1 – Meccanica delle Rocce

1.1 – Processi Deformativi

Lo stato tensionale esistente entro un ammasso roccioso è configurabile come un sistema coordinato ortogonale di pressioni (principali) σ1σ2σ3 disposte secondo i 3 assi di un ellissoide aventi moduli decrescenti a partire da σ1.

Il versore di Taglio assume un valore massimo lungo piani inclinati di 45° rispetto alle direzioni d’applicazione di σ1 e σ3 (contenenti σ2) indipendentemente da σ1 e σ3.

Le deformazioni interne ad un ammasso roccioso vengono distinte in continue e discontinue indicando con le prime deformazioni in assenza di superfici di discontinuità e nel secondo deformazioni per elisione dei legami tra costituenti minerali con movimento tra le parti.

Così, le deformazioni in un solido sono dette omogenee quando si ha trasformazione dimensionale di un piano (o di una superficie) in una superficie del medesimo ordine mentre, al contrario, si indicano come non omogenee le deformazioni non uniformemente distribuite.

La Fig. 1.1 esprime la distribuzione tensionale principale (in ambito bidimensionale) dove la direzione di massimo raccorciamento è piano-parallela alla direzione del tensore σv verticale mentre la direzione di massimo allungamento coincide con la σh orizzontale.

Fig. 1 – Deformazioni continue : moduli omogeneo e non omogeneo.

Si osservano, di conseguenza, stili deformativi definiti elementari per Taglio puro e Taglio semplice rispettivamente in condizioni di compressione uniassiale e biassiale.

La condizione di Taglio puro (Fig. 1.2) è legata all’estensione lungo un asse e alla compressione lungo l’altro senza rotazione dei punti materiali paralleli agli assi.

Fig. 1.2 – Deformazione per Taglio puro.

La condizione di Taglio semplice (Fig. 1.3), viceversa, offre la traslazione-rotazione dei punti lungo un asse ad una distanza proporzionale all’altro.

Fig. 1.3 – Deformazione per Taglio semplice.

La rappresentazione di una deformazione omogenea avviene, di norma, con l’utilizzo dei diagrammi di Flinn (Fig. 1.4) e di Ramsay (Fig. 1.5).

II diagramma di Flinn pone in relazione le radici quadrate di 2 parametri, solitamente riferiti come a e b, rappresentanti rispettivamente il rapporto tra i valori dell’asse maggiore e dell’asse intermedio dell’ellissoide ed il rapporto fra l’asse intermedio e l’asse minore.

Definendo, infatti, un valore K pari a:

K = [(1+ε3) (ε12)] / [(1+ε2) (ε23)]

si possono rappresentare sul diagramma 5 tipi principali di ellissoidi:

– per K = 0, l’ellissoide è uniassiale oblato e la deformazione è un raccorciamento;

– per 1 > K > 0, l’ellissoide è oblato e la deformazione è uno schiacciamento;

– per K = 1, l’ellissoide è triassiale e la deformazione si realizza a volume costante;

– per ∞ > K > 0. l’ellissoide è prolato e la deformazione é costrittiva;

– per K = ∞, l’ellissoide è prolato e la deformazione estensiva.

Fig. 1.4 – Diagramma di Flinn.

Il diagramma di Ramsay rappresenta una variazione del diagramma precedente nel quale vengono riportati i logaritmi naturali di a e b secondo le relazioni:

ln(a) = ln[(1+ε1) (1+ε2)]

ln(b) = ln[(1+ε2) (1+ε3)]

K viene definito dal rapporto ln(a)/ln(b).

Fig. 1.5 – Diagramma di Ramsey.

Le rette K = 1 rappresentano gli insiemi degli stati di deformazione piana.

1.1.2 – Legge di Hooke

L’ammasso roccioso sottoposto a stress tende ad assumere deformazioni interpretabili secondo modelli di comportamento in genere di tipo elasto-plastico, impossibili da riprodurre correttamente in laboratorio. Di conseguenza si deve ricorrere a modelli interpretativi schematizzanti approssimativamente il comportamento reale del sistema assimilando il mezzo ad un solido isotropo (amorfo o cristallino purché in presenza di cristalli e/o agglomerati di piccole dimensioni, con assi non orientali secondo direzioni preferenziali).

I solidi omogenei ed isotropi, di norma, se assoggettati ad uno stato tensionale crescente in modo graduale, assumono istante dopo istante una successiva configurazione di equilibrio che consente il ripristino delle condizioni d’equilibrio originarie al ridursi dei valori dello stato tensionale. Se il solido ripercorre a ritroso i cambiamenti introdotti riacquisendo la configurazione originaria, il medesimo diviene assimilabile ad un mezzo perfettamente elastico; tutti i corpi in natura tendono, viceversa, a deformarsi secondo modelli di comportamento anelastici.

La legge di Hooke individua, nel livello tensionale cui i corpi sono assoggettati, l’origine dello stato di deformazione secondo un rapporto di proporzionalità diretto, espresso dalla relazione

σ = E*ε

nella quale la pressione σ esercitata sul solido determina una deformazione ε ed E è pari ad una costante di proporzionalità (intrinseca del materiale) detta modulo di elasticità o di Young.

Incrementando lo stato tensionale si giunge al limite di elasticità soglia superata la quale la deformazione risulta irreversibile ed il solido assume un comportamento plastico implicante riduzione di volume (Taglio puro).

L’incremento di tensione ulteriore può condurre alla rottura del mezzo al superamento del carico di rottura, che è caratteristica intrinseca di ciascun materiale.

Tanto più vicini risultano essere il limite di elasticità e il carico di rottura e tanto più il mezzo si definisce come fragile; tanto più esteso è il campo di elasticità e tanto più il solido può definirsi elastico.

1.1.3 – Deformazioni plastiche

Così come si è accennato ai solidi perfettamente elastici e ai solidi a comportamento elasto-plastico, nel prosieguo si procede in breve alle caratteristiche dei solidi elastico-viscosi, cioè quei solidi che, superata la soglia di elasticità, all’aumentare dello stress tensionale si deformano ed, al successivo ridursi delle tensioni, recuperano parzialmente la loro deformazione elastica.

In particolare le rocce tendono a deformarsi secondo un modello di comportamento studiato per i fluidi viscosi (reologici → a comportamento non newtoniano) per i quali il valore della viscosità non risulta costante nel tempo e per i quali è possibile determinare un limite di plasticità identificabile con il punto A sull’asse delle ascisse (Fig. 1.6) equivalente ad un determinato valore della tensione di Taglio. Più risulta ampio l’intervallo dei valori del limite di plasticità, tanto più ci si avvicina al comportamento dei solidi reali.

Fig. 1.6 – Comportamento elasto-viscoso in un solido.

I fattori che influenzano la deformazione viscosa dei solidi reali e, di conseguenza, anche degli ammassi rocciosi, risultano: la temperatura, la pressione, il periodo d’applicazione delle tensioni e la presenza di fasi liquide. Di norma le grandi deformazioni orogenetiche si sviluppano in condizioni diverse di temperatura e pressione a seconda della profondità e sempre in presenza di fasi liquide e/o gassose per cui, in assenza di sollecitazioni esterne, la distribuzione delle tensioni può assumersi di tipo idrostatico sulla superficie della roccia ed equivalente alla pressione litostatica della colonna di roccia sovrastante. L’ellissoide delle tensioni, in questo caso, assume connotati di tipo sferico e solo in seguito all’applicazione di una tensione orientata acquista simmetria bi e/o triassiale.

Le rocce, per conclusione, subiscono eventi deformativi a seguito di sistemi di tensioni applicate che debbono assumere una componente idrostatica ed una di tipo deviatorico.

Allo stesso modo è possibile dimostrare che l’aumento della temperatura riduce l’entità dello sforzo deviatorico che è alla base delle deformazioni plastiche nella roccia in condizioni asciutte, e tale soglia di tensione finisce per ridursi ulteriormente in presenza di umidità nei campioni sottoposti a compressione e/o trazione.

Se poi si considera che i fenomeni deformativi che interessano gli ammassi rocciosi si sviluppano in tempi paragonabili a 106 anni, s’introduce il concetto noto come scorrimento (creep) attraverso il quale è possibile spiegare l’insorgere di stati deformativi anche per valori dello stato tensionale inferiori rispetto al limite elastico della roccia, in seguito all’applicazione di stati tensionali di valore costante.

In generale la velocità di deformazione è proporzionale all’intensità dello stato tensionale agente.

I fattori che concorrono a deformare gli ammassi rocciosi in natura assumono grandi dimensioni, e si intuisce pertanto che nel corso dei processi tettonici, studiati dalla geologia strutturale, la soglia delle deformazioni plastiche possa ridursi considerevolmente rispetto ai valori misurabili sui campioni in laboratorio, generando strutture che sembrano in contrasto con la comune esperienza.

1.1.4 – Corrispondenza strutturale e Tettonica

Gli ammassi rocciosi, nella gran parte dei casi, sono caratterizzati da un reticolo di lesioni più o meno articolato in ragione dell’iter tettonico che ha caratterizzato una determinata regione e delle caratteristiche del litotipo di fronte agli stati tensionali.

La formazione di faglie si verifica ogni qualvolta la continuità originaria che caratterizza le rocce sedimentarie o qualsiasi altro litotipo, viene interrotta da movimenti lungo quello che viene denominato piano di faglia. L’intersezione del piano di faglia con la superficie topografica produce un allineamento lungo il quale è possibile osservare il giustapporsi. sia in superficie che in profondità, di rocce che originariamente non erano a contatto tra loro.

Raramente le faglie si presentano come una singola unità planare: di norma si trovano accompagnate da un sistema di fratture parallele o sub-parallele lungo le quali il movimento ha preso avvio. Litotipi competenti, a comportamento prevalentemente elastico, reagiscono agli stati tensionali per compressione e/o distensivi deformandosi fragilmente con comparsa di discontinuità che sono riconosciute come giunti e/o superfici di fratturadiaclasi etc. in assenza di movimenti relativi tra i lembi opposti della frattura e come faglie in caso contrario.

Inoltre le faglie sono spesso riconoscibili attraverso fasce cataclasate lungo le quali il litotipo attraversato risulta disgregato, e la tessitura originaria parzialmente e/o completamente obliterata. La geologia strutturale classifica comunemente le lineazioni tettoniche in base alla geometria del cinematismo ed all’entità del movimento relativo tra i labbri della discontinuità; più in particolare si designa con il termine di specchio di faglia la superficie messa a giorno dal movimento relativo tra le parti opposte e rigetto l’entità del movimento che ha contraddistinto la faglia.

Il piano di faglia, generalmente, assume sempre un certo angolo sull’orizzontale: in particolare si osservano angoli > 45° per le faglie di tipo diretto, riconducibili a stati tensionali di tipo distensivo, e viceversa angoli < 45° per le faglie inverse, correlabili con stati tensionali per compressione e corrugamento. Solo per le faglie trascorrenti il piano di faglia risulta prossimo alla verticale, definendo col termine di trascorrenti destre (e/o sinistre) il senso di movimento relativo, in assenza di rigetto verticale o con rigetto molto contenuto. Per spiegare l’origine delle faglie è opportuno ricordare che le superfici di discontinuità negli ammassi rocciosi sono riconducibili agli schemi tensionali osservati in precedenza in cui le forze si esercitano secondo un ellissoide orientato con una tensione principale σ1, una tensione intermedia σ2 ed una tensione minima σ3 che agiscono sul corpo in direzioni ortogonali tra loro, inducendo lo stato di minor resistenza a taglio lungo superfici inclinate genericamente a 45° rispetto alla direzione d’applicazione della tensione principale.

Le tensioni di taglio sono efficacemente contrastate dalle tensioni di resistenza a taglio rappresentate dalla coesione che amalgama i costituenti minerali (legami elettrostatici) e dall’attrito interno che si esercita lungo le superfici di discontinuità nell’istante che segue il superamento della soglia di plasticità del solido.

Data l’importanza assunta dalla compressione σ ortogonale al piano di scorrimento, la differente orientazione secondo cui si esercita la tensione principale determina l’andamento della superficie di rottura, in presenza di una combinazione di valori di pressione σ e resistenza a taglio τ tale da rendere più efficace lo sforzo di taglio. È pertanto assai raro che il piano di taglio si sviluppi esattamente con inclinazione pari a 45° rispetto alla zona di taglio puro.

Le faglie dirette, inverse e trascorrenti sono caratterizzate da una differente orientazione delle pressioni principali rispetto alla superficie terrestre, con piani d’intersezione paralleli alla pressione principale intermedia σ2. In particolare si dimostra (Fig. 1.7) che:

Fig. 1.7 – Sviluppi dei sistemi di faglie.

–       quando la tensione principale maggiore σ1 è applicata verticalmente al solido (campione di laboratorio) e le due tensioni intermedia e minore (σ2 e σ3) sono complanari, disposte su di un piano ortogonale alla prima, si generano superfici di taglio che alla scala reale sono riconducibili a faglie di tipo diretto;

–       quando la tensione principale minore è orientata secondo la verticale e le due tensioni principali maggiori sono complanari ed ortogonali alla prima, si sviluppano superfici di taglio riconducibili a faglie di tipo inverso;

–       quando lungo la verticale si esercita la tensione σ2 e la σ1 e la σ3 sono parallele al piano orizzontale, si sviluppano le cosiddette faglie trascorrenti.

Le faglie a carattere regionale, caratterizzate da prevalente carattere distensivo, possono esercitare un controllo sulla tettonica locale reso evidente attraverso l’analisi strutturale delle principali discontinuità caratterizzanti l’ammasso roccioso.

Le faglie e le flessure con sviluppo a scala regionale inducono l’innesco di sistemi di fratture, divisibili in faglie parassite sintettiche ed antitettiche rispetto al movimento principale.

Nei casi in cui si abbia una deformazione rotazionale dovuta all’azione di sistemi di faglia a prevalente componente trascorrente, si crea un pattern di fratture aventi la caratteristica di accomodare le deformazioni con rotazioni di alcuni gradi nella direzione della zona di taglio principale (ZTP).

Dapprima si forma un sistema di faglie detto fasce di taglio di Riedl (Fig. 1.8) composto dalle faglie R (sintettiche, poste dopo le rotazioni a ~10°-20° da ZTP) e dalle R’ (antittetiche, poste dopo le rotazioni a ~70 -80° dal ZTP, con rigetti molto inferiori rispetto alle R) che rispetta il criterio di rottura di Mohr-Coulomb.

Fig. 1.8 – Strutture di Riedl.

In seguito, per il problema di dover rispettare ulteriori incrementi di deformazione lungo le R, si creano delle associazioni con un nuovo set di fratture, le P (sintettiche, poste a  Φ/2 = angolo d’attrito di picco, da ZTP, che sembrano congiungere le R, divise tra loro nel frattempo).

Le P e le R’ non sono compatibili tra loro sebbene presentino andamenti curvilinei simili.

In ordine di tempo le prime strutture che si sviluppano durante la fase deformativa sono i sistemi T di estensione, parallele alla direzione di massimo raccorciamento e inclinate di ~45° rispetto alla zona di taglio puro.

Il modello strutturale di Riedl illustra il rapporto di causa-effetto esistente tra lo sviluppo di lineazioni tettoniche a scala locale (faglie dirette e inverse) e le diaclasi proprie dell’ammasso roccioso rilevabili in affioramento. L’assetto strutturale si differenzia all’interno dei differenti litotipi presenti in forza delle differenze di comportamento meccanico  dei materiali costituenti, sottoposti ad un determinato tipo di strain deformativo.

Alla frantumazione e schiacciamento della roccia originaria, accompagnati da fenomeni di cataclasi e scistosità per laminazione, si associano trasformazioni chimico-fìsiche che comportano una variazione dell’equilibrio chimico fra i minerali costituenti. Si verificano sotto queste condizioni, infatti, dissoluzioni e ricristallizzazioni, reazioni chimiche fra soluzioni, fra soluzioni e fasi solide e non raramente anche fra fasi solide (principio di Riecke); in base alla legge dei volumi entro tali litologie prevalgono minerali i cui volumi molecolari sono inferiori alla somma degli ossidi che li formano; di conseguenza risultano presenti (ad es.) quarzo e sericite in luogo di ortoclasio etc.

Le rocce tipiche di questa zona metamorfica appaiono infatti scisti e gneiss sericitici di laminazione mentre tra i minerali caratteristici emergono le associazioni a mica bianca, clorite, talco, zoisite, albite, orneblenda ed epidoto.

Il campo tensionale applicabile a grande scala al territorio in essere conduce ad una tettonica di tipo compressivo e trascorrente caratterizzata da faglie inverse nonché faglie frascorrenti destre e sinistre coniugate.

Le pieghe rappresentano la risposta di vaste aree della superficie di fronte a sollecitazioni indotte da stati tensionali riconducibili alla scala dei movimenti orogenetici ed alla tettonica a placche, sia per intensità degli stati tensionali che per la durata di tali fenomeni.

Le deformazioni della superficie planetarie (litosfera oceanica e continentale) sono indotte sia da stress di tipo compressivo che distensivo ponendo quale effetto la formazione di pieghe a diverso raggio di curvatura in funzione del comportamento plastico/viscoso o rigido dei litotipi che caratterizzano le zone soggette a deformazione.

I modelli più semplici di pieghe sono rappresentati dalle flessure (o monoclinali), costituite da una zona di raccordo ad immersione unica tra due zone contigue a strati orizzontali. Nel caso in cui gli strati inclinati si avvicinino alla verticale e/o la superino si indicherà tale tipo di deformazione come piega a ginocchio.

Elementi rappresentativi delle deformazioni per piega sono i fianchi inclinati che racchiudono il nucleo della piega, ed il piano assiale che raccorda in una roccia stratificata le linee di cerniera della piega e cioè tutti i punti di massima curvatura dei singoli strati.

Stili deformativi per compressione formano pieghe anticlinali caratterizzate da morfologia convessa verso l’esterno della piega ed aventi i terreni più antichi al nucleo ed i più recenti in superficie. Allo stesso modo, a stili di deformazione di tipo distensivo nella crosta terrestre corrispondono pieghe a sinclinale, caratterizzate da morfologia concava e terreni stratigraficamente più recenti al nucleo.

