislivello e le caratteristiche del terreno da attraversare, e si devono trovare le dimensioni del canale.

Il problema presenta più soluzioni possibili tra le quali si deve scegliere la più conveniente dal punto di vista tecnico ed economico.

Occorre in tal caso tener presenti diversi punti fermi: innanzi tutto il tracciato; laddove possibile, infatti, per collegare i punti iniziale e terminale del canale, è da scegliere un tracciato rettilineo sebbene non sempre questo risulti possibile a motivo della presenza di avvallamenti o di dossi del terreno, o di costruzioni preesistenti che non si vogliano demolire.

Rimane allora da immaginare il tracciato, e spesso si può presentare la possibilità di diverse soluzioni; occorre perciò vedere quale sia la più conveniente, ossia vedere se conviene fare un canale più corto (e perciò di sezione minore) ma con tratti in rilevato o in trincea, o, seguire pressappoco una linea di livello, con minore lavoro di scavo e di riporto, ma con un canale più lungo e anche di sezione maggiore. In questo modo viene stabilita la pendenza.

Si procede, a questo punto, a fissare la sezione.

Intanto la forma della sezione dei canali è generalmente trapezia, con sponde variamente inclinate secondo la natura del terreno. L’inclinazione delle sponde è definita dalla loro pendenza o, meglio, dalla scarpa, che è l’inverso della pendenza. La scarpa è rappresentata da n = tg φ (Fig. 4.14 e Tab. 4.14).

Fig. 4.13 – Definizione di scarpa.

A pendenze piccole corrispondono scarpe grandi e viceversa. Per terreni molto sciolti, sabbiosi scarpa di 2÷3, per terreni sabbiosi argillosi (medio impasto) 1.5÷2, per terreni ghiaiosi o sabbioso-ghiaiosi 1.25÷1.5, per terreni argillosi compatti, rivestiti da zolle erbose 1÷1.25.

Questi, tuttavia, sono valori minimi, ed è quindi prudente aumentarli di almeno il 15%.

Tab. 4. 14 – Valori consigliati per la scarpa delle sponde di un canale aperto.

Con scarpa maggiore il canale viene a costare di più, ma diminuiscono le spese di manutenzione. Sono particolarmente da temersi smottamenti delle sponde in occasione di rapidi svasi del canale. Anche se le sponde sono rivestite con lastre di calcestruzzo, conviene sempre adottare scarpe non minori di 1÷1.5 (soprattutto in relazione al terreno sottostante). E’ possibile utilizzare scarpe minori se le sponde del canale sono formate da muri di sponda o in muratura o in calcestruzzo come nei cunettoni, ma anche in questo caso conviene dare una leggera scarpa (0.1÷0.2).

Se il canale è scavato in roccia, allora si può usare una sezione rettangolare, con sponde verticali. Nel progetto del canale si deve, tra le prime cose, prefissare un valore, sia pure approssimativo, della velocità, in relazione al tipo di canale da costruire e alla natura del terreno attraversato.

Se il terreno è formato da sabbia piuttosto sottile (e il canale non rivestito) la velocità non deve superare i 0.2÷0.3 m/s, per un terreno di medio impasto velocità massime di 0.4÷0.5 m/s, se il terreno è fortemente argilloso velocità massime di 0.6÷0.8 m/s, se il terreno è ghiaioso, velocità maggiore in relazione al diametro dei ciottoli, se il terreno è roccia, 2÷3 m/s. Se il terreno è rivestito con calcestruzzo, la velocità può arrivare a 2÷3 m/s. Nei cunettoni, rivestiti di pietrame proveniente da rocce compatte e difficilmente scalfibili (porfidi) si può giungere anche a velocità di 8÷10 m/s.

E’ opportuno, tuttavia, tener presente anche una velocità minima; specie se l’acqua può essere torbida, cosi da non permettere la sedimentazione del materiale trasportato in sospensione dall’acqua (velocità > 0.2 m/s per acque fangose, > 0.5 m/s per acque con sabbia minuta); inoltre non tutte le sezioni aventi superficie liquida uguale e pari inclinazione delle sponde portano, a parità di pendenza, la medesima portata.

Si procede, di seguito, a verificare se con le caratteristiche della sezione presupposte, la pendenza del fondo è sufficiente a convogliare la portata di progetto. Se la pendenza a disposizione è eccessiva, non potendosi ridurre la sezione per non aumentare la velocità, occorre diminuire la pendenza realizzando, nel canale, alcuni salti di fondo (Fig. 4.14). Il tratto del canale vicino al salto di fondo deve essere convenientemente rivestito; viceversa, se la pendenza a disposizione è troppo piccola, occorre aumentare l’area della sezione liquida, cosi da avere minori perdite.

Fig. 4.14 – Salti di fondo.

Si definisce franco di sicurezza la distanza verticale tra il pelo libero in moto uniforme alla massima portata di progetto e il bordo superiore del canale: questa deve risultare sufficiente a contenere le onde o le oscillazioni del pelo libero. I valori del franco di sicurezza possono dipendere dalle singole condizioni locali e dallo scopo a cui è adibito il canale. Di norma devono essere realizzati franchi elevati nei canali che convogliano correnti veloci, nei canali chiusi e in quelli che devono convogliare portate di piena (canali di bonifica, di fognatura, scolmatori di piena etc.). Un valore medio orientativo del franco di sicurezza (m) si ricava dalla relazione:

f = 0.3 + 0.25 h

dove h è l’altezza del pelo libero rispetto al fondo.

Fig. 4.15 – Valori del massimo sforzo unitario alla parete per canali in materiali sciolti.

4.3.2.1 – Rivestimenti dei canali

Il rivestimento viene realizzato allo scopo di perseguire vari obbiettivi, quali: eliminare o almeno ridurre le perdite d’acqua per infiltrazione; assicurare la stabilita del fondo e delle pareti; evitare le erosioni; ridurre la resistenza al moto e quindi, a parità di portata e pendenza, ridurre le dimensioni della sezione trasversale.

4.3.2.1.1 – Canali chiusi

Essendo, di norma, questi canali interrati, il rivestimento assume la funzione di elemento strutturale atto a resistere alle diverse possibili sollecitazioni esterne; tale funzione può talora non essere necessaria per canali realizzati all’interno di masse rocciose compatte e caratterizzate da elevata impermeabilità. Il materiale di norma impiegato per il rivestimento dei canali chiusi è il calcestruzzo di cemento armato con tondini di ferro; lo spessore viene definito, caso per caso, sulla base dei diversi carichi che esso deve sopportare. Per canali di consistenti dimensioni (area della sezione > 4 m2) il rivestimento viene generalmente costruito in opera, mentre per dimensioni inferiori sono normalmente impiegate tubazioni prefabbricate del medesimo materiale, a sezione circolare o ovoidale.

