14 – Installazioni offshore

Il continuo aumento della domanda di materie prime energetiche unito alla necessità di vettoriare i fluidi ricavati dai giacimenti il più celermente possibile verso gli impianti di trattamento o, in carenza di sistemi viciniori, anche di trasformare i prodotti direttamente in situ (al fine d’ evitare problemi di trasporto, ambientali, logistici, fiscali etc.) ha favorito lo sviluppo, a partire dalla seconda metà del ’900, dei cosiddetti impianti offshore.

Fig. 14.1 – Sviluppo delle strutture fisse offshore dagli anni ’50. Sotto, sviluppo dalle fisse alle ancorate profonde odierne.

Questi insediamenti di ricerca e/o produttivi, localizzati fronte costa (near-shore) oppure, più propriamente, al largo (off-shore s.s.entro e (soprattutto) anche oltre le 6 miglia marine presso fondali comunque suscettibili d’installazione, vengono realizzati con tecnologie differenti di volta in volta mirate alla durata, all’economia ed al programma produttivo legato al progetto.

14.1 – Tipologie d’impianto

Gli impianti offshore, al di là delle diversità funzionali di sovrastruttura, di volta in volta intese alla ricerca, alla produzione, alla raffinazione o, comunque, al trattamento-trasporto dei fluidi, sono divisibili in 5 moduli principali:

1)    installazioni fisse in cls (gravity concrete) o sommergibili poi affondate (submersible s.s.) destinate alla produzione o al trattamento;

2)    installazioni ibride, sommergibili a recupero o semisottomarine, ad uso produttivo;

3)    impianti trasportati a sottostruttura incrementabile (jack-up), generalmente impegnati nella ricerca.

4)    impianti galleggianti TLP (tension leg platform) o SPAR (submersible pipe alignement rig) ad uso generalmente produttivo e di trattamento;

5)    navi da perforazione (drillship), di norma impegnate nella ricerca..

Le dimensioni, le capacità operative, le strutture di sostegno, movimento e logistiche sono commisurate e diversificate a seconda che si tratti di attività:

–       in alto mare;

–       entro la piattaforma continentale (100÷200 m);

–       fronte costa (30÷50 m)

–       entro aree suscettibili d’incremento produttivo-operativo;

–       in ambiti a clima periglaciale (ambiente artico).

La cartina in Fig. 14.2 mostra la distribuzione degli impianti attualmente impiegati nel mondo.

Fig. 14.2 – Distribuzione degli impianti offshore nel mondo.

Per quanto concerne il materiale utilizzato per la realizzazione della struttura, le tipologie possono essere: in calcestruzzo (concrete structures), in acciaio(steel structures) o miste (hybrid or composite structures).

Per quanto concerne il posizionamento operativo possono suddividersi in fisse (fixed) e fluttuanti (floating).

Infine, dal punto di vista applicativo, sono distinguibili in:

–       strutture posizionate dinamicamente (dynamically positioned);

–       strutture ancorate convenzionalmente (conventionally moored);

–       strutture a sostegni tensionati (tension leg platforms);

–       strutture a posizionamento variabile in altezza (fisse rimuovibili) (fixed removable);

–       strutture a gravità (gravity structures);

–       strutture palificate (piled structures).

Definendo un modulo standard (Fig. 14.3) i dati salienti sono così riassumibili:

– distanza dalla costa                                                                           80 km

– profondità del fondale marino                                                          116 m

– elevazione della struttura sul livello del mare                                    22 m

– peso della sottostruttura                                                                    16 kt

– peso della fondazione                                                                         6 kt

– peso della sovrastruttura                                                                   22 kt

Per quanto concerne le condizioni ambientali al contorno:

– velocità massima del vento                                                               44 m/s

– altezza massima delle onde                                                              14 m, periodo 11 s

– onda di vento: velocità                                                                       40 nodi

altezza significativa                                                      7 m

rapporto lunghezza/durata                                     1400 km/20 gg

Fig. 14.3a – Elementi d’equilibrio e di squilibrio insistenti su una piattaforma.

Fig. 14.3b – Nomenclatura funzionale in una piattaforma.

Osservando le Figg. 14.3 è anche possibile individuare gli elementi base che concorrono al dimensionamento (e a all’equilibrio) della struttura indipendentemente da funzioni o destinazioni, ossia:

–       capacità portante del fondale;

–       moto ondoso;

–       ventosità;

–       carico di corrente.

unitamente alle eventualità legate a collisioni e attività sismiche.

Per quanto concerne il primo punto, le problematiche relative alle fondazioni sono risolte in ambito geotecnico mentre le altre 3 sono da analizzarsi attraverso modelli idrodinamici.

In Fig. 14.4 sono radunate alcune delle tipologie strutturali relative alle installazioni offshore.

14.2 – Idrodinamica marittima

Mantenendo presente quanto espresso in relazione agli impianti portuali, per interpretare correttamente i movimenti delle acque in mare aperto è opportuno definire un modello di riferimento che tenga conto più puntualmente delle situazioni esistenti al largo a partire dalle grandezze in campo (moto ondoso, ventosità e moto ondoso indotto, correnti o trasporto di masse). Tali grandezze, ai fini della progettazione, vanno rilevate con appositi sensori nell’area tipo individuata dal giacimento.

Fig. 14.4 – Differenti tipologie di impianti offshoreA) modulo a gravità fisso; B) modulo a gravità con sistema di stoccaggio; C) modulo a gravità affondato; D) modulo galleggiante TLPE) modulo semisommergibile; F) modulo ibrido recuperabile; G) modulo ibrido con sistema di stoccaggio; H) modulo recuperabile TDHTI) modulo classico.

14.2.1 – Fenomenologia del moto ondoso

Una piastra piana verticale oscillante periodicamente all’estremità di un canale genera delle onde sulla superficie dell’acqua. Fissando l’immagine istantanea della superficie dell’acqua si ottiene una rappresentazione dell’elevazione η in funzione dell’ascissa y lungo l’asse di propagazione delle onde (asse del canale). La funzione η(y) in un istante fissato rappresenta le onde nel dominio spaziale (Fig. 14.5a). Registrando l’elevazione η della superficie dell’acqua in un punto fissato in funzione del tempo t, si ottengono invece le onde nel dominio temporale (Fig. 14.5b)

Fig. 14.5 – (a) Onde nel dominio dello spazio; (b) onde nel dominio del tempo.

Dalle Figg. 14.5ab delle onde nel dominio dello spazio e nel dominio del tempo, si ricava le definizioni dei parametri fondamentali: l’altezza H, che rappresenta il dislivello cresta-cavo; la lunghezza L, che rappresenta la distanza tra i due zeri di η che delimitano l’onda nel dominio dello spazio; il periodo T, che rappresenta l’intervallo tra i due zeri che delimitano l’onda nel dominio del tempo. Oltre a questi tre parametri fondamentali, conviene definire:

(I) l’ampiezza d’onda                                     a ≡ H/2

(II) la frequenza angolare                             ω ≡ /T

(III) il numero d’onda                                     k ≡ /L

Per capire il fenomeno onda in generale, può essere utile lo schema di Fig. 14.6 dove ciascun punto descrive un’orbita circolare, in senso orario, con velocità costante. Il tempo impiegato a coprire l’orbita (circonferenza) è T e la figura mostra due istantanee prese ad un intervallo di tempo T/4 l’una dall’altra.

Fig. 14.6 – Ogni punto descrive un’orbita circolare di raggio R in un tempo T; la linea congiungente i punti è un’onda che si propaga con celerità L/T.

La linea che congiunge i punti rappresenta un’onda. Si vede come l’onda avanzi di L/4 in un intervallo di tempo T/4, e ciò significa che la velocità di propagazione (o celerità) dell’onda è:

C = L/T

La velocità v di ogni singolo punto è generalmente diversa da c. Infatti:

v = 2πr/T

dove R è il raggio delle orbite circolari).

Non solo la velocità v delle particelle è generalmente diversa dalla velocità di propagazione c dell’onda ma addirittura si può fare variare come si vuole v senza modificare c: è sufficiente fissare il periodo di rotazione e la lunghezza L (che dipende solo dall’interasse tra le circonferenze) e fare variare il raggio R delle orbite.

14.2 – Correnti associate al moto ondoso

La portata media

Si consideri un fondale con le curve batimetriche parallele all’asse x, e si analizzi la portata media associata al moto ondoso. La portata media per unità di lunghezza attraverso un piano verticale perpendicolare all’asse y è:

e risulta somma di due componenti non-nulle di ordine H2:

dove Qw è noto, mentre Qc è incognito perché:

dove C é la costante tuttora incognita nell’espressione del potenziale di velocità.

La portata Qw è dovuta agli spostamenti orizzontali delle particelle, prodotti dal moto ondoso (il pedice w sta per wave). In precedenza s’era visto che, in un mezzo periodo d’onda, una particella subisce uno spostamento D0 positivo di ordine H, e nel mezzo periodo successivo subisce uno spostamento –D0 uguale e contrario. Estendendo la soluzione al secondo ordine, si trova che la somma dello spostamento orizzontale positivo e dello spostamento orizzontale negativo non è più nulla nel periodo dell’onda, bensì uguale ad un termine positivo di ordine H2. In altre parole, la particella avanza progressivamente lungo l’asse di propagazione dell’onda, e la portata associata a tale avanzamento risulta uguale al termine Qw. La Qc è invece la portata di una corrente stazionariaassociata al moto ondoso (il pedice c che sta per current) necessaria per assicurare la continuità

14.3 – La celerità di gruppo

Tempo impiegato da un moto ondoso a propagarsi su un bacino inizialmente calmo

La Fig. 14.7 mostra un canale di profondità costante, all’estremità del quale c’è un generatore di onde. Si supponga che il generatore entri in funzione all’istante (t=0). Il problema consiste nell’individuare quale sia l’istante di tempo t0 in cui le onde raggiungono un’assegnata ascissa y0.

