10 – Stabilità dei versanti

Lo studio dei fenomeni di movimento entro e lungo i versanti rappresenta, nell’ambito geotecnico, una delle problematiche più articolate e complesse nelle quali gioca un ruolo decisivo, per l’esatta comprensione dell’evento, la piena collaborazione fra l’operatore del rilievo (in genere il geologo-tecnico supportato da strumentazione di campagna, laboratorio-prove e rete di monitoraggio) e l’operatore di modello (in genere l’ingegnere, supportato da strumenti informatico-analitici mirati) ognuno per le rispettive competenze.

Nel presente capitolo viene descritto, sulla base delle classificazioni IAEG, l’intero (o quasi) panorama delle fenomenologie del dissesto unitamente ai moduli più significativi di riferimento e calcolo per l’interpretazione e la prevenzione degli eventi.

11.1 – Criteri di classificazione

I criteri utilizzati nel presente capitolo per classificare i movimenti di versante (frane) sono basati sulla metodologia di Varnes con particolare riferimento ai differenti tipi di movimento e di materiali: Ogni tipologia gravitativa, infatti, può essere classificata mediante 2 termini: il primo a descrivere il tipo di movimento, il secondo il tipo di materiale, come mostrato in Tab. 11.1.

Tab. 11.1 – Classificazione sintetica delle frane.

Nella classificazione di Varnes sono utilizzati 3 differenti tipi di materiali: ammasso rocciosodetrito e terra. Per quanto riguarda il detrito e la terra essi si riferiscono ai terreni sciolti dove per detrito s’intende un terreno prevalentemente grossolano mentre per terra un materiale prevalentemente fine. I movimenti sono stati suddivisi in 5 differenti tipi: crolliribaltamentiscorrimenti (o scivolamenti), espansioni laterali e colamenti. Un sesto tipo di movimento, proposto da Varnes, si riferisce a movimenti complessi costituiti dalla combinazione di almeno 2 tra i quelli principali.

In Fig. 11.1 sono illustrate le caratteristiche morfologiche principali di una frana.

Fig. 11.1 – Principali caratteristiche morfologiche del corpo di frana.

La IAEG (International Association of Engineering Geology) nel 1990 ha definito un modello di frana (Fig. 11.2) nel quale a ciascuna caratteristica è associato un numero. Con riferimento alla Fig. 11.2, la tabella 11.2 descrive le principali caratteristiche morfologiche del corpo frana.

Fig. 11.2 – Modello di frana stabilito (IAEG).

Tab. 11.2 – Didascalia del modello di frana (IAEG).

Ancora la commissione IAEG ha fornito le indicazioni per calcolare le dimensioni di una frana sulla base dello schema riportato in Fig. 11.3 e delle caratteristiche geometriche descritte in Tab. 11.3.

Fig. 11.3 – Dimensioni e caratteristiche geometriche del corpo di frana (IAEG).

Tab. 11.3 – Didascalia per dimensioni e caratteristiche geometriche del corpo di frana (IAEG).

Le quantità LdWdDdLr e Wr permettono di stimare il volume della massa movimentata.

Fig. 11.4 – Valutazione quantitativa del volume di una frana.

Per maggior chiarezza, nel caso di frane rotazionali, la superficie di rottura può essere approssimata dalla metà del volume di un ellissoide avente semiassi DrWr/2 ed Lr/2. Il volume di un ellissoide (Fig. 11.4) risulta pari a:

VELSD = 4/3 π a b c

dove ab e c sono le lunghezze dei semiassi principali. Di conseguenza, il volume di una massa a forma ovalizzata corrispondente alla metà del volume di un ellissoide è pari:

VM = 0.5 4/3 π a b c = 2/3 π a b c

Essendo a, b e c uguali, rispettivamente, a DrWr/2 ed Lr/2, si ottiene:

VM = 2/3 π a b c = (π Dr Wr Lr)/6

Il movimento presenta quale effetto macro un aumento di volume causato della dilatazione dell’ammasso; dopo che il movimento franoso s’è manifestato il volume del materiale è suscettibile di stima a mezzo dell’espressione:

VM = (π Dd Wd Ld)/6

Una frana, infine, può essere classificata in funzione della velocità del dissesto; la Tab. 11.4 fa riferimento alla classificazione dei movimenti franosi in funzione della velocità.

Tab. 11.4 – Classificazione dei movimenti franosi in funzione della velocità.

Tab. 11.5 – Classificazione dei movimenti franosi in funzione del cinematismo del movimento.

11.2 – Principi di analisi di stabilità

I vettori d’innesco che i movimenti gravitativi di massa possono assumere sono molteplici e differenti al punto che il tentativo di predire tramite modello la natura di un’instabilità in via di sviluppo unitamente al suo progredire è in genere al di là delle attuali possibilità metodologiche. Ciò che è possibile osservare, comunque, è che molte forme d’instabilità iniziano o progrediscono con uno scorrimento lungo superfici preferenziali casuali componendosi tuttavia all’interno di uno spettro probabilistico minimale sufficientemente prevedibile . Numerosi grossi crolli in rocce cominciano con il cedimento di una frattura seguita da una fase di scorrimento, prima che i detriti si separino completamente dalla massa rocciosa cui appartengono; ancora, molte masse in scorrimento rimangono a contatto con la roccia madre anche se percorrono distanze considerevoli. E’ per tali motivi che, ai fini tecnici, semplici modelli di scorrimento possono bastare.

Le complesse operazioni di calcolo che accompagnano i tentativi di teorizzare il reale comportamento di rocce e terreni obbligano i tecnici a ricorrere a modelli di scorrimento estremamente semplificati; e pur potendo usufruire di (semi)-teorie complete, per quanto gli sviluppi dell’elettronica e dell’informatica abbiano reso l’analisi al computer facilmente gestibile , il gran numero di parametri indipendenti necessari per definire taluni comportamenti risulta quasi sempre estremamente oneroso da ottenere e questo solo elemento verrebbe ad escludere tale tecnica per la quasi totalità dei lavori di routine.

I modelli di scorrimento semplice rientrano nella categoria dei metodi dell’equilibrio limite. Considerando, ad es., una massa di terreno o di roccia giacente su un piano inclinato, tale superficie, nel caso della meccanica delle rocce, potrebbe rivelarsi un giunto di strato o una faglia. Questo è dotato, pertanto, di alcune proprietà di resistenza all’attrito ed in più di una resistenza indipendente dal carico normale (coesione). Nella meccanica dei terreni potrebbe risultare, viceversa, un piano di stratificazione o semplicemente un piano arbitrario sul quale avanzare il sospetto che possa essere sede di cedimento. La resistenza che questo oppone alla forza destabilizzante, allora, è una parte della resistenza al taglio disponibile sulla superficie. A meno che il blocco sia sul punto di scivolare (o stia effettivamente scivolando senza accelerazione), la forza perturbante non risulta identica alla resistenza al taglio.

In ogni caso la forza che si oppone al movimento è uguale alla forza di destabilizzazione.

Questa viene definita resistenza al taglio mobilizzata; il rapporto tra l’effettiva resistenza, disponibile, e quella mobilizzata compone un Indice di stabilità relativa chiamato fattore di sicurezza (F).

La forza fondamentale che tende a causare il movimento è principalmente la componente del peso del blocco che agisce lungo il piano; a questa forza possono sommarsene altre provenienti da differenti origini: carichi strutturali, carichi inerziali dovuti a sollecitazioni sismiche o da esplosioni etc.

Forze che si oppongono al movimento possono nascere anche da altre componenti del peso quali carichi strutturali etc. ma sono dovute principalmente alla resistenza coesiva e di attrito del terreno. Per valutare la resistenza d’attrito del terreno occorre effettuare una stima delle tensioni normali sulla superficie di scorrimento; l’operazione risulta semplice per il singolo blocco che scorre, dato che le forze normali alla superficie di scorrimento possono essere calcolate insieme alle altre forze sconosciute con una semplice risoluzione. Con le superfici di scorrimento incurvate (più comuni) tale operazione, viceversa, non risulta più possibile motivo per cui si usa il cosiddetto metodo degli elementi finiti. Con tale metodo la massa del terreno al di sopra della superficie di scorrimento viene divisa in porzioni o zone. Per convenzione la suddivisione viene eseguita per linee verticali ma questa non è una condizione necessaria per il metodo, né si rivela necessario che le zone siano tutte del medesimo spessore. L’approccio più semplice consiste nell’occuparsi di una zona dopo l’altra calcolandone il relativo fattore di sicurezza: lo stesso, per l’intera serie, coinciderebbe poi con la media; nell’eventuale insorgere di problemi di segno numerico, qualora la superficie di scorrimento avesse una porzione innalzantesi al piede, si possono sommare tutte le forze resistenti dividendo per la somma di tutte le forze di perturbazione; con tale artificio si ottiene un miglior valore medio per il fattore di sicurezza risolvendo il problema.

In taluni casi, per contro, esiste una giustificazione razionale per agire secondo tale procedura; considerando, infatti, una superficie di scorrimento avente la sezione ad arco di cerchio, invece di definire le forze di perturbazione e resistenti per ogni zona risulta più conveniente definire i momenti rispetto al centro di rotazione della massa in scorrimento e calcolarli. E’possibile dimostrare che tali momenti sono proporzionali alla somma delle forze di perturbazione e resistenti assunte in precedenza. Ulteriori semplificazioni teoriche sono offerte dall’uso di superfici di scorrimento ad arco di cerchio (o cerchi di scorrimento); nel prosieguo della presente trattazione, limitata al modelli generali, tutti i metodi vengono sviluppati in termini di cerchi di scorrimento.

I

11.2.1 – Metodo di Skempton e metodi convenzionali d’analisi (Fig. 11.5)

II più semplice dei metodi del cerchio di scorrimento è il metodo di Skempton (o del Φu = 0).

In esso si assume che la resistenza del terreno sia dovuta alla sola coesione.

Fig.11.5 – Metodo di Skempton: la distribuzione della resistenza allo scorrimento lungo tale la superficie viene definita dalle resistenze al taglio disponibili.