La scelta della tipologia degli inerti de! cemento e degli additivi costituenti la miscela di calcestruzzo è effettuata tenendo conto delle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua da convogliare; in particolare, nei condotti di fognatura che possono convogliare acque corrosive, si adotta spesso, specie nella parte inferiore della sezione, un rivestimento del calcestruzzo della struttura a mezzo di piastrelle o mattoncini in grès o materiali similari non aggredibili dagli acidi: è ormai frequente il ricorso alla verniciatura con resine epossidiche, previa opportuna imprimitura. Nel caso di canali scavati in roccia resistente ma non impermeabile s’impiega anche il rivestimento con gunite, eventualmente armata con rete metallica; se la roccia è sufficientemente impermeabile, è comunque buona norma rivestire il fondo del canale soggetto a facile deterioramento a causa del passaggio di uomini e anche di mezzi meccanici durante i periodi di manutenzione.

Tab. 4.15 – Valori consigliati per lo spessore di rivestimento di canali in calcestruzzo.

4.3.2.1.2 – Canali aperti

II rivestimento dei canali aperti può essere realizzato con differenti materiali; questo è, di norma, riservato ai canali per irrigazione, uso industrie e navigazione mentre di regola non è adottato nei canali di bonifica.

Rivestimenti in muratura

Si tratta di una tipologia largamente usata in passato che trova ancora qualche impiego in casi particolari quali i canaletti di drenaggio delle sistemazioni montane. La muratura può essere di pietrame o mattoni, a secco o con malta di cemento: in via orientativa lo spessore per muratura di pietrame e malta e compreso entro 15÷30 cm.

Quando ben costruito, il rivestimento in muratura è stabile, di lunga durata, resistente alle erosioni e relativamente efficace nel ridurre le infiltrazioni; per contro comporta ormai costi assai elevati.

Rivestimenti in calcestruzzo di cemento

Si tratta della tipologia attualmente più usata; se realizzato con miscele adeguate e se ben applicata, risponde agli scopi richiesti ad un rivestimento e può essere impiegato nelle diverse variazioni in canali di qualunque dimensione, con basse e alte velocità dell’acqua.

Rivestimenti gettati in opera

Le caratteristiche del calcestruzzo devono essere quelle normali per getti di modesto spessore (< 10÷12 cm) e devono comunque essere valutate caso per caso. In via orientativa si possono adottare i seguenti valori: rapporti acqua/cemento in peso: 0.48÷0.55 per le superfici alternativamente bagnate; 0.60 per superfici permanentemente sommerse; dosaggio cemento: 200 ÷300 kg m3 di calcestruzzo; dimensioni ghiaia: la massima dimensione deve essere inferiore alla metà dello spessore e di norma ≤ 4 cm, e per l’80% ≤ 2 cm; rapporto sabbia/ghiaia 0.6÷0.7 per ghiaia con dimensioni massima ~4 cm; 0.8÷1.0 per ghiaia con dimensione massima ~2 cm.

Il dimensionamento dello spessore del rivestimento e dell’armatura metallica viene, di norma, eseguito affinché nel calcestruzzo, per ogni possibile condizione di carico o ci deformazione impressa, non si generino fessurazioni. Di conseguenza, nella progettazione del rivestimento, oltre ai normali carichi esterni, risulta fondamentale tenere in considerazione gli effetti provocati dall’azione del gelo e dalle variazioni di temperatura oltre alle tensioni normalmente producentisi nel materiale in fase di getto. Particolari curve vanno adottate nel fissaggio dell’armatura, per evitarne gli spostamenti durante il getto: la massima dimensione della ghiaia impiegata per il calcestruzzo deve essere < (sd)/2 essendo s lo spessore in cm del rivestimento e d il diametro in cm del più grande tondino di ferro.

I valori dello spessore per rivestimenti non soggetti a spinte del terreno o a sottopressioni sono dettati fondamentalmente dall’esperienza (Tab. 4.15).

Al fine di prevenire la formazione di fessure occorre predisporre dei giunti se il contorno bagnato non supera i 10÷15 m, i giunti longitudinali sono disposti all’intersezione delle pareti con il fondo; se il contorno bagnato è più grande, conviene predisporre altri giunti longitudinali a intervalli di 3÷3.5 m. Con calcestruzzo non armato è consigliabile predisporre giunti trasversali a distanze di 2÷2.5 m per spessori di 50÷75 mm, e a distanze di 3.5÷4.5 m per spessori superiori.

Rivestimenti a posa pneumatica (gunite e spritz-beton)

Tali interventi consistono nella posa di una semplice malta di cemento e sabbia spruzzata con aria compressa sul terreno da rivestire. La composizione della malta è condizionata dalle apparecchiature impiegate per il getto: di norma sono accettabili un rapporto cemento/sabbia 0.25÷0.22 e un rapporto acqua/cemento pari a 0.75.

I rivestimenti di questo tipo non hanno alcuna funzione strutturale e perciò non hanno necessità di alcuna armatura; allo scopo di ridurre il pericolo della fessurazione, s’inserisce talvolta un’armatura costituita da una rete metallica con tondini di 3÷4 mm, con maglie di 10÷15 cm. Per terreni sabbiosi si adottano per i rivestimenti spessori dell’ordine dei 35 mm; per terreni argillosi e per grandi canali gli spessori raggiungono l’ordine dei 50÷60 mm; di norma non vengono eseguiti giunti.

Rivestimenti prefabbricati

L’intervento consiste nella posa di lastre in calcestruzzo semplice o armato prefabbricate sul fondo e sulle pareti del canale; questo tipo di rivestimento è meno efficace di quelli gettati in opera nei confronti delle eventuali sottopressioni e spinte del terreno, ma, utilizzando elementi di produzione industriale, presenta il vantaggio dell’uniformità e della maggiore resistenza delle superfici, nonché quello di manutenzioni relativamente facili attraverso la sostituzione degli elementi deteriorati.