Per rispondere alla domanda, si consideri il volume di controllo a cielo aperto compreso tra la sezione y = 0 (generatore) e la sezione y = y0. Nell’intervallo di tempo 0 < t < t0 il moto nel volume di controllo non è periodico. Infatti, se si scattassaro delle istantanee del canale ad intervalli di tempo pari a T (il periodo delle onde), si coglierebbero delle situazioni mano a mano diverse. Precisamente, si vedrebbero delle onde nella parte del canale più prossima al generatore col resto del canale perfettamente calmo. Poi, con lo scorrere del tempo, si vedrebbe che la porzione del canale interessata dalle onde si allunga progressivamente. Questo significa che il moto non risulta periodico consentendo così di usare, per l’interpretazione, l’equazione istantanea che prescinde dal fatto che il moto sia o non sia periodico.

Fig. 14.7 – (a) Pianta e sezione longitudinale di un lungo canale; (b) 3 posizioni istantanee colte ad un periodo d’onda l’una dall’altra nella fase in cui il moto ondoso si propaga sul canale inizialmente calmo(le onde vengono schematizzate come segmenti verticali con altezza uguale all’altezza cresta-cavo e interasse uguale alla lunghezza); (c) particolare della testa del gruppo.

Integrando quest’ultima rispetto al tempo t, tra l’istante t=0 e l’istante t=t0 si ottiene:

Dove lo sviluppo del 1° membro porta alla condizione:

Poiché per una qualsiasi funzione periodica f(t) di periodo T, vale:

assumendo che t0 sia molto grande rispetto al periodo T, è possibile riscrivere la relazione nella forma:

Da cui, utilizzando l’espressione del potenziale di velocità Φy con sinα = 1, in quanto la direzione di propagazione coincide con l’asse y, si arriva alla forma finale del 1° membro uguale a:

Il 2° membro dell’equazione iniziale rappresenta la differenza tra l’energia meccanica esistente nel volume di controllo all’istante t=0 quando l’acqua è ancora calma, e l’energia esistente nel volume di controllo all’istante t=t0 quando le onde occupano tutto il volume. Pertanto, utilizzando la definizione di nereggia totale media per unità di superficie Є è possibile scrivere:

2° membro dell’equazione = – by0Є

e quindi, grazie all’espressione di Є:

forma finale del 2° membro dell’equazione = – by0H2ρgЄ/8

Per cui, note le espressioni del 1° e del 2° membro dell’equazione, segue che:

dove c è la celerità (velocità di propagazione) dell’acqua, k il n° d’onda,e d la profondità dell’acqua.

Come detto, la relazione al 1° membro presuppone che t0 sia molto grande rispetto al periodo T mentre quella al 2° membro, allo stesso modo, presuppone che y0 sia molto grande rispetto alla lunghezza d’onda L. Riguardo alla relazione al 2° membro bisogna anche evidenziare che Є rappresenta non solo l’energia unitaria mediata rispetto ad un periodo d’onda in un punto fissato. ma anche l’energia unitaria mediata rispetto a una lunghezza d’onda lungo l’asse ydi propagazione, in un istante fissato. Ed è in questa seconda accezione che Є è stato utilizzato nella relazione.

L’ipotesi che t0 sia molto grande rispetto a T è stata implicitamente fatta anche in un altro passaggio del ragionamento che ha portato alla relazione finale. Infatti il contesto presuppone che nella sezione y = y0 l’acqua permanga calma fino all’istante t = t0 e poi a partire dall’istante to (nella sezione y0) s’instauri l’onda di altezza H.

In realtà, come è intuitivo, le cose non stanno proprio così; in y0 l’acqua permane calma fino ad un istante t0” poi, per un intervallo di tempo pari a 2 o 3 periodi T, si verifica una fase transitoria con onde di altezza via via crescente; solo di seguito, a partire da un istante t0” l’altezza dell’onda, si stabilizza sul valore Hdefinitivo. Tuttavia, se il tempo t0 è grandissimo rispetto al periodo T, la durata della fase transitoria diventa piccolissima rispetto a . e quindi può essere trascurata come si è fatto sopra.

Significato di celerità di gruppo

L’espressione finale è importante in quanto rivela che la velocità con la quale il moto ondoso si propaga lungo il canale è:

(si tratta del rapporto y0/t0). Qui è immediato verificare che cG (il significato del pedice G viene chiarito oltre) è generalmente < c. Addirittura, nel caso fondamentale di alti fondali, cG è la metà di c. Di seguito si spiega la differenza tra i due termini.

La Fig. 14.7c mostra 3 istantanee del canale prese ad intervalli di tempo T una dall’altra. Le onde sono rappresentate da segmenti verticali: l’altezza del segmento è uguale all’altezza dell’onda e l’intervallo tra due segmenti consecutivi è uguale alla lunghezza. Lungo ogni periodo T ciascuna onda avanza di una lunghezza L e quindi le singole onde si muovono con la celerità L/T ( → il particolare della testa del gruppo nella Fig. 14.7c). Il gruppo di onde avanza invece di una lunghezza ogni due periodi, e dunque la sua velocità è pari a c/2. La velocità del gruppo è più piccola della velocità di propagazione delle singole onde componenti, semplicemente perché le singole onde vanno a morire una dopo l’altra in testa al gruppo. Ad es., nella prima istantanea vediamo che l’onda A è sul punto di morire, mentre nella terza istantanea, scattata dopo due periodi, sul punto di morire c’è l’onda B; poi sarà la volta della C, della D e così via.

Si è inteso, a questo punto, che il pedice G sta per gruppo, e che cG è la celerità di gruppo; quest’ultima assume un ruolo cruciale nella meccanica delle onde generate dal vento.

Infatti, come illustrato più oltre, le onde generate dal vento tendono ad aggregarsi spontaneamente dando vita a gruppi composti di 3÷4 onde che avanzano con celerità cG. In quel caso le onde si formano (nascono) in coda al gruppo, crescono fino a raggiungere un massimo di altezza quando arrivano ad occupare la posizione centrale dell’inviluppo, e poi vanno a morire in testa al gruppo. Tale fenomeno avviene proprio perché la celerità del gruppo, cioè la velocità di avanzamento dell’inviluppo, è più piccola della celerità e di ciascuna singola onda componente.

La differenza tra i gruppi di onde spontanei, cioè quelli che si formano sulla superficie del mare nel corso delle mareggiate, e il gruppo di onde periodiche è molto forte; basti pensare che il gruppo di onde periodiche, a differenza del gruppo di onde di mare, si allunga progressivamente e che le sue onde nascono, per così dire, già adulte, cioè a piena altezza. Le “… onde periodiche stanno infatti alle onde generate dal vento sulla superficie del mare un po’ come una specie animale elementare sta all’uomo…” (Boccotti). Per contro lo studio preliminare delle specie elementari si rivela utile per arrivare a comprendere le specie più evolute. In particolare è possibile osservare come il rapporto cG/c per i gruppi di onde evoluti che si formano in mare sia lo stesso che per il primordiale gruppo di onde periodiche.

14.4 – Onde generate dal vento: concetti e nozioni di base

II concetto di stato di mare

La Fig. 14.8 mostra una registrazione dell’elevazione d’onda η in un punto fissato del mare, in funzione del tempo. Come per le onde periodiche. la η(t) rappresenta la quota verticale istantanea della superficie libera dell’acqua, riferita al suo livello medio. Una singola onda è la porzione della funzione η(t) compresa tra 2 zero up-crossings consecutivi (zeri di η con derivata positiva): il periodo dell’onda è l’intervallo tra i due predetti zeri; la cresta ed il cavo sono rispettivamente il massimo relativo più alto e il minimo relativo di minore ordinata dell’onda: l’altezza è uguale al dislivello tra cresta e cavo. Come si vede, le onde hanno dimensioni e forme diverse tra loro.

Fig. 14.8 – Registrazione di onde in un punto fissato di mare.

Lo stato di mare ideale rappresenta una successione di onde generate dal vento, come quelle di Fig. 14.8. la quale si prolunga indefinitamente nel tempo, in condizioni stazionarie. Per comprenderne il significato si supponga di estrarre dallo stato di mare ideale un certo numero di insiemi di N onde consecutive, e di valutare i valori medi delle altezze e dei periodi delle onde costituenti ciascuno di tali insiemi: H(1) e T(1) sono, rispettivamente, l’altezza ed il periodo medi del primo insieme, cioè l’altezza ed il periodo medi delle onde dalla numero 1 alla numero NH(2) e T(2) sono l’altezza e il periodo medi del secondo insieme, cioè delle onde dalla numero (N+1) alla numero 2N e così via. Per piccoli valori del numero N (ad es. N = 5) le coppie (H(1),T(1)), (H2,T(2)) etc. risultano anche molto diverse tra loro. Ma, al crescere di N le differenze tra le coppie tendono a scomparire, e per N → ∞ tutte le coppie diventano uguali tra loro.

Lo stato di mare reale è una successione dell’ordine delle centinaia di onde consecutive (tipicamente si assumono 100÷300 onde). Una tale successione è sia sufficientemente breve da potersi ritenere pressoché stazionaria, sia sufficientemente lunga da potersi ritenere ben rappresentativa della condizione del mare. In altre parole, essa può essere pensata come una successione estratta da uno stato di mare ideale, ed inoltre si può pensare che la sua altezza e il suo periodo medi siano molto vicini all’altezza ed al periodo medi dello stato di mare ideale.

Estraendo una successione dell’ordine di alcune unità di onde da uno stato di mare ideale cioè da un processo aleatorio stazionario, l’altezza ed il periodo medi della successione potrebbero anche differire grandemente dall’altezza e dal periodo medi dello stato di mare ideale. Se, viceversa, si registrasse in mare una successione dell’ordine delle decine di migliaia di onde, essa non potrebbe più essere pensata come una successione estratta da uno stato di mare ideale in quanto l’ipotesi di stazionarietà potrebbe essere grossolanamente disattesa. Ad es. potrebbe darsi il caso che la prima metà della successione di onde appartenga ad una fase di mare poco mosso, e la seconda metà ad una fase di mare grosso, con conseguenti grandi differenze sui valori medi delle dimensioni delle onde, tra la prima e la seconda metà della successione.

In realtà, come definito da sperimentazioni accurate, la durala ottimale di uno stato di mare reale è quella per cui sussiste la minima differenza tra le caratteristiche medie della prima e della seconda metà della successione di onde.