Tale limitazione semplifica il calcolo del massimo momento resistente utile in quanto  esso è dato dalla somma delle resistenze coesive moltiplicata per le aree o le lunghezze sulle quali esse agiscono e per il raggio del cerchio di scorrimento, ossia:

Mr = RΣlcu

Non è necessario, pertanto, che la resistenza risulti la medesima lungo su ogni segmento della superficie di scorrimento: se il cerchio passa attraverso due o più strati, occorre fare in modo che ciascuno dei segmenti nei quali è stata divisa tale superficie passi attraverso uno soltanto di questi strati.

Allo stesso modo, il momento ribaltante può essere definito dalla sommatoria dei prodotti fra i pesi delle porzioni e le distanze, misurate orizzontalmente, dei rispettivi baricentri dal centro del cerchio di scorrimento, cioè:

Mo = ΣWx

Le equazioni viste possono essere espresse in forma di rapporto per ottenere il fattore di sicurezza:

F = Mr/M0

Dividendo numeratore e denominatore per R, raggio del cerchio di scorrimento, si ottiene la forma canonica di tale espressione (poiché x/R = sin α):

F = Σlcu/= ΣW sin α

L’equazione, a questo punto, non conserva traccia evidente della provenienza dal cerchio di scorrimento in quanto identica (a parte i simboli di sommatoria) all’equazione per una singola porzione che scorre su un piano inclinato, al cui movimento si contrappone solo la resistenza coesiva.

La caratteristica rende valido l’uso di tale espressione per le superfici di scorrimento di ogni forma. Paragonando i risultati ottenuti con questa equazione a quelli di metodi più complessi, l’errore relativo è compreso entro 5÷8% nel calcolo del Fattore di sicurezza, valore che lo rende un buon metodo.

Non è necessario neppure tener conto delle forze mutue tra le zone, dal momento che si tratta di variabili dipendenti. La distribuzione dello sforzo di taglio sulla superficie di scorrimento è una funzione della distribuzione della resistenza al taglio: le forze mutue tra gli elementi non possono influenzarla in alcun modo. Per la resistenza d’attrito, viceversa, risulta vero il contrario e una corretta stima delle forze mutue è essenziale per una giusta determinazione della forza normale sulla superficie di scorrimento e, quindi, sulla resistenza per ogni elemento.

Fig. 11.6 – Forze agenti su una tipica frana per una analisi delle tensioni efficaci.

In Fig. 11.6 sono mostrate le forze che agiscono su un singolo elemento; intendendo risolvere le equazioni d’equilibrio è necessario definire la struttura interna del pendio, le proprietà di resistenza del terreno, il peso specifico dei diversi strati, la forma della superficie di scorrimento e la distribuzione della pressione neutra almeno lungo la superficie di scorrimento se i parametri di resistenza sono definiti in termini di sforzo effettivo. E’ conveniente conoscere anche i carichi esterni sebbene molti carichi strutturali risultino trascurabili se paragonati alla forza di gravità sulla massa. Conoscendo peso, carico esterno e pressione neutra risultanti sia sulla superficie di scorrimento sia sui lati degli elementi tali effetti possono essere composti in 2 forze ortogonali ed un unico momento.

L’eliminazione delle forze note e delle loro linee d’azione lascia incognito il seguente sottoinsieme  che, per un insieme di n elementi, comporta in totale (6n2) valori:

Viceversa, per ogni elemento, esiste una relazione tra la forza normale e la resistenza al taglio e le 3 relazioni d’equilibrio (ΣFh = 0ΣFv = 0;ΣMi = 0). Esistono così 4n equazioni.

Con un solo elemento l’equazione è banale; con più di un elemento è indeterminata. Tutti i metodi attualmente disponibili introducono assunzioni da contrapporre alle indeterminazioni. Talora con l’introduzione di un numero eccessivo d’assunzioni il problema diventa sovrabbondante e vi si introducono ulteriori parametri incogniti per compensazione. Il metodo più semplice si limita ad ignorare le forze mutue, eliminando 3n-3 incognite e, con queste, una delle equazioni di equilibrio, ottenendo che il numero delle equazioni bilanci il numero delle incognite.

Con tale metodo convenzionale (US Bureau of Reclamation Method) non si tiene conto delle forze mutue, fornendo almeno un dato rispetto al quale si possono paragonare metodi più soddisfacenti. La forza effettiva normale sulla base di ogni elemento può essere ricavata ponendo che la differenza tra W cos α e la pressione neutra risultante lungo la superficie di scorrimento (ul) componga la forza effettiva normale N‘; pertanto la resistenza massima S disponibile in questa sezione di superficie risulta:

S = cl+(Wcos α – ultg Φ

II massimo momento resistente risultante è la somma di queste forze S moltiplicata per il raggio R mentre il momento ribaltante è come nella precedente relazione, esprimendo così il fattore di sicurezza in forma di rapporto e dividendo per il raggio nell’espressione:

L’equazione risulta facilmente risolvibile ma fornisce risultati conservativi (fattori di sicurezza inferiori a quelli attuabili) specialmente dove la superficie di scorrimento è profonda o dove la pressione neutra è alta. In entrambi i casi l’errore è dovuto al fatto che vengono trascurate le forze mutue. Per superfici di scorrimento profonde la porzione che si solleva alla base potrebbe dare un ulteriore sostegno al retro-corpo della frana; nel caso di alta pressione neutra una perdita di sforzo effettivo (quindi di resistenza lungo una parte della superficie di scorrimento) originata dall’alta pressione nei pori, trasferirebbe ulteriore carico su un’altra parte della superficie di scorrimento.

11.2.2 – Metodo di Bishop

I problemi legati al metodo convenzionale sono stati descritti da Bishop che propone un metodo di tipo iterativo.

Fig. 11.7 – Poligono delle forze su una porzione per un’analisi degli sforzi agenti: Δx è la differenza tra le forze interne di scorrimento; ΔE è la differenza tra le componenti normali.

Facendo riferimento alla Fig. 11.7 che mostra un poligono di forze per un elemento tipo, risolvendo le forze verticali e riequilibrando l’equazione, si trova che la forza effettiva normale N’ risulta:

La risoluzione è eseguita con questa metodica al fine di evitare espliciti riferimenti alle componenti orizzontali delle forze mutue tra una zona e l’altra (E) per ragioni chiarite successivamente. Questa forza normale effettiva può prendere il posto di quella assunta, nel metodo convenzionale, nel calcolo della massima resistenza risultante sul segmento preso in considerazione della superficie di scorrimento. Tale equazione può essere semplificata portando tutti i termini della sommatoria delle forze resistenti sopra un denominatore comune e dividendo per il raggio, per ottenere:

 (**)

I valori di F e di ΔX per ogni elemento che vengano a soddisfare questa equazione compongono una soluzione rigorosa al problema.

Come prima approssimazione, ponendo ΔX = 0 per ogni elemento; questo lascerebbe F quale unica incognita dell’equazione; non esistendo tuttavia soluzione algebrica per i valori F l’equazione deve essere risolta in altro modo. Uno schema di soluzioni usato abitualmente a tale scopo viene suggerito dalla forma medesima dell’equazione.

Esaminando, infatti, la forma dell’espressione:

e supponendo sia valutata usando un valore di F superiore a quello applicabile a tale particolare scorrimento, entrambe i valori delle tangenti (tg α e tg Φ’) risultano < 1 nella grande maggioranza dei casi. Per conseguenza è il valore 1 a dominare il denominatore di questa espressione.

Una volta valutato il risultato si trova che questo è troppo grande, ma non in maniera eccessiva, malgrado l’errore iniziale commesso su F. Calcolando allora Fdel lato sinistro dell’equazione precedente si trova un valore più vicino a quello corretto di quanto non lo fosse il valore iniziale. Questa può essere la prima di una serie di iterazioni in cui il risultato di ognuna viene preso come punto di partenza per la successiva. Con un minimo numero d’iterazioni si può ottenere un alto grado di accuratezza, indipendentemente dal valore iniziale.

Un’analoga argomentazione si applica quando il valore di partenza viene preso inferiore al valore esatto, a parte i casi in cui il valore prescelto porta a far sì che 1 non appaia più il valore dominante del denominatore della espressione ultima dando luogo ad una instabilità funzionale.

E’ allora preferibile la valutazione del fattore di sicurezza con il metodo convenzionale, moltiplicandolo poi per ~1.2 ed utilizzandolo come punto di partenza per l’iterazione.

Nella trattazione Bishop descrive il metodo che consiste nel reintrodurre le forze X; questo passaggio è basato su differenti risoluzioni aggiuntive dai poligoni fondamentali delle forze e sulle due somme:

ΣΔE = 0

ΣΔX = 0

La procedura opera prendendo gruppi di forze E ed X che soddisfino queste espressioni per valutare nuovamente il fattore di sicurezza; tali gruppi vanno presi in modo che, ad es., sia possibile ottenere una posizione della linea d’azione delle forze E (a ~1/3 dell’altezza dell’elemento). Questo comporta un aumento dell’ordine di grandezza nella complessità dell’equazione mentre il fattore di sicurezza si affina di poco. Bishop, infatti, aveva notato che si potevano ottenere soluzioni possibili con distribuzioni marcatamente diverse delle forze X (cioè con posizioni alternative per questa linea di azione) ma tutto ciò pareva fornire fattori di sicurezza entro una gamma dell’1%.

Le ragioni divennero chiare col tempo, ma inizialmente si poteva soltanto dire che permaneva poco vantaggio nella complessità addizionale del metodo completo e conseguentemente Bishop raccomandò l’equazione semplificata (**) per i lavori di routine.

Un’acritica applicazione di questa equazione, infatti, può far nascere alcune incongruenze numeriche nei risultati; infatti, per talune combinazioni delle proprietà del terreno, dimensioni dell’elemento e fattore di sicurezza, sia il numeratore sia il denominatore dell’espressione ultima possono assumere valori ≤ 0, dando risultati per le forze efficaci normali pari a 0 o negativi o infiniti.

