APPENDICE A  Petrografia Applicata

La petrografia applicata si pone quale obiettivo lo studio delle proprietà tecniche e delle caratteristiche di impiego delle rocce in quanto materiali da costruzione: tale studio deve condurre ad una scelta attenta e razionale del materiale più idoneo alla realizzazione della particolare opera o struttura in esame (rilevati, murate, barriere, sostegni etc.). Nella scelta, insieme al criterio tecnico, interviene anche, come in tutti i problemi ingegneristici, un criterio economico motivo per cui, in molti casi, si deve giungere ad un equilibrato compromesso tra le caratteristiche ideali richieste al materiale da destinarsi a quel particolare impiego e i materiali disponibili sul posto e/o a distanza ancora economicamente ammissibile.

In taluni casi la mancata disponibilità sul posto di materiali idonei condiziona in grado determinante la scelta della soluzione tecnica da adottarsi, quali, ad es., quelle opere che richiedono enormi cubature di materiali naturali (dighe etc.).

E a questo particolare proposito, non deve essere trascurato dal tecnico moderno l’utilizzo che, fin dai tempi più antichi, è stato fatto dei materiali naturali a disposizione (talora affidandosi all’intuito) perché dall’osservazione e dall’attento esame delle costruzioni antiche possono trarsi utilissime indicazioni su alcune caratteristiche di resistenza delle rocce che altrimenti potrebbero dedursi solo da lunghe e complesse prove e  analisi di laboratorio.

Nei paragrafi che seguono, in aggiunta a quanto già discusso nel capitolo attinente la Meccanica delle Rocce, verranno passate in rassegna le più significative e importanti caratteristiche fisiche nonché le principali proprietà meccaniche delle rocce, facendo seguire a tali note alcune brevi considerazioni sulle condizioni di giacimento e di sfruttamento oltre che da brevi richiami ai requisiti che le rocce devono presentare per i vari impieghi nell’Ingegneria Civile e quali prove e analisi occorra eseguire per accertarne l’idoneità.

A1 – Composizione mineralogica e struttura

Per una corretta interpretazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche delle rocce è indispensabile una perfetta conoscenza della costituzione mineralogica e delle caratteristiche strutturali di tali rocce.

Di conseguenza, qualsivoglia determinazione di caratteristiche fisiche o meccaniche deve essere accompagnata da un’accurata analisi petrografica mirante ad accertare:

–       principali minerali costituenti;

–       dimensioni e forma dei singoli costituenti;

–       grado di cristallizzazione;

–       presenza o meno di cemento;

–       costituzione del cemento;

–       eventuale orientamento preferenziale dei vari costituenti;

–       struttura e tessitura della roccia;

–       presenza di giunti o di litoclasi (ed eventuale grado di rjcementazione);

–       stato di freschezza dei vari minerali ed eventuali fenomeni di cataclasizzazione;

–       eventuale presenza di minerali di alterazione o di neoformazione;

–       tipo di porosità (dimensione e forma dei pori, caratteristiche dei pori di comunicazione, etc.).

Una particolare importanza deve essere attribuita agli indizi che denotano uno stadio più o meno avanzato di alterazione con la comparsa di minerali di neoformazione caratteristici (quali i minerali argillosi).

A questo proposito é opportuno rammentare che, tra i mille e più minerali conosciuti, una decina appena costituiscono oltre il 99% delle rocce della crosta terrestre e precisamente: quarzo, feldspati, miche, anfiboli, pirosseni, olivine, calcite, dolomite, minerali argillosi, ossidi di ferro.

Di questi i minerali degli ultimi due gruppi possono considerarsi come prodotti di alterazione degli altri (eccettuato il quarzo) e poiché la loro presenza può modificare sostanzialmente soprattutto le caratteristiche meccaniche delle rocce appare evidente l’importanza che deve essere attribuita alla loro identificazione nella interpretazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche delle rocce.

A1.1 – Peso specifico

Il peso specifico rappresenta il rapporto tra il peso e il volume della parte solida della roccia. Si determina sul materiale finemente polverizzato (per eliminare tutti gli eventuali pori isolati presenti) usando un picnometro.

Il peso specifico dei minerali più comuni presenti nelle rocce è, mediamente, il seguente:

quarzo                  2,65;

feldspati          2,6÷2,7;

miche                        3;

anfiboli                   3,2;

pirosseni                3,3;

olivine                    3,5;

calcite                  2,72;

dolomite               2,85;

minerali argillosi     2,6;

Poiché questi minerali costituiscono, come s’è già detto, circa il 99% di tutte le rocce si deduce che, in generale, il peso specifico delle rocce oscilla tra 2,7 e 3.

A1.2 – Peso di volume

Detto anche peso specifico apparente o densità apparente è il rapporto tra il peso della roccia e il suo volume (compresi i vuoti). Si determina su provini di forma geometrica regolare tenuti in stufa a 110°C fino a peso costante (Tabella in Fig. A1).

Fig. A1 – Pesi specifici apparenti delle rocce più diffuse.

In taluni casi, non potendo disporre di provini di forma geometrica regolare, il volume si può determinare su campioni completamente saturi d’acqua misurando il volume di acqua spostata in un recipiente graduato; in altri casi si può ricorrere alla preventiva immersione in paraffina che impedisce l’imbibizione del campione allorché lo si immerge in acqua per determinarne il volume.

A1.3 – Compattezza e porosità

Si definisce compattezza o grado di compattezza il rapporto tra il peso di volume e il peso specifico: è evidente che quanto più compatta è la roccia (cioè priva di vuoti) tanto più il peso di volume si avvicinerà al valore del peso specifico, per cui una roccia assolutamente priva di vuoti ha un grado di compattezza = 1.

In genere, tuttavia, anche le rocce più compatte presentano sempre una % di pori, per cui il grado di compattezza è, nella generalità dei casi, < 1.

Il complemento all’unità del grado di compattezza si definisce porosità totale e rappresenta il volume di tutti i pori, presenti nella roccia, come % del volume del campione.