Teoria degli stati di mare e definizione di spettro

Si prenda un punto in mare: ad un certo istante nel punto fissato cominciano a formarsi delle onde. Le onde possono essere dovute ad un vento che soffia in zona. o possono anche essere onde che si propagano al di fuori dell’area di generazione, cioè onde generate in precedenza da un vento che ha soffiato in qualche parte del bacino, lontano dal punto fissato. Nel primo caso, come visto,  si chiamano onde di vento (wind waves), nel secondo caso onde di mare-lungo (swells).

Si registri allora la η(t) nel punto fissato dopo un certo intervallo di tempo dall’inizio dell’agitazione ondosa (da tinf a tsup) con (tsuptinf) = durata di uno stato di mare reale, cioè nell’ordine del centinaio di onde consecutive. Supponendo ora che la medesima mareggiata si replichi più e più volte, ogni volta con la stessa durata e velocità dei venti sull’intero bacino di mare cui il punto appartiene. Si supponga inoltre di registrare ogni volta l’elevazione η(t) nel punto fissato, con inizio all’istante tinf e fine all’istante tsup chiamando η1(t), η2(t)… ηn(t) le varie registrazioni.

Secondo la teoria degli stati di mare al 1°ordine di Stokes, le n serie temporali [η1(t), η2(t) … ηn(t)] sono spezzoni di altrettante realizzazioni di un processo aleatorio stazionario gaussiano. Ciascuna realizzazione del processo ha durata infinita e pertanto rappresenta quello stato di mare ideale di cui si è parlato in precedenza.

La forma analitica delle varie realizzazioni del processo è:

dove si assume che le frequenze ωi siano tutte diverse tra loro, il numero N sia infinitamente grande, gli angoli di fase εi siano distribuiti uniformemente in (0-2π) e siano stocasticamente indipendenti tra loro, e le ampiezze αi siano fra loro dello stesso ordine. Infine si assume che lo spettro E(ω) definito come:

(Fig. 14.8) sia continuo e uguale in ogni realizzazione del processo. Sotto queste ipotesi la forma analitica vista in precedenza rappresenta un processo aleatorio stazionario gaussiano.

Simulazione numerica di uno stato di mare

Per una migliore comprensione è utile vedere come uno stato di mare possa essere simulato numericamente. Allo scopo s deve fissare lo spettro E(ω). Si fissi inoltre un numero N molto grande (ad es. N = 109) quindi si divida l’asse ω in 109 intervallini, in modo tale che l’area sottesa dallo spettro in corrispondenza a ciascuno di tali intervallini sia costante, ovvero sia pari a 10-9m0 (m0 è la varianza dell’elevazione d’onda di uno stato di mare) dove:

è l’area complessivamente sottesa dallo spettro, chiamando ω1 l’ascissa baricentrale della prima piccola area (piccola in quanto è pari a 1/109 di m0), ω2l’ascissa baricentrale della seconda piccola area, e così via fino a ω109. Si fissino le ampiezze αi tutte uguali tra loro e pari a √2m0/N.

Fig. 14.8 – Grado di differenza tra le caratteristiche medie della 1a e della 2a metà di una successione di N onde registrate in mare.

Questo si rivela il modo più semplice di rispettare le ipotesi sulle αi e ωi prima formulate. Tali αi e ωi così fissate restano le medesime per tutte le realizzazioni del processo. Rimangono dunque da determinare solo le εi.

Per questo scopo è sufficiente (in termini ideali) cross-correlare i valori N da 1 a 109 col valore 2 π/109 ottenendo 109 valori di εi rappresentanti i valori degli angoli di fase della 1a realizzazione del processo, proseguendo poi per le successive realizzazioni.

14.4.1 – Relazioni di base nella teoria degli stati di mare

Definizioni

La deviazione standard

σ ≡  <η2(t)>

dove la media si riferisce all’intera durata dello stato di mare, rappresenta la misura più diretta dell’intensità dell’agitazione ondosa. Più grande è σ maggiori sono gli scostamenti della superficie libera dell’acqua rispetto al livello medio, e quindi più alte sono le onde.

Il parametro più comunemente utilizzato è l’altezza significativa definita come:

Hs ≡ 

Le prime teorie (fino anni ’60) davano Hs uguale all’altezza H1/3 media della terza parte di onde più alte presenti nello stato di mare. Per intendere il significato di H1/3 si pensi di ordinare per altezza le onde di uno stato di mare: H1 è l’altezza più grande, H2, la seconda altezza più grande, e così via fino ad Hn che è l’altezza più piccola (dove n è il numero delle onde che compongono lo stato di mare). H1/3 si otteneva eseguendo l’operazione (H1+H2+ … +Hn/3)/(n/3).

Operativamente i primi ricercatori intendevano proporre un’altezza media significativa. cioè rappresentativa delle sole onde più alte. Il termine altezza media significativa si contrasse poi in altezza significativa. Quanto a fissare Hs uguale a  è stato ormai dimostrato come H1/3 sia sistematicamente più piccola (ordine del 5÷10%) rispetto al livello . Tuttavia Hs viene ancora utilizzata in alternativa a σ allo stesso modo per cui una vecchia unità di misura delle lunghezze viene utilizzata in luogo del metro.

La frequenza dominante (ωp) è quella in corrispondenza alla quale si ha il picco (massimo) dello spettro. Il periodo dominante è il periodo corrispondente alla frequenza dominante Tp ≡ /ωp.

Con Lp si intende la lunghezza d’onda corrispondente al periodo dominante, e con Lp0 la lunghezza su profondità infinita Lp0 ≡ gTp2/.

Con il simbolo mj si indica il momento di ordine j dello spettro:

La definizione di autocovarianza è:

Ψ(T) ≡ < η(t) η(t+T) >

L’autocovarianza rappresenta il valor medio dell’elevazione d’onda per l’elevazione d’onda medesima presa dopo un intervallo T. Il valore della media cambia in generale al variare di T, ovvero l’autocovarianza è funzione T.

Pur apparendo l’autocovarianza un esercizio matematico artificioso la stessa assume tuttavia un significato fisico fondamentale alla luce della Teoria del quasi-determinismo; nel seguito di questo capitolo, infatti, sarà possibile osservare come si utilizzi l’autocovarianza per effettuare una sorta di diagnosi chiara e rapida dello stato di mare. Inoltre, nel § successivo, si potrà rilevare come le proprietà statistiche fondamentali delle onde nello stato di mare (distribuzione delle altezze delle onde etc.) dipendano dalle caratteristiche del minimo assoluto dell’autocovarianza.

Fig. 14.9 – Spettro a righe di uno stato di mare formato da onde di vento sovrapposte ad onde di mare-lungo e relativo spettro continuo.

Legame tra varianza dell’elevazione d’onda e spettro

Legame tra autocovarianza e spettro

Diversi modi alternativi di esprimere la varianza dell’elevazione d’onda

Riunendo insieme la definizione di σ, la definizione di Hs, la definizione di mj, la relazione tra < η2(t) > e spettro e la definizione tra Ψ(T) e spettro si ottiene la seguente uguaglianza multipla:

Spettro Continuo

Fig. 14.10 – Spettro larghissimo ottenuto da una registrazione di onde di vento sovrapposte ad onde di mare-lungo con frequenza 3 volte più piccola e ampiezza equivalente (la F(ω) mostra come una metà circa dell’area dello spettro competa alle onde di mare-lungo e l’altra metà competa alle onde di vento).

14.5 – Dimensioni, direzioni e durata delle onde in una località

14.5.1 – La funzione Hs(t)

Supponiamo di misurare in continuazione l’elevazione d’onda η(t) in un punto fissato in mare. Si chiami Hs(t) l’altezza significativa dello stato di mare compreso tra (t – Δt/2) e (t + Δt/2):

dove Δt è la durata di uno stato di mare. La Hs(t) è una funzione aleatoria, continua, gradualmente variabile, il cui valore medio è generalmente diverso da una località all’altra.

Normalmente i rilievi del processo Hs(t) vengono effettuati a mezzo di boe ondametriche, con Δt di 20’. Si tratta di una durata elevata per gli stati di mare più deboli (ad es., se H è ~ 0.5 m, in 20’ ci si può aspettare ~ 500 onde) tuttavia, poiché quello che interessa rilevare con accuratezza sono i valori di Hs degli stati di mare più forti, in questo senso la scelta di bloccare il Δt a 20’ è senz’altro giustificata dall’operatività. Per completare il quadro va detto che le misure delle onde sono quasi sempre intermittenti: una combinazione tipo comprende misure di η(t) per durate continuative di 20’ ogni 3 h, il che significa disporre di un valore di Hs(t) per un medesimo periodo.

La ricostruzione della funzione Hs(t) viene eseguita per interpolazione (es. interpolazione di Fourier).

14.5.2 – Definizione di mareggiata

Attraverso l’analisi della Hs(t) si possono individuare le singole mareggiate. La mareggiata può essere definita come una successione di stati di mare durante la quale la Hs(t) supera una soglia critica hcrit, e non scende al di sotto di tale soglia per durate di tempo superiori ad un valore Δtcrit prefissato. Tale valore può essere fissato in 12 h mentre la soglia hcrit, nel Mediterraneo, è pari a 1.5 m.

Fig. 14.11 – (a) Mareggiata con un singolo picco; (b) Mareggiata con 2 picchi; (c) due mareggiate distinte (Hs tra i due picchi scende al di sotto della soglia critica per un tempo > 12 h).

Probabilità di superamento P(Hs > h)

Grazie ad una proprietà che accomuna tutte le mareggiate ( → oltre) per effettuare le previsioni sulle dimensioni delle onde nei tempi lunghi, è sufficiente conoscere P(Hs > h). Questa è la probabilità di superamento del processo Hs(t), ovvero la frazione di tempo in cui l’altezza significativa si mantiene al di sopra di qualsiasi assegnata soglia h, nella località in esame.

Con riferimento allo schema di Fig. 14.12 si ha:

dove Δti(h) le sono le durate di tempo in cui Hs > h nella località in esame, e  è il tempo totale. Dalla definizione si capisce che per stimare la P(Hs > h) non è necessario analizzare una per una le singole mareggiate verificatesi nel periodo delle misurazioni. Basta semplicemente contare il numero di registrazioni in cui l’altezza significativa ha superato la soglia h assegnata, e dividere tale numero per il numero totale delle registrazioni.