Un caso tipico si propone quando uno strato sottile di terreno granulare con forte attrito giace sopra un pendio di materiale assai più debole per il quale il fattore generale di sicurezza è basso. In questo caso l’anomalia si verifica nella porzione al piede del pendio dove la combinazione di grande ampiezza e segno negativo di α e grande ampiezza di Φ’ sono incompatibili con un basso fattore di sicurezza.

In questi casi si suggerisce di eseguire un controllo degli strati sebbene si opportuno riconoscerne la presenza al momento della raccolta dati e di simularli con terreni di resistenza al taglio virtuale indipendente dall’attrito bensì commisurata al livello della tensione effettiva presente.

Quando è coinvolta la tensione effettiva normale, questa inverte la direzione delle forze di scorrimento sulla superficie e porta ad errori di tipo conservativo nel calcolo di F.

E1 essenziale in questo metodo, come in tutti gli altri metodi basati sugli elementi discreti, prendere un numero sufficiente di elementi per poter rappresentare adeguatamente la forma della superficie di scorrimento e la distribuzione delle forze intorno ad essa.

11.2.3 – Metodo di Spencer

Sebbene il metodo completo proposto da Bishop soddisfi tutte le condizioni di equilibrio rispetto alle forze e ai momenti e consideri tutte le componenti delle forze mutue, il metodo ordinario non lo fa. Perché ciò accada è stato spiegato da un’estensione ulteriore della teoria dovuta a Spencer. Prendendo la risultante di tutte le componenti delle forze mutue su una singola zona egli ottiene:

dove θ è l’angolo rispetto all’orizzontale di questa risultante.

Per l’equilibrio dell’intera massa, la somma vettoriale delle forze mutue e dei loro momenti rispetto al centro di rotazione sulla frana deve risultare 0; da qui le 3 espressioni che seguono.

ΣZ cos θ = 0

ΣZ sin θ = 0

ΣZ cos (α – θ) = 0

La terza di tali espressioni parte dall’ipotesi che la dimensione di ogni singolo elemento sia piccola per cui si può assumere che la forza Z agisca nel centro di ogni segmento di superficie di scorrimento. Con un’ulteriore semplificazione (α e θ costanti) le 3 equazioni si riducono a 2 con due incognite F e θ.

Lo schema di soluzione più semplice consiste nel valutare F da ogni equazione scegliendo una gamma di valori θ e nel calcolare il punto d’intersezione delle due funzioni.

Un’osservazione decisiva dedotta da tale analisi è che il fattore di sicurezza, dato dall’equazione del momento, varia poco al crescere di θ (nella condizione θ = 0 coincide col metodo ordinario di Bishop).

Viceversa l’equazione derivata dall’equilibrio delle forze é molto sensibile a θ. Il motivo della relativa accuratezza del metodo ordinario di Bishop, allora, risiede nel fatto che è sostanzialmente basato sull’equilibrio dei momenti. Questi, infatti, presentano un’ampiezza molto superiore alle forze e, quindi, soddisfare all’equilibrio dei momenti comporta anche la quasi soddisfazione dell’equilibrio delle forze. In ogni caso non risulta vero il contrario. Potendo allora soddisfare ai requisiti dell’equilibrio dei momenti (anche solo con l’assunzione della semplificazione di una forza mutua) si ottiene una soluzione migliore che non quando si soddisfi solo l’equilibrio delle forze.

11.2.4 – Metodo del cuneo

Avendo osservato come le soluzioni di Bishop e Spencer fossero basate principalmente sulle equazioni di equilibrio dei momenti per condurre ad un risultato accurato per il fattore di sicurezza si sono cercate soluzioni mirate ad ignorare l’equilibrio dei momenti per comporre, invece, l’equilibrio delle forze.

Procedendo verso tale obbiettivo si sono potute notare una perdita di precisione ed una maggiore incertezza nel risultato, e insieme un guadagno nella semplicità del calcolo. Scartando, infatti, la condizione del momento, una soluzione alle equazioni di equilibrio delle forze può essere ottenuta anche graficamente.

Il più significativo tra i metodi per l’equilibrio delle forze è il metodo grafico del cuneo. La base concettuale di tale procedura risiede nel poligono di forze che può essere tracciato per ogni elemento una volta che si conoscano le direzioni delle risultanti delle forze mutue. Osservando, ad es., il modello a 3 cunei di Fig. 11.8, l’elemento più in basso, al piede della frana, ha un peso W1 disegnato come un vettore verticale (a). Non risultando alcuna forza mutua all’estremità del piede è allora possibile, dal basso del vettore W1, tracciare il vettore correlato alle forze sulla superficie di scorrimento. L’unica di queste ad essere conosciuta è la risultante della pressione neutra, tracciata, a seguire, parallela alla normale della base del cuneo e con lunghezza in scala.

Fig. 11.8 –Metodo del cuneo: sviluppo dei poligoni delle forze per i singoli cunei.

Supponendo note la direzione dell’azione di a (risultante delle componenti della forza mutua) e di b (risultanti delle forze di taglio e di quelle normali efficaci sulla superficie di scorrimento) le medesime possono essere disegnate sul poligono delle forze; il punto d’intersezione, allora, definisce la grandezza di entrambe e di conseguenza possono essere ricavate le singole componenti.

Supponendo allora conosciuta l’inclinazione della risultante delle forze mutue la stessa viene a trovarsi ad un determinato angolo tra 0 e Φ’; allo stesso modo viene ad essere noto l’angolo della risultante tra la forza di taglio e la forza normale effettiva, in quanto rappresenta l’angolo di resistenza al taglio mobilizzata. Quindi, noto Φ‘ e stimato un valore per F, è possibile completare il diagramma.

In maniera analoga viene completato il secondo poligono delle forze per il cuneo intermedio.

In questo caso, tuttavia, esiste una forza mutua comune e la fine di questa viene presa come punto di partenza per i vettori di forze che agiscono sulla superficie di scorrimento (b, nella figura), al posto dell’estremità del vettore peso. E’ opportuno, a questo punto, disegnare i due diagrammi sovrapposti (c) invece che separatamente, per evitare errori nel trascrivere la forza mutua.

Una volta costruito l’ultimo poligono di forze si trova che è necessaria una piccola forza mutua alla testata del modello per chiuderlo; e verificandosi tale situazione la valutazione di F (e quindi di Φ‘) non è stata calcolata correttamente. Una volta corretta tale valutazione per tentativi o sistematicamente, allora il fattore di sicurezza può essere ricavato dal valore finale di Φm.

Un metodo sistematico per variare Φm è quello di correggerlo mediante una quantità ΔΦm definita dalla relazione:

ΔΦm = En/Σ(W – Pbcos α)

L’effetto di coesione sulla superficie di scorrimento o nell’interfaccia tra i cunei può essere facilmente incluso (Fig. 11.9) così come può esserlo l’effetto di definire l’angolo di attrito mutuo mobilizzato in termini di tensione effettiva.

Nella scelta dell’inclinazione delle forze mutue, comunque, occorre procedere con prudenza poiché una minima extra-valutazione può comportare un’influenza notevole sul calcolo del fattore di sicurezza.

Fig. 11.9 – Aggiunta della coesione ai poligoni delle forze nel metodo del cuneo: le componenti della forza uguali alle forze di coesione mobilizzate (usando il momentaneo fattore di sicurezza) sono sommate nelle direzioni opportune prima di tentare di chiudere il poligono delle forze di ciascun cuneo.

11.2.5 – Metodo di Janbu

A seguito della diffusione della metodologia di Bishop gli studi successivi sono stati indirizzati a sviluppare una procedura analoga applicabile a frane con superfici di scorrimento di qualsiasi forma.

Janbu, partendo dal fatto che, con una superficie di scorrimento di forma arbitraria, uno dei problemi da risolvere é che non esiste più il vantaggio di un solo punto d’applicazione per le numerose componenti e, di conseguenza, viene a mancare la possibilità di valutare l’equazione del momento rispetto a tale punto ha proposto, per lo sviluppo di un metodo ordinario di analisi della stabilità, un’equazione d’equilibrio delle forze piuttosto che dei momenti.

Seguendo le linee generali di quello di Bishop, il metodo di Janbu propone la seguente equazione:

Come col metodo di Bishop, per risolvere l’equazione è possibile usare un procedimento iterativo sistematico applicando le medesime osservazioni generali sui problemi numerici simili.

Dopo ripetute analisi su diverse casistiche Janbu propose infine di applicare una correzione empirica ai risultati (Fig. 11.10).

Fig. 11.10 – Carta del fattore di correzione di Janbu.

Tale fattore di correzione consiste in un aumento del fattore di sicurezza dipendendo dalla profondità della frana di scorrimento in relazione alla sua lunghezza ed alle caratteristiche del terreno. Il valore massimo ottenibile è un incremento di F del 13%.

E’ altresì opportuno notare come la correzione vada applicata dopo l’esecuzione del procedimento ordinario (ossia effettuata sul fattore risultante del processo iterativo convergente e non durante il procedimento medesimo) con la seguente relazione:

Fcorr = f0F

nella quale f0 è preso dal grafico. (→ utilizzando questo metodo occorre dividere il corpo di frana in elementi di piccola ampiezza).

11.2.6 – Metodo di Morgenstern & Price

Proseguendo nella direzione indicata da Bishop, Morgenstern & Price hanno proposto un metodo il cui principio consiste nel dividere la massa in movimento in un numero relativamente piccolo di sezioni lineari o elementi disposti verticalmente. Tra tutte queste sezioni (spesso più grandi di quelle considerate nella maggior parte degli altri metodi) se ne prende in considerazione una ai fini del calcolo. Le condizioni di equilibrio delle forze possono essere considerate scegliendo direzioni normali e parallele alla superficie di scorrimento. Nella direzione normale l’equazione di equilibrio è data dall’espressione:

e nella direzione di scorrimento:

Le due equazioni possono essere combinate col criterio di Mohr-Coulomb in termini di tensioni efficaci:

la combinazione, passando al limite per dx → 0, compone la seguente equazione di equilibrio delle forze:

 *

La condizione d’equilibrio dei momenti per l’elemento, una volta che i momenti sono stati presi attorno al punto medio della base dell’elemento stesso, diviene la seguente:

Quando questa equazione è semplificata e dopo avere calcolato il limite per dx → 0, ricordando che le 3 eccentricità g1g2 e g3 sono tutte << dx, è possibile dimostrare che:

Tuttavia, risolvere le equazioni differenziali * e ** (non riconducibili a gruppi determinabili con artifici) risulta assai complesso.