Poiché nelle rocce possono esservi pori comunicanti con l’esterno e pori completamente isolati, è utile determinare la % di vuoti comunicanti con l’esterno definita come porosità apparente, da determinare saturando il campione con acqua distillata, sotto vuoto. Il volume di acqua distillata assorbita dalla roccia, rapportato al volume totale del campione, dà la porosità apparente.

A1.4 – Imbibizione

Si definisce coefficiente di imbibizione riferito al peso l’aumento % di peso che la roccia, presenta a seguito di prolungata immersione in acqua fino a peso costante: questo coefficiente è dato dal rapporto tra il peso di acqua assorbito dalla roccia e il peso dello stesso provino di roccia allo stato asciutto (Fig. A2).

Si definisce coefficiente di imbibizione riferito al volume la % di volume di roccia che viene riempita d’acqua a seguito di una prolungata immersione: tale coefficiente é dato dal rapporto tra il volume d’acqua assorbito e il volume totale della roccia (compresi i vuoti). E’ evidente che questo coefficiente non potrà mai essere maggiore della porosità totale della roccia ma, al più, potrà essere uguale alla porosità apparente: il rapporto tra questo coefficiente di imbibizione e la porosità totale si definisce grado di saturazione ed esprime la % dei vuoti presenti nella roccia che vengono riempiti dall’acqua di imbibizione. Se il grado di saturazione risulta = 1 significa che la roccia é stata completamente imbibita di acqua.

Fig. A2 – Coefficienti d’imbibizione (valori di riferimento).

A1.5 – Permeabilità

Nelle rocce può interessare la permeabilità all’aria e la permeabilità all’acqua.

Per valutare la permeabilità all’aria ci si può riferire alla porosità apparente e al coefficiente di imbibizione riferito al volume.

La permeabilità all’acqua si esprime in unità darcy o milidarcy (Fig. A3).

Fig. A3 – Permeabilità e Porosità di alcune rocce.

Una roccia porosa ha permeabilità di 1 darcy quando, per un fluido della viscosità di 1 centipoise (cP), il flusso volumetrico è di 1 cm3 al secondo, per cm2 di sezione, sotto un gradiente di pressione di 1 atm per ogni cm di percorso. La permeabilità può allora essere calcolata con la formula:

K = Q μ l/S t ΔP

dove K è la permeabilità in darcy; Q è (in cm3) la quantità di fluido, con viscosità μ (in centipoise), che passa nel tempo t (in s) attraverso un campione roccioso dello spessore l (in cm) e con sezione S (in cm2) sotto una differenza di pressione ΔP (in atm).

In termini di velocità di filtrazione 1 darcy equivale a 10-3 cm/s.

A1.6 – Resistenza alla compressione

La resistenza alla compressione di una roccia viene espressa dal carico unitario (kg/cm2) che provoca la rottura di un provino, di forma geometrica regolare, sottoposto a una sollecitazione di compressione normale con dilatazione laterale libera (Fig. A4).

I risultati di prove condotte su provini di una determinata forma e dimensione non possono essere paragonati ai risultati ottenuti su provini della stessa roccia ma di altre forme e dimensioni; tuttavia è da rilevare che per provini della stessa forma geometrica, ma di differenti dimensioni, gli scarti che si registrano nella resistenza sono all’incirca dello stesso ordine di grandezza degli scarti dovuti alle variazioni della roccia.

Più rilevante è invece l’influenza della diversa forma dei provini, del grado di esattezza nella lavorazione dei provini e anche della durata del carico e della velocità del suo incremento nonché del contenuto d’acqua. Tutto ciò comporta l’esigenza di normalizzare forma e dimensioni dei provini nonché le modalità di applicazione del carico e le condizioni del provino.

Normalmente i provini sono di forma cubica ma la difficoltà di ottenere provini con facce perfettamente piane e parallele fa sì che vada sempre più affermandosi la prassi di impiegare provini di forma cilindrica ai quali, di norma, si dà un’altezza L uguale al diametro D (Østandard = 42 mm). Poiché con il variare del rapporto L/D la resistenza della roccia varia (inversamente al rapporto L/D), per provini con L /D ≠ 1 si usa la seguente formula di conversione:

δN = (D)/[7+(2D/L)]

dove δD è la resistenza accertata nei provini con L/D ≠ 1 mentre δN è la resistenza del materiale in provini normalizzati.

Fig. A4 – Resistenza a compressione nelle rocce più diffuse.

Benché non vi siano dati sufficienti per stabilire precisi rapporti di proporzionalità tra la resistenza alla compressione e le principali caratteristiche fisiche delle rocce, si può tuttavia riconoscere che, di regola, sono più resistenti le rocce molto compatte (e quindi con elevato peso di volume, sonore alla percussione) a grana fine, a struttura uniforme, di colore scuro. In generale le rocce a struttura cristallina risultano più resistenti delle rocce a struttura clastica. Le rocce impregnate d’acqua si rivelano in genere meno resistenti di quando sono asciutte.

Anche la composizione mineralogica può influire sulla resistenza anche se in misura meno accentuata degli altri fattori già citati. Fra i componenti essenziali i silicati conferiscono più resistenza dei carbonati e questi dei solfati. Per le rocce a silicati è però fondamentale lo stato di alterazione: una spinta caolinizzazione dei feldspati, infatti, può compromettere gravemente la resistenza della roccia. La presenza di minerali argillosi, per conseguenza, si rivela sempre nociva per la resistenza. Notevole influenza sulla resistenza comporta infine la direzione dell’applicazione del carico rispetto alla giacitura originaria delle rocce o rispetto ad alcune caratteristiche strutturali quali, ad es., la scistosità. Quanto detto in precedenza è valido per tutti i tipi di resistenze di cui si tratterà nel seguito.

A1.7 – Resistenza al taglio

La resistenza al taglio (definibile anche come resistenza allo scorrimento) esprime la coesione della roccia in condizioni di carico normale nullo (Figg. A5 e A6).

Fig. A5 – Resistenza al Taglio, angoli e coefficienti di attrito delle rocce più diffuse.