Le deformazioni orogenetiche vanno soggette a fasi di ripiegamento successive e frequentemente accade che deformazioni plicative interessino successioni stratigrafiche rovesce, lungo i fianchi rovesciati di pieghe più antiche. In tal caso si parla di pieghe antiformi e sinformi avendo i terreni più recenti al nucleo e convessità rivolta verso l’alto.

Un aspetto importante nel riconoscimento di uno stile deformativo è rappresentato dalla vergenza dell’asse delle pieghe, che coincide con la direzione di minor resistenza allo sforzo.

In uno schema semplificato la vergenza risulta parallela alla direzione ed al verso della tensione principale di compressione.

1.1.5 – Geometria del campo tensionale

Di considerevole interesse applicativo è la determinazione della geometria completa del campo tensionale. Uno dei metodi più semplici è basato sulla misurazione della giacitura di un sistema di faglie e sulla determinazione dei poli medi corrispondenti ai massimi assoluti di frequenza.

Prendendo, ad es., le famiglie di faglie principali di cui alla Fig. 1.9. il diagramma delle densità dei poli (Fig. 1.10) permette di identificare i poli medi di tale sistema.

Fig. 1.9 – Sistemi di faglie principali.

Fig. 1.10 – Matrice della densità dei poli delle faglie di cui alla Fig. 1.9.

Ricostruendo i grandi cerchi di tali poli medi l’intersezione di questi rappresenta la proiezione della direzione della componente della tensione intermedia σ2.

Le proiezioni delle direzioni della tensione massima e minima, σ1 e σ3 si troveranno allora rispettivamente lungo le bisettrici degli angoli acuto ed ottuso (Fig. 1.11).

Fig. 1.11 – Ricostruzione della geometria del campo tensionale a seguito dei rilievi esposti nelle Figg. 1.9 e 1.10.

1.2 – Rapporti fondamentali

1.2.1 – Deformazione

Si consideri un cilindro assoggettato ad una forza di compressione esterna agente nella direzione della lunghezza del medesimo (assialmente); a motivo di tale forza la lunghezza del cilindro diminuirà mentre la sua larghezza aumenterà (Fig. 1.12).

La deformazione è definita come il cambio per unità di lunghezza del materiale nella direzione della forza applicata:

ε = (L0-L)/L0

Figura 1.12 – Deformazione di un corpo cilindrico soggetto a pressione assiale.

Per definizione, la deformazione è dimensionale ma in meccanica delle rocce è solitamente espressa in unità % o in millideformazioni (mm m-1 ).

Per convenzione, la deformazione risulta positiva quando si rileva un accorciamento e negativa quando si rileva un allungamento.

1.2.2 – Modulo di Poisson

Come anticipato, ad una compressione corrisponde una deformazione longitudinale ed una deformazione radiale. Tale fenomeno è conosciuto come effetto Poisson. Il rapporto (comunemente chiamato modulodi Poisson esprime il rapporto fra le 2 deformazioni:

ν = – ׀[(R0-R)/R0] / [(L0-L)/L0]׀

Matematicamente il valore del modulo può variare entro 0,5 ÷ -1 ma per un corpo fisico il limite inferiore è considerato 0. Tale valore corrisponde ad un materiale dove la deformazione radiale è nulla: se, al contrario, il volume del materiale non muta sotto sforzo, il valore del modulo tende a 0.5.

1.2.3 – Tensione

Avendo definito la deformazione, è opportuno anche considerare la causa di tale effetto;la deformazione è la conseguenza di una tensione (pressione) applicata al materiale ed è definita come la forza agente su un’area unitaria:

σ = F/A

Le tensioni e le deformazioni possono essere definite come normali, tangenziali (o di taglio) o come combinazione delle due in funzione dell’orientamento direzionale relativo alla superficie del corpo.  Se la forza agente su un piano è nel suo punto di applicazione perpendicolare al piano stesso, si dice che sul piano agisce una forza normale mentre gli spostamenti sono definiti come deformazioni normali. Se, viceversa, la forza viene applicata in direzione parallela al piano, si dice che sul piano agisce una forza di taglio inducente una deformazione di taglio; è pure da notare come una deformazione di taglio non implichi necessariamente un cambiamento di volume del corpo.

1.2.4 – Relazione tra tensioni e deformazioni

Le tensioni e le deformazioni possono essere quindi legate dalla relazione:

σ = f(ε)

La funzione è la legge costitutiva che descrive il comportamento meccanico del materiale e viene normalmente definita da dati sperimentali.

1.2.5 – Elasticità

Ogni materiale che, qualora soggetto a una forza, ritorni alle proprie dimensioni originali quando questa cessi d’agire è definito elastico: durante le azioni di carico e scarico il percorso seguito lungo la curva sforzi-deformazioni risulta il medesimo.

La curva può mostrare comportamento lineare o non lineare (Fig. 1.13); la differenza sostanziale fra le due curve consiste nel fatto che nella prima la tensione é univocamente definita dalla deformazione mentre lo stesso non si applica alla seconda. Un ulteriore concetto importante è che se un materiale è elastico non ha memoria del percorso di carico a cui è stato sottoposto.

Fig. 1.13 – Curve sforzi-deformazioni: deformazione lineare (a) e non-lineare (b).

1.2.6 – Elasticità lineare

In un materiale linearmente elastico le forze applicate e le deformazioni risultanti sono direttamente proporzionali (la curva è una linea retta); la costante di proporzionalità E prende il nome di modulo di Young o modulo elastico o modulo di elasticità, venendo definita dalla relazione:

E = σ/ε

II modulo di Young è comunemente determinato mediante prove di compressione monoassiali (uniassiali) su provini di roccia cilindrica. Nella realtà, tuttavia, la curva sforzi-deformazioni non è lineare ma leggermente curvata, indicando che il modulo varia con lo stato tensionale e che non è una costante unica. In geomeccanica si fa comunemente riferimento a uno dei seguenti 3 moduli:

–       modulo di Young tangente Et: è il più utilizzato ed indica la pendenza della curva tensione assiale-deformazione assiale ad una percentuale fissa, generalmente al 50% della resistenza di picco;

–       modulo di Young medio Eav: ottenuto mediando la pendenza della curva nel suo tratto più rettilineo;

–       modulo di Young secante Es: pendenza della curva tra la sua origine e il punto corrispondente alla resistenza di picco.

Il significato dei 3 moduli è mostrato nella Fig. 1.14.

Fig. 1.14 – Determinazione del modulo di elasticità dalla curva sforzi-deformazioni.

In corrispondenza di ogni valore del modulo Young si può calcolare il modulo di Poisson dalla relazione:

ν = (Δσ/Δεa) / (Δσ/Δεr)

La legge costitutiva, riscritta come:

σ = Eε

è comunemente nota come legge di Hooke.

1.2.7 – Modulo Bulk e Modulo di Taglio

Dalla conoscenza del modulo di Young e del modulo di Poisson è possibile derivare:

– II modulo bulk K, o modulo di rigidità normale: misura della rigidezza volumetrica in condizioni perpendicolari di carico:

K = E / 3(1-2ν)

 – II modulo di taglio G, o modulo di rigidità di taglio: tensione di taglio diviso la deformazione di taglio:

G = E / 2(1+v)

Le differenze significative dei 3 moduli sono riassunte nella Tab. 1:

Tab. 1 – Quadro sinottico dei 3 moduli.

1.2.8 – Correlazioni fra i parametri propri del mezzo elastico

Delle 4 costanti di elasticità trattate EνK e G, le prime 2 sono facilmente misurabili in laboratorio, mentre per le seconde 2 una misura diretta potrebbe risultare problematica. Tuttavia, avendo misurato 2 delle costanti (caso più comune), è possibile calcolare le altre due come visto sopra.

Ogni singola costante può essere quindi determinata rispetto ad altre due note secondo le relazioni esposte in Tab. 2.

Tab. 2 – Relazioni tra i 4 moduli

1.2.9 – Applicazioni della Legge di Hooke

La legge di Hooke è applicabile nei campi monodimensionale, bidimensionale e tridimensionale in cui le relative leggi costitutive variano da formulazioni semplici a formulazioni complesse espresse in forma matriciale.

Dato, tuttavia, il carattere soprattutto pratico adottato nella trattazione si espongono solo alcuni concetti fondamentali rimandando per ogni approfondimento a testi specialistici ricordando, da ultimo, che quanto fin qui descritto risulta applicabile unicamente a un mezzo omogeneo (dove le proprietà meccaniche sono uguali in ogni punto del materiale) oltre che isotropo (dove le proprietà elastiche del materiale permangono le medesime in ogni direzione).

1.2.10 – Tensioni principali

Un concetto di fondamentale importanza in Meccanica delle rocce è quello delle tensioni principali. Si consideri il caso più semplice di uno stato tensionale nelle 2 dimensioni dove le forze esterne agiscono nel piano (x, y); nella direzione z le tensioni sono nulle (Fig. 1.15).

Si consideri, a questo punto, che un piccolo elemento del corpo sia soggetto alle componenti delle tensioni normali σxx e σyy unitamente alle componenti di taglio σxy e σyx.

Per mantenere la condizioni di equilibrio in un solido continuo, σxy deve essere uguale a σyx consentendo allo stato tensionale di essere completamente descritto dalle 3 componenti delle tensioni:

σxxσyy e σxy

Risulta a questo punto opportuno ricordare che è sempre possibile trovare un orientamento delle tensioni tale che non vi sia alcuna tensione di taglio agente sulle facce dell’elemento; sotto questa condizione, le tensioni normali applicate vengono dette tensioni principali.

Fig. 1.15 – Stato tensionale bidimensionale.

Nel caso bidimensionale tali tensioni principali sono denominate, rispettivamente, maggiore e minore: σmaggiore = σ1 e σminore = σ3, agenti a 90° una rispetto all’altra.

Per ogni componente delle tensioni in x e y, la magnitudine delle σ1 e delle σ3, è data dalle relazioni:

σ1 = ½(σxx+σyy) + ½ √(σxxσyy)2 + 4σxy2

σ1 = ½(σxx+σyy) – ½ √(σxxσyy)2 + 4σxy2

deve risultare, inoltre:

σ1+σ3 = σxx+σyy

Di norma le tensioni principali non agiscono nelle medesime direzioni delle σxy e σyx: in tale contesto, infatti, sono presenti anche tensioni di taglio e quindi, per definizione, le tensioni normali non possono essere qualificate come tensioni principali. L’angolo di orientamento θ (misurato in direzione antioraria rispetto all’asse positivo delle x) e quantificato dall’espressione:

θ = 0.5 tg-1[2σxy/(σxxσyy)]

L’angolo di orientamento della σ3 è ottenuto aggiungendo o sottraendo 90° in modo tale che la σ1 e la σ3 si posizionino nei quadranti cartesiani superiori I e II. Lo stato tensionale testé descritto è un caso più generale dello stato tensionale in 3 dimensioni (Fig. 1.16)

Fig. 1.16 – Stato tensionale tridimensionale.

Le 9 componenti delle tensioni possono essere scritte in forma matriciale come tensore delle tensioni (un tensore e una matrice con attributi specifici, di cui il più importante è di essere invariante cioè una quantità fisica del sistema che non muta col cambiare degli assi di riferimento):

|σxx σxy σzx|

[σ] =   |σxy σyy σyz|

                                                                           |σzx σyz σzz|

La tensioni principali possono essere calcolate dagli invarianti del tensore delle tensioni cambiando l’orientamento del sistema di coordinate fino a che tutte le tensioni di taglio si annullino, lasciando sulle facce del cubo solo una tensione normale agente; tralasciando la trattazione teorica, non pertinente allo scopo, si giunge cioè alla matrice:

|σ1   0     0|

[σ] =   |0    σ2    0|

                                                                           |0     0   σ3|

dove si definiscono le 3 tensioni principali:

σmaggiore = σ1σintermedia = σ2 e σminore = σ3

e dove vale sempre la relazione:

σ1 σ2 σ3 = σxx σyy σzz

La matrice delle tensioni può essere divisa in due componenti:

[σ] = m] d]

in cui m] sono tensioni sferiche (idrostatiche) = 1/3 (1 σ2 σ3] e d] = tensioni deviatoriche.

In pratica:

|σxx σxy σzx|            |σm  0    0|        |(σxxσm)   σxy          σzx|

[σ] =  |σxy σyy σyz|      =    |0    σm  0|   +   |σxy      (σyym)       σyz|

|σzx σyz σzz|            |0    0  σm|        |σzx         σyz    (σzz– σm)|

In un corpo solido le tensioni sferiche presiedono al cambiamento di volume a seguito delle tensioni normali mentre le tensioni deviatoriche presiedono, in qualità di tensioni di taglio, alle distorsioni. Si possono allora definire i seguenti stati tensionali:

Uniassiale:                                                          σ1 ≠ 0

Biassiale:                                                σ1 ≠ 0σ2 = 0σ3 ≠ 0

Triassiale:                                               σ1 ≠ 0σ2 ≠ 0, σ3 ≠ 0

Assiale (tipico di prove triassiali):                  σ1 > σ2 > σ3

Idrostatico (o sferico):                                    σ1 = σ2 = σ3

1.2.11 – Il materiale roccia

Una roccia, nelle proprie condizioni reali, mostra tuttavia un comportamento elastico soltanto fino ad una determinata soglia di deformazione, nota come tensione di snervamento o σ0 , al di là della quale si ottengono deformazioni permanenti e non recuperabili; a seconda delle proprietà fisiche della roccia e delle condizioni al contorno, l’andamento della curva sforzi-deformazioni identifica comportamenti diversi, dall’elastico fragile al plastico.

1.2.12 – Comportamento elastico fragile

E caratterizzato da un brusca diminuzione di resistenza al di là di un valore di soglia (Fig. 1.17).

Fig. 1.17 – Comportamento fragile.

1.2.12 – Comportamento elastico duttile o incrudente

Dopo il raggiungimento delle tensione di snervamento la pendenza della curva permane positiva e la roccia può ancora subire deformazioni permanenti senza perdere capacità di sostentamento del carico (Fig. 1.18).

Fig. 1.18 – Comportamento incrudente

1.2.13 – Comportamento elastico perfettamente plastico

La roccia si comporta in modo elastico fino alla tensione di snervamento, quindi si ha una deformazione continua (Fig. 1.19).

Fig. 1.19 – Comportamento elastico perfettamente plastico.

1.2.14 – Comportamento elasto-plastico o rammollente

Una volta al di là della tensione di picco la roccia mantiene ancora una certa capacità portante con l’aumentare della deformazione fino a raggiungere un valore detto resistenza residua, dopodiché la curva diventa perfettamente plastica (Fig. 1.20).

Fig. 1.20 – Comportamento rammollente.

Per la maggior parte delle rocce, a basse tensioni di confinamento i comportamenti più diffusi sono quelli fragile o elastoplastico rammollente, mentre all’aumentare della tensione di confinamento si rivela una transizione dal comportamento elastico fragile al comportamento elastoplastico (Fig. 1.21).

Fig. 1.21 – Variazione della legge di comportamento con la tensione di confinamento.

1.3 – L’ammasso roccioso

1.3.1 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

Gli obbiettivi della meccanica delle rocce consistono nella comprensione del comportamento unitamente alla determinazione della resistenza di un ammasso roccioso più o meno fratturato.

A tale scopo, nel corso dell’ultimo quarantennio, sono stati proposti svariati approcci empirici da parte di differenti autori con maggiore o minore successo.

I sistemi offerti, con la definizione di criterio di rottura, cercano di collegare tra loro le varie combinazioni delle componenti lo stato tensionale separando le condizioni accettabili da quelle non accettabili, ovvero quelle indicanti uno stato limite al raggiungimento del quale l’ammasso si porta in condizioni di collasso.

L’approccio più seguito tenta di descrivere il campo tensionale a rottura senza necessariamente indicare come avvenga la rottura. Ai sensi di tale ipotesi 2 metodologie hanno ricevuto un largo seguito: il criterio di rottura di Mohr-Coulomb e il criterio di rottura di Hoek-Brown.

Considerando un corpo bidimensionale sotto l’azione di una forza esterna F (Fig. 1.22): se dividiamo il piano lungo una linea immaginaria avente un’area A, in ambedue le metà si riscontrano condizioni d’equilibrio con le forze interne distribuite attraverso il corpo. Se il piano immaginario è inclinato, una tensione:

σ = F/A

agisce lungo il piano (Fig. 1.22): tale tensione può quindi essere scomposta in 2 componenti, una perpendicolare al piano (σnormale o σ) ed una parallela al piano, (σtaglio o τ).

Fig. 1.22 – Campo tensionale in un corpo bidimensionale.

1.3.1.1 – Cerchio di Mohr

Lo stato tensionale in un punto qualsiasi del corpo bidimensionale può essere rappresentato graficamente attraverso il cerchio di Mohr. Tale cerchio è rappresentato su assi cartesiani dove l’ascissa rappresenta i valori della tensione normale o agente su un piano immaginario comunque inclinato e l’ordinata i valori della tensione di taglio τ agente parallelamente al piano.

Le coordinate di ogni punto del cerchio rappresentano immediatamente i valori delle componenti

delle due tensioni.

Considerando un elemento n (Fig. 1.23).) su cui agiscono le tensioni σxxσyy e σxy.

Fig. 1.23 – Elemento n posto entro campo tensionale.

Nella costruzione del cerchio di Mohr (Fig. 1.24). il diametro del cerchio è rappresentato dall’unione dei punti di coordinata(σxxσyy) e (σxx, σyy); il punto in cui la linea interseca l’asse delle σ è il centro del cerchio. Imponendo il valore 0 all’origine del sistema di coordinate, si possono quindi identificare i seguenti percorsi:

OC = 1/[2(σxx+σyy)]

CD = 1/[2(σxxσyy)]

DF = xy

La costruzione della linea FDF’ fa ricavare le τ componenti τ = σxv e σ = σxv agenti sulla superficie cb dell’elemento; se l’elemento ed è inclinato di un angolo θ, il piano sarà rappresentato dalla linea HG inclinata di θ.