La forma e le dimensioni delle lastre (talvolta coperte da brevetto) possono essere assai diverse e sono in generale condizionate dalle dimensioni del canale, dalle modalità di posa in opera e dalla disponibilità di mezzi per la loro movimentazione. In via del tutto indicativa, le lastre hanno superfici non eccedenti i 6÷8 m2; lo spessore è variabile entro 5÷10 cm, dove i valori più piccoli corrispondono alle lastre di minori dimensioni. I giunti fra lastra e lastra possono avere forme diverse ma, in ogni caso, devono essere riempiti con materiali elastici impermeabilizzanti.

Il terreno su cui vanno posate le lastre deve essere adeguatamente preparato e, se del caso, drenato, sovrapponendo al terreno naturale uno strato più o meno importante di ghiaia o sabbia, accuratamente steso e livellato, oppure uno strato di tessuto non tessuto.

Rivestimenti in materiali bituminosi

Tali interventi svolgono essenzialmente funzioni d’impermeabilizzazione del fondo e delle pareti del canale, possono diminuire le resistenze al moto ma non sono idonei a sopportare eventuali sottopressioni o spinte del terreno; essi presentano il vantaggio di una grande elasticità che permette al rivestimento di seguire i piccoli movimenti del terreno, senza che intervengano fessurazioni nocive. Sebbene siano stati sperimentati diversi tipi di rivestimenti bituminosi, attualmente quello che offre i migliori risultati è il rivestimento in calcestruzzo bituminoso steso a caldo sul fondo e sulle pareti del canale, dopo una loro accurata preparazione.

Il calcestruzzo è costituito da una miscela di ghiaia, sabbia, filler (polvere di mattone o d’altoforno, löss fine, cemento) e di asfalto di adatta qualità.

Le dimensioni degli inerti più grandi non devono essere maggiori di 1/4÷1/3 dello spessore del rivestimento; nel diagramma di Fig. 4.16 vengono fornite alcune curve granulometriche degli inerti impiegabili per la formazione del calcestruzzo bituminoso. L’asfalto, le cui caratteristiche devono essere scelte in dipendenza del clima, è dosato di norma nella percentuale del 6—8% in peso dell’intera miscela.

Fig. 4.16. — Composizione granulometrica degli inerti per calcestruzzi bituminosi.

Il terreno naturale deve essere accuratamente preparato, attraverso una buona pulizia di tutti i materiali organici, una sterilizzazione del terreno (per eliminare qualsiasi pericolo di crescita di vegetazione al di sotto del rivestimento) e una compattazione del terreno. Sul terreno cosi preparato viene dapprima steso un sottile strato di emulsione bituminosa e quindi il calcestruzzo bituminoso, preventivamente preparato a caldo. Quando lo spessore > 8 cm è conveniente procedere con 2 strati successivi, il secondo dei quali deve essere steso prima che il precedente si sia completamente raffreddato; gli strati vengono poi rullati.

Rivestimenti in terra

Tale intervento é costituito dalla posa di strati di terre opportunamente scelte, ben assortite e idoneamente compattate, eventualmente protetti da strati di materiali grossolani. Questi rivestimenti presentano buone caratteristiche d’impermeabilità e di flessibilità mentre offrono modesta resistenza all’erosione, elevata resistenza idraulica e possibilità di crescita di vegetazione; essi possono risultare convenienti quando i materiali terrosi necessari sono disponibili in luogo. Le terre impiegate per questi rivestimenti devono avere grosso modo le stesse caratteristiche di quelle usate per la formazione delle zone impermeabili delle dighe in terra; è necessario un profondo studio preliminare dei materiali disponibili per accertare l’effettiva possibilità di utilizzazione, e in particolare le modalità di miscelazione e di posa in opera.

Le dimensioni di questi rivestimenti vanno definite caso per caso, sulla base dei materiali usati e delle caratteristiche del canale; di norma i rivestimenti cosiddetti pesanti hanno spessori di 0.9÷2.5 m misurati orizzontalmente sulle pareti e di 0.3÷0.6 m misurati verticalmente sul tondo; quelli cosiddetti leggeri presentano spessori di 0.15÷0.3 m sulle pareti e sul fondo e generalmente vengono protetti da uno strato di 0.15÷0.3 m di ghiaia grossolana. La posa in opera dei rivestimenti in terra viene condotta secondo i procedimenti impiegati nella costruzione degli argini e delle dighe in terra, con quelle eventuali modifiche dettate dal caso particolare.

Difesa dalle contropressioni

quando un canale è scavato in un terreno sede di una falda freatica, può accadere che, in dipendenza dei livelli dell’acqua nel canale e nella falda, si esercitino sul rivestimento delle sottopressioni dall’esterno tendenti a danneggiare il rivestimento stesso; per eliminare, o almeno attenuare, gli effetti delle sottopressioni possono essere adottati accorgimenti di diverso genere. Qualora non importi ottenere una completa impermeabilità del canale, il problema viene risolto realizzando nel rivestimento una serie di fori, che, nel caso di terreno a tessitura grossolana, possono avere diametri di 4÷5 cm ed essere disposti a distanze dell’ordine di 1÷1.2 m fra loro; è conveniente riempire questi fori con ghiaia di dimensioni crescenti dal terreno verso la superficie interna del canale, ghiaia che occorre eventualmente rimpiazzare se in essa si compongono depositi di materiale fine.

Se invece non si desiderano perdite d’acqua dal canale, occorre interporre fra il terreno naturale e il rivestimento un idoneo filtro in pietrisco, sabbia o tessuto non tessuto, che raccolga le acque del terreno e le convogli a uno o più tubi di drenaggio disposti longitudinalmente sotto il canale, con idonei scarichi a intervalli regolari; talvolta, il filtro è posto in comunicazione con il canale a mezzo di valvole à clapet, che consentono l’entrata d’acqua nel canale ma non la sua uscita: il funzionamento di queste valvole presenta tuttavia qualche problema in quanto il meccanismo può incepparsi per deposito di materiale. Per il dimensionamento del filtro e dei tubi di drenaggio si seguono le stesse regole in uso per le dighe in materiali sciolti.

Perdite d’acqua nei canali per infiltrazione

Tali perdite dipendono dalle caratteristiche del terreno in cui è scavato il canale, dalla forma di questo, dal tipo di rivestimento adottato, dai livelli liquidi nel canale e nel terreno. Per canali non rivestiti la determinazione delle perdite per infiltrazione può essere impostata per via rigorosa attraverso le leggi del moto dell’acqua nei mezzi porosi, ma i risultati numerici cui si può giungere possono essere anche assai diversi da quelli reali in considerazione delle caratteristiche di permeabilità del contorno una volta stabilizzato e della variabilità spaziale delle caratteristiche del terreno che non si è in grado di conoscere con sufficiente dettaglio.