Fig. A6 – Carichi di rottura al taglio entro cubetti (kg/cm2).

Essa si determina sottoponendo un provino parallelepipedo, bloccato ad un’estremità, a un carico uniformemente distribuito lungo una retta per tutta la larghezza del provino e applicato in corrispondenza dell’incastro in modo da dividere il provino in 2 parti secondo una superficie comprendente il piano di azione della forza (Fig. A7). La resistenza al taglio r è data, in questo caso, dalla:

r = P/BH

dove P è il carico di rottura mentre B e H sono, rispettivamente la larghezza e l’altezza del provino.

Questa prova, che si potrebbe definire prova di taglio puro è però poco esatta perché, in effetti, non si può evitare una componente di sollecitazione a flessione.

Altro tipo di prova di taglio puro è quella che si esegue su provini cilindrici secondo lo schema in Fig. A7: la resistenza al taglio è data da:

r = 2P/πD2

dove P è il carico di rottura e D il diametro del provino.

Fig. A7 – Alcuni schemi di prove di resistenza al taglio puro: a,b,c sono provini parallelepipedi sollecitati al taglio lungo una o due superfici; d è un provino cilindrico sollecitato al taglio lungo due superfici; e ed f sono provini sagomati in forme speciali.

Ma anche questo tipo di prova presenta notevoli inconvenienti esecutivi che la rendono poco attendibile perché e difficile adattare scorrevolmente, ma nel contempo esattamente, il provino cilindrico nei due supporti laterali e nel pezzo centrale che deve trasmettere il carico.

Si ricorre così a prove nelle quali la sollecitazione al taglio è accoppiata a una sollecitazione di compressione, oppure alla classica prova di compressione triassiale con le quali si ottiene la curva intrinseca del materiale che consente di determinare la coesione (e quindi la resistenza al taglio) e l’angolo di attrito interno alla roccia.

Tra le prove di resistenza al taglio accoppiata a una sollecitazione di compressione, oltre agli apparecchi ispirati alla scatola di Casagrande, si può ricordare, per la sua semplicità esecutiva, quella proposta da Fisenko e schematizzata in Fig. A8.

Fig. A8 – Prova di resistenza al taglio accoppiata a una sollecitazione normale (Fisenko).

Tale prova, eseguibile tanto su provini di forma geometrica regolare (ad es. parallelepipedi o cilindrici) quanto su provini di forma irregolare, la sollecitazione normale sull’area di taglio è data da δ = P sinα/A , mentre la resistenza al taglio, sotto questa sollecitazione normale, é data da r = P cosα/A (in cui P é il carico di rottura, A la sezione di taglio ed α l’angolo che la direzione di applicazione del carico fa compone col piano di taglio).

In questa prova, facendo variare opportunamente l’angolo a si possono ottenere diversi valori di resistenza al taglio (in funzione della sollecitazione normale) e quindi si può ricostruire la curva intrinseca del materiale.

Nelle rocce la resistenza al taglio è sempre molto bassa rispetto a quella a compressione: in genere vale 1/10 ÷ 1/15 di quest’ultima.

A parità di altre condizioni di compattezza, stato di cristallinità o di cementazione, essa è particolarmente influenzata dalla direzione della sollecitazione rispetto a eventuali particolarità strutturali quali la stratificazione o la scistosità.

A1.8 –  Resistenza alla flessione

La resistenza alla flessione si determina caricando in mezzeria una lastra della roccia (di larghezza b e di spessore h) appoggiata alle estremità su due coltelli a spigoli arrotondati (distanti tra loro l), con un carico P che ne provochi la rottura.

La resistenza alla flessione δf è data dalla δf = 3Pl/2bh2.

Le caratteristiche fisiche della roccia che maggiormente influiscono sulla resistenza alla flessione sono praticamente le medesime che influenzano la resistenza al taglio mentre tra le due resistenze si può altresì notare che, in genere, si riscontrano lievi differenze che rientrano tra gli scarti rilevati nei due tipi di prove su più provini della stessa roccia (Fig. A9)

Fig. A9 – Carico di rottura a flessione (kgP/cm2) secondo Stöcke.

A1.9 – Resistenza alla trazione

Per determinarla si opera su provini sagomati in forma particolare che vengono posti fra le ganasce di una macchina che genera uno sforzo crescente di trazione fino alla rottura del provino.

La resistenza alla trazione è data da δtr = P/A, dove P è il carico di rottura ed A l’area della superficie di rottura).

Le difficoltà esecutive di questa prova, connesse soprattutto alla preparazione dei provini e alle modalità d’applicazione dello sforzo di trazione, nonché le incertezze derivanti dalla possibile presenza nella roccia di piani preferenziali di minor resistenza capricciosamente orientati rispetto alla direzione dello sforzo, hanno fatto in modo che questa prova venisse generalmente sostituita da una prova di sollecitazione a trazione indiretta conosciuta anche come prova Brasiliana.

Fig. A10 – Schema della prova di resistenza a trazione indiretta detta “prova brasiliana”.

Questa prova si effettua su provini cilindrici (di altezza L e diametro D ) che vengono sollecitati a compressione lungo una generatrice in modo da generare una sollecitazione uniforme di trazione in corrispondenza di un piano diametrale (Fig. A10).

In tal caso la resistenza alla trazione è data dalla relazione: δtr = 2P/πLD.

Questa proprietà meccanica può essere notevolmente influenzata dalla costituzione mineralogica, dalla grana, dalla struttura e dalla direzione dell’applicazione dello sforzo rispetto ad un’eventuale tessitura orientata della roccia (Figg. A11 e A12).

Sulla base dei dati sperimentali raccolti da diversi ricercatori e riferiti alle varie resistenze di cui si è fatto cenno finora, emergono i seguenti rapporti tra la resistenza alla compressione e le altre resistenze, per alcuni tipi di rocce più diffuse:

Fig. A11 – Resistenza a trazione delle rocce più diffuse.

Fig. A12 – Resistenza alla compressione ed alla trazione di alcune rocce più diffuse.