Costruendo la perpendicolare GH, le distanze OH e HG rappresenteranno le tensioni normali e tangenziali sul piano ed.

Risulta quindi intuitivo che le distanze OS1 e OS2 rappresentano le grandezze delle tensioni  principali maggiori e minori, σ1+σ3.

La linea FS1 definisce l’orientazione del piano principale maggiore così che FS2 perpendicolare a FS1, rappresenta l’orientamento dell’asse della tensione principale maggiore; l’angolo α1 indica quindi l’orientamento della σ1.

La tensione di taglio massima σxy(max) è ricavata misurando la tensione di taglio tangente al punto massimo del cerchio.

Fig. 1.24 – Costruzione del cerchio di Mohr.

Esprimendo la costruzione in termini di tensioni principali, con semplici passaggi si può dimostrare che:

σxx = σ1 cos2θ + σ3 sen2θ

σyy = σ1 sen2θ + σ3 cos2θ

σxy =  (σ1σ3) (cosθ senθ

assumendo α =  con semplici trasformazioni trigonometriche si può scrivere:

cosθ senθ = ½ senα)

cos2θ = ½ (1+cosθ)

sen2θ = ½ (1-cosθ)

e sostituendo:

σ = [(σ13)/2 +(σ13)/2cosα

τ = [(σ1σ3)/2senα

Queste 2 equazioni sono l’equazione di un cerchio con centro in:

(σ1+σ3)/2

sull’asse delle σ nel piano σ-τ.

1.3.1.2 – Criterio di Mohr-Coulomb

Costruendo sul diagramma di Mohr una serie di cerchi rappresentativi del variare della tensione di taglio con la tensione normale e collegando i punti di tangenza dei cerchi con una linea, tale linea rappresenta le combinazioni critiche delle tensioni principali e identifica l’inviluppo di rottura di Mohr-Coulomb rappresentato dall’equazione:

τ = σ tgφ + c

dove c rappresenta un resistenza di coesione iniziale, determinato dall’intercetta della retta d’inviluppo con l’ordinata, e φ l’angolo di attrito interno, determinato dall’angolo che forma la retta d’inviluppo dei cerchi con l’ascissa. A seguito di quanto esposto Coulomb postula che la rottura avvenga quando la tensione di taglio massima raggiunge la resistenza al taglio intrinseca del materiale c funzione della tensione normale agente e della componente attritiva del materiale stesso. Poiché la resistenza a trazione di una roccia è generalmente inferiore alla resistenza a trazione di Coulomb (il punto d’intersezione della linea d’inviluppo con l’asse delle ordinate), si introduce normalmente nel diagramma di Mohr-Coulomb un taglio T nella retta d’inviluppo (o tension cut-off) in corrispondenza della resistenza a trazione (Fig. 1.25).

Fig. 1.25 – Inviluppo di rottura secondo il criterio di Mohr-Coulomb.

In accordo con il criterio di rottura di Mohr-Coulomb (noto anche come criterio di Navier-Coulomb in quanto Navier ha per primo ipotizzato che la tensione normale aumenti la resistenza al taglio del materiale di una quantità proporzionale all’intensità della tensione normale), la resistenza di una roccia può essere completamente definita dai valori di φc e T.

Il criterio, noto l’inviluppo di rottura e lo stato tensionale nell’ammasso, permette di definire uno stato in cui la resistenza della roccia ha ancora margini di sicurezza, uno in cui l’ammasso collassa ed uno in condizioni di equilibrio limite (coefficiente di sicurezza = 1). Fig. 1.26).

Fig. 1.26 – Inviluppi di rottura per varie condizioni di sicurezza.

In termini di resistenza a compressione monoassiale σc e di tensioni principali σ1 e σ3 il criterio di rottura può essere descritto dalle relazioni:

σ1 = σc+qσ3

q = (1+senφ)/(1+senφ)

σc = 2c√q

Pur essendo tale criterio largamente utilizzato nella pratica geotecnica, lo stesso non si rivela soddisfacente nel caso di un ammasso roccioso in quanto:

–       il criterio presuppone che una frattura di taglio primaria si sviluppi al raggiungimento della resistenza di picco, situazione non sempre dimostrata;

–       il piano di taglio si sviluppa in una direzione non sempre in accordo con le evidenze sperimentali;

–       l’inviluppo di rottura non è lineare se non per limitati valori della σn e della σ3

Ulteriori ostacoli all’utilizzo del criterio si rivelano la complessità e l’onerosità delle prove triassiali necessarie per identificare correttamente l’inviluppo di rottura. Per tali motivi si preferisce ricorrere al criterio di Hoek-Brown sebbene appaia doveroso ricordare come il criterio di Mohr-Coulomb rappresenti efficacemente le condizioni di resistenza residua di un ammasso e la resistenza al taglio delle singole discontinuità nella roccia.

Un utilizzo tuttavia molto utile del cerchio di Mohr è quello di determinare le tensioni principali agenti e l’angolo di azione noto il campo tensionale. Infatti il raggio del cerchio di Mohr è regolato dall’espressione:

R = 0.5 (σxxσyy)+(2σxy)2

Nota la posizione del centro del cerchio:

C = 0,5 (σxx+σyy)

si ottengono le espressioni:

σ1 = C + R

σ3 = C – R

τ = R

e l’angolo d’azione:

α = tg-1[2σxy/(σxxσxy)]

1.3.2 – Criterio di rottura di Hoek-Brown

Il criterio empirico di Hoek-Brown è basato sostanzialmente sulle tensioni principali a rottura; tale principio prende avvio dal concetto che la rottura in un ammasso roccioso sia controllata dallo spostamento e dalla rotazione di singoli blocchi di roccia, separati da numerose fratture, aventi un assetto caotico e quindi senza orientamento preferenziale di scorrimento, così che l’ammasso possa essere considerato come isotropo. L’equazione sviluppata risulta:

σ1 = σ3+√mσcσ3+sσc2

dove σ1 e σ3 sono le tensioni principali maggiore e minore a rottura e σc la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta. Le costanti m ed ssono costanti empiriche dimensionali della roccia non aventi preciso significato fisico ma legate al suo assetto geologico e strutturale. Per una roccia intatta s assume il valore di 1 mentre m è variabile con l’assetto tessiturale e la natura della roccia.

Così come per il criterio di Mohr-Columb, il criterio di Hoek-Brown può essere rappresentato in un grafico in coordinate cartesiane, ponendo σ1 sull’asse delle ordinate e σ3 sull’asse delle ascisse (Fig. 1.27). Il criterio può anche essere visualizzato su un cerchio di Mohr (Fig. 1.28).

A partire dagli anni ’80 il criterio di Hoek-Brown ha subito una serie di modifiche:

Fig. 1.27 – Inviluppo di rottura secondo Hoek-Borwn.

– nell’83, per poter derivare i valori di e e di ()) del criterio di Coulomb, allora utilizzati per la totalità dei codici di calcolo esistenti, veniva stabilita una relazione fra i parametri m e s ed i parametri e e ());

– nell’88 il criterio aveva preso un notevole piede in ambito ingegneristico e ci si era rapidamente resi conto che lo stesso, sviluppato per opere in sotterraneo, dava risultati ottimistici se applicato a scarpate; veniva allora introdotto il concetto di ammasso indisturbato, applicabile alle opere in sotterraneo, e di ammasso disturbato, applicabile ad ammassi rocciosi prossimi alla superficie;

– nel ’92 il criterio veniva ulteriormente modificato data la sua scarsa applicabilità ad ammassi molto fratturati, introducendo un ulteriore parametro a che forniva il mezzo di modificare la curvatura dell’inviluppo di rottura, particolarmente nel campo delle basse tensioni normali, imponendo una resistenza a trazione nulla;

– tra il ‘94 e il’95 ci si rese conto che il criterio modificato era troppo conservativo quando applicato ad ammassi di buona qualità e veniva quindi introdotto un criterio generalizzato che includeva sia il criterio originale che quello modificato con un passaggio dall’uno all’altro funzione di un valore di RMR della classificazione di Beniawski pari a 25; nel contempo veniva introdotto il concetto il Geological Strength Index (GSI) da usare in alternativa al sistema RMR e basato non come questo su un tabellario di numeri bensì su poche, fondamentali osservazioni di carattere più prettamente geologico, abbandonando la differenziazione fra ammasso indisturbato ed ammasso disturbato e lasciando all’utente la scelta del valore di GSI che meglio rappresentante le condizioni della roccia in affioramento;

– nel’97 veniva pubblicato un articolo che rielaborava in forma unica tutte le modifiche apportate precedentemente ed introduceva una metodologia per stimare i parametri di Mohr-Coulomb equivalenti;

– nel ‘98 il concetto del GSI veniva esteso alle rocce di qualità estremamente scadente, quali gli scisti incontrati nello scavo della metropolitana di Atene e le fìlladi incontrate in una serie di gallerie in Venezuela;

– nel 2000 e 2001 venivano prese in conto per la prima volta in maniera dettagliata le cosiddette formazioni complesse deboli ed eterogenee, quali i flysch.

Nel 2002 è infine stata esposta la revisione del criterio di Hoek-Brown che propone una soluzione esatta per calcolare la resistenza di coesione e l’angolo d’attrito, differenziando fra i campi tensionali propri di gallerie e di scarpate, introducendo il concetto di disturbo per tener conto della diminuzione di resistenza dovuta al rilascio delle tensioni e agli effetti di danno dell’uso di esplosivo nelle gallerie, nella stabilità dei versanti e nelle fondazioni in roccia.

Fig. 1.28 – Criterio di Hoek-Brown rappresentato cu un cerchio di Mohr.

1.3.3 – Il criterio di Hoek-Brown nella formulazione ultima

L’attuale edizione del criterio di Hoek-Brown è espressa dalla seguente equazione:

σ1 = σ3 σc (mb σ3c+s)a

dove mb è il valore ridotto del parametro mi proprio della roccia intatta, definito dalla relazione:

mb = mi exp [(GSI-100)/(28-14D)]

σc è il valore delle resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta mentre s e a sono costanti dell’ammasso roccioso date dalle espressioni:

s = exp [(GSI-100)/(9-3D)]

a = ½ + (e-GSI/15-e-20/3)/6

D è un fattore numerico che tiene conto del grado di disturbo subito dall’ammasso a seguito di uno scavo, variabile tra 0, per ammassi non disturbati, a 1 per ammassi fortemente disturbati.

I valori tipici di D riscontrati da casi reali sono illustrati in Tab.3:

Tab. 3 – valori tipici del fattore D nell’equazione di Hoek-Brown.

E’ da notare inoltre che, nel caso di coltivazione di cave o miniere a cielo aperto di grande profondità (> 100 m), una serie di analisi a ritroso eseguite su scarpate in cui si sono verificati fenomeni di rottura a grande scala inducono a ritenere più appropriato utilizzare per il valore di s l’espressione:

s = exp [(GSI-100)/(4.9±0.9)]

Ponendo σ3 = 0 si deriva la resistenza a compressione monoassiale:

σcm = σcsa

e la resistenza a trazione:

σt = σcs/mb

Applicando un’approssimazione lineare all’inviluppo di rottura curvilineo proprio del criterio di Hoek-Brown nel campo della tensione principale minore definito da σ133max si possono ricavare i parametri di Mohr-Coulomb bilanciando le aree sopra e sotto la retta di Mohr-Coulomb e applicando le relazioni:

dove:

σ3n = σ3maxc

II limite superiore della tensione di confinamento σ3max va determinato caso per caso in funzione del problema da analizzare. Se l’applicazione è relativa alla stabilità di versanti si utilizza la relazione:

σ3max = σcg 0.72 (σcg/γH)-0.91

dove γ è la densità della roccia e H l’altezza della scarpata, mentre per le opere in sotterraneo si utilizza la relazione:

σ3max = σcg 0.47 (σcg/γH)-0.94

in cui H è la profondità dell’opera dal piano campagna (altezza di copertura).

Se nel campo tensionale al contorno della galleria domina la tensione orizzontale su quella verticale si dovrà usare quest’ultimo valore al posto di γH.

Nelle equazioni sopra riportate, il valore di σcg si riferisce alla resistenza globale dell’ammasso, calcolabile dalla relazione:

Dall’esame delle equazioni riportate risulta evidente che i parametri fondamentali che entrano in gioco nella determinazione dell’inviluppo di rottura secondo il criterio di Hoek-Brown sono, oltre allo stato tensionale, la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta σc, sulla cui determinazione si è discusso nel paragrafo precedente, il valore di Geological Strength Index (GSI), che si discuterà più oltre, e la costante m, il cui valore è riferito ugualmente alla roccia intatta.

Tale valore può essere ricavato da prove triassiali eseguite con la cella di Hoek in cui si misura, come in qualsiasi prova triassiale, la resistenza di picco a rottura (σ1) al variare della pressione di confinamento (σ3).

Per l’interpretazione della prova si ricorre generalmente al metodo dei minimi quadrati ricavando dalla retta interpolante l’intercetta sull’asse delle ordinate e la pendenza della prova.

Figura 1.29 – Applicazione del metodo dei minimi quadrati ad una prova triassiale in cella di Hoek.

Ponendo in grafico la σ3 (ascissa) con la (σ13)2 (ordinata) si ricava la retta interpolante (Fig. 1. 29) da cui σc = √intercetta = 66.9 MPa e mi = pendenza/σc = 8.3

Per una conferma della validità della prova eseguita, si noti che provini triassiali di alta qualità danno generalmente un coefficiente di correlazione della retta interpolante r2 > 0.9.

1.3.3.1 – Il valore di m

Come suggerito da Hoek non è necessario eseguire un’estesa campagna di prove per definire le proprietà intrinseche della roccia, ma in genere ne sono sufficienti un numero limitato (da 5 a 7).

Tab. 4 – Valori di mi.

In mancanza di prove triassiali, fra l’altro di non facile esecuzione, è possibile e comunemente accettato fare riferimento a valori di m, tabulati da Hoek in funzione della litologia della roccia.

I valori indicati nelle Tabb. 4 e 5 sono il valore medio ed il campo di variabilità (deviazione standard) suggeriti da Hoek et al.

Tab. 5 – Valori di mi.

Il grado di attendibilità dei valori indicati è stato discusso da vari autori, che indicano anche campi più ampi. pur essendo sostanzialmente concordi sul valore medio.

Come metodologia di lavoro risulta quindi, in caso di utilizzo del valore di mi dalle tavole e in mancanza di prove triassiali specifiche, più indicato calcolare la risposta dell’ammasso non solo con il valore medio, ma estendere l’analisi includendo anche (almeno) i valori minimi e massimi ad indicare un campo di valori probabilistico e non deterministico.

1.3.3.2 – Parametri istantanei di Mohr-Coulomb

I metodi di analisi della stabilità di scarpate in roccia sono largamente basati sull’utilizzo dei parametri di Mohr-Coulomb. I parametri dell’inviluppo di rottura lineare di Mohr-Coulomb derivato dal criterio di Hoek-Brown sovrastimano. per bassi valori di tensione normale, in genere inferiori a 5 MPa, la resistenza al taglio disponibile nell’ammasso, mentre è noto che la tensione normale lungo o in alcune parti della superficie di rottura può essere molto bassa, anche dell’ordine di 1 MPa o inferiore.

Volendo quindi analizzare la stabilità con uno di tali metodi a partire dalla formulazione di Hoek- Brown. è quindi necessario introdurre il concetto di coesione istantanea e di angolo di attrito istantaneo riferiti ad un valore di tensione normale, e cioè ai valori di c e di φ nel punto di tangenza sulla retta d’inviluppo curvilinea di Hoek-Brown corrispondenti al valore di σ agente.

La procedura di derivazione dei parametri istantanei è stata formulata da Bray, riportata da Hoek e da questi considerata come la più rigorosa possibile sebbene laboriosa a livello di calcolo. L’inviluppo di Mohr equivalente all’inviluppo non lineare di Hoek-Brown può essere espresso nella forma:

τ = A σc [(σ-σt)c]B

oppure:

Y = logA+BX

con:

Y = log(τσc)

e:

X = log[(σσt)/σc]

dove A e B sono costanti del materiale.

Per la risoluzione di A e B si rende necessario, simulando prove triassiali e partendo dai parametri di Hoek-Brown calcolati in precedenza, generare una serie di 8 valori di σ3 a partire da σ3 = 0,0000000001 fino a 0.25 σc ad intervalli di σc/28, quindi calcolare, per ogni valore di σ3, il valore di σdalla:

σ+σc[(mb σ3)c]a

il valore:

∂σ1/∂σ3

dalla (se GSI > 25):

1+[(mb σc)/2(σ13)]

o dalla (se GSI ≤ 25):

1+(a mba)(σ3c)a-1

il valore fittizio:

σ = σ3+(σ13)/[1+(∂σ1/∂σ3)]

il valore:

τ = (σ-σ3)(∂σ1/∂σ3)

infine:

x = log[(σ-σ1)c]

y = log(τ/σc)

per procedere, successivamente a:

–       il valore di xy;

–       il valore di x2;

–       i valori di Σx; Σy; Σxy; Σx2;

e per concludere calcolando:

II valore dell’angolo d’attrito istantaneo viene dato, in funzione della pressione normale o effettivamente agente, dalla relazione:

e la coesione istantanea dalla relazione:

1.3.3.2 –  Condizioni d’applicazione

II criterio di rottura di Hoek-Brown assume che il comportamento sia della roccia che dell’ammasso roccioso possa essere considerato isotropo e quindi può essere applicato solo allorché nell’ammasso roccioso vi sia un numero sufficiente di discontinuità ravvicinate, con identiche caratteristiche, e che la dimensione dei blocchi isolati dalle discontinuità sia sufficientemente piccolo relativamente alla dimensione del problema da analizzare.