Fig. 14.12 – La probabilità di superamento P(Hs,> h) in una località assegnata è uguale al rapporto tra il tempo (Δt1 + Δt2 + …) in cui Hs si mantiene al di sopra di una fissata soglia h e il tempo totale, in quella località.

La densità di probabilità p(Hs = h)

Oltre alla P(Hs > h) viene utilizzata la probabilità p(Hs = hdh che la Hs sia compresa in un assegnato intervallino (hh+dh) che rappresenta la frazione di tempo in cui la P(Hs > h) risulta compresa tra h e (h+dh), ovvero il rapporto tra il tempo in cui h < Hs < (h+dh) e il tempo totale. Con riferimento alla Fig. 14.13, si ha:

dove le dti(h;dh) sono le durate di tempo in cui h < Hs < (h+dh).

Le funzioni P(Hs > h) e p(Hs = h) sono legate tra loro dalle relazioni:

le quali discendono direttamente dalle definizioni delle due funzioni medesime.

Fig. 14.13 – La probabilità p(Hs = hdh che la H, in una località assegnata sia compresa in un intervallino fissato (hh+dh) è uguale al rapporto tra il tempo (dt1 + dt2 + …) in cui Hs è compresa nel predetto intervallino e il tempo totale,

14.5.3 – La probabilità omnidirezionale dell’altezza significativa

Forma analitica della P(Hs > h) omnidirezionale e definizione delle variabili ausiliare X, Y

Nel dominio dei valori di h maggiori della soglia hcrit la probabilità P(Hs > h) è in genere espressa nella forma

Si tratta di una probabilità (tipo Weibull) dove i parametri u e w dipendono dalla località in esame e possono essere ricavati nel modo descritto in esempio.

Si supponga di avere rilevato 20 103 valori di Hs e si supponga che tra quei 20 103 valori ve ne siano 2 103 più alti di 2.5 m. Allora si ha:

P(Hs > 2.5) = 2 103/20 103 = 0.1

Similmente si possono ricavare P(Hs > 3 m), P(Hs > 3.5 m) etc. Per rappresentare graficamente i dati conviene ricorrere a variabili ausiliarie. Ad es. si può definire:

X ≡ 102 ln(2.5h)            (h in m)            Y ≡ 102 ln ln(1/P)

Con tale scelta si lavora normalmente su numeri compresi tra 100 e 300 per le X e tra 50 e 250 per le Y. Se vale l’espressione iniziale le coppie di dati XYdevono disporsi secondo una retta:

Y = a + bX

a parte naturalmente alcuni prevedibili scarti dovuti alla limitatezza del campione statistico.

Una volta individuati i valori dei parametri a e b della retta si possono ricavare direttamente i valori dei parametri u e w della P(Hs > h), con le relazioni:

Per verificare il legame tra le coppie u,w e a,b operativamente, si sostituiscono nella relazione corrispondente a X e Y le rispettive definizioni ottenendo così una relazione lineare tra ln ln(1/P) e ln(h) con parametri a e b; si esegue due volte il logaritmo di entrambi i membri della relazione iniziale, col risultato di ottenere una relazione lineare tra ln ln(1/P) e In(h), con parametri u e w; e infine si confrontano tra loro le due relazioni tra ln ln(1/P) e In(h), quella espressa in termini dei parametri a,b e quella espressa in termini dei parametri u,w.

Significato fisico dei parametri u e w nell’espressione di P(Hs > h)

Per meglio comprendere il significato fisico dei due parametri u e w, conviene ragionare in termini della funzione inversa:

la quale fornisce la soglia h di altezza significativa, che ha una probabilità P di essere superata. L’espressione di h(P) mostra che, a parità di u, il valore dell’altezza significativa corrispondente ad un assegnato livello della probabilità P è proporzionale a w, vale a dire: w è il fattore scala. Ad es., se il w di una località A è doppio del w di una località B, ed entrambe le località hanno lo stesso valore di u e le stesse durate delle mareggiate, allora le altezze d’onda con qualsiasi significato probabilistico in A saranno doppie che in B. In particolare, l’onda massima attesa in 50 anni in A avrà un’altezza doppia che in B; il livello di altezza significativa che viene superato mediamente una volta ogni 103 anni in A sarà doppio che in B etc.

Quanto al parametro u, esso regola il rapporto tra le altezze significative ai vari livelli di probabilità. Consideriamo per fissare le idee i livelli P = 1:103 e P = 1:10. Dalla relazione ultima si ha:

da cui risulta evidente che il rapporto tra l’altezza significativa di probabilità 1:103 e l’altezza significativa di probabilità 1:10 è tanto più grande quanto più u è piccolo.

Negli oceani sia w sia u assumono valori maggiori che nel Mediterraneo. II fatto che il w dell’oceano sia più grande del w del Mediterraneo implica che le altezze significative in oceano siano più grandi che in Mediterraneo. Il fatto che l’u dell’oceano sia più grande dell’u del Mediterraneo implica che il rapporto tra oceano e Mediterraneo, quanto ad altezza d’onda, è più grande a livello di onde comuni che a livello di onde rare.

La visualizzazione di questo fenomeno è data dalla Fig. 14.14 la quale mette a confronto la P(Hs > h) di una località del Mediterraneo e la P(Hs > h) di una località dell’Atlantico. Le due probabilità sono rappresentate nel piano delle variabili ausiliarie XY. Si può vedere che il rapporto tra le altezze significative corrispondenti ad assegnali valori della probabilità P (ovvero dell’ordinata Y) si riduce via via che P diventa più piccolo (Y diventa più grande). Si tenga presente che il predetto rapporto tra altezze significative sarebbe costante se le rette fossero fra loro parallele, poiché X è proporzionale a In li.

Si noti anche che la h(P) dell’Atlantico supera comunque abbondantemente la h(P) del Mediterraneo fino ai più piccoli livelli di P di pratico interesse

Fig. 14.14 – Esempi caratteristici di P(Hs > h) del Mediterraneo e dell’Atlantico. Il piano della rappresentazione è quello delle variabili ausiliarie X e Y definite dalle relazioni.

Espressione e principale proprietà della densità di probabilità p(Hs = h)

La densità di probabilità p(Hs = h) è legata alla P(Hs > h) dalla relazione vista in precedenza e pertanto assume la forma:

la cui derivata:

si annulla nel dominio h > 0 solo se u >1. Il valore di h per cui la derivata si annulla é.

e come tale risulta < w. Tenuto poi conto che la soglia critica hcrit delle mareggiate può ritenersi sempre > w, si ha:

e di conseguenza vale la disuguaglianza.

14.6 – Analisi delle sollecitazioni sulle strutture off-shore

14.6.1 – Sollecitazioni su piattaforme off-shore a gravità

Nelle sperimentazioni, oltre alla batteria di trasduttori sulla piattaforma, viene posta in acqua una seconda batteria di trasduttori, con la medesima configurazione della prima. La seconda batteria si trova ad una certa distanza dalla piattaforma dove le onde non vengono disturbate dalla presenza della piattaforma stessa. I trasduttori della seconda batteria sono tenuti in posizione da tralicci e mensole di piccola sezione ed elevata rigidezza (Fig. 14.15).

Fig. 14.15 – Esperimento con doppia batteria di trasduttori.

Le due batterie di strumenti consentono di confrontare la forza agente sulla piattaforma con la forza agente su una massa d’acqua equivalente per volume e forma consentendo, in particolare, una stima del coefficiente di diffrazione orizzontale:

dove F0(t) è la componente orizzontale della forza sul corpo solido e F0(t) la componente orizzontale della forza sulla massa d’acqua equivalente, la quale prende il nome di forza di Froude-Krylov.

Il Cd0 delle colonne è sempre ~ 2, mentre il Cd0 della base formata da un alveare di 19 cilindri varia entro 1.2÷1.6 a seconda delle condizioni del mare. Queste riproducono, in scala 1:50 e similitudine di Froude, mareggiate oceaniche con Hs variabile entro 10÷20 m.

L’analisi di alcune centinaia di registrazioni ha rivelato che le ampiezze delle fluttuazioni di pressione, in punti corrispondenti della piattaforma e della massa d’acqua equivalente, sono pressoché uguali tra loro. Ad es. la deviazione standard:

della fluttuazione di pressione nel punto (3) era pressoché coincidente con la deviazione standard:

della fluttuazione di pressione nel punto (3) . Viene quindi spontanea la domanda su come possa la forza sul corpo solido essere nettamente più grande della forza sulla massa d’acqua equivalente (Cd0 = 2 per le colonne), se le ampiezze delle fluttuazioni di pressione sul corpo solido e sulla massa d’acqua equivalente sono circa uguali tra loro.

Si pongono, di conseguenza, i quesiti relativi a:

–       cosa accada sulla superficie di contorno della piattaforma, posto che un’onda di altezza assegnata molto grande venga registrata nel punto (0) al centro tra le colonne;

–       cosa accada sulla superficie di contorno della massa d’acqua equivalente, posto che un’onda di altezza assegnata molto grande venga registrata nel punto (0).

Le risposte si trovano rispettivamente nelle Figg. 14.16. Il calcolo è stato eseguito con la Teoria del quasi-determinismo a partire dalle elevazioni d’onda e dalle fluttuazioni del carico di pressione acquisite nel corso di una registrazione.

E’ importante osservare come l’onda del carico di pressione impieghi 0.134 s a coprire la distanza dal punto (1) al punto (2) sulla colonna della piattaforma mentre impiega appena 0.067 s (ossia metà tempo) per coprire la medesima distanza dal punto (1) al punto (2) in campo indisturbato; e, ancora, come l’onda del carico di pressione impieghi 0.60 s a coprire la distanza dal punto (3) al punto (4) alla base della piattaforma mentre impiega solo 0.30 s (anche qui metà tempo) per coprire la medesima distanza dal punto (3) al punto (4), in campo indisturbato.

Il risultato è che tra la metà davanti e la metà di dietro del corpo solido c’è una differenza di fase doppia che tra la metà davanti e la metà dietro della massa d’acqua equivalente (intendendo con metà davanti quella battuta dall’onda e, con metà dietro, quella in ombra).

La maggiore differenza di fase implica una maggiore differenza istantanea di pressione tra la metà davanti e la metà dietro, ovvero implica una maggiore forza orizzontale risultante sul corpo solido.