Esistono, infatti, due decisive assunzioni iniziali: in primo luogo che le forze E‘ ed X possono essere poste in relazione semplice e, in secondo luogo, che le zone sono state scelte in modo tale da rendere di facile valutazione i singoli coefficienti differenziali. La scelta della relazione tra le forze E‘ ed X è l’aspetto più peculiare del metodo di Morgenstern-Price riservando le maggiori difficoltà a coloro che utilizzano questo metodo.

Fig. 11.11 – Metodo di Morgenstern & Price.

Se X ed E‘ sono collegate da un’unica costante (come nel metodo di Spencer) le forze mutue risultano inclinate tutte di un medesimo angolo rispetto all’orizzontale; alcune variazioni a queste inclinazioni possono essere introdotte usando una gamma di costanti per le diverse posizioni nella frana, peraltro forzando eccessivamente la soluzione. Un metodo per evitare tale difficoltà consiste nello stabilire una relazione tra due componenti della forza mutua (relazione che comprende un coefficiente definito a priori che specifica l’inclinazione relativa delle forze mutue, insieme ad un coefficiente determinato come parte del procedimento di risoluzione, che quindi fissa i valori di inclinazione assoluta). I coefficienti predefiniti devono essere composti sotto forma di una funzione continua in modo da poter risolvere le equazioni differenziali.

Per quanto in un primo momento possa sembrare che questo approccio risulti eccessivamente prescrittivo, è possibile osservare, viceversa, come non si riveli restrittivo dato che dispone di una gamma quasi infinita di funzioni. La funzione prima definita d’inclinazione deve essere data per tutte le x e quindi viene indicata con f(x). La costante scalare è X. Pertanto:

X = λ f(xE

E’ possibile effettuare una semplificazione nelle equazioni differenziali suddividendo la massa della frana in spicchi o porzioni sottili, in modo che le linee che suddividono il pendio in zone del terreno risultino tutte lineari in ciascuna delle porzioni prescelte. Una linearità del tipo deve essere applicata anche al livello del terreno, alla superficie di scorrimento ed alla linea piezometrica.

Scegliendo, ad es.:

e supponendo che la forza della pressione neutra Pw sul fianco di ogni zona sia data da una variazione idrostatica della pressione dalla linea piezometrica fino alla superficie di scorrimento queste, in termini lineari, farebbero variare la forza Pw in maniera quadratica attraverso la zona.

Un argomento del genere può venire applicato alle forze di volume laterali che nascono dall’accelerazione sismica, conducendo alle relazioni:

Usando tali tipi di relazione nella equazione della forza (*) è possibile dimostrare che questa prende l’espressione:

dove KLN e P sono funzioni dei coefficienti nell’equazione di partenza.

Quest’ultima equazione può essere integrata tra i limiti di 0 e b.

Applicando la procedura successivamente ad ogni zona, a partire da E‘ = 0 fino al piede della frana, è possibile ottenere la serie completa delle forze E‘ per ogni fattore di sicurezza e valore di λ assunti. Le ultime di queste forze alla sommità della frana devono risultare nulle ma, a meno di aver prescelto una coppia di valori casuali, non si ottiene un tale risultato.

Anche valori per F e λ che soddisfino questa condizione non comportano una soluzione completa, a meno che soddisfino anche la condizione del momento dell’equazione (**).

Supponendo, allora, che il momento della forza E‘ al livello della superficie di scorrimento sia definito come R, in modo che:

facendo riferimento all’equazione del momento (**) si rileva che il cambiamento in esso è dato da:

nella quale Q è un momento che include i seguenti elementi:

– il momento delle forze note di pressione neutra sui lati della zona;

– i momenti originati dalle accelerazioni sismiche nella massa del terreno;

In tal modo il momento della forza orizzontale efficace mutua su un lato di una zona finita Ri può essere calcolato dal momento sul lato opposto, Ri-1 e dalle proprietà fisiche della zona stessa con l’espressione:

Tale risultato può essere integrato in ogni zona, iniziando dal piede del pendio e proseguendo fino alla cima, ad identico modo di quanto fatto in precedenza per le forze E‘. Ciò comporta un momento risultante  0.

Una procedura sistematica di accomodamento che fa variare sia F sia λ, viene usata per ridurre queste forze e momenti non equilibrati. In teoria, quando il momento finale e la forza mutua, Rn e En, sono entrambi = 0, i valori di F e λ che conducono a questo risultato sono la soluzione al problema e possono quindi venire usati per derivare un’intera gamma di risultati aggiuntivi come le tensioni che agiscono sulla superficie di scorrimento. Tali quantità possono essere derivate dalle equazioni singole di equilibrio delle forze per ogni zona. Operativamente si assume di aver raggiunto la convergenza quando gli errori in Rn ed En o in F e λ risultano sufficientemente piccoli. Supponendo che gli errori in E‘ ed R all’estremità della superficie di scorrimento siano δE‘ e δR si può allora ottenere una nuova stima dei valori di F e λ aggiungendo δF e δλ rispettivamente alle valutazioni di partenza, dove δF e δλ sono stati calcolati mediante un metodo di approssimazione di Newton a 2 variabili:

Tutte le componenti differenziali necessarie si possono ottenere dalla differenziazione delle equazioni precedenti rispetto a F e λ ed utilizzando a seguire le equazioni risultanti su ogni zona per trovare i valori dei differenziali alla cima del pendio.

11.2.7 – Metodo di Maksumovic

Risulta impresa ardua includere nel metodo di Morgenstern & Price elementi quali le forze esterne concentrate; inoltre i calcoli risultano lunghi, motivo per cui il metodo non si rivela adatto al lavoro ordinario di calcolo della stabilità. Presenta, sì, il vantaggio di consentire di prendere in esame porzioni estese in modo che ne basti un numero limitato per rappresentare una qualunque superficie di scorrimento, ma tale vantaggio, in termini operativi, si realizza raramente poiché per ottenere porzioni con caratteristiche puramente lineari è necessario che il programma al computer inserisca le condizioni al contorno delle porzioni ad ogni coordinata x nella sezione trasversale, dove un’intera faccia tra gli strati cambia pendenza; e nella sezione trasversale di una diga questo può rendere molto onerosa la suddivisione in porzioni.

E’ possibile chiedersi, a questo punto, quali possano essere i vantaggi nel considerare porzioni di piccola ampiezza risultando evidentemente possibile usare le formule d’integrazione approssimata di Morgenstern & Price benché il problema dell’applicazione di forze esterne permanga irrisolto.

Il motivo risiede nel fatto che tale limitazione viene superata col metodo creato da Maksumovic.

In Fig. 11.5 viene posta in evidenza l’opzione che le componenti note della forza e del momento agenti su una porzione, possano essere risolte tutte in 2 forze ortogonali ed in un unico momento dando una figura assai meno complicata (Fig. 11.12). Componendo le equazioni dell’equilibrio delle forze orizzontali;

delle forze verticali:

e dei momenti:

insieme al criterio di Mohr-Coulomb:

ed alla relazione di Morgenstern & Price tra le forze X ed E‘ dell’equazione di partenza:

è possibile trovare formule ricorrenti per Ei‘, e ri in termini di parametri noti della porzione e per Ei-1 ed ri-1.

Fig. 11.12 – Metodo di Maksumovic.

Le equazioni risultanti sono:

 #

e

nelle quali:

Maksumovic, inizialmente, indirizzava l’utilizzo di queste due equazioni su ciascuna porzione adottando un procedimento per successive approssimazioni allo scopo di trovare valori di F e λ che comportassero errori trascurabili di forza ed eccentricità alla sommità della frana.

Il procedimento era basato sull’utilizzo dell’intersezione delle corde di cerchio (regula falsi) operante differenze modeste nei valori di F e λ usati inizialmente.

In altre sedi, viceversa, s’era proposto di usare la procedura di soluzione completa di Morgenstern & Price sostituendo le equazioni ricorrenti di Maksumovic con le loro equazioni differenziali parziali; tuttavia, mentre la forza E‘ è il termine dominante nel metodo di Maksumovic, nella teoria di Morgenstern & Price è il termine M che presenta l’ampiezza maggiore. Per rendere i due metodi compatibili si rende consigliabile sostituire l’equazione dell’eccentricità (r) con un’equazione del momento (nella quale R = Er) data dall’espressione

 ##

Le due relazioni # e ## possono essere trattate come le equazioni del metodo di Morgenstern & Price, usando il procedimento iterativo a due variabili di Newton applicando tutti i controlli di convergenza. Le due equazioni possono essere differenziate rispetto a F ed a λ.

11.2.8 – Metodo di Sarma

Nel suo progetto, Sarma adotta un approccio radicalmente differente per il calcolo della stabilità dei pendii cercando il valore critico per un’accelerazione orizzontale uniforme causa del cedimento del pendio.

Tale metodo può venire utilizzato per trovare un fattore di sicurezza statico ordinario ampliando i parametri della resistenza del terreno fino a quando, per il cedimento, si richiede un fattore di accelerazione orizzontale = 0.

L’autore sostiene che questa accelerazione orizzontale critica è un indice di stabilità relativa altrettanto significativo della definizione convenzionale di fattore di sicurezza; tuttavia giunge ad ammettere che talora la superficie col più basso fattore statico di sicurezza può non presentare necessariamente la più bassa accelerazione critica; e viceversa.