Se il volume dei blocchi è del medesimo ordine di grandezza della struttura in esame o una delle discontinuità ha caratteristiche molto scadenti rispetto alle altre presenti o l’ammasso si presenta isolato da una o due discontinuità. il criterio perde di validità. In questi casi la stabilità della struttura deve essere analizzata considerando dei meccanismi di rottura che tengano in considerazione lo scivolamento e lo spostamento di blocchi e cunei isolati dalle caratteristiche strutturali. La Fig. 1.30 illustra i concetti esposti per cui, con la variazione di scala del problema, si può avere la transizione da una porzione di roccia intatta isotropa ad un ammasso fortemente anisotropo nel quale la rottura è controllata da una o due discontinuità ad un ammasso molto fratturato riconducibile a isotropo.

Fig. 1.30 – Applicabilità del criterio di rottura di Hoek- Brown.

1.4 – Moduli

1.4.1 – Modulo di Elasticità

Dai parametri utilizzati nel criterio di Hoek-Brown è possibile derivare il valore del modulo di elasticità proprio dell’ammasso roccioso (noto anche come modulo di deformabilità) dalle relazioni:

1.4.2 – Modulo Bulk e Modulo di Taglio

Una stima dei valori del modulo bulk e del modulo di taglio per l’ammasso può essere eseguita applicando il modello costitutivo di Fossum, le cui relazioni sono:

dove E è il modulo elastico della roccia intatta derivato da prove di laboratorio, ν il modulo di Poisson della roccia intatta derivato da prove di laboratorio, kn la rigidezza normale delle discontinuità, ks la rigidezza di taglio delle discontinuità ed Sp la spaziatura delle discontinuità.

I valori delle rigidezze sono di difficile valutazione ma se le discontinuità tendono ad essere serrate con poco o punto riempimento, non è irragionevole sostituire a kn e ks i valori di E e G della roccia intatta. Dalle equazioni riportate è anche possibile stimare il modulo di deformabilità ed il modulo di Poisson dell’ammasso dalle relazioni:

1.5 – Caratterizzazione delle discontinuità

Nei paragrafi precedenti si è illustrato come risulti possibile determinare le caratteristiche di resistenza della roccia intatta e dell’ammasso roccioso. Esistono tuttavia particolari situazioni, legate in special modo alla stabilità dei versanti, nelle quali la resistenza è controllata dalla presenza di una o più discontinuità principali e dalle sue caratteristiche di resistenza al taglio.

1.5.1 – Modello di Patton

Patton (1966) è stato il primo a notare che in una scarpata in calcare soggetta ad instabilità lungo i piani di stratificazione, l’inclinazione della scarpata era condizionata dalla rugosità de] piano di scivolamento, e conseguentemente ha proposto un modello di rottura, idealizzando la discontinuità

come composta da una serie di scalini a denti di sega regolari.

Fig. 1.31. Modello di Patton e fenomeno della dilatanza.

Se il piano di giunto è soggetto ad una forza di taglio mentre è confinato da una tensione normale, se questa è bassa prima della rottura le asperità tendono a scivolare una sull’altra, risultando quindi in una dilatazione del giunto (Fig. 1.31). Lo scivolamento non avviene lungo il piano del giunto ma ad un angolo irispetto al giunto. Risolvendo le tensioni agenti sul piano si ottiene:

τ = σ tg (φb+i)

Quindi la resistenza al taglio della discontinuità è funzione del livello della tensione normale agente σ dell’angolo d’attrito del materiale considerato senza asperità su cui avviene lo scivolamento φb e dell’angolo effettivo delle asperità i.

Ad un livello tensionale sufficientemente alto le asperità vengono tagliate durante lo spostamento

dovuto al taglio e di conseguenza Patton riconduce in questo caso la resistenza al taglio al criterio

di Mohr-Coulomb:

τ = c + σ tgφb

dove c è una coesione apparente generata dal taglio delle asperità.

L’obiezione principale rivolta al modello di Patton è che quest’ultimo risulta valido solo rispettivamente per livelli tensionali molto bassi o molto alti, non essendo chiaro come avvenga la transizione fra lo spostamento delle discontinuità e il taglio delle medesime a livelli intermedi.

Il modello di Patton permette tuttavia di introdurre un concetto fondamentale e cioè che nell’ipotesi che il taglio sia applicato ad una superficie piana inclinata dell’angolo i, la rottura per taglio avvenga quando la risultante R è inclinata dell’angolo i più l’angolo φb (Fig. 1.32a).

Fig. 1.32- Inclinazione della risultante delle forze dovute alla rugosità del giunto.

Nel caso della natura complessa di una discontinuità reale (Fig. 1.32b), possiamo osservare che la resistenza al taglio è data dalla somma dell’angolo d’attrito di base φb più un angolo, detto di dilatanzaδ corrispondente all’inclinazione immediata del percorso di taglio in corrispondenza della resistenza di picco nella direzione normale, più l’angolo di rottura delle asperità Sn; inoltre, per il concetto di dilatanza, ogni spostamento progressivo dovuto al taglio (u) è accompagnato da uno spostamento in direzione normale (v).

1.5.2 – Modello di Ladany-Archambault

La transizione dalla dilatanza al taglio è stata studiata da Ladanyi e Archambault  che hanno proposto il modello per la resistenza di picco definito dalla relazione:

in cui as è la % della superficie della discontinuità che è tagliata attraverso la roccia intatta, vd la dilatanza v/u alla resistenza di picco; τr la resistenza al taglio della roccia intatta.

A bassi livelli tensionali as tende a 0 e vd tende a tg i, mentre a livelli molto alti as tende a 1 e τ tende a τr. Per quest’ultimo valore gli autori consigliano di utilizzare la relazione:

dove σ2 è a resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta e n esprime il rapporto fra la resistenza a compressione e la resistenza a trazione e che rappresenta l’equazione di una parabola in accordo con la proposta di Fairhurst. Per quantificare sperimentalmente as e vd gli autori hanno eseguito un’ampia serie di prove di taglio giungendo alle espressioni:

pervenendo infine alla relazione:

1.5.3 – Modello di Barton-Bandis

Data la difficoltà di misurare l’angolo delle rugosità i in una discontinuità reale, Barton ha proposto di sostituire tale angolo con un parametro dipendente dal livello tensionale chiamato JRC (Joint Roughness Coeffìcient o Coefficiente di Rugosità), variabile numericamente da 0 a 20. giungendo all’equazione nota come modello di Barton e Bandis:

τ = σ tg (φ+JRC log σc)

II modello risulta più conservativo (a favore della sicurezza) rispetto a quella di Ladanyi-Archambault, soprattutto ad alti livelli di tensione normale.

L’equazione sopra riportata deriva da una estesa serie di prove di taglio su modelli artificiali, al ter-

mine delle quali si era giunti alla conclusione che la resistenza di picco di un giunto poteva essere

rappresentata dalla:

τ = σ tg (2δ+30°)

e che l’angolo di dilatanza a rottura δ era proporzionale al logaritmo del rapporto resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta su tensione normale:

δ = 10 log (σc/σ)

Per sostituzione, si giunge alla:

τ = σ tg [30°+20 log(σc)]

Questa era la prima forma del modello, conosciuta come modello 20-σc, dove 20 indicava il coefficiente massimo di rugosità JRC.

L’equazione rappresenta i 3 valori limite dei 3 parametri d’ingresso nel modello finale:

–       JRC = 20 (massima rugosità possibile);

–       JCS = σc (minimo grado di alterazione, cioè pareti del giunto in roccia intatta non alterata;

–       30° = angolo d’attrito del giunto non alterato e considerato liscio (valore medio per un’ampia tipologia di rocce). Successive elaborazioni hanno portato alla stesura finale del modello.

Per tener conto del grado di alterazione delle pareti del giunto, Barton ha successivamente proposto di sostituire il valore di σc con un parametro noto come JCS (Joint Coefficient Strength o Coefficiente di Resistenza di giunto), suggerendo per la sua determinazione di ricorrere a prove sclerometriche eseguite sulle pareti del giunto. Inoltre, per differenziare in funzione del grado di alterazione, la resistenza attritiva di picco φb propria delle pareti del giunto non alterate, da quella attribuibile alle pareti di giunto alterate (detta anche resistenza attritiva residua o angolo d’attrito residuo) φr, anche sulla base delle prove sperimentali condotte da Richards evidenzianti come tale angolo possa essere espresso dalla relazione:

φr = 10°+r/R (φb-10°)

dove r è la misura del rimbalzo del martello di Schmidt sulla parete del giunto alterata e R la misura del rimbalzo del martello di Schmidt sulla parete del giunto non alterato, Barton e Choubey pervengono alla formulazione finale del modello:

τ = σ tg (φr+JRC log JCS)

che ha rapidamente raggiunto un elevato grado di utilizzo nella comunità internazionale, tanto da essere adottato dall’ISRM (International Society of Rock Mechanics).

Si presti attenzione al fatto che che il valore di JCS indicato da Barton è stato derivato dall’equazione originale di Miller:

log(JCS) = 0,00088 γR+1,01

utilizzando uno sclerometro per rocce tipo L; pertanto, perché la suddetta equazione sia applicabile al meglio, in campagna si dovrebbe fare utilizzo dello sclerometro tipo L applicando al valore di R letto la citata relazione di Miller.

Notando che per r uguale a φr diventa pari a 10° indipendentemente dalla natura dei minerali di

alterazione, l’equazione originale di Richards, per meglio interpretare le evidenze sperimentali anche in caso di pareti di giunto molto alterate, è stata successivamente modificata nella formula

φr = (φb-20°)+20r/R

dove r è la misura del rimbalzo del martello di Schmidt sulla parete del giunto bagnata e R la misura del rimbalzo del martello di Schmidt sulla parete del giunto asciutta. Nell’applicazione dell’equazione di Barton si deve notare che se il valore della tensione normale σ è nullo o molto basso, il termine logaritmico   e l’equazione perde di validità; in tal caso il valore massimo della parte di equazione sotto parentesi deve assumere un valore ~70°.

In pratica il campo di validità per valori di JCS/σ è compreso entro 3÷100.

Per livelli tensionali molto alti, JCS/σ=1, le asperità vengono tagliate mentre il termine JRC log(JCS/σ) diventa nullo, riconducendo così il criterio all’equazione:

τ = σ tg φ

equazione nota anche come legge di Bjerlee e che postula come la riattivazione di una frattura esistente sia uguale al coefficiente di attrito per la tensione normale; ad alti livelli tensionali Bjerlee ha trovato che il coefficiente di attrito è circa lo stesso indipendentemente dal tipo di roccia e vale ~35°.

1.5.3 – Osservazioni sul valore dell’angolo di attrito di base

II valore dell’angolo d’attrito di base da utilizzare nell’espressione di Barton dovrebbe essere determinato da prove di taglio eseguite su provini di roccia aventi superfici lisce, ottenute utilizzando una sega diamantata, e sottoponendo i provini ad una serie di o normali tali da dare un inviluppo di rottura lineare con intercetta di coesione nulla.

In mancanza di tali prove, una stima di φb si può avere utilizzando i valori proposti da Barton o derivati da esperienze di ricercatori, riportati nella Tab. 6:

Tab. 6 – Valori di φb per giunti asciutti e umidi.

1.5.4 – Determinazione del valore JRC

Anche qui, la determinazione del valore di JRC più attendibile dovrebbe essere fatta sulla base di

prove di taglio, ricavando JRC dalla:

Nella pratica corrente la determinazione di JRC avviene mediante l’utilizzo di un profilometro detto pettine di Barton che, premuto sulla parete di un giunto, permette di ricavare un calco del profilo di rugosità dello stesso. JRC viene quindi stimato per raffronto del profilo ottenuto con dei profili standard indicati da Barton (Fig. 1.33): la misura del profilo dovrà essere fatta lungo la probabile direzione di scivolamento.

Dato il margine di soggettività implicito nella determinazione, Tse e Cruden hanno proposto un metodo abbastanza semplice di determinazione, basato su un’immagine digitalizzata del profilo del pettine di Barton, suddividendo il profilo in un totale di M punti con spaziatura costante Δx quanto più piccola possibile e misurando, rispetto ad una linea di riferimento orizzontale, per ogni punto la sua altezza yi.

La radice media quadrata della prima derivata del profilo è data dalla:

Da una serie di analisi di regressione condotte sui profili standard di Barton, gli autori hanno riscontrato una forte correlazione fra Z2 e JRC:

JRC = 32,2 + 34,37 log Z2

Fig. 1.33 – Profili standard di Barton.

Un’alternativa all’utilizzo del pettine di Barton, in particolare quando la discontinuità da analizzare risulta esposta con una certa continuità, è l’utilizzo di un regolo rigido che permetta di misurare la massima ampiezza delle asperità. Appoggiando il regolo sulla superficie della discontinuità, eventualmente fissato alle creste del giunto con plastilina per evitare movimenti non desiderati, è facile, utilizzando un’asta graduata in mm determinare l’ampiezza massima delle rugosità presenti nel giunto.

L’utilizzo di un nomogramma (Fig. 1.34) permette di risalire facilmente al valore di JRC.

Se la misura è fatta lungo una distanza di misura sufficientemente ampia (2-10 m), il rapporto % fra la massima ampiezza misurata e la lunghezza di riferimento è un buon indicatore dell’ondulazione del giunto a grande scala. Per descrivere la condizione del giunto si fa generalmente riferimento alla seguente valutazione:

Fig. 1.34 – Nomogramma di Barton per la determinazione di JRC.

dove α è l’angolo a cui inizia lo scivolamento. Il valore di σ sarà ottenuto pesando il campione di roccia sottoposto a prova e misurando la sua area.

1.5.5  – Correzione di valori di JCS e JRC per l’effetto scala

Date le scarse dimensioni su cui vengono misurati in JCS (puntuale in campagna) e JRC (10 cm in laboratorio per prove di taglio, 10÷20 cm in campagna con l’utilizzo del pettine), per un corretto utilizzo della legge di Barton i parametri devono essere corretti per le dimensioni effettive di riferimento. Barton (Tab. 7) indica comparazioni fra il JRC misurato con il pettine da 20 cm e il JRC effettivo di una discontinuità lunga 100 cm:

Tab. 7 – Comparazioni fra JRC misurato e JRC effettivo.

Barton e Bandis (1990) hanno successivamente dimostrato che sia JCS che JRC sono fortemente

dipendenti dall’effetto scala ed hanno proposto di correggere i valori misurati con le relazioni:

JCS = JCS0(Lg/L0)-0.03JCS0

JRC = JRC0(Lg/L0)0.02JRC0

dove JCS0 è il valore misurato alla scala di laboratorio o di campagna, JRC0 il valore misurato alla scala di laboratorio o di campagna, L0 la lunghezza di riferimento alla scala di laboratorio o di campagna, Lg la lunghezza reale della discontinuità in campagna.

1.5.6 – Correlazioni utili derivate dal modello di Barton

Dal modello di Barton si possono derivare una serie di parametri di utilità pratica; nel campo delle applicazioni numeriche:

l’angolo di dilatanza iniziale:

l’angolo di dilatanza alla resistenza di picco:

Per applicazioni generiche:

lo spostamento necessario a mobilitare la resistenza di picco:

u =(Lg/500) (JRC/Lg)0.33

Lg e u sono espresse in m.

La permeabilità del giunto:

k = (g e2/12 ζ) = 8175 e2

dove k è la permeabilità isotropa del giunto a 20°C, g l’accelerazione di gravità, ζ il coefficiente di viscosità cinematica, e l’apertura idraulica del giunto.

L’apertura idraulica è calcolata dalla:

e = E2/JRC2.5

per E = apertura fisica del giunto:

E = (JRC/5) [(0.2σc/JCS 0.1]

E ed e sono espressi in μm.

1.5.7 – Correlazione fra i parametri di Barton e i parametri di Mohr-Coulomb

Lo sviluppo dei metodi di analisi utilizzati per il calcolo della stabilità allo scivolamento lungo piani di discontinuità preesistenti si è largamente basato sull’utilizzo dei parametri di Mohr-Coulomb; intendendo analizzare la stabilità con uno di tali metodi a partire dalla formulazione di Barton è quindi necessario introdurre il concetto di coesione istantanea e di angolo d’attrito istantaneo riferiti a un valore di tensione normale, e cioè ai valori di c e di φ nel punto di tangenza sulla retta d’inviluppo curvilinea di Barton corrispondenti al valore di σ agente.

Per tale motivo prima si calcola la resistenza al taglio per la σ normale agente sui piani con l’equazione di Barton:

t = σ tg (φr+JRC log JCS/σ)

quindi si valuta l’angolo d’attrito istantaneo dalla:

φ = tg-1(∂τ/∂σ)

dove la derivata vale:

e quindi :

c = τ-σ tg φ

1.5.8 – Influenza degli riempimenti delle discontinuità sulla resistenza al taglio

Se una discontinuità si presenta riempita con materiale, la sua resistenza al taglio risulta influenzata dallo spessore, dalla natura e dalle proprietà del materiale di riempimento. Se le pareti del giunto presentano ancora punti di contatto la resistenza risulterà intermedia fra quella propria del giunto e quella della sostanza di riempimento; se, viceversa, non si hanno punti di contatto di roccia e le pareti sono completamente riempite, la resistenza sarà condizionata dalla resistenza del materiale di riempimento.

Casi tipici sono una frattura completamente riempita da minerali di ricristallizzazione (calcite, quarzo) in cui si realizza un’elevata coesione, ed una frattura riempita da minerali argillosi che, a seconda che gli riempimenti siano dovuti a zone di taglio (taglie, brecce di frizione) o a semplice alterazione della roccia madre, presenta valori di coesione nulli o da bassi a medio alti.

Si può comunque ritenere che le proprietà di resistenza al taglio della discontinuità siano controllate dalla resistenza al taglio del materiale di riempimento quando lo spessore di questo è > 50% dell’ampiezza delle asperità.

Alcuni valori riportati da Hoek e Bray, riassunti in Tab. 8 per alcuni casi tipici, possono servire da guida iniziale, anche se solo a carattere indicativo:

Più in generale si deve ritenere che tutti gli riempimenti di discontinuità che hanno subito dislocazioni o spostamenti (taglie, zone di taglio, miloniti, piani di stratificazione oggetto di scivolamenti) presentino condizioni di resistenza prossime allo stato residuo mentre riempimenti di discontinuità che non hanno subito spostamenti presentino condizioni di resistenza di picco differenziabili fra valori normali consolidati (propri di giunti in cui il materiale riempimento è dato da prodotti di alterazione) e sovraconsolidati (propri d’interstrati argillosi nella stratificazione e di molti riempimenti di origine idrotermale).