Occorre tuttavia porre attenzione sul fatto che raddoppiare la differenza di fase tra due punti, nei quali la fluitazione di pressione ha la stessa ampiezza e la stessa frequenza, porta ad un incremento delle differenze istantanee di pressione tra quei due punti, soltanto a condizione che la differenza originale di fase (non raddoppiata) sia < 120°.

Peraltro tale condizione è di norma rispettata da coppie di punti come (3) e (4) alla base della piattaforma, almeno negli stati di mare di progetto i quali hanno lunghezze d’onda molto grandi.

A maggior ragione la predetta condizione (differenza originale di fase < 120°) è soddisfatta da coppie di punti come (1) e (2) che distano tra loro un diametro di colonna.

In sintesi, si può concludere che le forze orizzontali sulla base e sulle colonne della piattaforma sono più grandi delle forze orizzontali sulla massa d’acqua equivalente, essenzialmente perché la velocità di propagazione delle onde del carico di pressione subisce una caduta in corrispondenza alle predette base e colonne. La caduta della velocità di propagazione è la stessa in corrispondenza alle colonne e alla base. Tuttavia l’incremento % della forza orizzontale associato a tale caduta è maggiore per le colonne, in quanto esse hanno un diametro minore rispetto al diametro della base (si ricava nel prosieguo la relazione che lega l’incremento della forza orizzontale e la riduzione della velocità di propagazione delle onde del carico di pressione).

Fig. 14.16 – Onde del carico di pressione in relazione al modello

14.6.2 – Deformazioni locali del campo di moto prodotte da strutture isolate in mare

Si consideri per semplicità un cilindro verticale d’acqua, in mare. La fluttuazione di pressione nel punto A della superficie del cilindro (Fig. 14.17) presenta degli zero up-crossings negli istanti tA1 e tA3. In quegli istanti, il volume di controllo davanti al punto A ha un’inerzia locale:

positiva. Ora, se il cilindro d’acqua viene rimpiazzato da un cilindro solido di ugual diametro, il modulo di Iy. si riduce (basta pensare che la ∂vy/∂t nel punto Ain contatto con la superficie solida del cilindro va a 0); mentre la pressione nel punto A all’estremità di sinistra del volume di controllo non cambia (purché la lunghezza Δy del volume di controllo sia tale che la perturbazione locale provocata dal corpo solido diventi trascurabile nel punto A). Pertanto, in ipotesi di fluido ideale e nel limite di Stokes (il che significa trascurare le tensioni tangenziali e trascurare la portata di quantità di moto attraverso la superficie del volume di controllo, a fronte dell’inerzia locale) la pressione nel punto A negli istanti tA1 e tA3 cresce se il cilindro ideale d’acqua viene rimpiazzato dal cilindro solido.

Fig. 14.17 – Tempo impiegato dall’onda del carico di pressione per passare da A a B sul cilindro verticale d’acqua.

Mediante il medesimo ragionamento è possibile concludere che la pressione nel punto A, nell’istante tA2 dello zero down-crossing, si riduce se il cilindro ideale d’acqua viene rimpiazzato dal cilindro solido (questa volta l’inerzia locale iy è negativa e il suo modulo si riduce a causa della presenza del corpo solido).

A motivo dell’incremento negli istanti tA1 e tA3 e della riduzione nell’istante tA2. la fluttuazione di pressione nel punto A è soggetta ad uno sfasamento temporale negativo (-Δt) se il cilindro ideale d’acqua viene rimpiazzato dal cilindro solido. Allo stesso modo, attraverso l’analisi del volume di controllo davanti al punto B, è possibile concludere che la sostituzione del cilindro ideale d’acqua con il cilindro solido provoca uno sfasamento temporale positivo (-Δt) della fluttuazione di pressione nel punto B.

La conclusione, come osservabile dalla Fig. 14.17, è che:

–       nel caso del cilindro ideale d’acqua, l’onda del carico di pressione impiega il tempo (tB2 – tA1) per passare dal punto A al punto B;

–       nel caso del cilindro solido, l’onda del carico di pressione impiega il tempo (tB2 – tA2) + 2Δt per coprire la medesima distanza dal punto A al punto B.

14.6.3 – Onda di progetto

Le strutture off-shore devono essere in grado di resistere all’azione dell’onda massima prevista nella vita del progetto. In base alla normativa si deve assumere l’altezza che ha un’assegnata probabilità  di essere superata dall’onda massima durante la vita di progetto L.

La probabilità che l’altezza dell’onda massima durante l’intervallo di tempo L superi un’assegnata soglia H è uguale alla probabilità che durante L si realizzi almeno una mareggiata la cui onda massima sia > H:

P [Hmax(L) > H] =  [LR(H)]

Infatti se l’onda massima durante la vita L della struttura è > H, allora vuol dire che durante L si è realizzata almeno una mareggiata con l’onda massima > H; e, viceversa, se durante la vita L si realizza almeno una mareggiata con l’onda massima > H allora vuol dire che l’onda massima durante L è > H.

R(H) è dato dalla:

(L,R) è dato dalla:

per cui l’equazione di probabilità è data dalla:

Esempio di calcolo

Un esempio di calcolo propone L = 50 anni,  = 0.1: per una località dove w = 0.874 m e u = 1.200 la P[Hmax(50 anni) > H] è rappresentata in Fig. 14.18.

Si può osservare come tale probabilità sia  = 0.1 per H = 15 m, la quale è quindi l’altezza d’onda di progetto.

Fig. 14.18 – Probabilità che l’onda massima in 50 anni superi una qualsiasi assegnata soglia H.

14.7 – Calcolo delle sollecitazioni sulle strutture off-shore

14.7.1 – Calcolo delle forze su una piattaforma a gravità

Sia da stimare la forza prodotta dall’onda massima su una piattaforma a gravità (intendendo l’onda massima nella vita della struttura). Pianta e prospetto frontale sono indicati nella Fig. 14.19.

Fig. 14.19 – Pianta e prospetto della struttura di una piattaforma off-shore a gravità: la posizione in pianta delle colonne è indicata dalla lettera c.

Come si vede, la profondità d è pari a 125 m; i cilindri di base hanno un’altezza di 50 m e un diametro di 20 m; il diametro delle colonne si riduce dai 20 m alla base ai 12 m di sommità, all’attacco col deck (il quale deck, cioè la sovrastruttura con gli impianti di perforazione, gli alloggiamenti, l’eliporto etc. non è rappresentata nella figura in quanto non sollecitata dal mare e quindi priva di interesse idraulico).

Il calcolo delle onde di progetto viene eseguito coi criteri illustrati.

Mediante la l’equazione dell’onda di progetto si ricava la probabilità di superamento dell’altezza dell’onda massima in un punto fissato (s’intende il punto al centro della piattaforma) durante la vita L di progetto.

S’individua quindi l’altezza H corrispondente alla probabilità di accadimento fissata dalla normativa. Infine, mediante la relazione:

si stima la H, dello stato di mare entro il quale con massima probabilità si andrà a realizzare l’onda di altezza H. Il procedimento di calcolo è sintetizzato dalle Figg. 14.18 e 14.20.

Fig. 14.20 – Densità di probabilità dell’altezza significativa dello stato di mare dove si va a realizzare l’onda di 15 m massima in 50 anni.

Assumendo i seguenti valori realistici per l’Oceano Atlantico: H = 30 m e Hs = 15 m, utilizzando le relazioni viste, si ottengono i valori TP = 16.5s → Lp0 = 425 m ed Lp = 408 m.

Come si vede, l’onda massima attesa non è solo un’onda molto alta per il paraggio in cui si realizza, ma è anche un’onda molto alta rispetto allo stesso stato di mare in cui si forma; ed infatti il rapporto H/Hs per l’onda massima attesa risulta normalmente ≥ 2.

La logica è dunque quella classica della Teoria del quasi-determinismo: posto di sapere che un’onda di altezza H = 30 m molto grande rispetto alla deviazione standard σ = 3.75 m del suo stato di mare si realizzi nel punto(x0,y0) al centro della piattaforma si può prevedere quale sarà, con grande probabilità, l’andamento della forza sulla base e sulle colonne della piattaforma stessa. L’orientamento degli assi è indicato nella Fig. 14.19; si ricorda che x-y sono gli assi assoluti e X-Y gli assi relativi al punto (x0,y0). La direzione dominante viene assunta parallela all’asse y, ovvero si assume θ = 0.

Di conseguenza anche la direzione di propagazione del gruppo di onde risulta parallela all’asse y. Di seguito, indicativamente e rimandando a pubblicazioni specifiche, viene illustrata la successione procedurale di calcolo, la quale consta di 4 operazioni principali:

Ioperazione: valutazione del KE (numero di Keulegan-Carpenter = vmaxT/D, dove vmax è la velocità orbitale massima nel periodo dell’onda alla profondità del centro della sezione del cilindro). Il valor massimo di KE si realizza all’estremità superiore bagnata della colonna perché in quel punto la velocità vy è massima e il diametro è minimo. Calcolando la vy con l’espressione spettrale (integrale doppio) si trova che il KE supera la soglia di 6 solo nel tratto estremo delle colonne, cosicché si può applicare il criterio di calcolo in ipotesi di moto ideale (calcolo per via numerica). Quanto allo spettro adimensionale(w,θ) si usa la forma classica con ҳ1 = 3.3 e np = 20.

2a operazione: calcolo del Cd0. Quanto al Cd0 delle colonne, si è già detto che esso può essere posto uguale a 2. Il calcolo dunque va effettuato solo per la base, la quale è formata da 19 cilindri e da 24 interstizi tra i cilindri. L’area della sezione trasversale di ciascuno dei predetti 24 interstizi è pari a 0.0403 D2(indicando D il diametro di un singolo cilindro). Pertanto l’area totale della base della piattaforma è: A = 19 (π/4) 202 + 24 0.0403 202 = 6356 m2.

Per il calcolo del Cd0 è possibile considerare il cilindro con una sezione circolare di area uguale alla base della piattaforma, il cui raggio R = √6356/π = 45 m.