Dall’elaborazione di numerosi risultati sperimentali ottenuti in USA Etcheverry fornisce i valori orientativi raccolti in Tab. 4.16. Per una più precisa valutazione delle perdite per infiltrazione è necessario effettuare una serie di misure dirette per ogni caso particolare.

Tab. 4.16 – Valori consigliati da Etcheverry per le perdite per infiltrazione in canali non rivestiti.

4.3.2.1.3 – Condotte forzate

Trattandosi essenzialmente di strutture per il convogliamento in pressione di fluidi, costituite quasi totalmente da elementi di tubazioni (acciaio, ghisa, grès, cls, pvc, pet, vetroresina etc.) di sezione circolare opportunamente collocati fra loro mediante giunzioni di diversa tipologia e funzione, non rivestendo l’argomento particolari prescrizioni attinenti a problemi geologici (a parte quelli relativi a scavi diretti in roccia descritti in altro capitolo) nel presente paragrafo viene riferito solo quanto attiene alle condotte forzate a scopo idroelettrico rimandando a testi specifici per tutti gli altri argomenti.

Generalità sui tubi

I tubi commerciali sono offerti sul mercato secondo dimensioni prefissate normalmente unificate.

Diametro nominale (simbolo DN): é un’indicazione convenzionale per individuare i diversi elementi accoppiabili di una tubazione; esso rappresenta all’incirca il diametro in mm della tubazione;

Pressione di esercizio (pe) e pressione nominale (pn): si definisce pressione d’esercizio pe il massimo valore delle pressioni che possono verificarsi in asse delle tubazioni per il più gravoso funzionamento idraulico del sistema, comprese le eventuali sovrappressioni Δp determinate da prevedibili condizioni di esercizio, anche se conseguenti a fenomeni transitori In assenza di calcolo specifico o, in ogni caso, per le reti di distribuzione con diametri ≤ 350 mm, per le sovrappressioni conseguenti a manovre di regolazione del sistema, indipendentemente dalla tipologia delle tubazioni impiccate, viene adottato il valore Δp = 0.24 MPa. Laddove ricorrano particolari condizioni e in ogni caso per le tubazioni di grande diametro, devono essere determinate con specifici calcoli le tensioni generate dalle azioni derivanti dall’effettivo impiego della tubazione e non connesse con l’esercizio idraulico del sistema (natura e altezza dei rinterro, sovraccarichi statici e dinamici, variazioni termiche e azioni sismiche).

Si definisce pressione equivalente p0 la pressione assiale che conferisce ai tubo tensioni di trazione massime uguali a quelle determinate in base alle specifiche condizioni sopraindicate. Si definisce pressione nominale pn della tubazione la somma delle pressioni di esercizio ed equivalente pn = pe+po.

Il valore pn costituisce l’elemento di base per la scelta della serie o classe dei tubi, dei giunti e dei pezzi speciali costituenti le tubazioni destinate all’esercizio in pressione. Nei casi in cui la pressione equivalente sia trascurabile (ossia possano essere trascurate, nel confronto con i valori della pressione d’esercizio, le azioni derivanti dalle condizioni d’impiego delle tubazioni non connesse con l’esercizio idraulico del sistema) in luogo di pn può essere considerato il solo valore pe come elemento determinante della scelta della tipologia della tubazione.

Condotte per Impianti Idroelettrici

Sono, di norma, realizzate in acciaio e fabbricate caso per caso in dipendenza delle caratteristiche del singolo impianto; per la progettazione, la fornitura dei tubi e dei pezzi speciali, la costruzione delle condotte forzate e i collaudi è opportuno far riferimento alla specifica tecnica unificata Condotte forzate per impianti idroelettrici dell’ENEL e relativi allegati.

Tipologie di tubazioni per impianti idroelettrici

tubi saldati sono ottenuti per calandratura a freddo o a caldo in lamiera, saldata poi longitudinalmente; questi tubi possono avere spessori fino a 60÷70 mm.

tubi blindati a caldo sono costituiti da un normale tubo saldato, sul quale vengono forzati a caldo anelli di blindaggio regolarmente distanziati fra loro: con il raffreddamento gli anelli determinano una precompressione del tubo; sono adatti per i tronchi con elevata pressione interna.

tubi blindati a freddo si ottengono con il seguente procedimento: posizionati a freddo gli anelli di blindaggio sul tubo con un gioco dell’ordine dell’l, si sottopone il complesso a una pressione interna di norma doppia di quella di esercizio: il tubo subisce una deformazione permanente e, con l’annullamento della sollecitazione, esso risulta precompresso e incrudito; questo tipo attualmente è spesso impiegato in sostituzione di quello blindato a caldo.

tubi surpressati vengono ottenuti sottoponendo un normale tubo saldato a una pressione interna, tale da superare il limite di snervamento negli strati interni dello spessore: col ritorno a pressione nulla si ottiene un’autoprecompressione degli strati interni che consente una migliore utilizzazione del materiale.

Tutti questi tubi sono di norma fabbricati con acciai prodotti al forno Martin Siemens o elettrico. Le specifiche ENEL, citate in precedenza, forniscono indicazioni circa le caratteristiche degli acciai e dei laminati da utilizzare in relazione alle condizioni d’impiego delle condotte forzate.

4.4 – Canali e corsi d’acqua navigabili

La navigazione da carico può aver luogo, oltre che sui canali, sui fiumi a corrente libera con lievissime velocità oppure, in forma ibrida, entro fiumi regolarizzati o sistemati in alveo e lungo corsi canalizzati mediante dighe mobili. Occorre, in ogni caso, studiare le caratteristiche fisiche ed il regime del corso d’acqua per poter decidere se convenga la sistemazione in alveo oppure la canalizzazione.

Non esistono regole che possano indicare a priori quale metodo debba seguirsi: in genere la regolazione in alveo del fiume non ha soltanto lo scopo di rendere facilmente navigabile il corso d’acqua ma anche quello della difesa idraulica dei terreni latistanti. La sezione del fiume deve essere atta a contenere le acque di magra, di morbida e di piena, ad assicurare il fondale sufficiente alla navigazione, a non dar luogo né a velocità elevate che ostacolino il movimento delle navi o erodano troppo fortemente l’alveo, né a velocità troppo basse che diano luogo a depositi.