A1.10 – Tenacità e resistenza all’urto

La tenacità di una roccia è la resistenza che essa oppone a lasciarsi rompere sotto l’azione di carichi dinamici quali, ad es., i colpi di un martello o qualsiasi urto: la si definisce pertanto anche come resistenza all’urto. Le rocce che offrono una debole resistenza all’urto si dicono fragili: queste rocce però possono presentare una elevata resistenza a carichi statici o progressivamente crescenti. La tenacità, quindi, è da tenersi ben distinta dalla resistenza alla compressione (Fig. A13).

Fig. A13 – Scala delle Tenacità delle rocce più diffuse. Nella 1a colonna è indicata la tenacità rispetto al valore unitario del calcare; nella 2a colonna è indicato il lavoro occorrente alla rottura riferito all’unità di superficie battuta.

La tenacità di una roccia dipende essenzialmente dalla sua struttura: più questa è microcristallina, più la roccia è tenace.

In alcune rocce ignee effusive la fragilità può dipendere dalla presenza di  un’abbondante matrice vetrosa che denota un raffreddamento piuttosto brusco con conseguenti tensioni interne.

La tenacità è un requisito costruttorio molto importante in manufatti sottoposti a urti frequenti o accidentali come le costruzioni marittime e fluviali, le pavimentazioni stradali di lastre o cubetti e soprattutto il ballast ferroviario soggetto agli urti veloci e violenti dei treni in corsa.

Per stabilire la tenacità di una roccia vi sono diversi tipi di prove tra le quali la più usuale è quella di sottoporre la roccia, sotto forma di lastra, poggiante su un letto di sabbia, alla caduta di un peso da un’altezza crescente fino a ottenere la rottura. Il lavoro o prodotto hP dell’altezza di caduta h (in m) per il peso P del corpo battente (in kg) viene assunto come coefficiente di rottura per urto.

A1.11 – Proprietà e costanti elastiche delle rocce

Come è noto, l’elasticità è la proprietà  di un materiale nel quale ogni deformazione indotta da una qualsiasi sollecitazione viene a essere istantaneamente e totalmente recuperata al cessare della sollecitazione (Fig. A14). In un mezzo elastico la deformazione è direttamente proporzionale alla sollecitazione secondo la legge di Hooke E = δ/ε dove δ è la sollecitazione normale unitaria, ε è la deformazione longitudinale unitaria ed E la costante definita modulo di elasticità (o modulo di Young).

Il limite di deformazione elastica ε4 di un mezzo elastico costituisce il punto di rottura e rappresenta la resistenza S del materiale.

La legge di Hooke ha validità anche nel caso di una deformazione provocata da una pressione idrostatica o di una deformazione dovuta a una sollecitazione di taglio e in questi casi si hanno altre due costanti elastiche: il modulo di compressibilità volumetrica (o semplicemente compressibilità) K e il modulo di rigidità (o modulo di elasticità tangenziale) G.

K = δP/δV                    G = τ/γ

dove δP rappresenta la variazione unitaria nella pressione idrostatica che determina il cambiamento unitario di volume δV e τ la sollecitazione unitaria di taglio che provoca la deformazione γ = tgψ (con ψ angolo di deformazione).

Un’altra importante costante elastica, come visto, è il coefficiente di Poisson μ :

μ = –εx/ε

dove ε sta a indicare la deformazione trasversale unitaria.

Come ultima costante elastica vi è da ricordare, infine, la costante di Lamé λ:

λ = (2μG)/(1-2μ)

L’elasticità di un corpo dipende soprattutto da 3 fattori: isotropia, omogeneità e continuità.

Per isotropia si intende, come visto, l’uguaglianza delle proprietà vettoriali di un corpo lungo tutte le direzioni; per omogeneità si intende una distribuzione spaziale uniforme dei vari costituenti del corpo nella sua struttura interna; per continuità s’intende l’assenza d’interruzioni nei legami che uniscono tra loro i diversi costituenti del corpo.

Da ciò si deduce che l’elasticità non può essere che una schematizzazione teorica in quanto nessun corpo reale può rispondere ai requisiti richiesti di isotropia, omogeneità e continuità; le rocce in particolare, in quanto costituite da elementi allo stato cristallino (e quindi per definizione anisotropi almeno per alcune delle proprietà vettoriali) con una distribuzione raramente uniforme in tutta la massa e, soprattutto, con frequenti soluzioni di continuità, solo eccezionalmente possono considerarsi un mezzo elastico, sia pure in via di larga approssimazione.

Nei corpi reali ogni deformazione provoca nel loro interno un assestamento strutturale che è irreversibile motivo per cui non può esservi un recupero istantaneo e totale della deformazione al cessare della sollecitazione. Ciò si rivela valido soprattutto per le rocce. Tuttavia questa schematizzazione teorica può mantenere una sua validità reale se considerata entro certi limiti di intensità e di durata dell’applicazione della sollecitazione; limiti, comunque, più o meno ampi a seconda di quanto un corpo reale sia assimilabile più o meno al corpo elastico ideale.

Fig. A14 – Modulo di Elasticità (Ei) e coefficiente di Poisson μ per alcune tipologie di rocce.

Così anche alcune rocce, specialmente se sotto carichi modesti, possono presentare proprietà elastiche. Ovviamente le più elastiche saranno le rocce a grana fine, uniformi e compatte, quali, ad es., alcuni tipi di rocce effusive, alcuni porfidi e alcune rocce metamorfiche massicce e a grana fine quali i marmi saccaroidi.

Queste rocce si avvicinano sotto molti aspetti alle proprietà di un materiale elastico fragile che presenta una curva sforzi/deformazioni quasi rettilinea fino al punto di rottura e possono, in questo modo, essere definite come rocce quasi-elastiche (Fig. A15a).