La derivazione delle equazioni, inizialmente, procede su linee relativamente convenzionali dove le condizioni di equilibrio orizzontali e verticali compongono la seguente coppia di equazioni:

Prendendo la prima insieme al criterio di Mohr-Coulomb, che pone in relazione le forze normali (N) e di taglio (S):

diventa possibile derivare l’espressione per la sostituzione di entrambe le forze normali e di taglio nella seconda equazione, ossia:

espressione praticamente simile a quella di Bishop:

componendi una relazione per la massima forza sismica in orizzontale sopportabile (kWi):

dove Di simboleggia l’espressione:

A questo punto tutti i valori ottenuti per ciascuna porzione possono essere sommati onde trovare la forza sismica orizzontale totale kΣWi. Una volta effettuato questo si rileva che la somma ΣΔE debba risultare = 0 così come ΣΔX sebbene quest’ultima, qualora i termini individuali vengano moltiplicati per un diverso coefficiente, componga un risultato  0. Di conseguenza:

Questa è l’equazione principale del metodo relativo all’equilibrio delle forze. Anche l’equilibrio del momento deve essere soddisfatto e la scelta di un punto appropriato intorno al quale valutare i momenti riduce i calcoli.

Sarma sceglie il centro di gravità della massa che scivola, in modo che le somme di W e di kW vengano eliminate. E’ ancora da notare come le forze agenti tra le porzioni non compongano alcun momento, così:

In questa equazione xi ed yi rappresentano le coordinate del punto mediano della base della porzione in quanto si assume, per semplicità, che le forze normali agiscano attraverso il centro di tale segmento di superficie di scorrimento (tale scelta, a propria volta, richiede l’uso di porzioni strette.

La condizione del momento può essere composta nei termini dell’espressione fondamentale di equilibrio delle forze assieme alla relazione Mohr-Coulomb, ricavando l’espressione:

Sarma definisce ogni ΔX nella forma:

dove ψi é noto e dove Σψi = 0. Le equazioni chiave diventano allora:

Le due equazioni si possono risolvere simultaneamente per ottenere λ e k.

Di seguito è possibile ottenere una gamma completa di risultati derivati includendo i valori efficaci di EXN etc. considerando le condizioni di forza e momento per ogni porzione una volta noti il valore k e le forze X.

Per quanto concerne la scelta dei valori individuali di ψ, usando una soluzione al computer in cui la suddivisione in porzioni si profili automatica, può risultare complessa una composizione a priori.

Sarma considera l’equilibrio lungo i contorni delle singole porzioni. Considerando che la forza efficace normale X su questa interfaccia sia dovuta alla pressione terrestre, o che sia valutata dall’equilibrio delle tensioni nella massa del terreno in questo punto particolare, una buona verifica del probabile valore della forza Xpuò essere ricavata dalla relazione:

dove si oppongono Flocale e la resistenza al contorno tra le porzioni.

11.2.9 – Metodo del pendio indefinito

Applicando a questo punto alcune semplificazioni è possibile ottenere risultati interessanti dalla teoria di base. Prendendo, ad es., l’equazione del metodo convenzionale, questa deve risultare esatta per ogni singola porzione in quanto non esistono forze mutue da considerare.

Esaminando invece una frana di scorrimento allungata dove l’influenza delle porzioni del piede e della testata è trascurabile (Fig 11.13) la medesima è suscettibile di essere rappresentata come una singola porzione. Quando la superficie di scorrimento è approssimativamente parallela alla superficie del terreno, l’equazione per il fattore di sicurezza può venire definita dalla:

dove z è la profondità della superficie di scorrimento, γ è il peso dell’unità di volume del terreno ed u è la pressione neutra media che agisce sulla superficie di scorrimento.

Entro uno scorrimento esteso del tipo, caratteristico dei movimenti che avvengono dove una coltre erosa dagli agenti atmosferici, o una lamina di soliflusso non recente, si spostano sopra un elemento assai più coerente ad una certa profondità, è probabile che il flusso risulti parallelo alla superficie del pendio.

Fig. 11.13 – Metodo del pendio indefinito.

Se la falda si trova ad una quota hw al di sopra della superficie, la pressione neutra u può essere espressa dalla relazione:

u = γw hw cos2α

L’espressione finale del fattore di sicurezza diventa allora:

L’equazione è stata chiamata da Skempton equazione del pendio indefinito in quanto riferentesi al cedimento parallelo alla superficie di un pendio di estensione infinita

La medesima può venire composta in termini di rapporto della pressione neutra ru con la:

Quando c’ = 0 o << γz può essere trascurato e l’equazione si modifica nella:

Poiché il campo reale dei valori di ru si compone entro 0÷0.5 (livello della falda coincidente o al di sotto della superficie di scorrimento per ru = 0; coincidente col piano di campagna per ru = 0.5) si può osservare come gli angoli d’inclinazione per pendii naturali soggetti a frane superficiali possono essere previsti. Per pendii in assenza di falda, l’angolo limite del pendio risulta Φ’ mentre i pendii in cui la falda freatica raggiunge il piano di campagna presentano una pendenza tale che tg α ≡ 0.5 tg Φ’.

Se l’angolo di inclinazione è piccolo (in condizioni di resistenza residua, ad es., dove Φ’ è il valore residuo) si può esprimere quest’ultima relazione come α = 0.5 Φ’.

II primo di questi particolari risultati rappresenta il fenomeno comunemente osservato di un cumulo di terreno granulare ammucchiato irregolarmente, che assume un angolo di inclinazione uguale al suo angolo di resistenza al taglio mentre il secondo definisce il campo normale di angoli di inclinazione per pendii degradati in strati argillosi nei climi temperati.

Per frane di scorrimento molto superficiali (traslazione) l’espressione del pendio indefinito si rivela un’utile metodologia d’analisi di stabilità del pendio fornendo risultati estremamente validi.

11.3 – Cedimenti per ribaltamento

Non tutti i tipi di cedimento possono essere analizzati utilizzando teorie di scorrimento; un altro settore riconducibile a tale analisi è costituito dal fenomeni generati dall’innescarsi di cedimenti per ribaltamento.

Questi possono essere provocati da una forte spinta orizzontale dovuta alla pressione dell’acqua in un giunto o fenditura apertasi in precedenza dietro la parte frontale di un pendio ripido (Fig. 11.14) in grado di generare un momento tale da provocare il ribaltamento del blocco separato dalla frattura dal resto della roccia.

La profondità del giunto e lo spessore del blocco si rivelano elementi condizionanti tale tipo di cedimento sebbene il fenomeno presupponga non esista alcuna via d’uscita per l’acqua che si trovi in fondo alla frattura, al punto che le condizioni invernali, durante le quali l’acqua che si infiltra nel fronte del pendio gela e chiude le vie d’uscita mentre l’acqua freatica non gelata s’accumula all’interno del giunto, risultano fortemente favorevoli all’innescarsi di elevate pressioni neutre.

E’ altresì opportuno rilevare che, per quanto bastino piccole quantità d’acqua a riempire delle fratture quasi chiuse, anche una piccola apertura conduca ad una considerevole caduta nella spinta totale poiché il livello dell’acqua cala di colpo e quando la frattura si apre completamente è improbabile un ulteriore riempimento. Spinte di questo tipo dovute all’acqua non definiscono pertanto un meccanismo completo per spiegare tutti i cedimenti per ribaltamento.

Fig. 11.14 – Analisi del ribaltamento.

Un meccanismo alternativo, viceversa, può risultare l’indebolimento progressivo dovuto all’erosione atmosferica o, in altri casi, all’erosione di uno strato massivo situato al di sotto di una roccia fratturata; l’erosione, infatti, comporta una perdita nel modulo elastico e la conseguente rotazione di un blocco delimitato da una frattura.

Un’alternativa alle variazioni indotte dall’erosione atmosferica alle proprietà dello strato massivo può rivelarsi il rigonfiamento dovuto all’ingresso di umidità pervenuta per assorbimento (indotta inizialmente dal rilascio di tensione) con la conseguente perdita delle tensioni effettive.

Il termine rigonfiamento, sotto tali condizioni, può tuttavia risultare fuorviante venendo inteso come un sollevarsi della superficie del fango indurito dato che il cambiamento di volume conseguente a tale assorbimento di umidità avrebbe luogo interamente con movimenti verso l’esterno mentre la superficie esterna del fango indurito assumerebbe, per limiti fisici, la tendenza a stabilizzarsi.

Ulteriori cedimenti per ribaltamento possono venire indotti da erosione al piede (da ruscelli, da infiltrazione o attacco marino) oppure da spinte e/o da movimenti di frana associati. Molti di questi tipi di cedimento eludono qualsiasi analisi limitativa richiedendo tecniche specifiche diverse dai modelli di equilibrio limite fino ad ora esaminati.

11.4 – Mobilizzazione dei parametri di scorrimento

I metodi per l’analisi di stabilità presentati partono tutti da presupposti fondamentalmente simili. Prima di tutto essi ipotizzano che, qualunque sia la resistenza disponibile nel terreno, questa è mobilizzata uniformemente lungo una potenziale superficie di scorrimento; ad es., in presenza di un fattore di sicurezza = 2, metà della resistenza viene utilizzata per opporsi allo scorrimento al piede del pendio lungo la parte principale della superficie di scorrimento ed alla testata della frana; ma ciò non tiene conto del comportamento sforzo-deformazione dei diversi tipi di terreni e rocce interessati dalla frana e potrebbe condurre a conclusioni erronee.

Prendendo il caso in cui 2 superfici di scorrimento abbiano un tratto comune e che la superficie di scorrimento A presenti un fattore di sicurezza calcolato più alto di quello della superficie di scorrimento B il grado di mobilizzazione della resistenza al taglio lungo la sezione comune sarebbe calcolato come più alto per la superficie di B che per la superficie A; tuttavia, essendo il segmento comune ad entrambi gli scorrimenti, può comporre razionalmente un’unica distribuzione delle tensioni ed un solo grado di mobilizzazione della sua resistenza.

Un concetto utile nell’applicazione dei metodi dell’equilibrio limite per l’analisi e la progettazione della stabilità in grado di supportare situazioni come negli esempi riportati è l’idea delle resistenze mobilizzate e dei parametri di resistenza mobilizzata. Dal momento che la definizione del fattore di sicurezza relativo allo scorrimento per un particolare tipo di superficie può essere espressa come il rapporto tra la resistenza disponibile e lo sforzo di taglio applicato, la resistenza mobilizzata, che deve essere uguale alla tensione applicata, può venire espressa con la relazione:

Intendendo operare a livello generale non sono stati aggiunti indici ai parametri di resistenza al taglio c e Φ che potrebbero comprendere sia picchi con drenaggio che parametri residui o resistenze non drenate; in ogni caso risulta necessaria la tensione normale appropriata σ (totale o efficace).