Quindi, tenuto conto che il fattore di rallentamento delle onde del carico di pressione in corrispondenza alla base della piattaforma è = 1.75 si ottiene:

3a operazione: calcolo della forza sulla base della piattaforma. Allo scopo bisognerebbe calcolare la risultante delle pressioni sull’involucro esterno dell’alveare di base, operazione che si é in grado di eseguire, utilizzando l’espressione di Δp. Tuttavia il calcolo diventa laborioso a causa della geometria non-elementare della sezione della base, cosicché conviene calcolare la forza come:

Operativamente, si possono considerare 19+24 contributi all’integrale di calcolo: quelli dei 19 cilindri, più quelli dei 24 interstizi tra i cilindri. Si tratta di definire su PC le coordinate dei centri dei 19+24 volumi. Quindi si realizza un ciclo che calcoli l’accelerazione ay nel centro di ciascuno dei predetti volumi e moltiplichi tale accelerazione per la densità p dell’acqua e per il volume. Così facendo si ottiene la forza orizzontale istantanea su un volume d’acqua equivalente alla base della piattaforma. Basta poi moltiplicare il risultato per Cd0 = 1.57 e si arriva alla cercata forza orizzontale istantanea sulla base della piattaforma. Naturalmente il calcolo va ripetuto per diversi istanti T, in modo da ricavare l’andamento della forza nel tempo.

4a operazione: calcolo della forza sulle 3 colonne. La forza sulle colonne può essere calcolata con lo stesso criterio col quale viene calcolata la forza sulla base. Bisogna innanzitutto calcolare la forza sulla massa d’acqua equivalente. Allo scopo, conviene suddividere la colonna in tanti dischi, calcolare la ay nel centro del disco e moltiplicare per p e per il volume del disco. La forza sulle 3 colonne si ottiene poi sommando i contributi di tutti i dischi e moltiplicando il risultato per il Cd0. Ci sono solo due differenze rispetto al calcolo della forza sulla base: il Cd0 che vale 2, anziché 1.57, e il fatto che il volume su cui va esteso l’integrale non è costante ma varia nel tempo. Infatti l’integrale va esteso a tutta la porzione della colonna immersa in acqua la quale va dalla quota di base fissa (z = -75 m) fino alla quota η della superficie libera, la quale varia nel tempo. Pertanto è necessario anche calcolare il valore istantaneo di η in corrispondenza a ciascuna colonna.

Il risultato del calcolo è rappresentato nella Fig. 14.21 la quale mostra:

– l’elevazione d’onda nel punto (x0,y0) al centro della piattaforma;

– la forza sulla base;

– la forza sulle 3 colonne;

– la forza totale.

Le forze sono espresse in tonnellate (1t = 9.8 kN) e sono state calcolate assumendo come densità dell’acqua di mare p = 1030 kg/m3.

Fig. 14.21 – Esempio di calcolo: forze sulla piattaforma a gravità.

E’ possibile osservare che la forza principale è quella sul blocco di base. Peraltro, l’ordine di grandezza delle due forze è lo stesso. Naturalmente con lo stesso criterio di calcolo è immediato ricavare anche il momento ribaltante rispetto al fondale, per il quale, come è evidente, il contributo delle colonne diventa preponderante.

Dalla figura emerge l’andamento caratteristico delle forze al passaggio dei gruppi di onde: le fluttuazioni della forza crescono fino ad un massimo al passaggio dell’onda centrale del gruppo e poi si attenuano.

L’andamento è drasticamente diverso da quello delle classiche onde periodiche per cui le fluttuazioni della forza si ripetono uguali tra loro, indefinitamente nel tempo. E’ inoltre da notare anche come la forza, avendo carattere inerziale, sia sfasata di un quarto di periodo rispetto all’onda.

14.7.2 – Calcolo delle forze su una piattaforma a struttura reticolare

La Fig. 14.22 mostra uno schema elementare delle quattro colonne angolari e di due dei diagonali di una piattaforma a struttura reticolare. Nei paragrafi che seguono si assume la stessa onda di progetto della piattaforma a gravità (anche la profondità è la medesima), calcolando le forze prodotte da tale onda.

Prima però si rivela necessaria un’osservazione di carattere generale.

Le altezze delle onde zero up-crossing e zero down-crossing massime attese durante la vita della struttura sono uguali tra loro. Come già detto la previsione su cosa avvenga quando si realizzi l’onda zero down-crossing massima può essere fatta con la Teoria del quasi-determinismo, cambiando di segno le espressioni η e Φ.

Fig. 14.22 – Schema a colonne e 2 diagonali di una struttura reticolare off-shore.

Nella Fig. 14.23 è rappresentata l’elevazione η nel punto fissato x0 nel caso che l’onda di altezza assegnata H molto grande sia una zero up-crossing e nel caso che l’onda di altezza assegnata molto grande sia una zero down-crossing (i due profili sono speculari). Di seguito il gruppo dell’onda massima attesa zero up-crossing viene chiamato gruppo z.u. e il gruppo dell’onda massima attesa zero down-crossing gruppo z.d..

In genere è indifferente considerare il gruppo z.u. o il gruppo z.d.. Ad es., nel caso della piattaforma a gravità, il gruppo z.d. produce una forza opposta a quella del gruppo z.u.; cosicché il massimo (in modulo) della forza non cambia ed anche l’evoluzione temporale della forza è la stessa. Non così, se la piattaforma ha una struttura reticolare; e questo, perché nel caso della piattaforma reticolare agisce non solo la forza di inerzia ma anche la forza di drag.

La forza di drag massima si realizza in corrispondenza alla più alta cresta d’onda. Infatti il modulo della velocità tocca il suo massimo negli istanti della cresta più alta e del cavo più profondo; però la forza è più grande in cresta che in cavo, in quanto una parte maggiore della struttura si trova sott’acqua e quindi viene ad essere sollecitata. Pertanto la massima forza di drag (si intende massima in modulo) è sempre positiva; mentre la massima forza d’inerzia può essere positiva o negativa. Quest’ultima è positiva se il dislivello più alto è tra un cavo e la successiva cresta, come nel gruppo z.d.; mentre è negativa se il dislivello più alto è tra una cresta e il successivo cavo, come nel gruppo z.u.. Come conseguenza la forza massima prodotta dal gruppo z.d. si realizza necessariamente nell’intervallo (5) in Fig. 12.22 mentre la forza massima prodotta dal gruppo z.u. può realizzarsi nell’intervallo (3) o nell’intervallo (5), ed è immediato verificare che in entrambe le eventualità essa è più piccola della forza massima prodotta dal gruppo z.d..

Fig. 14.23 – Gruppi dell’onda massima zero up-crossing e zero down-crossing.

In conclusione, per la verifica delle piattaforme a struttura reticolare bisogna ricorrere all’onda massima zero down-crossing, utilizzando le espressioni di η e Φcol segno cambiato. Pertanto nel seguito si farà riferimento all’espressione di η ed alle espressioni delle componenti di velocità e accelerazione (queste solo citate rinviando a pubblicazioni specifiche) sottintendendo che il segno di tutte le predette espressioni vada cambiato.

14.7.3 – Formula di Morison

II KE delle membrature delle piattaforme reticolari (dovuto alle onde di progetto) di solito supera la soglia critica KEcrit = 6 per z maggiore di una soglia zcrit Nel caso delle colonne della piattaforma di Fig. 14.22, utilizzando l’espressione (non data) di vy coi dati di progetto (H =30m, Hs = 15m → Tp = 16.5 s) si trova il seguente quadro: onda centrale del gruppo: zcrit = – 90 m; onda precedente e onda successiva: zcrit = – 78 m.

A questo punto si profila una forma di calcolo piuttosto complicata, perché si dovrebbe utilizzare la formula di Morison al di sopra della profondità zcrit e lo schema di moto ideale al di sotto di zcrit. Nel campo KE > KEcrit, infatti, la forza unitaria al netto della componente idrostatica su un cilindro generalmente inclinato viene calcolata con la formula di Morison:

f(t) = Cin fin(t) + Cdg ρR vsez טsez

dove:

fin(t) = ρπR2asez

nella quale: טsez e asez sono le proiezioni, rispettivamente, del vettore velocità e del vettore accelerazione nel piano della sezione del cilindro (s’intendono i valori del centro della predetta sezione riferiti al cilindro equivalente d’acqua); Cdg il coefficiente di drag e Cin il coefficiente d’inerzia. Esiste inoltre anche l’ulteriore complicazione che la soglia zcrit varia da onda a onda. Opportunamente, tuttavia, lo schema di calcolo può essere semplificato, evitando di calcolare zcrit e adottando la formula di Morison indistintamente per tutte le membrature senza che ciò comporti delle apprezzabili variazioni del risultato. Questo si spiega tenuto conto che:

–       le forze principali sono quelle per z > zcrit per le quali non viene introdotta alcuna semplificazione di calcolo;

–       nel campo z < zcrit si hanno due piccole differenze di segno opposto: si applica il fattore 1.85 anziché il fattore 2 nel calcolo della forza d’inerzia; si computa una forza di drag che invece nello schema dovrebbe essere trascurata (peraltro il drag, dipendendo dal quadrato della velocità, si attenua molto rapidamente con la profondità, e per z < zcrit risulta in genere molto piccolo).

Naturalmente le conclusioni sull’applicabilità della formula di Morison alle colonne della piattaforma, valgono a maggior ragione per i diagonali. Infatti i diagonali hanno diametri minori delle colonne, e quindi hanno dei KE sempre > KE delle colonne.

14.7.4 – Calcolo della forza sulle colonne

Il rapporto RE/KE (RE è il n° di Reynolds) delle colonne vale circa 106 e quindi si può senz’altro assumere Cin = 1.85 e Cdg = 0.62. (si ricorda che il rapporto RE/KE dipende solo dal diametro della trave, dal periodo dell’onda e dalla viscosità cinematica dell’acqua ed è per questo che esso si calcola direttamente con una semplice moltiplicazione-divisione)

Per il calcolo delle forze si utilizza la formula di Morison e la Teoria del quasi-determinismo, fissando come x0 il punto al centro della piattaforma. Poiché il gruppo si muove secondo la direzione dominante dello spettro (assunto coincidente con l’asse y) anche la forza orizzontale risulta orientata secondo l’asse y e quindi, per ricavarla, è sufficiente calcolare le componenti vy e ay. Naturalmente il calcolo va effettuato a diverse quote, dal fondo fino alla superficie dell’acqua, perché vy e ay, e con esse la forza unitaria, variano con la profondità.