Meno elastiche sono da considerare, invece, le rocce ignee intrusive e le rocce sedimentarie a grana fine e compatta, con una buona coesione e con bassa porosità, che presentano una curva sforzi/deformazioni la cui pendenza diminuisce con l’aumentare della sollecitazione e che vengono definite rocce semi-elastiche (Fig. A15b). Una terza categoria comprende, infine, le rocce meno coesive e con forte porosità, tra le quali gran parte delle rocce sedimentarie, che sono da definirsi nettamente come rocce non-elastiche e che presentano una curva sforzi/deformazioni con un tratto iniziale nel quale la pendenza aumenta con l’aumentare della sollecitazione (fatto che sottintende un’azione di costipamento e di serraggio dei giunti), al quale segue un tratto ad andamento quasi rettilineo (Fig. A15c).

Fig. A15 – Moduli schematici delle curve sollecitazioni/deformazioni per tipi differenti di rocce (a rocce quasi-elastiche; b rocce semi-elastiche; c rocce non-elastiche.)

Le caratteristiche più salienti del rapporto sollecitazioni/deformazioni in una roccia dotata di una certa elasticità possono essere generalizzate nella forma di una curva con un tratto iniziale quasi rettilineo di massima pendenza al quale segue un tratto con pendenza decrescente con l’aumentare della sollecitazione, fino a raggiungere il punto di rottura (Fig. A16).

Fig. A16 – Andamento di massima delle curva sollecitazioni/deformazioni in una roccia con caratteristiche elastiche con indicazione dei differenti moduli di elasticità

La differenza tra le rocce quasi-elastiche e le rocce semi-elastiche sta nella estensione del tratto di curva a pendenza decrescente.

In una curva del genere emerge la difficoltà di valutare in modo soddisfacente il modulo di elasticità. Questo può essere valutato in 3 modi,e precisamente:

–       come modulo secante (ES) a un tratto particolare della curva, che esprime un valore medio di E al di sotto di un determinato limite di sollecitazione;

–       come modulo tangente (ET) a un particolare punto della curva, che esprime un valore apparente di E ad una determinata sollecitazione;

–       come modulo tangente iniziale (Ei),cioè la pendenza della linea tangente alla curva e passante per l’origine, che esprime il valore di E sotto carico nullo.

I valori di E di una roccia, valutati con questi 3 criteri, possono divergere tra loro molto di più del 100÷50%; per questo motivo come modulo di elasticità di una roccia si assume normalmente il modulo tangente iniziale (Ei) che è il più elevato ma anche quello ottenuto con maggior precisione. Il modulo tangente ad un particolare punto di sollecitazione può divergere del 100÷50% da tale valore a seconda del tipo di roccia e delle condizioni di carico, mentre il modulo secante ai punto di rottura può divergere del 90÷50% dal modulo tangente iniziale, a seconda del tipo di roccia.

Così per una roccia a grana fine, quasi-elastica, ES = ET = 0,9 Ei mentre per una roccia non elastica, a grana grossolana, ET = 0,9 Ei per carichi statici leggeri, ET = 0,8 Ei . per carichi prossimi

al limite di rottura ed ES = 0,5 Ei al punto di rottura.

Per definire elasticamente qualsiasi materiale, sono allora sufficienti 2 delle 5 costanti elastiche precedentemente definite: nella pratica, tuttavia, le costanti elastiche più comunemente richieste sono E e μ dalle quali possono essere ricavate agevolmente le altre costanti elastiche.

Nella eventualità, poco frequente, che sia richiesta una determinazione diretta di Gλ o K , si può far ricorso a prove di taglio e a prove triassiali.

Alcuni valori di E e di μ, unitamente ad altre parametrazioni per diversi tipi di roccia, sono riportati nelle tabelle di Fig. A18 e in fine Appendice.

I 3 tipi di roccia in precedenza definiti in termini della loro relativa elasticità come quasi, semi e non-elastici possono anche essere grossolanamente definiti in termini del loro modulo di elasticità. Così una roccia quasi-elastica può avere un valore E entro 6÷11 105 kgP/cm2 , una roccia semi-elastica entro 4÷7 105kgP/cm2, una roccia non-elastica < 5 105 kgP/cm2.

I valori stimati in ciascun caso si riferiscono al modulo tangente iniziale.

L’analisi dei rapporti di E con μ e con le altre costanti elastiche, nonché con alcune caratteristiche fisiche e meccaniche delle rocce, ha condotto a riconoscere una proporzionalità lineare diretta tra il modulo di elasticità E e il modulo di rigidità G e tra il modulo di elasticità e la resistenza alla compressione di una roccia nonché tra E e la densità apparente della roccia.

Il rapporto lineare tra E e G (Fig. A17c), nella forma approssimata E = 2,5 G , porta a dedurre un valore costante di μ = 0,25 in quanto G =E/2(1+μ)

Fig. A17 – Rapporti di proporzionalità tra il modulo di elasticità E e il coefficiente di Poisson; tra E e peso di volume; tra E e modulo di rigidità e tra E e la resistenza a compressione nelle rocce.

Il diagramma relativo ai rapporti tra E e μ (Fig. A17a) mostra che il valore costante di μ = 0,25 è in effetti quasi raggiunto in rocce con alto modulo di elasticità, mentre per valori bassi di E si ha una notevole dispersione dei valori di μ; ma d’altro canto in quest’ultimo caso non si può più parlare di rocce elastiche, per cui la prassi normalmente seguita di adottare per il coefficiente di Poisson delle rocce (con proprietà elastiche) il valore costante di 0,25, indipendentemente da E, trova la sua valida giustificazione.

Il rapporto di proporzionalità lineare tra il modulo di elasticità E e la resistenza alla compressione delle rocce (Fig. A17d) che assume la forma approssimata E= 350 SC (da cui G = 140 SC) sta a significare che la resistenza della roccia è da mettersi in relazione con i fattori che influenzano direttamente i valori di E e cioè, soprattutto, con la struttura interna della roccia.