L’analisi risulterebbe la medesima in termini di forze e momenti calcolati per l’equilibrio se i parametri della resistenza al momento fossero sostituiti da cmob ed fmob, ossia:

L’utilizzo di tali parametri equilibra le forze e i momenti applicati con le forze e i momenti resistenti disponibili.

Il calcolo di questi parametri di resistenza mobilizzata si rivela utile nella progettazione delle opere di risistemazione o, più semplicemente, quale alternativa all’uso del fattore di sicurezza F come indice di stabilità o per valutare la mobilizzazione relativa della resistenza al taglio. Tutto ciò può risolvere le anomalie apparenti tra la definizione di fattore di sicurezza calcolato in questo paragrafo e quello calcolato come fattore di carico lungo linee convenzionali in altri settori dell’Ingegneria Civile.

11.5 – Correzioni per gli effetti di estremità e gli inviluppi curvi della resistenza al taglio

I metodi precedentemente definiti sono tutti applicabili a frane di vasta estensione laterale dal momento che si basano tutti su porzioni prese ad angolo retto rispetto alla parte frontale del pendio senza introdurre correzioni per lo scorrimento laterale.

Alcune frane si presentano così (in modo particolare quelle controllate da strutture geologiche con stratificazioni) molte altre, viceversa, compongono superfici di scorrimento a forma di coppa oppure lobate nelle quali l’importanza dello scorrimento laterale è considerevole.

Le variazioni laterali nella geometria della sezione devono essere prese in considerazione quando le superfici di scorrimento risultano a coppa o quando la loro profondità vari da un lato della frana all’altro inserendo gli effetti laterali di scorrimento laddove l’ampiezza della frana sul piano risulti minore ~ 2 volte la lunghezza, sempre sul piano dal piede alla testata.

L’effetto della variazione laterale della sezione può essere considerato analizzando sezioni differenti della frana calcolando una media ponderata dei risultati. L’operazione può venire eseguita sulla base delle proporzioni relative della parte della frana per la quale ciascuna sezione è adatta: coefficienti ponderati basati sulla lunghezza della frana, sulle aree piane o anche sul volume approssimativo dei detriti sono tutti adatti a situazioni diverse.

Skempton consiglia che la correzione da applicare all’analisi di stabilità per inglobare gli effetti dello scorrimento laterale prenda la forma di un fattore di riduzione per lo sforzo di taglio (Jrs):

Jrs = 1/[1+(KD/B)]

dove D e B sono rispettivamente la profondità e la larghezza medie della frana e K è un coefficiente di pressione. Nella maggior parte dei casi la correzione risulta piccola, sebbene possa diventare significativa per frane lobate. E’ consentito operare tali correzioni per scorrimento laterale eseguendo un’analisi retrospettiva sebbene occorra cautela nell’applicazione a pendii che non abbiano ancora subito scorrimenti.

Skempton considera anche gli effetti degli inviluppi curvi della resistenza al taglio commentando come spesso sia utile prendere la più aderente conformità degli inviluppi lineari sulla gamma di pressioni interessate. Tale gamma di pressioni può essere valutata approssimativamente all’inizio di un’analisi misurando le tensioni di sovraccarico lungo le diverse sezioni di una frana.

11.6 – Tecniche di Analisi di stabilità

I paragrafi che seguono riassumono in breve le metodologie usuali per avviare in termini corretti un’analisi di stabilità, inquadrando sia riferimenti grafici che indicazioni di campagna.

6.1 – Individuazione della superficie di scorrimento più critica

La ricerca della superficie di scorrimento più critica può essere resa più semplice dall’uso dei cerchi di scorrimento. La quantità di dati richiesta per organizzare una ricerca sistematica è relativamente piccola. Per eseguire la ricerca occorre, prima di tutto, considerare una serie di cerchi di scorrimento aventi il medesimo centro di rotazione,ma raggio diverso (Fig. 11.15).

Fig. 11.15 – Metodiche per ricercare una superficie di scorrimento critica.

Considerando una serie di cerchi con centro comune si trova quello che presenta il fattore di sicurezza minimo; questo, a propria volta viene confrontato col fattore di sicurezza minimo per altri centri al fine di individuare il centro più critico.

Trovando il fattore di sicurezza di ciascuno di questi cerchi e tracciando un grafico rispetto al raggio, è probabile che ad un determinato momento possa emergere un fattore di sicurezza minimo. La risultanza si può ottenere semplicemente dalla forma del pendio oppure perché quel particolare cerchio di scorrimento ha intercettato un terreno debole.

Avendo esaminato un insieme di cerchi di scorrimento si può ottenere un fattore di sicurezza minimo dove il centro col fattore più basso indica il fattore di sicurezza. Quello col fattore minimo determina il fattore di sicurezza per l’intero pendio a patto che l’indagine abbia usufruito di un numero sufficiente di centri.

E’ talora conveniente congiungere i medesimi valori del fattore di sicurezza sulla griglia dei centri: un contorno chiuso di valori minimi indica probabilmente che almeno la localizzazione del cerchio di scorrimento più critico è stata identificata, mentre un contorno aperto (Fig. 11.16) indica certamente che non è stato così.

L’andamento del contorno indica anche (dalle distanze tra le curve) se sono richieste o meno altre analisi.

Fig. 11.16 – Tecniche per una ricerca sistematica.

La determinazione di un fattore di sicurezza per un particolare ambito non conclude la ricerca in quanto anche in un pendio con una sezione a forma relativamente semplice può risultare più di una superficie critica di scorrimento, ognuna delle quali è la peggiore per un diverso tipo di cedimento. Una, ad es., potrebbe essere in relazione ai cedimenti superficiali di un riempimento ed un’altra per una superficie che penetra profondamente nel terreno sotto la base del terrapieno. Le isolinee del fattore di sicurezza in una griglia di centri dei cerchi di scorrimento, secondo tale ipotesi, avrebbe due punti di minimo.

Ulteriori complicazioni sopravvengono, inoltre, se il terreno non risulta omogeneo; la presenza di strati più deboli odi zone ad alta pressione neutra può anch’essa contribuire con un proprio punto di minimo nel tracciato. In vista di ciò l’uso di procedure automatizzate di ricerca in un programma al computer può dimostrarsi negativo; a parte le complessità dei calcoli, infatti, anche quando si trova un fattore minimo di sicurezza esistono poche o nulle garanzie che sia in qualche modo collegato al minimo assoluto per l’intero problema. Per tale motivo, nel prosieguo della trattazione, ci si riferisce ai fattori di sicurezza per tipi di cedimento che non sono critici in senso generale, come a minimi locali.

Esistono anche casi in cui è possibile dimostrare che il fattore minimo di sicurezza si trovi entro un minimo locale che non appare all’interno di un sistema chiuso di linee.

Un esempio di ciò è il cedimento superficiale di un pendio di terreno granulare; eseguendo un procedimento di ricerca utilizzando cerchi di scorrimento, si trova che il centro del cerchio critico (raggio infinito) giace ad una distanza infinita dalla facciata del pendio, dando come risultato un tipo di cedimento poco profondo, equivalente alle assunzioni del pendio indefinito.

In tal caso risulta facilmente dimostrabile che il fattore limite di sicurezza è dato da

F = (1rutg Φ/tg α

ossia da un valore cui ci si può avvicinare ma che non si raggiunge mediante l’analisi del cerchio di scorrimento.

Di conseguenza è raccomandabile che il primo passo nella ricerca di tale cerchio critico sia quello di effettuare una valutazione preliminare su quanti modi individuali di cedimento possano innescarsi; successivamente si possono esaminare i risultati di un’analisi con una griglia di cerchi di scorrimento per controllare se tutti i minimi locali sono stati individuali (talora è possibile scoprire che minimi locali per due o più modi diversi di cedimento valgano per cerchi di scorrimento con un centro comune). La ricerca, quindi, conduce ad ulteriori modi di cedimento (pendii con dettagli interni complessi) dando modo all’operatore di intuire l’eventuale comportamento del pendio con maggiore ampiezza di risoluzioni.

Assume importanza decisiva, quindi, capire il perché dell’esistenza di ogni minimo locale del fattore di sicurezza e quali fattori nel pendio lo abbiano originato, trattandosi di un requisito essenziale per apportare variazioni sistematiche ad un progetto per migliorarne le caratteristiche.  In più alcuni tipi di cedimento risultano secondari e nella progettazione possono accettare fattori di sicurezza bassi laddove non potrebbero venire accettati per cedimenti più importanti (un esempio semplice è quello del terrapieno granulare su una base soffice e coerente).

Prendendo, ad es., un terrapieno di un terreno relativamente resistente costruito su un materiale più debole (la condizione si presenta sovente con terrapieni su pianure alluvionali) la superficie di scorrimento più critica tende a penetrare quasi alla base del terreno debole e tutto quello che si richiede può essere un controllo più veloce dei tipi di cedimento più superficiali.

Quando sono interessati, viceversa, depositi alluvionali molto profondi i cerchi di scorrimento profondi che corrispondono a quelli prima descritti potrebbero non risultare realistici, dato che l’aumento naturale della resistenza con la profondità (che nasce dal consolidamento sotto pressioni maggiori) tende a localizzare la zona in cui la superficie di scorrimento può probabilmente trovarsi.

11.6.2 – Fratture di trazione

Le fratture di trazione alla testata di una frana determinano un indizio importante dell’inizio di un’instabilità. Sotto particolari condizioni di continuità, capacità presunta d’evoluzione etc. vengono prese in considerazione nei calcoli per la stabilità dei pendii ed in tali casi si considerano del tutto o in parte satura d’acqua mentre la forza destabilizzante che ne risulta viene sommata alle altre nel computo analitico. L’eventuale profondità è ancora una questione dibattuta: se la resistenza del terreno é puramente coesiva (terreni argillosi allo stato non drenato) viene indicata una gamma di profondità 2÷4cu/g; la medesima può risultare profondità notevole anche per il più debole dei terreni. Un’altra possibilità consiste nel fatto che la frattura penetri fino alla falda, o almeno, sino alla linea media stagionale a pressione = 0. Le pressioni originate dall’acqua che satura queste fenditure devono, di conseguenza, essere viste come un effetto transitorio derivante da eventi climatici isolati.