Tab. 8 – Valori di Hoek e Gray per materiali di riempimento.

1.5.9 – Determinazione della resistenza al taglio di una discontinuità

Le reali caratteristiche meccaniche dei giunti dovrebbero essere sempre determinate con l’ausilio di prove di taglio diretto eseguite con l’ausilio della scatola di taglio sviluppata da Hoek, che presenta il vantaggio di essere utilizzabile sia in laboratorio che in situ.

La scatola è costituita da due elementi: uno, inferiore, è fissa, con due tenditori per applicare l’azione (reversibile) di taglio, mentre in quello superiore un tenditore si oppone al martinetto che-trasmette la forza normale. Due pompe manuali trasferiscono i carichi la cui misurazione avviene a mezzo di 2 manometri indipendenti mentre 2 comparatori meccanici misurano lo scorrimento e lo spostamento normale.

Le prove sono effettuate su campioni di diametro da 54 a 83 mm provenienti da sondaggio o da carotatrice meccanica. Il campione di roccia, diviso in due e contenente la discontinuità, va immerso in malta di cemento o in resina epossidica miscelata al 50% con sabbia a granulometria uniforme.

L’esecuzione della prova, pur nella sua semplicità, risulta tuttavia complessa in quanto a ottenimento del provino e a preparazione. Risulta pertanto evidente il perché, nei progetti più semplici con giunti sostanzialmente chiusi o con riempimento assente, si preferisca ricorrere alla determinazione di JCS e di JRC da prove dirette in situ di semplice esecuzione ed interpretazione (martello di Schmidt, pettine di Barton, regolo).

Nel caso di materiale di riempimento di natura prevalentemente argillosa limosa è invece possibile ricorrere alla semplice determinazione di limiti di Atterberg, in particolare del limite liquido e dell’indice plastico, e da questi risalire indicativamente all’angolo d’attrito dalle correlazioni proposte da vari autori:

φp = 40–2.07 Ip0.49 ± 

φr = 453.1 LL-0.85

entrambe le relazioni sono di Jamiolkowsky.

Oppure la:

φr = 46.6/Ip0.446

proposta da Kanji, dove φp è l’angolo d’attrito di picco, φr l’angolo d’attrito residuo, LL il limite liquido, Ip l’indice plastico.

La coesione potrà essere assunta = 0 per riempimenti già soggetti a scorrimento o pari a 10÷20 kPa per riempimenti normalconsolidati.

Le relazioni di Jamiolkowski e di Kanji per l’indice plastico sono esplicitate nella Fig. 1.35

Fig. 1.35 – Correlazione fra l’Indice Plastico e gli Angoli d’attrito di picco e residui.

1.6 – Le classificazione dell’ammasso roccioso

Nelle fasi preliminari del progetto di un’opera ingegneristica, sia questo relativo alla stabilità di un versante o di un’opera in sotterraneo, difficilmente si posseggono informazioni dettagliate sulle caratteristiche di resistenza e di deformabilità dell’ammasso roccioso interessato da tali interventi; diventa a questo punto di considerevole importanza poter utilizzare uno (o più) schemi di classificazione che possano dare risposta ai quesiti richiesti.

Il metodo empirico, legato ai sistemi di classificazione, permette di risolvere i problemi dovuti ad una scarsa conoscenza di una zona non particolarmente nota facendo ricorso ad esperienze precedenti. Nella sua evoluzione il metodo empirico è stato sviluppato in 3 fasi:

–       1 – Descrizione della qualità della roccia secondo un sistema di classificazione quantitativo, in forma di un linguaggio universalmente riconosciuto e correlabile in condizioni completamente differenti fra loro;

–       2 – Descrizione della risposta della roccia volta a definire quelle che saranno le problematiche ed i rimedi da adottare nel corso della realizzazione dell’opera;

–       3 – Correlazione fra la qualità della roccia e la sua risposta per giungere ad un confronto tra vari progetti nell’arco di una vasta gamma di condizioni geologiche.

Da tale ultimo punto sono usciti i sistemi di classificazione più usati, che si possono dividere come tipo in:

Generale: per una caratterizzazione generica;

Funzionale: per una particolare applicazione

e sono espressi a propria volta in forma:

–       Descrittiva: i dati di ingresso sono puramente descrittivi;

–       Numerica: i dati di ingresso sono legati a coefficienti numerici funzione delle caratteristiche dell’ammasso.

Tutti i sistemi tendono ad arrivare ad una caratterizzazione dell’ammasso roccioso basata sull’importanza dei fattori geologici che influiscono sulla stabilità e sono stati universalmente usati nelle, e adattati alle, più svariate litologie.

Nei problemi legati all’ingegneria delle rocce, infatti, il giudizio tecnico e l’esperienza pratica sono fra i principali mezzi di risoluzione degli stessi.

Una caratteristica che ogni sistema di classificazione deve possedere è l’utilizzo di un linguaggio comune scevro da ambiguità, in maniera tale che ogni osservatore di un ammasso roccioso lo possa descrivere nell’identica maniera, semplice e facilmente comprensibile, basato su parametri facilmente rilevabili in campagna e facilmente ricavabili in laboratorio e deve includere tutte le proprietà più significative dell’ammasso.

Qualsiasi sistema di classificazione venga utilizzato, la sua applicazione deve interessare volta per volta zone quanto più possibili uniformi rispetto ai requisiti di un progetto; in pratica si deve dividere, là dove necessario, una regione geologica in unità strutturali in cui le caratteristiche si mantengono più o meno costanti.

Se infatti gli ammassi rocciosi sono discontinui in natura, questi possono essere aggruppati in regioni dove, ad es., il tipo di roccia ed il suo grado di fratturazione si mantengono, a grande scala, uguali o molto simili.

Molto spesso i confini delle regioni strutturali sono contrassegnati da strutture geologiche maggiori, quali faglie, zone di taglio etc.

Risulta quindi evidente che ogni unità, o sotto-unità strutturale, deve venire autonomamente differenziata in funzione principalmente:

–       delle caratteristiche geo-litologiche;

–       delle caratteristiche tettoniche;

–       delle caratteristiche strutturali;

–       dal grado di alterazione proprio di ogni zona;

–       delle caratteristiche della circolazione idraulica;

–       dell’eventuale variazione della geometria delle sezioni di progetto.

Una volta suddivisa l’area interessata da un’opera ingegneristica in tali unità strutturali, e sulla base dei dati raccolti nei rilievi di campagna su tali unità, si potrà quindi procedere ad una differenziazione in termini di classificazione dell’ammasso.

Di seguito vengono esposte le descrizioni dei sistemi di classificazione più utilizzati.

1.6.1 – Basic Geotechnical Description (BGDISRM)

La Basic Geotechnical Description of Rock Masses (BGD) è stata proposta ufficialmente dall’ISRM e consiste in una descrizione standardizzata avente quale scopo quello di fornire un primo inquadramento dello stato dell’ammasso roccioso da correlarsi con il suo comportamento meccanico.

Tale descrizione viene compilata con l’ausilio di una simbologia proposta in apposite tabelle, attraverso le quali si sintetizzano le osservazioni e le misurazioni svolte durante il rilevo geomeccanico. Le caratteristiche dell’ammasso che devono essere descritte o quantizzate dalla BGD sono:

Descrizione Geologica

II nome della roccia unitamente a una descrizione geologica semplificata ma completa, accompagnata da uno schizzo e da una fotografia dell’area oggetto di classificazione.

Spessore degli strati

Per strato si intende porzione di roccia integra compresa tra 2 superfici di discontinuità sub-parallele, aventi resistenza al taglio molto bassa o addirittura nulla; il termine è usato in senso lato venendo applicato a formazioni di qualsivoglia origine.

La simbologia da assegnare, riferita al valore medio misurato, è illustrata in Tab. 9:

Tab. 9 – Intervallo tra gli strati.

Intercetta delle fratture

L’intercetta delle fratture è definita come la distanza media (spaziatura) fra fratture successive misurata lungo una linea retta. Tutte le fratture devono essere misurate indipendentemente dal sistema a cui sono associate e come valore di riferimento si sceglierà il valore di intercetta minore ottenuto su differenti linee di riferimento. La simbologia da assegnare è mostrata in Tab. 10:

Tab. 10 – Intercetta delle fratture.

Resistenza della roccia

II termine si riferisce al valore medio della resistenza a compressione monoassiale di campioni di roccia prelevati da zone integre di roccia laddove la stessa è più alterata: tale resistenza può essere determinata direttamente da prove di compressione monoassiale o indirettamente da prove di Point Load. La simbologia da assegnare è mostrata in Tab. 11:

Tab. 11 – Resistenza della roccia.

Angolo d’attrito delle fratture

Secondo la BGD, il valore di riferimento dell’angolo d’attrito è definito dalla pendenza della tangente dell’inviluppo di rottura in corrispondenza alla tensione normale di 1 MPa. Tale definizione è arbitraria, usata solo allo scopo della classificazione, e può non corrispondere al valore che viene utilizzato nelle verifiche progettuali.

Il valore dell’angolo d’attrito dovrebbe quindi essere determinato sulla base di prove di laboratorio ma è ammessa una sua stima attraverso osservazione diretta della rugosità delle superfici di giunto e dalla natura e spessore dell’eventuale materiale di riempimento presente nel medesimo purché tale osservazione avvenga alla scala di un campione di laboratorio e non sia riferita ad una scala maggiore, espressamente non prevista dalla BGD.

Nel caso le famiglie di discontinuità presenti nell’ammasso posseggano resistenze al taglio diverse, si deve utilizzare  il valore medio più basso. Il parametro viene classificato in base alla Tab. 12.

Tab. 12 – Angolo d’attrito delle fratture.

Grado di alterazione della roccia

Non espressamente compresa nella BGD, ma utile indicatore delle condizioni dell’ammasso, è il grado di alterazione della roccia, che può essere classificato sulla base dei riferimenti mostrati in Tab. 13:

Tab. 13 – Grado d’alterazione della roccia.

Sulla base della BGD, un ammasso roccioso nella sua zona di esposizione potrà quindi essere classificato, ad es., come:

Gabbro, L2, F3, S2, A2, W2

ad indicare la presenza di un gabbro con presenza di stratificazione larga, spaziatura delle discontinuità moderatamente ampia, resistenza a compressione alta, fra 60 e 200 MPa, angolo d’attrito compreso tra 35° e 45°, moderatamente alterato.

1.6.2  Problem Recognition Index (PRIPrice)

A seguito di una campagna d’indagini e studi in Spagna Price et al. hanno sviluppato il concetto dell’Indice di Identificazione dei Problemi (Problem Recognition Index o PRI) allo scopo di fornire un parametro di generale utilizzo nella redazione di carte geologiche ingegneristiche a grande scala (da 1:10.000 a 1:100.000). L’indice numerico che viene calcolato a partire dalla resistenza della roccia, dalle dimensioni e dalla forma dei blocchi di roccia nell’ammasso, dal grado di alterazione dello stesso e dalla possibile presenza di minerali deleteri, fornisce un valore che suggerisce il grado di problematiche che possono essere attese in un’unità strutturale, indipendentemente dal tipo di opera da realizzarsi.

L’idea di partenza alla base del metodo consiste nel fatto che in un rilievo superficiale generalizzato il livello di dettaglio deve essere limitato mentre l’indice finale deve poter esprimere le variazioni di una particolare caratteristica propria dell’ammasso.

L’indice di valutazione finale è quindi non solo l’espressione della qualità dell’ammasso roccioso in

un punto particolare, ma anche l’espressione della variazione di qualità in una area particolare.

Il PRI viene espresso come:

PRI = (LRS+ UR+RB+UWPS

dove LRS è il coefficiente numerico da attribuire alla resistenza media della roccia intatta RS, derivato dalla Tab. 14:

Tab. 14 – Resistenza media della roccia intatta.

moltiplicato per un valore AF dato dalla relazione:

AF = Vmin.Res. misurato/Vmax.Res. misurato

in pratica: LRS = RS x AF.

UR esprime la variabilità della resistenza calcolata dalla relazione:

U = (RS a Res max – RS ar Res min)/RSmed (%)

assegnata dalla Tab. 15:

Tab. 15 – Variabilità della resistenza.

II parametro RB esprime il contributo numerico della spaziatura delle discontinuità e della forma del blocco isolato dalle stesse, basato sull’assunto che un blocco di roccia con volume elevato e forma cubica darà probabilmente meno problemi da un punto di vista progettuale rispetto ad un blocco con volume piccolo e forma tabulare o colonnare. Il valore numerico da assegnare si ricava da uno dei due grafici di Fig. 1.36 da utilizzare a seconda della dimensione (spaziatura) massima del blocco moltiplicando il coefficiente letto nel campo (identificato dall’incrocio fra la dimensione massima e minima) per il fattore d’influenza (identificato dall’incrocio fra la dimensione massima e la media).

Fig. 1.36 – Determinazione di RB.

Se, ad es., si ha: dmax 1m, dmed = 0.8m, dmin = 0.4m, il coefficiente numerico finale risulta 40 (campo identificato fra massimo e minimo) moltiplicato il fattore d’influenza 0,9 (valore identificato per l’incrocio fra la massima e la media): RB = 36.

Il parametro UWP esprime l’uniformità del profilo di alterazione e ad esso va assegnato il valore in Tab. 16:

Tab. 16 – Grado di Uniformità del profilo.

L’uniformità del profilo d’alterazione viene interpretata quale indicatore di come l’andamento dell’alterazione nell’esposizione superficiale di un ammasso possa eventualmente indurre dei problemi nell’esecuzione di un opera.

Il fattore moltiplicativo S alla sommatoria dei vari coefficienti numerici esprime l’influenza che può avere sul comportamento dell’ammasso la presenza di minerali dannosi o l’alterabilità a breve termine di alcuni litotipi (argilloscisti, argilliti) in presenza di acqua.

Il valore di S viene ricavato per confronto fra le due attribuzioni numeriche esposte in Tab. 18:

Tab. 17 – Determinazione di confronto per il fattore moltiplicativo S.

assumendo come valore di classificazione il minore fra i 2.

Il valore finale del PRI viene correlato con la qualità dell’ammasso roccioso secondo la Tab. 18:

Tab. 18 – PRI correlato a Qualità dell’ammasso.

II valore PRI è un indicatore generico e deve essere confrontato con la tipologia di applicazione; in altri termini, un valore di PRI indicante un ammasso molto buono se applicato ad una fondazione, può essere considerato molto scadente se applicato alla valutazione della facilità di realizzare uno scavo nello stesso ammasso.

Esso è comunque un segnalatore di una potenziale pericolosità della risposta dell’unità strutturale all’esecuzione di una qualsivoglia opera ingegneristica.

L’estremo di qualità molto buona sta ad indicare che non vi è da aspettarsi alcuna problematica, se non minore, nella realizzazione di un lavoro (scavo di un versante, galleria, fondazione) mentre al contrario una qualità molto scadente sta a significare che, con qualsiasi opera da realizzare, sono da prevedersi sicuri problemi in fase di realizzazione, che richiedono un’accurata valutazione progettuale. La classificazione è abbastanza indipendente dall’esperienza dell’operatore che la

applica, salvo per quanto concerne il parametro legato al profilo d’alterazione che può essere facilmente mal giudicato in assenza d’indagini accurate.

1.6.3  Classificazione di Deere & Miller modificata da Ramamurthy

Basandosi sui risultati di una ricerca molto estesa, Ramamurthy et al. sono giunti alla definizione di un fattore di giunto JF:

JF = JN/(nr)

dove Jn è la frequenza dei giunti, cioè il numero di giunti per metro lineare, funzione della spaziatura delle fratture, n è un parametro correttivo per l’inclinazione del giunto rispetto all’asse della tensione principale per rocce anisotropiche ed r è un parametro correttivo per la resistenza del giunto. II valore di n, funzione dell’angolo β si ricava dalla Tab. 19:

Tab. 19 – Valore di n.

II valore di r viene ricavato dalle Tabb. 20 e 21, rispettivamente:

Se i giunti sono chiusi o leggermente aperti senza riempimento (Tab. 20):

Tab. 20 – Valore di r per roccia a giunti chiusi.

Se i giunti sono aperti e con riempimento (Tab. 21):

Tab. 21 – Valore di r per roccia a giunti aperti e/o riempiti.

II valore di JF varia da 0 per una roccia senza fratture a 500 per una roccia molto fratturata.

Le relazioni che legano il fattore di giunto JF con la resistenza a compressione monoassiale, il modulo di elasticità (σcE) della roccia intatta con quelli dell’ammasso roccioso (σcjEj) ed il relativo rapporto sono:

Ramamurthy propone quindi di applicare la classificazione di Deere-Miller relativamente all’ammasso roccioso secondo le Tabelle.22, 23 e 24, rispettivamente:

Per la resistenza a compressione monoassiale:

Tab. 22 – Resistenza a compressione monoassiale.

Per il rapporto σcj,/Ej:

Tab. 23 – Rapporto σcj/Ej

Lo stesso propone inoltre di introdurre il grado di alterazione della roccia espresso dalla relazione:

RW = 100 (σc alteratoc non alterato)

esprimendo quindi la valutazione relativa (Tab. 24):

Tab. 24 – Grado di alterazione.

Un ammasso potrà quindi essere descritto come Gabbro BB W1: granito leggermente alterato con resistenza a compressione alta (100-250 MPa) e rapporto di modulo alto (200-500).

1.6.4  Rock Quality Designation (RQDDeere)

È stato uno dei primi metodi di classificazione volto ad ottenere informazioni sulla qualità della roccia a partire dalla % di recupero in una carota estratta da un sondaggio.

Il sistema è stato sviluppato da Deere: la correlazione fra RQD e qualità risulta (Tab. 25):

Tab. 25 – Grado di alterazione.