Per la regolazione dei corsi d’acqua occorre tenere presenti le seguenti norme:

–       l’andamento planimetrico dei corsi d’acqua presenta curve che si succedono in senso inverso;

–       gli ostacoli resistenti e le rive concave provocano e mantengono le profondità, le quali, a loro volta, dipendono dalla resistenza dell’alveo;

–       il profilo longitudinale del filone (linea di massima velocità) presenta diverse pendenze i cui vertici sono fissati da tratti di alveo di maggiore resistenza oppure dallo sbocco degli affluenti;

–       l’alveo é costituito da una serie di gorghi separati fra di loro da soglie o dossi, tanto più accentuati quanto è più forte la pendenza generale del corso d’acqua.;

–       la pendenza del pelo libero tende a diventare uniforme proporzionalmente all’aumento della portata;

–       ogni piena modifica la forma dell’alveo scavando maggiormente i gorghi mentre le magre tendono a colmarli.

–       il filone segue la riva concava, i banchi si depositano principalmente lungo la riva convessa oppure in prossimità dei flessi.

–       i gorgo è tanto più profondo ed il deposito è tanto più saliente quanto maggiore è la curvatura;

–       il gorgo è spostato a valle dai vertici della curva; il massimo protendimento del banco si trova pure spostato a vallo della sommità convessa;

–       la soglia (o dosso di flesso) si trova a valle del punto in cui la concavità muta in convessità.

Ogni cambiamento brusco di curvatura è accompagnato da un cambiamento brusco di profondità, e per ottenere fondali regolari occorre scegliere curve con raggi che aumentino col procedere dal vertice ai punti di tangenza o d’inflessione, come la lemniscata o la parabola; di conseguenza, pur assecondando sempre le tendenze naturali del fiume, si sono ottenuti buoni risultati limitando i raccordi rettilinei o sopprimendoli del tutto.

4.4.1 – Sistemi di regolazione

Le regolazioni o sistemazioni in alveo comprendono opere longitudinali (argini, difese, presidi di sponda); opere trasversali (pennelli, soglie di fondo, dighe direttrici, traverse per interclusione di bracci fluviali); paratoie mobili piantate nell’alveo, oppure festoni di fascine sorretti da pali, graticciate che moderino l’impeto della corrente e promuovano le colmate; drizzagli o tagli, dragaggi etc.

Le opere longitudinali si adottano principalmente allo sponde concave; le opere trasversali, o pennelli, nei tratti rettilinei o sulle sponde convesse: rispetto alle opere longitudinali presentano il vantaggio di poter essere allungati od accorciati a seconda dalle necessità contingenti.

Un restringimento del corso d’acqua mediante argini oppure una serie di pennelli o repellenti produce normalmente un’escavazione a monte o un rialzo a vallo e quindi una diminuzione di pendenza media; tuttavia se tale restringimento continua per una certa lunghezza può produrre effetti del tutto contrari, cioè rialzo dell’acqua a monte ed abbassamento verso valle, ossia un aumento di pendenza superficiale per tutto il tronco dell’alveo ristretto. L’abbassamento eccessivo a monte o a valle dovuto ai restringimenti dell’alveo può produrre scoscendimenti delle sponde o degli argini. Generalmente si adottano sistemi misti di pennelli ed opere longitudinali e soglie di fondo per formare una specie di ossatura dell’alveo; lo soglie di fondo, tuttavia, possono costituire dei pericoli per la navigazione.

La sistemazione deve essere eseguita gradualmente seguendo attentamente le tendenze del corso d’acqua e, soprattutto, mantenendo e migliorando la continuità delle successioni curve-controcurve evitando comunque i passaggi bruschi.

drizzagni o tagli possono essere consigliabili quando si vogliono correggere le tortuosità che rendono difficile la navigazione, per evitare forti corrosioni alle sponde, per rendere più facile il deflusso delle piene, lo sgombro dei ghiacci, l’approfondimento dell’alveo etc. sebbene arrechino sempre una escavazione nel tronco del fiume a monte ed una replezione, almeno temporanea, a valle.

Prima di intraprendere i lavori e durante il corso di questi occorre studiare il regime idrologico del corso d’acqua, il movimento dello materie solide( sia per sospensione che per trascinamento) oltre a tutti i caratteri fisici che il fiume presenta.

La forza di trascinamento per unità di superficie del fondo; F = γ i h (γ peso specifico dell’acqua, i pendenza dell’acqua, h profondità dell’acqua) deve essere mantenuta a valori poco discosti da quelli trovati per i tronchi-tipo, e variare in dipendenza delle dimensioni dei materiali trasportati per trascinamento.

dragaggi rimuovono il banco o la soglia ma non impediscono che esso si riformi; debbono quindi essere eseguiti con grande parsimonia e principalmente quando si tratta di asportare depositi che non possono in alcun altro modo venire rimossi. Talvolta é consigliabile approfondire il filone navigabile mediante dragaggi o lasciare alle opere di sistemazione in alveo la funzione di mantenere i fondali. Per la realizzazione delle opere longitudinali o trasversali in alveo vengono impiegati i materiali ottenuti mediante draghe aspiranti.

In genere in un fiume canalizzato la navigazione è più facile e più sicura che non in un fiume regolato.

Si canalizza un fiume mediante sbarramenti successivi che concentrano le cadenti in salti. Ogni sbarramento consta: di una diga in parte fissa ed in parte mobile oppure tutta mobile, di un passo navigabile, di una conca ed opere accessorie quali scale per pesci etc.. Con la canalizzazione si connettono generalmente impianti di forza idraulica, opere di irrigazione, di bonifica etc.

Ogni sbarramento deve avere un rigurgito idrostatico con fondale sufficiente alla navigazione sino al piede dello sbarramento a monte, deve consentire un facile e pronto deflusso delle piene mediante dighe mobili rapidamente manovrabili. Mentre agli effetti della navigazione si tiene conto del rigurgito idrostatico agli effetti delle piene e soprattutto per l’influenza che la canalizzazione può arrecare al rialzo delle acque freatiche dei terreni latistanti si deve tener conto del rigurgito idraulico.

Talvolta per non dar luogo a rialzi delle falde d’acqua dannosi all’agricoltura occorre eseguire canali di scolo o di risanamento lateralmente al fiume canalizzato. Nei riguardi del regime del fiume occorre considerare che le piene si propagano più rapidamente sia perché gli sbarramenti successivi diminuiscono le capacita moderatrici, sia perché le dighe vengono abbassate a poca distanza dal tempo l’una dall’altra ed i deflussi di magra possono venire diminuiti a causa della irregolarità degli invasi. Anche il trasporto del materiale solido per sospensione o por trascinamento subisce notevoli turbamenti.