L’esistenza di una frattura di trazione alla testata di una frana, supponendo che essa sia puramente indotta dalla tensione e non sia banalmente frutto di contrazioni dovute a essiccamento, facilita all’estremo l’analisi di stabilità: il cedimento risulta imminente mentre il fattore di sicurezza si approssima a 1. Esistono, comunque, situazioni in cui il concetto di frattura di trazione può rivelarsi utilizzabile (Fig. 11.17).

Fig. 11.17 – Fratture di trazione.

Uno di tali esempi è collegato al formarsi di fenditure dovute a contrazione per essiccamento in clima secco; le fenditure si possono riempire rapidamente d’acqua esercitante forti spinte laterali. Per quanto di breve durata, tali spinte laterali possono causare movimenti di frana superficiali.

Un’altra situazione nella quale il concetto di frattura di trazione può risultare utile si rileva quando esistono notevoli resistenze alla testata di una frana. La condizione crea numerosi problemi per diverse tipologie di analisi di stabilità nascendo, molto semplicemente, da uno dei presupposti fondamentali della teoria dell’equilibrio limite, ossia che esista un unico fattore di sicurezza lungo tutta la superficie di scorrimento.

Nel caso le resistenze alla testata risultassero forti, allora tale concetto di F uniforme implica tensioni non nulle fra le zone in cui viene suddivisa la frana.

Per quanto indesiderabile in se stesso, il fatto può rendere negative le forze normali sui segmenti ripidi della superficie di scorrimento, effetto che rappresenta la fonte peggiore per la risoluzione di problemi numerici. La presenza di una frattura di trazione inserita ad arte, invece, può superare la difficoltà in termini immediati, per quanto una sezione ripida della superficie di scorrimento alla testa di una porzione risulti soggetta a piccole tensioni normali, motivo per cui, in un materiale privo di coesione, la resistenza calcolata assume bassi valori facendo in modo che non sia necessaria l’agevolazione della frattura di trazione per ottenere risultati realistici.

Difficoltà numeriche del genere capitano frequentemente nei metodi in cui l’ordine delle porzioni e la loro interazione sono significativi (Morgenstern & Price) mentre risultano meno comuni nei metodi in cui le forze sono semplicemente sommate su tutta l’estensione delle porzioni.

11.6.3 – Pendii parzialmente sommersi

I pendii parzialmente sommersi pongono all’operatore ulteriori problemi nel trattamento del carico applicato. Le componenti verticali del carico idrostatico, infatti, possono essere semplicemente addizionate ai pesi delle porzioni appropriate, ma è nella corretta applicazione delle componenti della forza orizzontale che emergono le difficoltà.

Quando il metodo lo consente risulta conveniente applicare le componenti della forza e del suo momento, che nascono dalla pressione dell’acqua, su ogni porzione. Il trattamento si applica a carichi idrostatici a monte e a valle, (Fig. 11.18, scorrimento lungo xy) sebbene molte delle tecniche di analisi non consentano l’applicazione delle componenti della forza orizzontale e del suo momento senza ulteriore sviluppo delle teorie basilari. I metodi di Bishop e di Janbu rientrano in tale categoria.

Fig. 11.18 – Pendii sommersi e parzialmente sommersi.

Bishop, riconoscendo il problema ha sviluppato una tecnica per superarlo.

Esaminando il cerchio di scorrimento a valle nella Fig. 11.18, l’analisi della parte sommersa sarebbe effettuata senza far ricorso al calcolo delle forze dovute alla pressione idrostatica sulla faccia del pendio, lasciando presupporre l’esistenza di un altro gruppo di forze uguali a queste forze esterne ma di senso opposto in grado di essere omesse dall’analisi. In tal caso entrambi i gruppi di forze potrebbero essere tralasciati e l’effetto delle forze idrostatiche potrebbe essere simulato.

In effetti tale gruppo di forze esiste: ad es., in Fig. 11.18, si usano solo pesi sommersi nel calcolo dei pesi delle porzioni al di sotto della proiezione del livello esterno dell’acqua nel pendio e se, ancora, si usano unicamente le punte di pressione idrostatica in eccesso rispetto a quelle richieste per raggiungere tale livello esterno dell’acqua, allora un’analisi dimostra che sono state rimosse le forze esattamente in equilibrio col carico idrico esterno.

L’assunto dimostra che usando il peso dell’unità di volume sommerso per il segmento cd della porzione solo una parte (cb) del carico della pressione idrostatica viene utilizzata. Per la parte a monte della superficie di scorrimento la sottrazione del carico cd da db può lasciare, viceversa, un carico apparentemente negativo cb da trattare analiticamente.

Tornando a superfici di scorrimento come la xy in Fig. 11.18, può risultare possibile usare tale approccio sul carico idrostatico a valle, ma quello a monte deve essere simulato prendendo il relativo carico verticale ed inserendo una frattura di trazione satura in posizione X, oppure estendendo idealmente la superficie di scorrimento a qualunque distanza, da X fino al livello esterno dell’acqua a monte, come se tale segmento di superficie di scorrimento si trovasse in un terreno privo di resistenza dotato di un peso unitario pari a γw e con le appropriate condizioni di pressione. Le masse d’acqua a monte e a valle possono essere trattate ambedue come tipi di terreni speciali con pressione idrostatica riferita al livello della superficie esterna dell’acqua e resistenza nulla.

11.6.4 – Retroanalisi e distribuzione interna delle forze

Le analisi di stabilità vengono eseguite non solo per fornire un fattore di sicurezza, una volta note le proprietà del terreno, ma anche per stabilire le resistenze al taglio sul campo dallo studio dei cedimenti. Risulta di conseguenza necessario eseguire alcune analisi all’inverso per ottenere le proprietà del terreno da un fattore di sicurezza noto (= 1 all’istante del cedimento).

Il processo viene definito retroanalisi. Con tale metodologia si richiede un ulteriore elemento, ossia la determinazione dei livelli medi delle tensioni effettive e di taglio su parti della superficie di scorrimento; tale conoscenza, per quanto imprecisa, può rivelarsi importante nella scelta degli appropriati livelli di tensione per i test di laboratorio. Non sono, altresì, necessarie le analisi ripetute con differenti proprietà del terreno per trovare il gruppo per il quale F = 1.

Alcuni metodi di analisi oppongono difficoltà nel calcolo delle tensioni interne in maniera esplicita per l’equilibrio di forze di ciascuna porzione. Il metodo di Bishop è uno di questi.

Il problema nasce dalle ipotesi semplificatrici nel metodo stesso che, sebbene non impediscano di calcolare un adeguato fattore di sicurezza totale, possono dare origine localmente a previsioni non corrette. In ogni caso è possibile valutare i valori medi dello sforzo di taglio e dello sforzo normale efficace sulla superficie di scorrimento senza ricorrere a quelli interni del metodo di analisi di stabilità in uso. Nell’analisi col cerchio di scorrimento alcuni programmi possono dare dei risultati tabulati per il momento di ribaltamento Mo o per il momento resistente Mr. In questo caso lo sforzo di taglio medio τav è dato dalla relazione:

τav = M0/RL = Mr/FRL

Altrimenti è possibile usare un’analisi della frana con un singolo valore di coesione c. Lo sforzo di taglio medio τav può essere ottenuto dal fattore di sicurezza Fc risultante:

τav = c/Fc

Nell’equazione, τav rappresenta la coesione mobilizzata (indicata, allo stesso modo, da cmob).

Procedendo si effettua un’analisi iterativa utilizzando una qualsiasi combinazione dei parametri c‘ e f’ (di solito c‘ = 0) ottenendo la tensione normale media del fattore di sicurezza risultante Fc,f.

Le equazioni ricavate danno una risposta esatta e corretta se applicate ai cerchi di scorrimento, componendo un piccolo errore quando si applicano a superfici di scorrimento di forma arbitraria.

Fig. 11.19 – Retroanalisi e distribuzione delle forze interne.

11.6.5 – Analisi di stabilità sismica del pendio

Il metodo di Sarma, visto in precedenza, conduce al calcolo di un coefficiente di accelerazione orizzontale che, interessando un pendio in modo uniforme, causa il cedimento lungo la superficie di scorrimento analizzata. Dopo aver ricercato la superficie di scorrimento più critica si ottiene il coefficiente sismico critico Kcrit per il pendio; il paragrafo definisce l’uso di questo parametro per ottenere i probabili spostamenti del pendio sotto un terremoto di progetto.

Fig. 11.20 – Analisi Sismiche: tecnica della rotazione del pendio.

Facendo riferimento alla Fig. 11.20, ciascuna delle parti del pendio subisce una rotazione di un angolo θ, dove:

in cui gkh e gkv sono rispettivamente le componenti orizzontali e verticali dell’accelerazione sismica. Il metodo riporta la linea d’azione della risultante delle forze sismiche e gravitazionali lungo la verticale ed incrementa tutti i pesi unitari di un fattore ρ dove

La necessità di tale incremento dei pesi unitari non è stata sempre compresa nelle diverse trattazioni e questi, frequentemente, non sono stati corretti come qui indicato.

Nei terreni privi di coesione questo errore non produce effetti perché la resistenza e la forza motrice sono entrambe proporzionali ai pesi unitari, ma tralasciare di includere questa seconda parte del metodo può essere significativo nei terreni coesivi. Quando l’errore si manifesta, diventa sempre più significativo con coefficienti sismici maggiori come quelli richiesti quando s’intende scoprire un valore per l’accelerazione critica.