Infine il rapporto di proporzionalità quasi lineare riscontrato tra il modulo E e la densità apparente delle rocce (Fig. A17b) porta alla conclusione che, poiché la maggior parte dei minerali più comuni costituenti le rocce hanno pesi specifici abbastanza simili, le proprietà elastiche di una roccia sono influenzate in modo prevalente dal grado di compattezza della roccia. La densità apparente (peso di volume ρ) di una roccia potrebbe pertanto essere usata per ricavare un valore approssimato di E e a tal fine e stata proposta la relazione empirica:

E = 0,9 (ρ -2,1)106 kgP /cm2

Il grado di approssimazione di tale relazione è stato osservato entro il termine ± 15%, più che sufficiente per l’utilizzo in calcoli di massima.

A1.12 – Durezza

La durezza è una caratteristica delle rocce che genera sovente, nel linguaggio della pratica, molte confusioni e ambiguità dipendenti soprattutto dal fatto che come durezza sono definite diverse proprietà che non sempre una roccia presenta nel medesimo grado.

La durezza può così significare resistenza a lasciarsi incidere, logorare, tagliare, perforare etc. Queste resistenze sono dovute alla natura mineralogica, alla compattezza, alla grana, alla tessitura, allo stato di freschezza o di alterazione, al grado di cementazione, ma questi fattori in alcuni casi rivelano una influenza preponderante, in altri no, e non esiste quindi una relazione fissa tra queste resistenze; ne consegue, pertanto, che le determinazioni effettuate con sistemi diversi non sono fra loro paragonabili; in altri termini le stesse rappresentano forme differenti di durezza. Nel caso delle rocce composte da più minerali non si può parlare della durezza come quella proprietà di opporre una determinata resistenza alla scalfittura. Solo nelle rocce monomineraliche e compatte la scala empirica delle durezze, stabilita da Mohs, può ancora essere di una certa utilità.

La. durezza, in una roccia composta da più minerali, acquista un significato più vasto e, in genere, nel campo pratico delle costruzioni, la si può definire come quella proprietà che hanno le rocce di presentare una certa resistenza a quel complesso di azioni meccaniche dovute allo sfregamento e all’attrito.

Per stabilire allora una certa scala, sia pure approssimata, che indichi la durezza delle varie rocce si deve ricorrere a diverse caratteristiche pratiche e si parlerà pertanto di segabilitàlogorabilitàperforabilità etc.

In base alla segabilità le rocce vengono classificate in teneresemiduredure e durissime a seconda che si possono tagliare con una sega a denti (ad es. tufi, calcarei o vulcanici) o con una sega liscia e smeriglio (ad es. serpentiniti e marmi) oppure con una sega liscia e polvere di carborundo (ad es. porfidi e graniti) o di diamante.

La logorabilità è la proprietà che hanno le rocce di consumarsi più o meno rapidamente a causa di una qualsiasi azione meccanica che produca sfregamento. Per determinare la logorabilità delle rocce si possono adottare diversi tipi di prove che agiscono sulle rocce in condizioni differenti, ponendo quindi in risalto proprietà differenti che possono essere richieste per particolari impieghi delle rocce. Le prove più comuni sono: la prova di usura per attrito radente, la prova di usura per rotolamento, la prova di usura al getto di sabbia.

L’usura per attrito radente si determina con un dispositivo particolare (tribometro) misurando lo spessore di strato abraso(oppure la perdita percentuale in peso o in volume) da un provino parallelepipedo premuto con una stabilita pressione, e per un tempo ben definito, contro un disco metallico rotante a una determinata velocità e cosparso di un abrasivo standard, eventualmente in sospensione in acqua o olio. Questa prova si esegue soprattutto per giudicare l’idoneità delle rocce a essere impiegate, in lastre o cubetti, per pavimentazioni stradali o di ambienti coperti.

La prova di usura per rotolamento si esegue impiegando un determinato quantitativo di pietrisco, di definita granulometria, che viene posto in un cilindro ruotante a una certa velocità intorno a un asse obliquo, e determinando la perdita in peso dopo uno stabilito numero di giri, previa stacciatura, lavatura ed essiccamento. Questa prova serve soprattutto a determinare l’attitudine dei pietrischi all’impiego per massicciate stradali e per ballast ferroviari.

La prova di usura al getto di sabbia si esegue sulla faccia spianata di un provino (protetta parzialmente da uno schermo circolare) che viene esposta, per un tempo stabilito, al getto, in aria compressa a una definita pressione, di una sabbia abrasiva di granulometria prestabilita. In questa prova si determina la profondità dello stato abraso oppure la perdita %in peso, ma è soprattutto importante l’esame della superficie attaccata: questa prova infatti è soprattutto utile per giudicare la resistenza delle rocce agli agenti atmosferici (→durevolezza) poiché pone molto bene in vista eterogeneità, discontinuità e difetti occulti che possono pregiudicare gravemente la durevolezza di una roccia.

La perforabilità o resistenza alla perforazione si determina registrando la velocità di penetrazione nella roccia di una punta speciale ruotante a una data velocità e caricata da un peso prefissato. Questa prova può essere utile per valutare il costo dei fori da mina nell’abbattimento delle rocce per mezzo di esplosivi.

Per le rocce più comuni, purché assolutamente inalterate, tutte le prove di resistenza prima descritte concordano, in linea di massima, nello stabilire la seguente graduatoria di resistenza in ordine decrescente: porfidi quarziferi, quarziti, dioriti, graniti, arenarie silicee, sieniti, gabbri, basalti, gneiss, andesiti, tefriti, trachiti, calcari, arenarie e brecciole calcaree.

A1.13 – Durevolezza e gelività

La durevolezza é la resistenza opposta dalle rocce alle azioni degli agenti atmosferici che tendono ad alterarle o a disgregarle. La durevolezza delle rocce dipende da svariati fattori, alcuni strettamente connessi alla natura stessa delle rocce, e che è quindi possibile definire intrinseci; altri invece completamente indipendenti dalle rocce e cioè estrinseci.

La costituzione mineralogica é il primo fattore intrinseco da considerarsi e a tal proposito vanno tenuti presenti non solo i costituenti essenziali ma anche i componenti secondari e accessori.

I minerali più comuni possono così enumerarsi in ordine crescente di durevolezza: minerali argillosi, solfuri e ossidi metallici, solfati anidri, solfati idrati, silicati di calcio e ferro, silicati alcalini e di magnesio, carbonati, sostanze vetrose, quarzo.