In pratica l’RQD viene calcolato come il recupero percentuale di carotaggio riferito alla somma degli spezzoni di carota con lunghezza ≥ 100 mm ovvero:

RQD = ΣLc/Lt (%)

dove Lc è la somma delle lunghezze degli spezzoni di carota >100 mm ed Lt la lunghezza totale del tratto in cui si è misurata Lc.

Gli spezzoni di carota da considerarsi nel conteggio devono essere il più possibile sani e devono essere scartati quelli decisamente alterati; la misura della lunghezza deve essere fatta lungo l’asse delle carote. La procedura corretta è mostrata in Fig. 1.37.

Fig. 1.37 – Determinazione del rapporto RQD.

II valore di RQD va determinato su carote di sondaggio tipo, usando la terminologia standardizzata della Diamond Core Drill Manufacturers Association, NX (diametro della carota = 88.9 mm) o superiori). In caso d’eventuali interruzioni nella carota dovute alla perforazione, i due bordi vanno uniti e considerati come uno spezzone di carota unico. Tali interruzioni s’identificano generalmente per l’aspetto più fresco delle superfici della carota, sebbene in rocce laminate (a fratturazione orizzontale) riconoscere una rottura meccanica possa risultare assai difficile; in questo caso la determinazione di RQD viene eseguita in maniera conservativa, senza tenere in conto lo spezzone.

Il valore di RQD si ricava anche, in mancanza di carote di sondaggio, dal numero di famiglie di discontinuità caratterizzanti l’ammasso roccioso e dalla misura della loro spaziatura. Molto utilizzata è la relazione di Palmström:

RQD = 115–3.3 JV

dove JV è il numero di fratture per m3 di roccia, determinato dall’espressione:

JV = 1/S1+1/S2+1/S3+  +Nr/5

dove Si è la spaziatura della famiglia i ed Nr il numero di famiglie random eventualmente presenti. La relazione sopra riportata è valida per JV  4,5 ; se JV <4,5RQD = 100.

Un approccio alternativo, sempre proposto da Palmström, applicabile sia a carote di sondaggio che a misure in affioramento, è la determinazione della densità pesata dei giunti wJd equivalente a JV definita da:

WJd = Σnfi/√A

WJd = Σnfi/√L

dove la prima relazione si applica a misure in affioramento, la seconda a misure in sondaggio; A è l’area dell’affioramento ed L la lunghezza della tratta di misura nel sondaggio.

Il metodo consiste nel misurare l’angolo di intersezione fra il piano di osservazione o del sondaggio con ogni discontinuità, il numero n relativo delle discontinuità coinvolte, applicando quindi un fattore peso fi per gruppi di valori dell’angolo d’intersezione.

Si prenda, ad es., una serie di valori raccolti in un affioramento a base 6×6 m, quindi con A = 36 m2. Le misure degli angoli d’intersezione delle discontinuità con il piano di osservazione vengono allora raggruppate in Tab. 26:

 Tab. 26 – Numero Totale dei giunti negli intervalli.

I fattori di peso da applicare sono esposti in Tab. 27:

Tab. 27 – Angolo d’intersezione.

Si ha, quindi:

Σnfi = (12×1)+(4×1,5)+(3×3,5)+(1×6= 34,5

da cui:

wJd = 34,5/√36 = 5,75

In forma alternativa RQD può essere espresso anche dalla relazione di Priest & Hudson:

RQD = (100 e-Nλ) (Nλ+1)

dove λ è il numero medio di giunti per metro ed N il valore di soglia, comunemente preso uguale a 0,1.

L’indice RQD è stato ed è largamente usato per identificare zone di roccia di qualità scadente, e che, per questo, richiedono una particolare attenzione e investigazioni più accurate e dettagliate.

Oggi RQD è un parametro standard di riferimento in un sondaggio in roccia e forma uno degli elementi base in quelli che sono considerati due fra i principali sistemi di classificazione: RMR (e classificazioni derivate) e Q.

Nelle applicazioni relative alla stabilità dei versanti e alle fondazioni, dal valore di RQD si può derivare il valore del modulo di elasticità dell’ammasso EM, noto il valore del modulo della roccia intatta EI dalle relazioni:

EM/EI = 0,0001 RQD1.94

se i giunti nell’ammasso sono chiusi, e dalla:

EM/EI = 0,0006 RQD1.435

se i giunti nell’ammasso sono aperti.

1.6.5 – Rock Mass Rating (RMR, Beniawsky)

La classificazione di Beniawski, nota come Rock Mass Rating (RMRSystem, è stata sviluppata per gallerie in rocce competenti fratturate. Le situazioni campionate entro le quali il sistema è stato definito comprendono: 350 materiali rocciosi di diversa natura litologica, larghezze di scavo entro

0,5÷30 m; altezze di copertura entro 3 km; campi tensionali in situ di applicazione < 25 MPa.

La valutazione di RMR ha rapidamente preso credito anche per altri progetti ingegneristici quali ri-equilibrio scarpate, fondazioni e cavi minerari.

Il valore di RMR è dato dalla:

RMR = (A1 + A2 + A3 + A4 + A5+ A6

dove:

–       A1 valore numerico derivato dalla resistenza della roccia intatta;

–       A2 valore numerico derivato dall’indice RQD;

–       A3 valore numerico derivato dalla spaziatura delle discontinuità;

–       A4 valore numerico derivato dalle condizioni delle discontinuità;

–       A5 valore numerico derivato dalle condizioni idrauliche;

–       A6 indice di correzione per la giacitura delle discontinuità;

I coefficienti numerici che vengono assegnati ai vari parametri del sistema sono indicati nei riquadri di Tab. 28. Le condizioni idrauliche sono riferite a un fronte di 10 mm

A seconda della tipologia di applicazione viene poi applicato un coefficiente di correzione A6 per l’orientamento delle discontinuità; tale coefficiente riflette l’influenza della giacitura delle famiglie sulla stabilità del fronte di scavo a seconda dei mutui rapporti di giacitura ed il valore da utilizzare va riferito alla famiglia più sfavorevole (v. → sistema SMR).

Nella pratica si usa differenziare:

RMR asciutto:

RMRa = A1+A2+A3+A4

RMR di base:

RMRb = A1+A2+A3+A4+A5

RMR corretto:

RMRc = A1+A2+A3+A4+A5+A6

I valori di RMRa e di RMRb vanno calcolati considerando i valori numerici relativi a tutte le famiglie di discontinuità presenti mediati fra loro; lo stesso vale per l’attribuzione di RMRc a condizione che non esista una famiglia di discontinuità (in genere ad alta persistenza e spaziatura molto bassa, con orientamento sfavorevole) dominante e d’importanza critica per la stabilità del lavoro; se, viceversa, si verifica quest’ultimo caso si deve calcolare RMRc quale somma dei valori numerici relativi a tale discontinuità.

Tab. 27 – Quadri parametrci RMR.

Nel caso di gallerie viene utilizzata la distinzione di cui alla Tab. 28

Tab. 28 – Distinzione per RMR in gallerie.

I coefficienti numerici proposti dal sistema per la spaziatura delle discontinuità sono relativi ad un ammasso roccioso in cui siano presenti 3 o più famiglie principali; nel caso l’ammasso fosse interessato da meno di 3 famiglie occorre tenere presente che il coefficiente numerico può essere aumentato del 30%.

Le tavole di attribuzione dei valori numerici presentano il difetto di non essere lineari oltre che di definire dei bruschi cambiamenti di valore al passaggio da una categoria all’altra. Al fine di superare questo inconveniente, Beniawsky ha proposto alcuni grafici d’interpolazione usando delle funzioni continue.

In termini computazionali risulta più pratico esprimere tali grafici in forma di equazioni secondo i riquadri in Tab, 29.

Tab. 29 – RMR in termini computazionali.

Molto soggettiva risulta dalle tavole di classificazione la determinazione del valore numerico relativo alla condizione delle discontinuità.

La procedura corretta è valutare A4 quale somma di parametri numerici attribuibili rispettivamente alla persistenza del giunto, alle sue apertura e rugosità, al grado d’alterazione delle pareti e al materiale di riempimento presente come deducibile dalla relazione:

A4 = v1+v2+v3+v4+v5

Le linee guida per i valori da assegnare sono espresse nei riquadri di Tab. 30:

Tab. 30 – RMR Linee guida per la determinazione di A4 in RMR.

Nell’utilizzo delle tavole va tenuto presente che alcune condizioni si escludono reciprocamente; in presenza di riempimento per tutto lo spessore della frattura, infatti, la rugosità diventa ininfluente in quanto il suo contributo viene annullato dalla presenza del materiale riempimento.

In questo caso si deve usare direttamente il valore numerico indicato nella tavola relativa ad A4 di pag. 49.

Una volta attribuiti tutti i coefficienti numerici, sulla base del valore di RMRc calcolato s’identificano 5 intervalli cui corrispondono altrettante classi di ammasso roccioso a ognuna delle quali corrisponde una valutazione di qualità del medesimo (Tab. 31):

Tab. 31 – Valutazione della qualità dell’ammasso roccioso.

Quando si incontrano al fronte di uno scavo condizioni miste (sia roccia di buona qualità che roccia di scadente o pessima qualità) è essenziale identificare la condizione più critica per la stabilità (tipico il caso di una faglia che attraversa un ammasso di buona qualità).

Un approccio suggerito è quello di ricavare i valori di RMR per ogni zona e quindi calcolare un valore mediato di RMR sulla base sia del peso areale di ogni singola zona rispetto all’intera area di analisi, sia dell’influenza che ogni zona ha sulla stabilità dell’intero fronte di scavo.

Di uso comune è derivare dal valore di RMRb i parametri caratteristici dell’ammasso che, secondo Beniawsky assumono i valori:

E’ da notare come il valore della coesione dell’ammasso così calcolato sia applicabile solo ad ammassi rocciosi molto fratturati e a scarpate in condizioni sature.

Nelle applicazioni ad opere in sotterraneo, una particolare cautela va suggerita nell’utilizzo di RMR per il calcolo della coesione, in quanto per ammassi di qualità buona o molto buona il valore risulta molto sottostimato.

Una probabile causa è la probabile derivazione della formula dall’analisi delle esperienze di misure in miniere di carbone da cui il metodo RMR è principalmente derivato.

L’equazione indicata per il modulo di deformabilità è da ritenersi utilizzabile per valori di RMRc>50: per valori inferiori è più appropriato utilizzare la relazione proposta da Serafim & Pereira:

E = 10(RMRc-10)/40

Nel caso sia stato misurato, con prove di compressione strumentate, il valore del modulo della roccia .intatta El, si possono applicare per confronto anche le formule proposte da Nicholson & Beniawski;

E = EI [0,0028 RMRc2+0,9 exp(RMRc/22,82)]

e da Asef et al.:

E = EI {0,5[1-cos(π RMRc)/100]}

L’utilizzo del valore di RMRc quale riferimento base per l’attribuzione dei parametri dell’ammasso è fortemente criticabile per applicazioni pratiche legate alla stabilità dei versanti, in quanto comprende sia le condizioni idrauliche che l’orientamento delle discontinuità: l’influenza di questi 2 parametri verrebbe infatti conteggiata 2 volte poiché nelle analisi relative la stabilità è già funzione dell’orientamento e le sottospinte idrauliche sono considerate come una forza a parte.

Per tale applicazione risulta quindi più corretto impiegare il valore di RMRa che meglio rappresenta le proprietà intrinseche dell’ammasso in quanto dipende solo dalla resistenza della roccia intatta e dalle caratteristiche delle discontinuità.

Relativamente al valore dell’angolo d’attrito, l’equazione che sembra meglio rappresentarlo è dovuta a Trunk & Honisch:

φ = 0,5 RMRb+8,3 ± 7,2

1.6.6 – Rock Mass Rating (RMR) Modificato (Sen)

Una modifica molto interessante alla determinazione di RMR è quella proposta da Sen et al. che, senza modificare in alcun modo la classificazione, propongono di calcolare RMR mediante un’equazione semplificata a partire dai soli valori di RQD, della resistenza della roccia σc (MPa) e della spaziatura s(m), esprimendo le condizioni idrauliche in funzione della portata e mantenendo i coefficienti numerici indicati da Beniawsky per la condizione delle discontinuità e l’orientamento delle discontinuità. Secondo la formulazione degli autori:

RMRc = 0.2 RQD+15 log(s)+0.075 σc-2.9 log(G)+34+(A5-A6)

in assenza di una determinazione di RQD da sondaggio, viene introdotto il valore di λ e RMR viene calcolato dalla:

RMRc = 20 (1+0,1λ) e-0.1λ-15log(A)+0.075 σc-2.9 log(G)+34+(A5-A6)

G è la portata idraulica in arrivo su un fronte di 10 m espressa in l/s (nel caso G = 0 il termine 2,9 log (G) viene cancellato).

Le correlazioni proposte risultano molto più flessibili rispetto all’utilizzo della classificazione di Beniawski, richiedendo in definitiva, noti i valori univoci di σc, di RQD e la spaziatura media delle famiglie, la determinazione a tavolino dei soli coefficienti numerici relativi alle condizioni e alla giacitura delle discontinuità. La correlazione fra coefficiente numerico relativo alle portate liquide, condizioni idrauliche e la portata in l/s è espressa in Tab. 32:

Tab. 32 – Correlazione per condizioni  idrauliche in RMR modificato (Sen).

in assenza di prove di portata può permettere di stimare, sia pure indicativamente, la portata.

Con i valori calcolati di RMRc a mezzo della funzione di Sen, i parametri dell’ammasso sono calcolati con le relazioni:

c (kPa) = 3.625 RMRc

φ = 25 (1+0,01 RMR) per RMRc<20

φ = 1.5 RMR per RMRc>20

1.6.7 – Sistema Q (Barton)

La classificazione di Barton è stata sviluppata al particolare scopo della sua applicazione in campo sotterraneo (gallerie e caverne).

Le principali caratteristiche da cui il sistema si è sviluppato includono oltre 200 campionamenti in rocce di diversa natura litologica; larghezze di scavo entro 1.2÷100 m; altezze di scavo entro 2÷100 m; altezze di copertura entro 0.05÷2.5 km; campo tensionale in situ di applicazione variabile entro 3.5÷50 MPa; resistenza a compressione delle rocce lungo un campo di variazione dei valori compreso entro 7÷300 MPa.

Negli ultimi tempi la sua applicazione è stata estesa a diversi campi di ingegneria delle rocce mentre recentemente Barton ha proceduto ad una revisione globale del sistema.

Il valore di Q viene calcolato dalla:

Q = (RQD Jr Jw)/(Jn Ja SRF)

I valori indice sono:

RQD, che tiene conto della suddivisione della massa rocciosa; Jn (Joint Set Number), dipendente dal numero di famiglie di giunti presenti nell’ammasso roccioso; Jr (Joint Roughness Number), dipendente dalla rugosità della famiglia più sfavorevole; Ja (Joint Alteration Number), dipendente dal grado d’alterazione delle fratture, dallo spessore e dalla natura del materiale di riempimento, determinato sulla famiglia più sfavorevole; Jw (Joint Water Number), dipendente dalle condizioni idrogeologiche; SRF (Stress Reduction Factor), funzione dallo stato tensionale in rocce massive o dal disturbo tettonico.

Nell’equazione di determinazione di Q, il primo quoziente (RQD/Jn) è rappresentativo della dimensione dei blocchi isolati dal sistema fratturativi; il secondo (Jr/Ja) è rappresentativo della resistenza d’attrito disponibile nei blocchi; il terzo (Jw/SRF) tiene conto dell’influenza della circolazione d’acqua nell’ammasso e dello stato tensionale al contorno.

Un importante contributo alla definizione di Q è la sua normalizzazione nei confronti della resistenza a compressione monoassiale della roccia, parametro in precedenza considerato ininfluente:

Qc = (RQD Jr Jw σc)/(Jn Ja SRF 100)

I coefficienti numerici assegnati ai vari parametri vengono indicati nelle successive tabelle.

Parametro RQD

Prende il suo valore nominale; se RQD < 10, si assume 10; è ammesso utilizzare valori RQD con intervalli di 5 unità percentuali.

Parametro Jn

Nel caso di gallerie, se la galleria è in zona d’imbocco, Jn viene raddoppiato. Se si è in una zona d’intersezione tra due gallerie, Jn viene triplicato.

Parametro Jr

La descrizione si riferisce alle caratteristiche a piccola e a media scala, nell’ordine. Se la spaziatura media della famiglia principale è > 3 m si aumenta Jr di 1. Nel caso di giunti piani, levigati, contenenti strie o lineazioni, se queste sono orientate nella direzione più sfavorevole si utilizza 0,5.

Parametro Ja

Con giunti sostanzialmente chiusi (apertura max 1÷3 mm) con pareti a contatto:

Con giunti mediamente aperti (< 5 mm) e presenza di riempimento che permette ancora il contatto fra le pareti in caso di scorrimento:

* il valore da assegnare è dipendente dalla % della frazione argillosa rigonfiante e dalla possibilità che la stessa venga a contatto con acqua.

Con giunti aperti (> a 5 mm) senza nessun contatto fra le pareti dopo scorrimento:

* il valore da assegnare dipende dalla % della frazione argillosa rigonfiante e dalla possibilità che la medesima venga a contatto con acqua.

Parametro Jw

Se sono installati sistemi efficaci di drenaggio Jw viene portato a 1 o 0.66. Nel valore di Jw non si tiene conto di eventuali problemi legati alla formazione di ghiaccio. Per una caratterizzazione dell’ammasso lontano dall’influenza dello scavo e nel caso che RQD/Jn sia sufficientemente basso (0.5÷25) in modo da assicurare una buona connettività idraulica, si possono assumere i valori di Jw (1,0-0,66-0,5-0.33) in funzione delle altezze di ricoprimento (0÷5,5÷25,25÷250, >250 m).

Parametro SRF

Zone di debolezza intersecanti lo scavo che possono causare allentamenti nell’ammasso al momento dello scavo:

Se le zone di debolezza o di fratturazione influenzano ma non intersecano direttamente lo scavo,

SRF viene ridotto del 25÷50%

Ammasso competente con problematiche legate allo stato tensionale

–       σc = resistenza a compressione della roccia;

–       σθ = massima tensione tangenziale al contorno dello scavo;

–       σ1 = tensione principale agente.