Fig. 14.24 – Esempio di calcolo: forza sulle 4 colonne della struttura reticolare.

Il calcolo della vy e della ay, come già visto per la piattaforma a gravità, richiede l’esecuzione numerica degli integrali che compaiono nelle due espressioni integrali non citate.

Il risultato é riportato nella Fig. 14.24 che presenta, nell’ordine:

(a) l’elevazione d’onda nel punto x0;

(b) la forza di inerzia;

(c) la forza di drag;

(d) la forza totale, somma della componente d’inerzia e della componente di drag, in funzione del tempo.

Come si può vedere, in linea con quanto detto in precedenza, il valor massimo della forza (~ 1500 t sulle 4 colonne) si realizza in un istante compreso tra lo 0 centrale e la cresta dell’onda zero down-crossing di massima altezza (H = 30 m).

14.7.5 – Calcolo della forza sui diagonali

Per i diagonali il rapporto RE/KE. scende a 4 105. Siamo peraltro ancora ben al di sopra di 104, e quindi anche per i diagonali si può assumere Cin = 1.85 e Cdg= 0.62.

Quanto al calcolo, i diagonali comportano qualche complicazione in più in quanto richiedono un piccolo esercizio preliminare di geometria. Si tratta di ricavare la proiezione vsez del vettore velocità nel piano della sezione della trave (tale problema si rivelava banale nel caso delle colonne, perché vsez coincideva con la componente orizzontale della velocità la quale, a propria volta, coincideva con vy dato che il gruppo di onde si muove secondo l’asse y). Facendo riferimento alla fig. 14.25 si ha:

dove le componenti di velocità e accelerazione si intendono riferite al centro della sezione del diagonale. Il calcolo può essere fatto utilizzando le espressioni (non riportate) delle componenti di velocità e accelerazione.

Come si vede il diagonale (1) appartenente ad un piano verticale perpendicolare alla direzione di propagazione del gruppo di onde, risulta più sollecitato del diagonale (2) appartenente ad un piano verticale parallelo alla direzione di propagazione.

Allo stesso modo si possono eseguire i calcoli delle forze sugli altri diagonali, sulle travi verticali rompitratta e sugli irrigidimenti orizzontali che formano la struttura reticolare (nella figura essi non sono stati rappresentati onde concentrare meglio l’attenzione sulle membrature per le quali sono stati eseguiti i calcoli).

Fig. 14.25 – Schema di riferimento per l’applicazione della Formula di Morison ai diagonali della struttura reticolare.

Quale ultima considerazione è da osservare come la forza su ciascuna membratura venga calcolata come se questa fosse isolata in acqua; ed infatti i coefficienti Cin e Cdg sono stati ricavati sperimentalmente per cilindri isolati in acqua. In questo modo non si tiene conto dell’effetto dell’alterazione del campo di moto prodotto dalle membrature circonvicine (ossia non si tiene conto dell’effetto di assieme). Si tratta di un effetto che può essere valutato solo attraverso prove su modelli in scala ridotta.

14.8 – Azione di un maremoto su diverse strutture dal largo alla riva

I maremoti sono generali da scosse sismiche sul fondo del mare. o da frane sottomarine. Si tratta di onde con periodi dell’ordine delle decine di minuti; dunque, onde con delle L0 dell’ordine delle centinaia di chilometri le quali sentono come acque basse anche gli abissi oceanici.

Dati i piccolissimi valori di d/L0 gli effetti di non-Iinearità diventano molto grandi e, di conseguenza, la teoria di Stokes al 1o ordine diventa grossolanamente approssimata specialmente per quanto riguarda il profilo dell’onda. Anche gli ordini superiori di Stokes risultano troppo approssimati. Occorre ricorrere quindi a teorie diverse, efficaci nel limite d/L0 → 0. In particolare, alla teoria dell’onda solitaria di Keller-Grimshaw, in base alla quale, al 1° ordine di approssimazione, si ha

Come é evidente, la teoria è bidimensionale e y è l’asse di propagazione dell’onda.

Si può osservare che il valor massimo di η è uguale ad H ed il valor minimo (correttamente si dovrebbe dire l’estremo inferiore) è uguale a 0. Il che significa effetti di non-Iinearità così grandi che l’altezza di cresta viene a coincidere con l’altezza dell’onda e la profondità del cavo si annulla. Si può anche osservare che la vy e la ay non dipendono da z cioè la velocità e l’accelerazione orizzontale sono costanti dalla superficie dell’acqua fino al fondo (si tratta di una proprietà già prevedibile con la teoria di Stokes per d/L0 → 0).

Dalla terza relazione segue che il valore massimo di ay si realizza per q tale che la funzione sinh y/cosh y assume il suo massimo. Tale valore di q è pari a 0.658 cui corrisponde:

C’è poi anche un massimo negativo di ay che si realizza per q = – 0.658 ed è uguale ed opposto al massimo positivo, e, nell’istante di tale massimo negativo di ay la velocità vy e l’elevazione η della superficie libera assumono ancora i valori previsti dalle rispettive relazioni ultime.

Si osserva immediatamente che l’istante della massima velocità vy è quello in cui q = 0, e pertanto:

Si noti che nelle varie espressioni non compare il periodo; e questo perché la teoria descrive una singola onda. Se le onde fossero più di una con un periodo T, come avviene normalmente per i maremoti, si dovrebbe ripetere la stessa onda (o anche una con un’altezza generalmente diversa) dopo un intervallo di tempo pari a T. In pratica si ha una cresta d’onda alta H seguita da una fase di calma relativamente lunga, quindi una seconda cresta dopo un intervallo di tempo pari a T.

Infine lo shoaling dell’onda solitaria è coincidente con lo shoaling delle onde di Stokes per d/L0 → 0. Infatti, al limite per d/L0 → 0 l’espressione dello shoaling(con α0 = 0: moto bidimensionale) si riduce a:

da cui, utilizzando l’espressione della celerità c si ottiene:

ovvero:

la quale coincide con la relazione di shoaling dell’onda solitaria.

Andamento peculiare di un maremoto

Si prenda in considerazione un maremoto disastroso avente le seguenti caratteristiche:

altezza = 4 m su profondità di 5000 m e periodo = 1800 s.

Per ricavare l’altezza H sul fondale di 125 m della piattaforma a gravità vista in precedenza, si applichi l’espressione ultima ottenuta, col risultato:

H = 4√5000/125 = 10 m

Per semplicità si schematizzi la base della piattaforma come un cilindro circolare con la medesima area di base della piattaforma vera. Tale cilindro equivalente, come già visto, ha un raggio di 45 m.

Si ha anche:

vymax = √9.8 125 10/125 = 2.8 m/s

da cui segue (essendo il periodo T = 1800s) che KE è ben maggiore di 6, e RE/KE è ben maggiore di 104, sia per la base sia per le colonne, e quindi si può utilizzare la formula di Morison con Cin = 1.85 e Cdg = 0.62. La differenza tra l’accelerazione al centro della base e l’accelerazione media sull’intera area di base è di appena lo 0.4% nonostante il diametro di ben 90 m: pertanto la posizione utilizzata nella formula di Morison è giustificata.

La massima forza si realizza sempre tra l’istante di massima accelerazione (q = 0.658) e l’istante di massima velocità (q = 0). In questo caso la forza di inerzia è nettamente più grande della forza di drag, e pertanto la forza massima risulta essere molto vicina alla forza nell’istante di massima accelerazione; cosicché si può senz’altro assumere:

forza massima ≈ forza nell’istante di massima accelerazione

(chiaramente si intende forza totale, cioè somma della forza sulla base e della forza sulle colonne).

Dalle relazioni ottenute si ha:

da cui

dove i termini tra parentesi quadra rappresentano le forze unitarie le quali vengono moltiplicate per l’altezza (50 m) della base, ovvero per l’altezza (75+6.7 m) del tratto di colonna al di sotto della superficie dell’acqua. Le colonne si rastremano dai 10 m di raggio alla base (quota -75 m), ai 6 m all’attacco col deck (quota +25 m); ed il raggio di 8.35 m che compare nei calcoli è quello medio nel tratto bagnato nell’istante di massima accelerazione, vale a dire, nel tratto compreso tra quota -75 m e quota +6.7 m. In conclusione, la forza totale massima esercitata dal maremoto è pari a 9660 + 2000 = 11660 t contro le 42100 t della forza massima prodotta dalle onde di vento.

Allo stesso modo si può verificare che il maremoto esercita una forza massima di 600 t sulle 4 colonne della piattaforma reticolare, contro le 1480 t della forza massima delle onde di vento (nel caso della piattaforma a struttura reticolare, si trova che la forza di drag supera la forza di inerzia, e l’istante in cui la forza è massima è quello per cui q = 0.205.)

Il rapporto forza unitaria maremoto/forza unitaria onda di vento è più grande in profondità che in superficie, in quanto il maremoto, a differenza dell’onda di vento, non subisce alcuna attenuazione con la profondità. Ne consegue che il rapporto momento maremoto/momento onda di vento è significativamente più piccolo del rapporto forza maremoto/forza onda di vento (si intende forza risultante e momento della forza risultante rispetto alla base della struttura). In particolare si ha:

Se ne ricava, di conseguenza, che le sollecitazioni sulle piattaforme offshore provocate da un maremoto catastrofico sono notevolmente minori delle sollecitazioni prodotte da onde di vento oceaniche.

A conclusione del capitolo è opportuno comunque ricordare che lo sviluppo dei giacimenti di idrocarburi offshore, in particolare nell’offshore profondo, avviene sempre più frequentemente mediante l’installazione di Floating Production Unit (FPU, unità di produzione galleggianti) mentre, viceversa, appare in lento declino la domanda d’installazione di piattaforme fisse.

Tra le FPU, i sistemi FPSO presentano le maggiori prospettive di sviluppo per la capacità di stoccaggio (che consente lo sfruttamento di giacimenti distanti dalle infrastrutture di trasporto) e la versatilità di utilizzo (che consente, al termine della vita produttiva del giacimento, di ridislocare il mezzo su altri giacimenti ottenendo il prolungamento della vita utile).

14.9 – Sistemi galleggianti (floater platform)

I sistemi galleggianti seguono, per così dire, l’onda di vento, sottopassandola in virtù dei vincoli e della capacità di adattamento del sistema.