L’influenza della struttura é in taluni casi più rilevante della composizione e, a questo riguardo, la struttura più favorevole alla durevolezza è quella criptocristallina, uniforme, omogenea e, soprattutto, compatta.

Tra i fattori estrinseci vanno considerati: le condizioni climatiche, l’esposizione rispetto ai punti cardinali e alla direzione dei venti prevalenti, la forma e il grado di lavorazione delle pietre, la posizione delle pietre nel manufatto (se al coperto o allo scoperto; se fuoriterra o entroterra e, in questo caso, se in presenza di falda idrica o meno; se a contatto di altre rocce degradabili etc.).

Tra tutti questi fattori estrinseci, influenza fondamentale ha il clima. Un clima umido con frequenti nebbie, piogge e geli, e specialmente con frequenti alternanze di umidità e sbalzi di temperatura, è estremamente sfavorevole alla durevolezza.

Il contrario può dirsi di un clima secco, poco piovoso, senza nebbie e geli, e soprattutto costante. Condizioni particolarmente sfavorevoli sono determinate dalla presenza nell’atmosfera di gas e sostanze aggressive (anidride solforosa, acido solforico, ammoniaca, acido cloridrico, sostanze carboniose incombuste etc.) provenienti da fumi di impianti industriali o domestici. Tra le condizioni climatiche sfavorevoli va anche tenuta presente l’esposizione ai venti marini carichi di salsedine che su alcune rocce (soprattutto calcari, tufi, arenarie etc.) può determinare fenomeni accelerati di degradazione chimica.

Uno dei processi disgregatori più pericolosi, perché molto rapido e agente in profondità nelle rocce, è quello esplicato dall’azione del gelo cioè dell’acqua di impregnazione che, per un forte abbassamento della temperatura, si consolida in ghiaccio e dilatandosi esercita contro le pareti dei pori uno sforzo che può vincere la coesione della roccia già diminuita dall’umidità. Le rocce che risentono di questa azione si dicono gelive. Per accertare la gelività delle rocce vi sono prove normalizzate che consistono nel determinare la resistenza alla compressione di un certo numero di provini di roccia previamente impregnati d’acqua fino a saturazione e quindi sottoposti a stabiliti cicli di congelamento e scongelamento (in natura gelo-disgelo) a temperature prefissate. Se la resistenza alla compressione di questi provini risulta inferiore di una determinata % alla resistenza di altri provini della stessa roccia sottoposti soltanto alla semplice saturazione in acqua, il materiale si definisce gelivo.

Da quanto detto in precedenza risulta evidente che, per l’estrema variabilità dei numerosi fattori in gioco, la definizione della durevolezza di una roccia è quanto mai complessa e che ad essa si può giungere soltanto attraverso l’analisi critica dei risultati di numerose prove e determinazioni.

Per formulare un giudizio sulla durevolezza di una roccia si ritiene opportuno eseguire i seguenti accertamenti: studio mineralogico, determinazione della porosità e del coefficiente d’imbibizione, prova di resistenza al taglio, prova di resistenza alla trazione (prima e dopo immersione in acqua), prova di usura al getto di sabbia, prova di gelività.  Molto utile può risultare anche la prova di colorazione che si realizza mediante immersione (eventualmente sotto vuoto) fino a saturazione in una soluzione colorante particolarmente fluida (ad es. una soluzione di nigrosina in alcool): dopo essiccamento i provini vengono spaccati e si può così accertare la presenza di eventuali discontinuità capillari, di alterazioni diffuse o localizzate o di altri vizi occulti. Utili indicazioni si possono infine trarre dall’esame geologico della cava specialmente nei punti dove la roccia è rimasta più a lunga esposta agli agenti atmosferici.

In qualche caso può essere necessario intervenire per arrestare un processo di disgregazione e di degradazione di pietre di edifici o monumenti antichi: vi sono attualmente diverse tecniche a disposizione tutte basate sulla aspersione o iniezione di speciali miscele fluide, per lo più a base di silicati o resine organiche, che impregnando la roccia o rivestendola di una patina protettiva le conferiscono una migliore resistenza agli agenti atmosferici.

A1.14 – Condizioni di giacitura e di estrazione

La conoscenza delle caratteristiche fisiche e meccaniche delle rocce, accertate attraverso analisi e prove di laboratorio, è necessaria ma non sufficiente a stabilire la convenienza e la possibilità di impiego di un certo materiale roccioso per l’uso desiderato. Ancora prima di procedere a queste prove e analisi è infatti necessario conoscere altri elementi di giudizio che possono condizionare l’utilizzazione del materiale roccioso e precisamente: le condizioni di giacitura dell’ammasso roccioso; la cubatura disponibile; la % di materiali di scarto; le dimensioni dei blocchi estraibili. Questi dati si possono ottenere soltanto attraverso un accurato rilevamento topografico e geologico del giacimento roccioso, integrato da un’attenta campionatura da effettuarsi mediante sbancamenti, scavi e sondaggi.

Si potrà così accertare se l’ammasso roccioso può essere coltivato a cielo aperto o mediante scavi in sotterraneo: è evidente che nel secondo caso i costi di estrazione sono molto più elevati e pertanto solo in casi eccezionali si ricorre alla coltivazione in sotterraneo per l’estrazione di pietre da costruzione.

Dallo studio della campionatura e della % di carotaggio è possibile stabilire la cubatura di materiale utile disponibile nonché la % di materiali di scarto e le dimensioni dei blocchi estraibili. Quest’ultimo elemento può assume- re un’importanza decisiva nella scelta dell’ammasso da coltivare perché in molti casi si richiedono blocchi di dimensioni rilevanti che possono essere ricavati soltanto da ammassi rocciosi particolarmente integri e continui; in altri casi una divisibilità preferenziale (per piani di stratificazione, di scistosità o per fessurazioni) può rendere conveniente la coltivazione di una roccia piuttosto che di un’altra (richiesta di materiali in lastre, blocchi, cubetti etc.).