In caso di presenza di uno stato tensionale fortemente anisotropico se i! rapporto fra le tensioni principali σ13 è compreso entro 5÷10, si riduce σc a 0.75σc; se il rapporto è > 10 si riduce σc a 0,5σc. Se la profondità della calotta dal piano campagna è inferiore alla larghezza dello scavo, viene suggerito di utilizzare SRF = 5.

Per una caratterizzazione dell’ammasso lontano dall’influenza dello scavo si possono assumere i valori di SRF (5-2,5-1,0-0,5) in funzione delle altezze di ricoprimento (0÷5, 5÷25, 25÷250, > 250 m). Le ultime 3 righe nella tabella sono generalmente applicabili a rocce molto dure e massive, presentanti valori di RQD/Jn compresi entro 50÷200.

A differenza di quanto suggerito da Beniawsky, Barton non riporta nella classificazione indicazioni circa l’orientamento dei giunti in funzione dell’orientamento della galleria in quanto i parametri JnJr e Ja giocano un ruolo più importante dell’orientazione dei giunti perché definiscono il grado di libertà riguardo al movimento dei blocchi.

Nella valutazione di Jr e di Ja i valori numerici relativi devono essere riferiti alla famiglia più sfavorevole per la rugosità (Jr più basso) e alla famiglia con discontinuità riempite di materiale argilloso (Ja); tuttavia, se la famiglia con il rapporto minimo di Jr/Ja è orientata favorevolmente ai fini della stabilità, allora una famiglia con orientazione più sfavorevole può essere più significativa ed in tal caso, nella valutazione di Q, si dovrà assumere il valore di Jr/Ja relativo, anche se più alto. In pratica il valore di Jr/Ja da assumere deve essere correlato con la discontinuità più facilmente incline all’iniziazione di una rottura.

Da un punto di vista teorico l’applicazione delle linee guida alla determinazione di SRF è aperta all’interpretazione soggettiva e può essere conseguenza di errori potenziali nella stima di Q.

Un approccio alternativo all’utilizzo delle linee guida di Barton è quello proposto da Kirsten e volto ad eliminare tale soggettività. Quest’ultimo, infatti, ha osservato come, in caso di ammasso non competente e non omogeneo, SRF sia legato alla qualità dell’ammasso totale dalla relazione:

SRFn = 1.809 Q-0.329

Combinando tale equazione con l’equazione di Barton si può quindi scrivere:

dove Qn è riferito all’ammasso non competente.

Nel caso di ammasso competente e omogeneo, SRF è legato al campo tensionale relativo alla resistenza della roccia:

SRFh = SRFh1+SRFh2

dove SRFh=SRF per ammasso omogeneo; SRFh1=SRF per tensioni controllate dal comportamento dell’ammasso omogeneo e SRFh2=SRF per il comportamento dell’ammasso controllato dalla struttura geologica. I valori di SRFh1 e SRFh2 possono essere definiti dalle relazioni:

dove K è il rapporto fra le tensioni principali e H l’altezza di copertura (m) sopra l’asse della galleria. Se SRFh1 > SRFh2, il comportamento dell’ammasso è controllato dallo stato tensionale, viceversa il comportamento è controllato dalla struttura geologica.

Il corrispondente valore di Qh per l’ammasso omogeneo è:

Il valore di Q da adottare risulta il minimo calcolato fra Qn e Qh.

L’indice Q (variabile entro 0,001÷1000) è diviso in 9 intervalli cui corrispondono altrettante classi di ammasso roccioso.

Gli intervalli sono espressi in funzione logaritmica.

Le classi di Barton sono suddivise secondo lo schema di Tab. 33.

Tab. 33 – Classi di Barton.

Dai quozienti che entrano nella formula di Barton si possono estrapolare 2 caratteristiche di resistenza dell’ammasso: una componente attritiva FC ed una componente coesiva CC. La prima può essere definita dalla relazione:

FC = tg-1(JrJw/Ja)

II termine Jw è stato introdotto per tener conto dei problemi legati ad elevate permeabilità ed elevate pressioni idrauliche e può essere omesso desiderando ottenere la sola resistenza attritiva del giunto più sfavorevole. La seconda può essere definita dalla relazione:

CC = (RQD σc)/(Jn SRF 100)

I valori di FC e CC possono essere considerati come approssimazioni dell’angolo d’attrito e della coesione di un ammasso. Queste stime sono per un ammasso roccioso competente probabilmente molto più accurate di quelle derivate dal valore di RMR. Barton ritiene inoltre che bassi valori di CC associati a sproporzionatamente alti valori di FC siano indicatori di un possibile modo di rottura rotazionale, dovuto all’effetto scala della resistenza dei giunti e dalla interazione angolare dei blocchi.

Bassi valori di RQD/Jn sono stati riscontrati associati a questo modo di rottura, o meglio di deformazione, sia da analisi con modelli numerici sia da fenomeni reali in masse rocciose fratturate.

Il modulo di deformazione statico può essere determinato dalla:

EM = 10 Qc1/3

in accordo con l’espressione di Serafim & Pereira postulata da RMR.

1.6.8 – Geological Strenght Index (GSIHoek)

II concetto, sviluppato da Hoek, alla base del GSI (Geological Strength Index) è molto semplice: combinare l’assetto strutturale dell’ammasso con le caratteristiche delle discontinuità che lo separano per giungere ad un valore indice che permetta il suo utilizzo per una valutazione accurata della resistenza e della deformabilità di un ammasso roccioso.

A tale scopo l’indice GSI è usato in stretta congiunzione con il criterio di rottura di Hoek-Brown.

Tale parametro, nella forma più recente, vede la sua valutazione affidata all’utilizzo di un semplice grafico (Fig. 1.38) dove le caratteristiche strutturali dell’ammasso in termini di grado di fratturazione e disturbo tettonico sono intercorrelate con le caratteristiche della superficie delle discontinuità in termini di rugosità, alterazione e riempimento della frattura.

Tale intercorrelazione permette di assegnare il valore del GSI.

Se, ad es., l’ammasso si presentasse molto fratturato con 4 famiglie di giunto dominanti e gli stessi giunti fossero mediamente rugosi, con JRC 8÷12, non o debolmente alterati e sostanzialmente poco aperti senza riempimento, il valore di GSI varierebbe entro 50÷60. mentre scenderebbe a 40÷50 se i giunti fossero lisci (JRC 4÷6).

La metodologia per restringere il campo di variabilità è materia soggettiva, sebbene Hoek consigli esplicitamente di non utilizzare mai valori univoci ma d’indicare piuttosto un campo di valori in cui collocare GSI.

Fig. 1.38 – Abaco GSI (Hoek).

L’assunzione di base del sistema, estendibile anche ad altri sistemi di classificazione quali QRMR etc. è che l’ammasso si comporti in maniera isotropa.

Tale comportamento, cioè, viene ad essere controllato dai movimenti e dalla rotazione degli elementi di roccia separati fra loro dalle caratteristiche strutturali che riflettono la storia geologica subita dall’ammasso, quali piani di stratificazione e fratture ausiliarie, e quindi non vi è una direzione preferenziale di rottura.

Laddove l’ammasso si presenta poco fratturato con piani di stratificazione persistenti, levigati, aperti e con eventuale riempimento argilloso, tali piani costituiscono dei piani di debolezza e controllano in effetti il comportamento che diventa fortemente anisotropico.

In questi casi, il modo di rottura predominante sarà di scivolamento lungo tali piani o di dislocazione di cunei di roccia o di cadute gravitazionali di blocchi, dovute all’intersezione dei piani con gli altri sistemi fratturativi minori presenti nell’ammasso.

E’ altresì opportuno notare come le caratteristiche petrografiche di qualsiasi roccia possano portare all’eliminazione automatica di alcune delle combinazioni esistenti nel grafico di GSI e quindi nella sua determinazione deve essere ben preciso anche l’aspetto puramente geologico.

In un ambiente geologico caratterizzato da piegamenti, di conseguenza, la valutazione legata alla struttura non può mai essere diversa da piegata, così come un calcare non può presentare una valutazione legata alle discontinuità peggiore di mediocri ed un argilloscisto migliori di scadenti.

Per facilitare l’utilizzo della carta generale, Marinos & Hoek propongono delle carte per i vari tipi di rocce più facilmente riscontrabili in natura ed in cui è indicato il più probabile campo di appartenenza del valore di GSI. Tali carte (ripresi dalla pubblicazione) sono illustrate di seguito.

Calcari

Fig. 1.39 – Valori tipici di GSI per rocce calcaree.

I campi più probabili indicati con il numero sono:

1 Calcari massivi;

2 Calcari fittamente stratificati:

3 Calcari brecciati.

Arenarie

Fig. 1.40 – Valori tipici di GSI per Arenarie..

I campi più probabili indicati con il numero sono:

1 Arenarie massive o stratificate senza cemento argilloso;

2 Arenarie brecciate senza cemento argilloso.

Siltiti, Argilliti, Argilloscisti, Marne

Fig. 1.41 – Valori tipici di GSI per rocce a componente argillosa.

I campi più probabili indicati con il numero sono:

1 Stratificati, laminati, fratturati;

2 Brecciati o frizionati.

Graniti

Fig. 1.42 – Valori tipici di GSI per rocce granitoidi.

Ultrabasiti

Fig. 1.43 – Valori tipici di GSI per rocce ultrabasiche.

I campi più probabili indicati con il numero sono:

1 Non alterati;

2 Serpentinizzati.

Gneiss

Fig. 1.44 – Valori tipici di GSI per rocce gneissiche.

Scisti metamorfici

Fig. 1.45 – Valori tipici di GSI per rocce metamorfiche.

I campi più probabili indicati con il numero sono:

1 Compatti (micascisti, scisti cristallini etc.)

2 Deboli (scisti cloritici, talcoscisti, filladi etc)

Nell’applicazione delle carte, ci si ricordi che le stesse sono riferite a rocce che non hanno subito processi di alterazione. Le aree ombreggiate sono indicative e di prima valutazione; a scopi di progettazione, la valutazione dei GSI deve essere logicamente basata sui risultati di accurate indagini geologico-geomeccaniche in campagna.

Ulusay & Sonmez, nell’applicazione del GSI alle scarpate, ritengono il grafico proposto da Hoek troppo approssimativo sia nella descrizione della struttura che nella descrizione delle condizioni delle discontinuità. Di conseguenza propongono d’introdurre 2 parametri addizionali, uno relativo alla struttura SR, da determinare in funzione del valore nel  di giunti per m3 e Jv, in accordo con il grafico (Fig. 1.46), e l’altro relativo alle condizioni delle discontinuità SCRottenuto dalla somma di 3 coefficienti parziali:

SCR = Rr+Rw+Rf

Fig. 1.46 – Parametro SCR dal valore di Jv.

secondo le attribuzioni della Tab. 34:

Tab. 34 – Tavole Parametriche SCR (Ulusay & Sonmez).

Fig. 1.47 – Determinazione del GSI secondo Ulusay & Sonmez.

L’approccio sembra interessante anche se ci si può interrogare sulla precisione del parametro Jv, sempre discutibile.

Un importante contributo di GSI è nella caratterizzazione delle rocce flyschoidi, tipicamente costituite da alternanze di serie calcaree o arenacee fragili e di rocce pelitiche duttili (scisti argillosi, argilloscisti, marne) dovute al trasporto di materiale clastico in ambienti deposizionali di mare profondo, spesso sottoposte successivamente a stress tettonici.

Per tale litologia è stata sviluppata da Marinos & Hoek una carta (Fig. 1.48) che caratterizza il GSI tipico dei flysch in funzione della sua struttura, da integra ad intensamente deformata.

Figura 1.48 – Determinazione del GSI per rocce flyschoidi.

Per le varie classi identificate, gli autori propongono di derivare i valori di σc e di mi da usare successivamente nella derivazione delle caratteristiche geomeccaniche dal criterio di Hoek-Brown. utilizzando dei valori medi proporzionali, secondo la Tab. 35:

Tab. 35 – Valori di σc e  mi correlati alle classi di Flysch.

1.6.9 – Indice n (Jasarevic)

L’indice n, sviluppato da studi di Jasarevic & Kovacevic entro formazioni carbonatiche croate (principalmente calcari), presenta alcune derivazioni dai sistemi RMR e Q.

Tale sistema di classificazione, pur semplice, diviene interessante soprattutto nel campo di validità della sua applicazione che si articola nell’attribuzione di almeno 3 coefficienti numerici relativi alle proprietà geomeccaniche (su un totale di 5 proposti nel metodo) e di almeno 3 coefficienti numerici relativi alle proprietà geologico-ingegneristiche (su un totale di 6 proposti).

Sulla base dei valori a disposizione, ad ogni parametro viene assegnato un valore ni variabile entro 1÷5 in accordo con i riquadri in Tab, 36.

Tab. 36 – Tavola Valori di ni (Jasarevic).

Se i valori dei parametri non sono univoci si ovvia prendendo un coefficiente numerico intermedio tra quelli proposti. Il valore di n viene espresso dalla relazione:

dove NT è il numero totale delle proprietà (min. 6) considerate nell’attribuzione dei coefficienti numerici. L’identificazione delle classi e della qualità dell’ammasso è simile a quella prevista per RMR e cioè:

Gli autori suggeriscono la seguente espressione di correlazione fra n ed RMR:

RMR = 110–20n

da cui ricavare i parametri geomeccanici dell’ammasso (c e φ) così come il valore del modulo di deformabilità dell’ammasso secondo la relazione:

E = exp (4.407+0.081 RMR)

ritenuta dagli autori più rispondente rispetto a quella di Serafim & Pereira (soggetta a notevoli discrepanze causa la caratteristica estrema fatturazione delle rocce carbonatiche mediterranee).

1.6.10 – Slope Rock Mass Rating (SRMR, Robertson & Kirsten)

Derivato da RMR e applicabile unicamente per quanto concerne la stabilità dei versanti in roccia, SRMR é stato sviluppato da Robertson & Kirsten muovendo dalla constatazione che l’applicazione della metodologia RMR a scavi di versanti di cava entro ammassi teneri portava ad una stima errata dei parametri di resistenza dell’ammasso per valori di RMR < 40. Il valore dell’indice è dato dalla relazione:

SRMR = A1+A2+A3+A4

dove:

Si può notare nella valutazione dei parametri non è tenuto in conto il fattore legato alle condizioni idrauliche; la quantità d’acqua presente nell’ammasso non ne modifica, infatti, la resistenza ma, quale fattore d’instabilità, deve essere posta nell’ambito del calcolo di verifica della stabilità.

Per valori di SRMR > 40, la stabilità della scarpata è governata dall’orientamento e dalla resistenza al taglio delle discontinuità mentre per valori inferiori la rottura avviene indipendentemente dalla giacitura per scivolamento roto-traslazionale lungo superfici circolari o mistilinee; la rottura, in questo caso, è funzione delle sole caratteristiche meccaniche dell’ammasso.

Sulla base di esperienze reali Robertson identifica una ulteriore suddivisione di classi rispetto ad RMR e indica i valori tipici attribuibili all’ammasso (Tab. 37):

Tab. 37 – Valori delle caratteristiche dell’ammasso secondo SRMR.

L’autore raccomanda attenzione comunque circa l’utilizzo indiscriminato dei valori indicati in quanto i dati storici su cui sono basati vengono considerati ancora insufficienti.

E comunque indubbio che la classificazione proposta da Robertson permette di stimare parametri di resistenza al taglio generalmente appropriati per ammassi molto fratturati, indicando altresì un valore di soglia (SMRM=40) per l’innesco di superfici di scivolamento profonde, non più condizionate dall’assetto giaciturale dell’ammasso.

1.6.11 – Slope Mass Rating (SRM, Romana)

Romana ha sviluppato un approccio fattoriale, basato su dati di campagna, al valore numerico dell’indice di compensazione per l’orientamento dei giunti, riconoscendo che nel sistema originale di Beniawsky non venivano date delle specifiche linee guida allo stesso nel settore della stabilità dei versanti.

Nella trattazione originale, infatti, il fattore di correzione per l’orientamento delle discontinuità veniva proposto con valori estremamente alti (-60 per condizioni molto sfavorevoli) con l’anacronismo che il valore di RMR corretto poteva raggiungere valori negativi.

Per ovviare a tale condizione l’autore propone di aggiungere al valore di RMR, ottenuto dalla classificazione classica, determinati fattori di aggiustamento sulla base dell’orientamento relativo fra discontinuità e fronte del versante aggiungendo un ulteriore fattore che tiene conto del metodo di scavo:

SMR = RMR + (F1xF2xF3) + F4

II fattore di aggiustamento relativo all’orientamento è il prodotto di 3 fattori.

F1 dipende dal parallelismo fra l’immersione del fronte e l’immersione dei giunti e prende valori variabili entro1÷0.15 legati alla relazione F1 = (1-sen A)2, dove A indica l’angolo fra le direzioni del versante e dei giunti; F2 è riferito all’inclinazione del giunto nell’ipotesi di rottura planare, prendendo valori variabili entro 1÷0.15 legati alla relazione F2 = tg2B, con B inclinazione dei giunti; F3 mantiene le relazioni proposte da Beniawsky per l’inclinazione fra fronte e giunti (tutti valori negativi); F4 rappresenta un fattore di correzione legato al metodo di scavo ed è stato fissato empiricamente.

Le condizioni di stabilità verificate sono relative a rotture planari e per ribaltamento (toppling); di recente Anbalagan et al. hanno proposto un’estensione anche per rotture a cuneo. Le attribuzione dei fattori sono effettuate in base ai riquadri del riquadro seguente:

dove αj è l’immersione del giunto, αi l’immersione della retta d’intersezione di 2 piani per la rottura a cuneo, αf l’immersione del fronte del versante, βjl’inclinazione del giunto, βi l’inclinazione della retta d’intersezione di 2 piani per la rottura a cuneo e βf l’inclinazione del fronte.