4.4.2 – Canali navigabili

Si chiamano canali di partizione se attraversano un displuvio e canali laterali se fiancheggiano una linea di compluvio.

Prima di eseguire il tracciato occorre studiare attentamente la natura geologica del suolo, i corsi d’acqua superficiali, le falde acquifere sotterranee, la permeabilità del terreno etc. Riveste un ruolo importante la presenza di argille o marne necessarie a rendere impermeabile il canale.

Si consigliano, in generale, le seguenti prescrizioni:

–       rettifili di 300÷400 m a monte e a valle delle conche;

–       raggio minimo nelle curve per navigli da 600 t → 600 m;

–       alla larghezza normale del fondo del canale aggiungere una sovra-larghezza dipendente del raggio della curva per non rendere eccessivo lo sforzo di trazione; gli allargamenti debbono cominciare gradualmente prima della curvatura. Con raggio di 2000 m allargamento al vertice della curva di 1 m; con raggio di 1500 m, allargamento di 2 m; con raggio di 1000 m, allargamento di 4 m; con raggio di 600 m, allargamento di 6 m;

–       profilo con tronchi orizzontali separati da conche;

–       per quanto possibile evitare lunghe tratte in rilevato;

–       far cadere la conca in prossimità della strada da intersecare;

–       evitare tronchi troppo brevi che risentano eccessive oscillazioni del pelo d’acqua causato dalle concate;

–       salti pressoché uguali ma riducentisi leggermente con l’allontanarsi dal punto di alimentazione se la presa d’acqua è unica.

–       la sezione del canale dipende dall’importanza dell’idrovia ed è generalmente fissata da consuetudini o da norme legislative.

–       con S sezione liquida del canale, ed s sezione maestra della nave più grande che lo solca, si deve avere S/s ≥ 4÷4.5;

–       definire una forma il più possibile trapezoidale con fondo parabolico o comunque maggiore della profondità lungo l’asse;

–       profondità d’acqua almeno 0.5 m maggiore della pescagione massima;

–       approntare rivestimenti e presidi rinforzati sul tratto di sponda in corrispondenza dello specchio d’acqua perché maggiormente soggetto a deterioramenti dovuti alle onde, all’urto delle navi, all’azione del gelo e disgelo.

4.4.3 – Conche (passaggi a chiusa tra canali a livelli di pelo d’acqua differenti)

E’ consigliabile avere la quota della platea ~ 0.3 m più bassa della quota del canale a valle. L’acqua viene immessa nel bacino dal tronco a monte o mediante sportelli o paratoie ricavati nelle portine e mediante dotti che sboccano sotto il muro di caduta o, infine, mediante dotti longitudinali con orifizi ripartiti lungo tutta la lunghezza della conca. L’acqua della conca si scarica a valle o attraverso paratoie ricavate nei portoni, o mediante dotti laterali. Per i dotti s’impiegano generalmente valvole cilindriche o paratoie a segmento cilindriche.

4.4.4 – Bacini di risparmio

L’acqua della conca piena, invece di venire scaricata tutta nel tronco a valle, viene immessa in uno o più bacini laterali nei quali si trattiene per servir poi di nuovo per il riempimento parziale della conca. Se i bacini presentano una superficie uguale a quella della conca ed n è il loro numero, l’acqua risparmiata è n/(n+2) del volume di riempimento della conca.

Se i bacini hanno superficie differente da quella della conca ed m è il rapporto tra la superficie di ogni bacino e quello della conca, l’acqua risparmiata è mn/[m(n+1)+1] del volume di riempimento della conca. L’attivazione di tali bacini di risparmio allunga la durata delle concate.

4.4.5 – Quantità d’acqua necessaria all’alimentazione dei canali

Definizioni

–       volume d’acqua necessario per una nave che sale attraverso una conca = capacità della conca aumentata dello spostamento dell’acqua prodotto dalla nave.

–       volume d’acqua necessario per una nave che discende = capacità della conca diminuita dello spostamento dell’acqua prodotto dalla nave.

–       volume d’acqua per un incrocio (passaggio di una nave che sale ed una che scende, trovando la conca piena) = capacità della conca aumentata della differenza degli spostamenti tra la nave che sale e la nave che discende.

Il consumo d’acqua necessario in un canale per le manovre delle navi nelle conche è misurato da quella conca che maggiormente consuma, sia per le sue dimensioni sia per il maggior traffico che in essa avviene. Altri consumi d’acqua in un canale dipendono:

–       dalla regolazione dell’acqua nei diversi tronchi, che causa perdite cospicue specialmente se il tronco è molto corto;

–       dalle perdite talvolta inevitabili alle porte, alle paratoie, alle valvole etc;

–       dalle perdite accidentali dovute ad improvvisi guasti o prosciugamenti parziali per riparazione o per recupero di navi affondate (tali perdite possono venire ridotte se per i tronchi lunghi vengono installate le cosiddette porte di sicurezza);

–       dalle perdite per filtrazione;

–       dalle perdite per evaporazione.

4.5 – Problemi geologici nella realizzazione di opere di canalizzazione

4.5.1 – Generalità

Dal punto di vista geologico la costruzione di canali presenta problemi del tutto simili a quelli relativi alle costruzioni stradali e ferroviarie; le differenze principali, viceversa, sono rappresentate dalla maggiore entità degli scavi, da chiare necessità di pendenza e dalle esigenze di permeabilità che possono venire richieste al terreno per taluni tipi di canali sebbene, come visto in precedenza, a necessità di questo genere si provvede comunemente con impermeabilizzazioni artificiali e rivestimenti di vario genere.

In ogni caso appare evidente come, anche dal punto di vista geologico, i problemi siano abbastanza differenti nel caso di canali non rivestiti e nel caso di canali rivestiti.

Nel primo caso, infatti, occorre innanzitutto tenere conto delle condizioni di pendenza delle sponde in relazione con la composizione del terreno: se si tratta (caso più frequente) di terreni incoerenti occorre determinare la composizione granulometrica e la relativa pendenza naturale ottimale di essi al fine di progettare la forma del canale (inclinazione delle sponde) ed identificare a priori l’entità delle perdite.

Come si è visto nel caso delle strade, la tecnica moderna consente la correzione eventuale della composizione granulometrica assieme all’eventuale modificazione artificiale del terreno da riutilizzare per rivestimenti parziali o totali del fondo e delle pareti del canale.