A1.15 – Principali impieghi delle rocce nelle costruzioni e requisiti richiesti

Si elencano qui di seguito i principali impieghi ai quali possono essere destinate le rocce, come materiale da costruzione nell’Ingegneria Civile, indicando per ciascun impiego i requisiti fondamentali che una roccia deve possedere per poter essere giudicata idonea, e segnalando altresì, quando non lo siano di immediata deduzione, le prove e le analisi necessario ad accertare tali requisiti. In linea generale i dati di base, indispensabili per qualsiasi giudizio di idoneità, sono costituiti dall’analisi petrografica e dalle caratteristiche fisiche principali (peso di volume, grado di compattezza, coefficiente di imbibizione): una roccia costituita da materiali non alterati, non cataclasati e non facilmente solubili e che presenti un elevato peso di volume, un alto grado di compattezza e un basso coefficiente di imbibizione è quasi certamente una roccia con elevate proprietà meccaniche.

 

Fig. A18ab – Caratteristiche principali delle rocce secondo le diverse proprietà.

A1.15.1 – Materiali per inerti di calcestruzzi e malte

Si possono impiegare ghiaie e sabbie naturali o il prodotto di frantumazione artificiale di pietre (o ciottoli) purché costituite da rocce integre (non decomposte, né cataclasate), non gelive, non facilmente solubili (ad es. gessose), prive di sostanze organiche o argillose, con buona resistenza alla compressione. Per accertarne l’idoneità (a prescindere dallo studio della granulometria più indicata) basta eseguire l’analisi petrografica, la determinazione del grado di compattezza e la prova di gelività. Per le sabbie naturali è sufficiente l’analisi mineralogica.

A1.15.2 – Materiali per murature ordinarie

Per murature entroterra si richiedono rocce molto compatte, integre, con alta resistenza meccanica; per murature fuoriterra sono preferibili le rocce con buona resistenza meccanica ma con discreta porosità e quindi con limitato peso di volume (tali rocce, tuttavia, richiedono quasi sempre un intonaco protettivo).

 

Fig. Fig. A18c – Caratteristiche principali delle rocce secondo le diverse proprietà.

A1.15.3 – Materiali per murature o strutture di pietra da taglio

Si richiedono rocce con requisiti di alta qualità (ossia con elevata durevolezza) ma che nel contempo presentino una buona lavorabilità. Per accertare l’idoneità occorre, di conseguenza, eseguire tutte le prove e analisi atte a valutare la durevolezza della roccia; è inoltre utile l’attento esame della cava per giudicare le condizioni di estrazione con particolare riguardo alle dimensioni dei blocchi estraibili e alla suddivisibilità per eventuale presenza di piani di discontinuità o di divisibilità preferenziale.

Nel caso infine che siano destinate a essere messe in opera in strutture speciali sottoposte a particolari sollecitazioni o logorii (ad es. strutture a mensola, balconi, soglie tracimabili etc.), vanno accertate le proprietà meccaniche relative (ad es. resistenza all’urto, alla flessione, all’usura per attrito radente etc.).

A1.15.4 – Materiali per rivestimenti di strutture in elevazione

Si richiedono rocce durevoli, con una buona suddivisibilità in lastre, eventualmente lucidabili e con una buona resistenza alla flessione. Alle prove atte ad accertare la durevolezza va quindi aggiunta la prova di resistenza alla flessione e un attento esame delle condizioni di giacitura.

A1.15.5 – Materiali per pavimentazioni di interni

Si richiedono rocce integre, con buona suddivisibilità in lastre, lucidabili, resistenti alla flessione e all’urto e con buona resistenza all’usura per attrito radente.

A1.15.6 – Materiali per coperture

Si richiedono rocce con spiccata suddivisibilità in lastre sottili, resistenti alla flessione, impermeabili, non gelive, preferibilmente non molto pesanti.

A1.15.7 – Materiali per pavimentazioni stradali

Si richiedono rocce tenaci, durevoli, resistenti all’usura per attrito radente, con composizione polimineralica e a grana media (per conservare una superficie scabra).

A1.15.8 – Materiali per massicciate stradali

Si richiedono particolari requisiti di granulometria (nel campo delle ghiaie con limitata frazione sabbiosa) e di composizione, con preferenza per le rocce dotate di potere autolegante e con l’esclusione di elementi provenienti da rocce profondamente alterate chimicamente oppure facilmente solubili o disgregabili. Tra le prove utili si possono annoverare: la determinazione del peso di volume e del grado di compattezza, la prova di gelività, la prova di usura al rotolamento (coefficiente di qualità).

A1.15.9 – Materiali per massicciate ferroviarie

Si richiedono rocce molto tenaci, con spiccata durevolezza, con elevata resistenza alla compressione e all’usura per rotolamento, molto compatte e pesanti, non gelive.

A1.15.10 – Materiali per scogliere

Si richiedono rocce molto compatte, con elevato peso di volume, in grossi blocchi integri, molto resistenti all’urto nonché all’abrasione e all’azione degradatrice della acqua salata (nel caso di scogliere a mare). E’ fondamentale l’esame della cava per giudicare le condizioni di giacitura e le dimensioni dei blocchi estraibili.

A2 – Tabelle Operative per Materiali Lapidei Naturali

Fig. A19 – Pesi di volume e Porosità per diverse tipologie di rocce.

Fig. A20 – Resistenza a Compressione semplice e a Trazione per diverse tipologie di rocce.

Fig. A21 – Classificazione delle rocce basata sul modulo relativo E/σC (ossia tra modulo di elasticità E e resistenza alla compressione semplice σC). Vengono stabilite 3 categorie in funzione del modulo relativo: elevato, medio (200÷500) e basso.

Fig. A22 – Stima e Classificazione della Resistenza a Compressione semplice dei terreni e delle rocce a partire da verifiche speditive di campagna.

Fig. A23 – Influenza della Litologia nel comportamento geotecnica del terreno.

Fig. A24 – Indice dei Vuoti, Porosità e Peso di Volume di terre tipiche.

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