La Fig. 14.26 mostra una struttura tipo (semisommergibile nel traino) in fase di approccio al giacimento.

Fig. 14.26 – Impianto galleggiante.

La struttura, una volta pervenuta in sito, viene collegata ai capisaldi di ancoraggio mediante vincoli flessibili entro un limite calcolato, in modo da non concedere che oscillazioni minime e contenute al riser (colonna di perforazione) nonché al piano della sovrastruttura.

Fig. 14.27 – Vincoli al fondale e capacità d’oscillazione su sollecitazione lungo il profilo d’onda in una struttura galleggiante.

La Fig. 14.28 mostra l’equilibrio tensionale per differenti carichi d’onda (direzioni di sollecitazione da 0°, 45° e 90°). Nel grafico vengono comparate in funzione della forza di vincolo per altezza d’onda unitaria i periodi relativi alle sollecitazioni d’onda per diverse angolature.

Fig. 14.28 – Variazioni delle forze di vincolo rispetto all’incidenza ed al periodo d’onda.

Fig. 14.29 – Geometria di un impianto TLP (Tension Leg Platform) di produzione.

Fig. 14.30 – Basamento di fondazione di un sistema TLP sul fondale marino.

Fig. 14.31 – Successione delle operazioni di attracco e ancoraggio di un sistema TLP in oceano.

Fig. 14.32 – Collegamento al fondale nel particolare della fondazione.

La Fig. 14.32 mostra la sottofondazione di una struttura TLP: per quanto svincolato da un sistema rigido la fondazione su pali (per ognuno dei capisaldi, di solito 4÷6) raggiunge profondità notevoli (> 60÷70 m).

Nell’immagine si notano un primo strato d’argilla sabbioso-limosa, un secondo di sabbie fini addensate e, infine, un livello di sabbie limose molto addensate, base del puntamento degli elementi della palificata.

La Fig. 14.33 mostra invece alcuni particolari delle strutture di vincolo (dispositivo di torsione e sistema di collegamento della colonna di perforazione-produzione, punto d’attacco e connettore ad ancora inserito nella struttura di fondazione.

Fig. 14.33 – Strutture di vincolo per un sistema galleggiante.

I sistemi TLP consentono, grazie alle strutture in fondale, di poter funzionare anche da collettore per impianti satellite. In Fig. 14.34 è mostrata un’installazione del tipo, raggiungibile da nave serbatoio.

Fig. 14.34 – Perforazione da piattaforma galleggiante e alimentazione serbatoio attraverso struttura sul fondale.

14.9.1 – Elementi progettuali

I valori di riferimento utili entro i quali sussiste il progetto di una TLP, sono i seguenti:

– per quanto concerne i livelli ambientali:

Ventosità                       velocità del vento                                        44 m/s

Moto ondoso                 onde regolari: altezza                                  30.3 m

periodo                                                        14.6÷18.5 s

onde irregolari: altezza significativa            16.6 m

periodo zero-crossing medio                       13.9 s

Corrente velocità media entro 5’ a 10 m di profondità                       0.85 m/s

Livello ondoso medio (HDWL÷LDWL)                                                   2.9 m

– per quanto concerne le geometrie:

Stazza                                                                                                60÷65 kt

Superficie operativa in acqua                                                             ≤ 1700 m2

Dislivello tra pelo dell’acqua e struttura                                              ≤ 25 m

Profondità del fondale                                                                        ≤ 100 m

Peso totale (inclusa la tensione al riser)                                            50÷55 kt

14.10 – Sistemi a gravità

La Fig. 14.35 mostra due impianti tipici a gravità: una a traliccio di tubolari, l’altra costituita da una struttura ad assetto variabile, applicata al fondale dopo affondamento.

Fig. 14.35 – Impianti a gravità: (sx) struttura a traliccio; (dx) struttura ad assetto variabile.

Nella successiva Fig. 14.36 è mostrato un modulo Enchova unitamente al sistema di fondazione (eseguito mediante palificata continua). L’installazione si avvale di un traliccio di distribuzione compensato per ripartire le sollecitazioni delle forze ambientali al fine di minimizzare i rischi di cedimento modulare.

Fig. 14.36 – Impianti a gravità: fondazioni su pali per strutture a traliccio.

In Fig. 14.37 sono mostrati due moduli (uno compatto (sx) l’altro alleggerito e compensato) con le relative differenze strutturali (riduzioni ~50% nel peso del sistema e nel rapporto peso/superficie con leggero incremento nella superficie della sovrastruttura.

Fig. 14.37 – Impianti a gravità: confronto tra strutture metalliche.

Per quanto riguarda i problemi di fondazione dei basamenti (sia in c.a che metallici) si rimanda al 2° vol. (terreni saturi) relativamente alle sezioni pali e plinticordoli oltre che alle corrispondenti verifiche di stabilità.

In ogni caso si tratta quasi sempre di sedimenti sciolti più o meno coesivi, più o meno siltosi che, con l’approfondimento della perforazione, diventano sempre più compatti e addensati. Talvolta è possibile incontrare spesse basi micritiche ad elevata % in carbonati che favoriscono, con l’approfondimento del sondaggio, la capacità portante dell’elemento inserito.

Nella Fig. 14.38 sono illustrate le condizioni di distribuzione delle pressioni sul basamento (in verticale) e la distribuzione orizzontale delle forze tra basamento e fondale.

Fig. 14.38 – Interazioni terreno-basamento: (sx) maglie adottate per l’analisi agli elementi finiti; (dx) distribuzione delle forze orizzontali tra basamento e fondale: condizioni di tempesta.

Le analisi di fondazioni vengono condotte attraverso i seguenti passi:

–       controlli di stabilità eseguiti estrapolando l’interazione tra i singoli basamenti;

–       analisi di sensitività della struttura-fondazione per disomogeneità locali, pendenze differenziali e diseguali proprietà dei terreni prese sia in fase di installazione che di servizio;

–       analisi agli elementi finiti con modello elastoplastico dell’intero terreno di fondo con l’obiettivo di studiare le interazioni terreno-basamento, le condizioni di carico ai confini e gli stress-pattern da usare nelle analisi di carico ciclico.

–       valutazione degli eccessi nella generazione della pressione nei pori nelle sabbie sotto condizioni di tempesta;

–       valutazione degli effetti di carichi ciclici sulle proprietà delle (eventuali) argille presenti.

La tendenza ultima nel lavoro d’investigazione dei siti è, comunque, quella d’intensificare l’analisi delle correlazioni di laboratorio coi test in situ: tra questi risultano fortemente significativi:

–       standard penetration test (SPT);

–       cone penetration test (CPT);

–       remote Vane Shear Test (test Vane a distanza);

–       test pressurimetrici self-boring e self-jetting;

–       dilatometrie con piastra piatta;

–       prove di temperature in situ.

I primi 4 test, soprattutto, sono ormai diventati di routine ( → vol. 2°): a questi si affiancano tecniche di campionamento quanto mai raffinate per poter acquisire elementi fisici il più possibile rappresentativi della realtà del terreno in esame.

Va prendendo inoltre sempre più peso, nelle indagini di routine, il test dilatometrico, fin qui impiegato, d’abitudine, solo in presenza di sabbie-ghiaie o in ambienti artici.

In tal senso, nell’immediato futuro, è anche previsto un significativo sviluppo delle termometrie di dettaglio a fini geotecnici.

Per quanto concerne la sicurezza degli impianti il monitoraggio strutturale delle installazioni è diventato ormai di routine: in Fig. 14.39 è rappresentato un impianto ibrido ad affondamento con le indicazioni del posizionamento dei sensori atti al controllo del sistema.

Fig. 14.39 – Layout per il monitoraggio strutturale di una piattaforma a gravità (Maureen TSG).

Come osservabile sono previsti: sensori per la pressione nei pori, estensimetri a strain-gauges per il rilevamento della trazione lungo i bracci compensatori (diagonali), assestimetri per le verticali, accelerometri ed inclinometri per il controllo dei piani basculanti oltre ad anemometri per la comparazione di ventosità e rilevatori dell’altezza d’onda a ultrasuoni.

Fig. 14.40 – Diagramma di monitoraggio PMIS (sistema di posizionamento, monitoraggio e strumentazione)

La procedura per l’analisi di risposta dinamica è stata sviluppata in ordine ai controlli di:

–       frequenza naturale del sistema

–       principali modi normali di vibrazione;

–       movimenti in tempo reale (dovuti a corrente) dei punti strumentati e dell’intera piattaforma.

Tramite l’analisi per modello delle citate grandezze, interpretando la variazione dei parametri di riferimento, è possibile il monitoraggio della struttura e della fondazione correlata in termini di integrità e sicurezza.

In Fig. 13. 40 è mostrato un diagramma funzionale di monitoraggio le cui parametrazioni, opportunamente trattate, intervengono in automatico al resettaggio delle condizioni al contorno relative al mantenimento in equilibrio della struttura.

Il sistema di monitoraggio, a motivo dell’implemento continuo delle funzioni, è diventato a poco a poca la guida base del dispositivo di posizionamento in fieridella struttura; in Fig. 14.41 sono mostrati i particolari d’installazione degli strumenti entro la sottostruttura per il controllo dell’inserimento dell’impianto entro i punti di continuità verso il fondale e la linea d’alimentazione fluidica.

!4.41 – Piattaforma a gravità in traliccio d’acciaio Maureen: posizionamento sulla batteria di pozzo.

L’esatto pilotaggio di manovra avviene tramite la linea video che inquadra l’attacco al sistema-pozzo (e ai punti d’ancoraggio).

Ancora, a parte il trasporto e l’avvicinamento, tutte le manovre di bordo sono ormai correlate alle situazioni di monitoraggio anche ambientale.

In particolare, nella messa in posto in uscita dal bacino di carenaggio, nelle successioni di approfondimento, dima  e collegamento e nel posizionamento finale, il programma di monitoring concorre alla funzionalità ed alla manovra della struttura.

A questo proposito chiarisce quanto illustrato la successione in Fig. 14.42.

Fig. 14.42 – Posizionamento, presa di modello, sovrastutturazione, messa in posto, fondazione e stabilizzazione di una piattaforma galleggiante a recupero tipo Maureen.

14.11 – Schemi e Aggregazioni Strutturali Offshore Tipo

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