Del tutto diversi, invece, sono i problemi geologici dei canali rivestiti; essendo i rivestimenti in lastre di calcestruzzo o in miscele bituminose i più comuni e completi, in questi casi il problema della tenuta passa in secondo piano di fronte ai problemi della stabilità del fondo e delle sponde.

In ogni caso, i problemi geologico-progettuali più comuni che interessano i canali sono in parte di ordine tecnico, in parte di ordine economico; i primi riguardano l’adozione di particolari criteri costruttivi in relazione alla natura e alla struttura delle rocce attraversate dal canale mentre i problemi d’ordine economico si riferiscono al costo tecnologico e di sicurezza in relazione ai tipi di rocce suddetti.

Non risultando la necessità di trattare dettagliatamente tali problemi che trovano numerosi riscontri in quelli già considerati nei capitoli precedenti (soprattutto nelle costruzioni stradali e ferroviarie) permane il fatto che, a seconda della funzione alla quale i canali sono destinati, variano anche i problemi geologici relativi alla loro costruzione.

Le condizioni generali di stabilità della sede dei canali, infatti, non differiscono molto da quelle indicate per le ferrovie ma le esigenze, nel primo caso, sono ancora maggiori in quanto è evidente che movimenti del suolo anche molto piccoli possono provocare inconvenienti gravi e, soprattutto, lesioni nelle opere di rivestimento delle pareti e del fondo con conseguenti perdite d’acqua. Problemi geologici di questo genere si presentano specialmente nella costruzione di canali a mezza costa: anche nel caso di canali non rivestiti le condizioni di stabilità possono essere compromesse dalla dispersione stessa delle acque nel sottosuolo e dalla relativa aggressione sotterranea.

Diversi e più complessi, come anticipato, sono, nei vari casi, i problemi geologici dipendenti dalle condizioni di permeabilità del terreno e dai rapporti altimetrici fra il pelo d’acqua nel canale e la superficie freatica; tali questioni possono riportarsi alle condizioni idrologiche del bacino ed alle loro relazioni con le acque freatiche.

E’ possibile aggiungere che mentre alcuni tipi di canali servono unicamente al trasporto dell’acqua e come tali richiedono alvei impermeabili (per natura o resi tali con impermeabilizzazioni, o con rivestimenti) altri, viceversa, hanno lo scopo d’immettere o sottrarre acque al suolo ed al sottosuolo ed in tal caso le condizioni di permeabilità dell’alveo devono essere adeguate alla funzione che il canale è destinato ad esercitare. Sono soprattutto i canali di drenaggio e d’irrigazione che si trovano in tali condizioni.

4.5.2 – Canali di derivazione fluviali e lacustri

Dal punto di vista geologico la costruzione di canali di derivazione fluviali e lacustri presenta problemi molto vari sia in relazione alla configurazione morfologica del territorio attraverso il quale il canale deve transitare, sia in relazione alla composizione del sottosuolo.

Tuttavia se tali problemi, come già esposto, si rivelano simili a quelli relativi alle costruzioni stradali e ferroviarie (soprattutto nei riguardi dello studio geologico del tracciato) è opportuno porre in evidenza 2 gruppi di opere che si differenziano completamente da quelle suddette: si tratta, cioè, delle opere di presa e delle opere di restituzione delle acque, realizzazioni caratteristiche dei canali.

Per ciò che attiene alle opere di presa fluviali, generalmente il corso d acqua da cui viene deviata l’acqua viene sbarrato (almeno parzialmente) allo scopo di convogliare una parte, o tutta, la corrente verso il canale artificiale. Le opere di presa interessano, quindi, l’alveo medesimo del corso d’acqua ed una delle sponde, ossia zone soggette ad attività morfologiche, spesso molto intense, del corso d acqua.

In tali opere assume particolare importanza non soltanto la scelta più accorta della posizione topografica (che tuttavia è quasi sempre legata, almeno come quota, allo schema generale della utilizzazione) ma anche e soprattutto lo studio preventivo del terreno di fondazione. In vari casi uno spostamento anche beve delle opere di presa lungo la sponda di un corso d’acqua, può evitare spese ingenti per motivi d’indole geologica. Potremmo citare più di un caso recente in cui non essendosi tenuto conto di tali condizioni si è andati incontro a sene difficoltà tecniche e conseguentemente a spese molto maggiori del previsto.

Minore importanza, dal punto di vista geologico-tecnico, presentano le opere di restituzione, ma anche in questo caso la conoscenza della natura dei terreni di fondazione che interessano una delle sponde va considerata con attenzione.

I problemi geologici relativi alla costruzione dei canali di derivazione possono talora variare anche in relazione alla funzione cui tali canali sono destinati; è stata indicata in principio di capitolo una determinata classificazione dei canali di derivazione fluviale e lacustre; in questa sede è possibile ricordare che i canali d‘irrigazione sono destinati a convogliare e distribuire le acque di corsi d’acqua o di laghi nelle aree da irrigare mentre quelli di bonifica servono a trasportare le torbide nei comprensori di bonifica.

I canali di derivazione per impianti idroelettrici compongono, viceversa, diverse destinazioni servendo, tra le varie, a captare l’acqua di corsi d’acqua per portarla entro serbatoi di ritenuta, a derivarla da tali serbatoi e portarla alle centrali di produzione, a smaltire una parte delle acque di piena del serbatoio oppure agire da vettori bi-direzionali per le centrali di pompaggio etc.

I problemi geologici variano, talora, anche a seconda del tipo di opere di cui trattasi: i canali industriali sono quelli destinati a portare acque alle industrie o alle centrali di produzione energetica ove vengono utilizzate per impieghi differenti a seconda della natura dell’attività.

4.5.3 – Acquedotti

Con tale definizione s’intende riferirsi in particolare ai canali destinati al trasporto delle acque potabili dai luoghi d’origine verso le località d’impiego. Fra i problemi geologici peculiari a questo genere di canali si richiama l’attenzione sulla necessità dell’isolamento completo delle acque in esse contenute da quelle di dilavamento superficiale ed anche da quelle freatiche che potrebbero provocare inquinamenti. Per tali motivi i canali per acquedotti sono comunemente rivestiti e non di rado anche ricoperti. Particolare importanza riveste anche n questo caso la stabilità della sede del canale che va studiata accuratamente prima della costruzione dell’opera sia perché i movimenti del suolo causati da frane o cedimenti anche modesti possono provocare perdite parziali o totali del fluido, con grave pregiudizio per l’economia di un servizio pubblico, sia perché, attraverso le pareti del canale, possono infiltrarsi acque di percolazione .