Il fattore di correzione F4 per il metodo di scavo s’inserisce ai sensi del riquadro seguente:

II metodo va applicato a tutte le famiglie di giunti presenti nell’ammasso mentre il valore minimo che tale indice assume viene considerato quale valore rappresentativo della qualità dell’ammasso roccioso per l’area di rilievo. Sulla base del valore di SMR calcolato, Romana fornisce indicazioni generali sul grado di stabilità della scarpata, sul tipo di cinematismo di rottura che può instaurarsi oltre alla qualità di eventuali interventi di stabilizzazione (Tab. 38).

Tab. 38 – Indicazioni generali sul grado di stabilità della scarpata (Romana).

A questo proposito la totalità degli autori concorda sul fatto che:

–       la classificazione è minimalmente conservativa;

–       il valori estremi di F3 (-50 e -60) sono talora difficili da trattare;

–       i modi di rottura previsti da SMR si verificano nella pratica reale;

–       il metodo di scavo riveste notevole importanza, giustificando l’introduzione di F4;

–       la classificazione di scarpate con la presenza di berme di stabilizzazione è complessa se non impossibile;

–       SRM non tiene in conto l’altezza della scarpata.

Una serie di distinzioni utili ad un inquadramento iniziale delle problematiche da attendersi quali modalità di rottura derivabile dall’applicazione pratica del metodo è espressa dai riquadri seguenti:

1.6.12 – Slope Stability Probabilistic Classification (SSPC, Hack)

Un metodo di classificazione per una verifica diretta delle condizioni di stabilità di un versante basate su analisi probabilistiche è stato sviluppato da Hack et al.; tramite tale metodo, noto come SSPC (Slope Stability Probabilistic Classification), vengono verificate sia la stabilità dell’ammasso non condizionata dall’assetto strutturale (indipendentemente dalla giacitura delle discontinuità e per rottura rototraslazionale), sia la stabilità legata all’assetto delle giaciture delle discontinuità (per scivolamento planare lungo una discontinuità preferenziale o per ribaltamento).

Il metodo è basato su 4 parametri principali facilmente rilevabili e quantificabili in laboratorio ed in situ e cioé:

–       la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta IRS;

–       la spaziatura delle discontinuità presenti nell’ammasso SP;

–       le condizioni delle discontinuità presenti nell’ammasso CD;

–       la giacitura delle discontinuità.

La verifica della stabilità di una scarpata non condizionata dall’assetto strutturale richiede la definizione dei parametri di Mohr-Coulomb (c e φ) dell’ammasso attraverso prove triassiali su 3 o più provini di cui sono note l’onerosità, la complessità dell’esecuzione così come i risultati non sempre attendibili dovuti alle difficoltà di prelievo di campioni rappresentativi nel caso di ammassi fratturati. Sulla base dei primi 3 parametri, analizzati ed elaborati su basi statistiche mediante raffronti con le condizioni di stabilità attuali di diverse centinaia di scarpate esistenti, gli autori giungono a definire, ottimizzando il criterio di Mohr-Coulomb:

cammasso = 94.27 IRS + 28.629 SP + 3.593 CD

φammasso = 0.2417 IRS + 52.12 SP + 5.779 CD

si tengano altresì presenti le unità di misura relative: c (Pa), IRS (MPa), SP (m).

II modello di un piano di taglio che segue il criterio di rottura di Mohr-Coulomb implica come la stabilità di una scarpata sia indipendente dalla sua altezza, se la scarpata ha un’inclinazione < φammasso; se, viceversa, l’inclinazione è maggiore, la massima altezza stabile è funzione dello stato tensionale. Si può quindi scrivere:

–       se l’inclinazione della scarpata β  φ, l’altezza della scarpata è infinita mentre il sistema è da ritenersi stabile;

–       se l’inclinazione della scarpata β  φ, la massima altezza stabile della scarpata è data dalla relazione (con c in kPa):

ed è allora possibile, nota l’altezza reale della scarpata in analisi (H) esprimere la probabilità di stabilità in funzione dei rapporti Hmax/H e φ/β (Fig. 1.49):

Fig. 1.49 – SSPC – Stabilità non controllata dall’assetto strutturale.

La verifica della stabilità di una scarpata condizionata dall’assetto strutturale è funzione delle condizioni relative di ogni giunto TC e dei rapporti fra la giacitura dei giunti e l’orientamento della scarpata AP. Indicando con δ il valore della direzione della scarpata meno la direzione del giunto si ha che:

δ = αsg

e con β l’inclinazione del giunto si ha anche:

AP = tg-1 [cos(δtg(β)]

se AP >  l’inclinazione apparente del giunto è concorde con l’inclinazione della scarpata (franapoggio); se <  è discorde (reggipoggio). Si possono quindi stabilire le seguenti probabilità di stabilità per uno scivolamento planare (Fig. 1.50) e per un ribaltamento (Fig. 1.51).

Fig. 1.50 – SSPC – Stabilità controllata dall’assetto strutturale per scivolamento piano.

Per la definizione dei parametri che entrano nella classificazione (definita in maniera univoca per l’unità strutturale in cui è inserita la scarpata) la resistenza a compressione monoassiale da uno dei metodi visti in precedenza, il valore IRS è dato dalla relazione:

IRS = σc WEA

dove WEA è un fattore correttivo per l’alterazione della roccia ricavabile dal riquadro seguente:

mentre σ c≤ 132 MPa.

Fig. 1.51 – SSPC – Stabilità controllata dall’assetto strutturale per ribaltamento.

La valutazione di SP e di CD viene effettuata con la seguente metodologia:

per le discontinuità presenti il fattore SP viene valutato dal prodotto di 3 fattori:

–       f1 = 0.3 + 0,259 log(spaziatura minima);

–       f2 = 0,2 + 0,296 log(spaziatura media);

–       f3 = 0,1 + 0,333 log(spaziatura massima).

SP = f1 x f2 x f3

per ogni discontinuità si valuta la condizione relativa TC dalla:

TC = Ri x Rs x Im x Ka

dove i 4 fattori sono ricavati attribuendo alcuni valori numerici ai parametri: rugosità a grande scala, rugosità a piccola scala, riempimento della discontinuità e presenza di fenomeni carsici nell’area secondo la tabulazione:

infine calcolando CD facendo la media pesata di TC con le spaziature minime DS per ogni discontinuità:

Nel caso la classificazione sia stata adottata per valutare la stabilità di uno scavo da eseguire, il valore di SP viene assunto come:

SP = f1 x f2 x f3 x WE x ME

dove WE sono le condizioni di alterazione previste all’interno della roccia da scavare (vale la stessa tabella che per WEA) e ME è un coefficiente funzione delle modalità di scavo previste per la sua realizzazione dalla tabella:

E’ intuitivo notare come nella classificazione non sia prevista l’influenza delle condizioni idrauliche nella valutazione globale; e questo perché, secondo gli autori, nella maggioranza delle scarpate naturali non si riscontrerebbero pressioni idrauliche permanenti nelle discontinuità, a causa del buon drenaggio delle medesime, legato all’elevato grado di fratturazione ed all’apertura nei pressi della superficie topografica. Inoltre la coltre di copertura contribuisce spesso a ridurre la quantità di acqua di infiltrazione.

La sola situazione in cui le pressioni idrauliche svolgerebbero un ruolo predominante è quella dello scavo di un nuova scarpata intercettante una falda permanente; in questo caso la buona pratica ingegneristica prevede l’esecuzioni di misure di drenaggio volte ad abbassare il livello di falda all’interno dell’ammasso, riducendo o eliminando lo sviluppo di pressioni neutre.

1.6.13 – Surface Rock Classification (SRCDe Vallejo)

Una modifica al sistema RMR è stata proposta da de Vallejo per l’estrapolazione dei dati misurati in un rilievo superficiale ai fini della realizzazione di scavi in sotterraneo. Procedendo analogamente al sistema RMR, il valore di SRC è dato dalla:

RMR = [(R1 CF1) + (R2 CF2) + R3 + (R4 CF4) + R5)] + (R6 + R7)

dove R1 è il valore numerico derivato dalla resistenza della roccia intatta, CF1 la correzione per la durabilità della roccia, R2 il valore numerico derivato dalla spaziatura delle discontinuità, CF2 è la correzione per la storia fratturativi, R3 il valore numerico derivato dalle condizioni delle discontinuità, R4 il valore numerico derivato dalle condizioni idrauliche, R5 il valore numerico per la storia tensionale, CF4 la correzione per la storia tettonica, R6 l’indice di correzione per la giacitura delle discontinuità ed R7 la correzione per i fattori di costruzione.

I coefficienti numerici assegnati ai differenti parametri sono indicati nei riquadri a seguire:

dove AEF è il rapporto tra la distanza in m da uno scavo adiacente a quello principale e la larghezza dello scavo adiacente.

La classe dell’ammasso di riferimento è quella derivata dal valore di RMR di Beniawsky; il tempo di autosostentamento viene calcolato mediante la relazione:

t = 1.19 e0.178 RMR

La valutazione finale del valore di SRC è analoga a quella RMR:

La maggioranza degli operatori, a riguardo, é giunta alle conclusioni di seguito esposte:

–       i valori di SRC permangono prudenziali rispetto a quelli RMR ottenuti in superficie;

–       il valore RMR calcolato in 2 gallerie in costruzione è risultato inferiore rispetto ai valori calcolati in superficie di RMR e SRC;

–       i fattori correttivi introdotti da De Vallejo influiscono maggiormente sul punteggio base rispetto a quelli di Beniawsky.

1.6.14 – Rock Mass Number (NSingh & Goel)

Per applicazione nel campo delle gallerie Singh & Goel propongono di calcolare dalla classificazione Q di Barton il valore di N tramite la relazione:

N = (RQD Jr Jw)/(Jn Ja)

esprimendo cioè N come valore di Q senza l’effetto tensionale.

Lo stesso valore di N, associato al valore di un parametro RCR (rock condition rating), definito dalla classificazione di Beniawsky tramite la relazione:

RCR = RMRc  (A1+A6)

e quindi come il valore di RMR corretto depurato dall’influenza della resistenza a compressione e dall’orientamento delle discontinuità, permette di intercorrelare la classificazione Q con la classificazione RMR. Tale intercorrelazione si è resa necessaria, a parere degli operatori, per ovviare all’inconveniente della dispersione delle correlazioni che hanno tentato di stimare RMR derivandolo da Q (→ la più accreditata e utilizzata di tali correlazioni, nel merito, è quella proposta da Beniawski con la relazione:

RMR = 9 ln(Q+ 44

Una causa di questa dispersione è indicata da Singh & Goel come dovuta al fatto che i due sistemi non sono veramente equivalenti e pertanto propongono di utilizzare invece la relazione:

RCR = 8 ln(N)+30

equazione con coefficiente di correlazione 0,92, risalendo poi ai valori equivalenti.

Le lievi differenze nei valori di RMR e Q fra quelli stimati in campagna e quelli ricavati dalla inter-correlazione proposta sono dovuti allo scarto implicito nella correlazione RCR/N proposta.

1.6.15 – Rock Structure Rating (RSR, Wickham)

Wickham et al. hanno proposto un metodo di classificazione per descrivere la qualità di un ammasso roccioso finalizzato alla selezione di un sostegno appropriato (principalmente centine metalliche) per gallerie di piccolo e medio diametro. Pur avendo la metodologia diverse limitazioni, oltre che scarso utilizzo, la descrizione del principio è interessante per comprendere la logica da perseguire in un sistema di classificazione semi-quantitativo.

Il valore di RSR, con un massimo di 100, risulta dall’applicazione di coefficienti numerici:

RSR = A + B + C

funzione di: A geologia dell’area basata sull’origine della roccia, della sua durezza e della sua struttura; di B geometria delle discontinuità presenti nell’ammasso rispetto alla direzione d’avanzamento; di C influenza di afflussi idrici e delle condizioni delle discontinuità in relazione alla combinazione dei parametri A e B.

Per quanto concerne le determinazioni:

– il parametro A viene determinato assegnando alla roccia un valore identificativo:

assegnando un valore numerico funzione di tale identificazione, alla struttura geologica:

 – iI parametro B viene ricavato dai riquadri a seguire:

 – il parametro C, in funzione della somma (A+B), dai valori nei riquadri a seguire:

Le condizioni dei giunti sono identificabili con:

buone → giunti chiusi o cementati:

mediocri → giunti leggermente alterati o alterati;

pessime → giunti alterati, molto alterati, aperti.

Il valore di RSR può essere correlato con i valori di RMR o di Q, attraverso le relazioni:

RSR = 0.77 RMR + 12.4

RSR = 13.3 In (Q+ 46

Può risultare interessante notare come questa classificazione sia l’unica che tenga in considerazione la natura litologica e la genesi delle rocce che costituiscono l’ammasso roccioso.

1.6.16 – Rock Mass Index (RMiPalmström)

II sistema di classificazione RMi, proposto da Palmström è basato sulla combinazione di 2 parametri principali: la resistenza a compressione monoassiale della roccia intatta ed un parametro di giunto che esprime la riduzione della resistenza a compressione causata dalla presenza delle discontinuità nell’ammasso; il valore di RMi per ammassi fratturati è espresso quantitativamente dalla relazione:

RMi = σc JP

JP, il parametro giunto, rappresenta le caratteristiche principali dei giunti, ed esattamente il volume dei blocchi isolato dalle discontinuità, la rugosità, l’alterazione e la continuità delle discontinuità, queste ultime 3 caratteristiche raggruppate in un parametro jC rappresentativo delle condizioni globali dei giunti. Il parametro JP è valutato dalla relazione:

JP = 0.2 √jC VbD

dove D = 0.37 jC-0.2.

La valutazione del parametro globale jC avviene tramite la relazione:

jC = jL (jR/jA)

in cui jL esprime il contributo dovuto alla continuità del giunto, jR il contributo della rugosità delle pareti del giunto e jA il contributo dell’alterazione del giunto.

I fattori jR e jA sono simili ai valori di Jr e di Ja proposti dalla classificazione Q, mentre jL è stato introdotto nel sistema a rappresentare l’effetto scala nei giunti.

I coefficienti numerici da attribuire ai 3 parametri vengono ricavati dai riquadri a seguire:

Il volume dei blocchi Vb (m3) può essere determinato direttamente dalla spaziatura delle fratture Si dalle relazioni:

–       per 1 famiglia di fratture presenti nell’ammasso: Vb = 50 S13

–       per 2 famiglie di fratture presenti nell’ammasso: Vb = 5 S12 S22

–       per 3 famiglie di fratture presenti nell’ammasso: Vb = S1 S2 S3

dove S1 è riferito al valore minore di spaziatura.

Una metodologia alternativa è quella di calcolare il volume del blocco dalla relazione:

Vb = β Jv-3

dove Jè il numero di giunti per metro (→ RQD); β, fattore di forma del blocco, nella forma estesa valida per 3 sistemi di giunti, è espresso dalla relazione:

dove α2 = S2/S1α3 = S3/S1 con S1 spaziatura minore, S2 spaziatura intermedia ed S3 spaziatura maggiore. In forma semplificata si può scrivere:

β = 20+7Smax/Smin

dove Smax indica la dimensione maggiore ed Smin quella minore. Tale equazione è valida quando sono presenti 3 famiglie di discontinuità. In funzione del numero di famiglie presenti, la medesima diventa:

β = 20+7(Smax/Smin)(3/nj)

dove nj prende i valori nei riquadri in funzione del numero di famiglie:

Dal valore di (b=β) è possibile identificare la forma equivalente del blocco delimitato dalle spaziature:

La forma del blocco non è spesso usata in meccanica delle rocce e in ingegneria delle rocce ma, ciò nonostante, è una delle caratteristiche principali del sistema di fratturazione e può essere di interesse in una descrizione generale o nelle modellazioni numeriche. Dal volume del blocco si passa facilmente al diametro equivalente del blocco dalla relazione:

Db = 3√Vb

Nel caso di Db > 2 m l’ammasso può essere considerato competente e massivo e la relazione per il calcolo di RMi riportata all’inizio del paragrafo perde di significato. In tale caso viene applicata la relazione:

RMi = σc(0.05/Db)0.2

II valore di RMi può essere considerato equivalente alla resistenza a compressione dell’ammasso e in termini descrittivi il valore calcolato è così classificato:

Palmström propone inoltre di correlare i parametri di Hoek-Brown per l’ammasso con JP con le:

S = JP2

mb = mi JP0.64

mb = mi JP0.857

1.6.17 – Geological Strenght Index (Cai et al.)

Il contributo dato da Palmström alla definizione del volume unitario di un blocco di roccia isolato da un sistema di discontinuità e delle condizioni delle discontinuità, unitamente alla necessità di togliere alle quantificazione del valore di GSI la dose di soggettività implicita nel sistema, hanno portato Cai et al. allo sviluppo di un approccio più razionale alla determinazione di GSI basato appunto sul volume dei blocchi nell’ammasso Vb e sulle condizioni dei giunti jC, così come definiti da Palmström. Partendo dalla considerazione che spesso i giunti non sono continui ma isolati da ponti di roccia intatta e, conseguentemente, il volume apparente dei blocchi deve essere superiore m ammassi rocciosi caratterizzati da giunti non persistenti, gli autori propongono di calcolare il volume del blocco isolato da 3 sistemi di fratture dalla:

Vb = S1S2S3/3√p1p2p3

dove Si, come visto precedentemente, è la spaziatura della famiglia i e pi è un fattore di persistenza del giunto, funzione della lunghezza cumulata li lungo la linea di campionamento della famiglia i e della lunghezza totale di riferimento (lunghezza caratteristica) della linea di campionamento L, definito dalle espressioni:

se li  L → pi = 1

se li < L → pi = li/L

La condizione dei giunti jC viene definita dalla relazione:

jC = jR/jA

calcolando jR e jA in maniera identica a quanto proposto da Palmström con l’ausilio delle tavole viste in precedenza. Il valore di GSI viene quindi definito per mezzo del grafico di Hoek-Marinos (Fig. 1.52) modificato da Cai et al.

Fig. 1.52 – Abaco di Hoek-Marinos (GSI) modificato da Cai et al.

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