4.5.4 – Drenaggi

Si tratta, in genere, dei canali destinati al prosciugamento di aree permanentemente o temporaneamente, o anche soltanto occasionalmente, invase dalle acque.

In tutti questi casi, riveste particolare importanza lo studio delle condizioni di permeabilità del suolo e del sottosuolo e la distribuzione delle acque sotterranee.

4.5.5 – Fognature

I canali destinati a smaltite le acque di fogna presentano problemi geognostici poco diversi da quelli dei canali di drenaggio. Anche in questi, infatti, oltre a conoscere preventivamente la natura litologica del terreno nel quale dovrà essere scavato il canale, occorre tenere conto della permeabilità e della distribuzione delle acque sotterranee. Questo sia per prevedere la necessità o meno di rivestire il canale, sia nel caso che si faccia a meno di tale rivestimento, per stabilire dove possano andare a fluire le acque di fognatura nel sottosuolo per evitare pericoli di inquinamento di falde eventualmente utilizzate a scopo potabile.

4.5.6 – Canali navigabili

Sono queste le opere che, per le loro esigenze particolari e per l’importanza tecnica ed economica, richiedono spesso studi geologici più vasti e completi.

A differenza di altri tipi di canali continentali, i canali navigabili devono essere costantemente riempiti d’acqua così come viene richiesto che il movimento dell’acqua sia molto lento, al punto che quando esistono dislivelli d’una certa entità si deve provvedere alla costruzione di conche per mezzo delle quali il dislivello può venire superato dai natanti, in salita o in discesa, innalzando ed abbassando alternativamente con mezzi artificiali (pompe) il pelo d’acqua entro conche attigue, ovvero mediante ascensori o piani inclinati.

I canali navigabili derivano comunemente le acque o dai fiumi o dai laghi naturali o artificiali; la costruzione di tali canali è operativamente legata alla disponibilità d’acqua e al suo regime e fra gli studi preliminari sono da considerare anche quelli idrologici ed idraulici.

Successivamente si richiede la conoscenza quanto più precisa e dettagliata della composizione litologica del terreno da scavare. A tale scopo è necessaria l’esecuzione di un rilievo geologico-tecnico di tutta la striscia (o strisce) di territorio in cui si prevede possano transitare i tracciati possibili del canale navigabile fra i quali dovrà essere effettuata la scelta.; una volta stabilito il tracciato definitivo, anche in base alle indagini geologiche di superficie, occorre provvedere ad una determinazione più precisa della natura del sottosuolo a mezzo di sondaggi di piccola profondità ed eventualmente a mezzo di pozzi esplorativi a mano.

In tale fase occorre precisare anche la posizione della superficie freatica, le sue eventuali oscillazioni e, in generale, le condizioni idrologiche sotterranea. Attraverso queste conoscenze l’operatore può provvedere non solo alla definizione di molte opere relative alla struttura da realizzare, ma anche alla scelta dei materiali da costruzione utilizzabili fra quelli di scavo e alla comparazione dei costi.

4.6 – Opere supplementari lungo i canali

Sifoni

Il superamento di dislivelli tra il profilo del canale e quello del terreno si ottiene a mezzo di rilevati, per i grandi canali, o a mezzo di appositi supporti prefabbricati nel caso di canalette. Quando il dislivello è notevole e riguarda, ad es., un sottostante corso d’acqua si fa ricorso alla costruzione di ponti-canali, oppure di sifoni.

Quest’ultimi, oltre al superamento di ampie depressioni (sifoni lunghi), consentono l’attraversamento di strade, linee di ferrovie e di altri canali (sifoni corti); si tratta di tubi in calcestruzzo armato o in acciaio opportunamente raccordati col canale alle sezioni di estremità.

La scelta delle caratteristiche costruttive dipende, in larga misura, oltre che dalla portata, dal dislivello da vincere, ossia dal carico.

Per valori del carico fino a 30 m possono essere impiegati tubi in calcestruzzo gettati in opera con spessore variabile a seconda del carico effettivamente presente. L’imbocco risulta leggermente più basso del livello dell’acqua per evitare l’entrata di aria nel condotto. Inoltre, apposite griglie asportabili proteggono l’imbocco e lo sbocco dall’entrata di corpi estranei. Un’opportuna apertura permette lo svuotamento e la pulizia.

Fig. 4.17 – Profilo di un sifone lungo.

Nel caso di un sifone lungo (Fig. 4.17) in linea generale le perdite di carico sono eguali a:

secondo Weisbach.

La Fig. 4.18 illustra una sezione di botte a sifone la quale serve per attraversare strade agricole.

Fig. 4.18 – Sezione tipo di botte a sifone.

Le perdite di carico risultano dall’equazione:

I sifoni corti (Fig. 4.18) sono costituiti: a) da un pozzetto d’entrata, b) da un tubo posto a quota più alta del fondo dei pozzetti e c) da un pozzetto d’uscita.

Scaricatori

Lungo i canali, gli scaricatori costituiscono opere necessarie per ragioni di sicurezza oppure per vuotare i canali.

Nella Fig. 4.19 si illustra un tipo di scaricatore lungo un canale adduttore. Il livello di colmo dello scaricatore coincide con il livello dell’acqua previsto. Lo scaricatore funziona come uno stramazzo e la sua capacità risulta dalla relazione:

Q = 1.8 L H3/2 (m3/s)

in cui L = la lunghezza della soglia stramazzante. Le caratteristiche geometriche dello sfioratore (la sua lunghezza L ed il carico di esercizio H) sono fissati in modo che la portata derivata dallo sfioratore sia 1/10 della portata nominale del canale.

Fig. 4.19 – Scaricatore di tipo ovoidale in n canale di trasporto.

In Fig. 4.20 si illustra uno scaricatore tipo per piccoli canali (terziari). In questo caso la capacità dello scaricatore si calcola con la formula:

Q = μ A √2gH (m3/s)

dove A è la sezione (m2), H il carico; è la differenza fra il livello dell’acqua nel canale di irrigazione e quello nel canale di scolo. Nel caso di canale di scolo vuoto, H è la differenza fra il livello dell’acqua nel canale di irrigazione e l’asse del tubo scaricatore.

Fig. 4.20 – Scaricatore tipo per canali dispensatori.

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