11.6.6 – Ampiezze e velocità dei movimenti del pendio

Tra i problemi relativi a un pendio, l’operatore deve considerare deformazioni di diversa ampiezza unitamente ai loro tassi. Tra le deformazioni sono comprese:

–       le compressioni dovute al riempimento e gli sforzi durante la sistemazione e la compattazione, le deformazioni di ripercussione conseguenti all’alleggerimento per escavazione;

–       consolidamenti o rigonfiamenti;

–       movimenti in terreni e rocce fragili durante un primo cedimento;

–       scorrimenti in frane, in zone dilavate o in materiali non fragili, causati da ripetute applicazioni di carichi. Il fenomeno può essere dovuto a carichi applicati ciclicamente, ad effetti stagionali o a ridotti effetti sismici;

–       movimenti nel corso di sismi;

–       crolli improvvisi e colamenti.

Molti di questi problemi non risultano affrontabili in modo semplice da un punto di vista analitico e/o numerico. Effettivamente, per quanto interessante possa rivelarsi l’analisi di alcuni di questi problemi per l’operatore, la rarità di alcuni eventi combinata con la loro estrema violenza rende improbabile che una sintesi completa possa essere utile nell’attività ordinaria quale strumento di progettazione. Altri problemi di questa lista cadono fuori dallo stretto ambito del lavoro sulla stabilità dei pendii e vengono ordinariamente trattati nella meccanica delle rocce e dei terreni usando semplici teorie; le deformazioni da consolidamento o rigonfiamento sono esempi di questo tipo.

Nel procedere dell’analisi metodologica è opportuno considerare per primo il problema generale della deformazione di un pendio naturale sul punto di cedere per la prima volta e che ha un comportamento sforzo-deformazione di tipo fragile Una volta iniziato lo scorrimento, risulta evidente che l’accelerazione della massa in movimento dipende dal delicato equilibrio tra la perdila di resistenza via via che la massa di terreno si muove (il gradiente del tratto dopo il picco della curva sforzo-deformazione) e il decremento delle forze destabilizzanti man mano che la frana procede lungo la superficie di scorrimento di nuova formazione. Alla fine del processo di formazione della superficie di scorrimento la massa di terreno può non risultare in equilibrio con la forza residua lungo la superficie medesima e, quindi, il movimento deve continuare fino a che tale equilibrio non viene raggiunto.

Considerando il movimento totale della frana in un pendio che subisce per la prima volta l’evento. questo risulta correlato all’indice di fragilità Ib. Si propone in questa sede un fattore empirico (Id) per porre in relazione il movimento con l’altezza del pendio, ossia :

δ = Id H Ib

dove H è l’altezza del pendio, Ib , come visto, il fattore introdotto e δ lo spostamento della frana. Esistono alcune difficoltà per quanto riguarda l’identificazione di un ragionevole indice di fragilità che permetta di calcolare Id: un valore di Id ~0.9÷1 pare essere indicato per la maggior parte dei casi e questo, a sua volta, suggerisce quale regola pratica che l’indice di fragilità in sé sia un utile indice dell’ampiezza di deformazione per un cedimento di tipo fragile. Si osserva, anche, che la deformazione totale, espressa come movimento lungo la superficie di scorrimento, risulta legata alle dimensioni del problema (le grosse frane, infatti, si spostano più avanti in relazione alla loro mole).

Il grado di deformazione durante un cedimento che s’innesca per la prima volta è anch’esso di interesse generale ma deve essere trattato altrettanto empiricamente. Si contano poche testimonianze, infatti, di cedimenti di pendii in terra il cui cedimento sia stato osservato nel suo svolgersi. In ogni caso i fatti suggeriscono come le velocità di movimento dipendano soprattutto dalla scala: piccoli scorrimenti in tagli stradali fino a 15 m di profondità in argilla impiegano un giorno a svilupparsi mentre le frane di falesie costiere del medesimo materiale e alte 45 m si muovono più rapidamente impiegando < 2 h. Le grandi frane, quindi, non solo subiscono maggiori deformazioni ma si manifestano anche più rapidamente.

Considerando un singolo blocco dotato del potenziale necessario per scivolare lungo un piano inclinato di un angolo α rispetto all’orizzontale, il medesimo, all’inizio e in assenza di sollecitazione sismica, risulta stabile ma durante la scossa l’accelerazione orizzontale supera l’accelerazione critica così come le forze attive superano quelle resistenti. Inizialmente la forza attiva è data da W sin β, ma durante la scossa tale forza è integrata dalla forza sismica β. Questo compone una forza attiva pari a:

D = W sin β + kW cos β

La forza resistente, sotto il carico sismico, è data dalla relazione:

R = cl + (W cos β + kW sin β – Pbtg Φ

Quando l’accelerazione sismica kg prende a superare l’accelerazione critica kcg, la massima forza resistente residua diviene completamente mobilizzata per cui non è più possibile esprimere D = R/F mentre la meccanica del problema è ora governata dalla forza attiva netta D-R.

Utilizzando la legge di Newton l’accelerazione é proporzionale a questa forza attiva netta: risulta allora facile dimostrare che, per accelerazioni maggiori dell’accelerazione critica, la medesima vale:

L’equazione può essere integrata per semplici incrementi di accelerazione per ottenere gli spostamenti s.

Per superfici di scorrimento reali la teoria, basata su un singolo blocco, risulta ancora adeguata (in prima approssimazione) rendendo necessario, tuttavia, effettuare la valutazione del singolo blocco equivalente. L’operazione viene eseguita considerando le seguenti forze risultanti:

–       la risultante di tutti i termini di resistenza al taglio che agiscono sulle basi di tutte le porzioni nel problema;

–       la risultante di tutte le forze normali che agiscono sulle basi di tutte le porzioni;

Le direzioni di queste risultanti (ad angolo retto l’una con l’altra) compongono quindi l’inclinazione β del pendio di base del blocco singolo equivalente; la risultante delle forze normali è perpendicolare ad esso e la risultante delle forze di taglio gli è parallela.

Le variazioni dinamiche nella pressione neutra, risultanti dalla fratturazione durante il sisma, vengono prese in considerazione mediante il metodo di valutazione del kcrit.

Sarma ha valutato gli spostamenti per singoli impulsi dei seguenti tipi

–       onda rettangolare, durata T/2, ampiezza Kmg;

–       onda triangolare, durata T/2, ampiezza Kmg;

–       onda sinusoidale, durata T/2, ampiezza Kmg.

tracciate in forma adimensionale nella Fig. 11.21.

In una registrazione possono esistere numerosi impulsi per i quali la massima accelerazione Kmg supera l’accelerazione critica Kcritg. In questo caso gli spostamenti individuali si sommano.

La procedura si basa su numerose ipotesi implicite; ad es., che gli spostamenti siano di piccola entità rispetto alla geometria complessiva del pendio durante il terremoto, in modo che b non cambi.

Ciò, tuttavia, richiede che i terreni interessati non risultino fragili e che le deformazioni iniziate durante la scossa cessino celermente una volta che questa sia passata.

I terreni a comportamento sforzo-deformazione di tipo fragile possono, viceversa, continuare a cedere progressivamente dopo che il terremoto è passato, sebbene occorra notare come la resistenza residua dei terreni argillosi possa risultare molto più alta agli alti tassi di tensione applicati durante un terremoto che ai tassi di un test drenato di laboratorio.

Fig. 11.21 – Analisi sismiche: previsioni di deformazione.

La deduzione può spiegare il perché, in generale, i cedimenti di dighe durante i terremoti interessino elementi costruiti in terreno non coerente piuttosto che con materiale argilloso.

11.6.7 -Carte di stabilità e loro uso nelle analisi non drenate

Fin dall’inizio nell’applicazione del calcolo nei problemi di stabilità dei pendii apparve chiaro che tali problemi potessero coinvolgere una notevole quantità dicalcoli aritmetici tutti inclini all’errore e, nella maggior parte dei casi, un inutile spreco di tempo: una serie di analisi che mostrava un fattore di sicurezza inaccettabile, ad es., doveva essere ripetuta per ogni modifica di progetto.

Molti problemi di stabilità dei pendii, inoltre, potevano essere ridotti ad una schematizzazione più semplice, particolarmente nelle prime fasi di sviluppo di un progetto, e questo significava che i medesimi pendii avrebbero dovuto essere analizzati ripetutamente a meno esistesse un gruppo di soluzioni stabilite.

Un tentativo per risolvere tale problema fu fatto da Taylor che notò come, per un pendio dal profilo semplice e nel caso non drenato (in cui le proprietà del terreno potevano essere rappresentate da cufu e g ed il pendio da β ed H) l’intera gamma di combinazioni di tali parametri potesse essere mostrata in un unico grafico (Fig. 11.22).

L’autore analizzò una gamma di pendii di differenti altezze ed angoli di pendenza usando una varietà di combinazioni dei parametri del terreno; il grafico porta in ordinata il numero di stabilità N, ed in ascissa l’angolo di pendenza β. Il numero di stabilità rappresenta il termine dimensionale:

N = c/FcγH

Fig. 11.22 – Carte della stabilità: Curve di Taylor.

Una serie di curve su tale diagramma, per differenti valori dell’angolo di resistenza al taglio mobilizzata del terreno in esame, consente di includere gli effetti dell’attrito non drenato.

Taylor scoprì che quando la resistenza del terreno è prevalentemente coesiva, le superfici di scorrimento tendono ad essere situate in profondità; a conseguenza di ciò la presenza di uno strato duro, a bassa profondità, o di una restrizione della posizione del piede di qualunque cerchio di scorrimento profondo può aumentare i fattori di sicurezza e di questo si tiene conto con ulteriori linee sulla carta. Laddove nel terreno predomini l’attrito, questi effetti diventano minoritari o poco significativi.

11.6.8 – Effetto delle pressioni neutre

E’ possibile includere nelle carte di stabilità le pressioni neutre a condizione che si elaborino alcune ipotesi semplificatrici preliminari. Queste, di norma, consistono nell’assumere una particolare distribuzione delle pressioni neutre nel pendio considerando una falda freatica di forma specifica sotto la quale le pressioni aumentano idrostaticamente con la profondità oppure utilizzando un valore ru.

Il rapporto di pressione ru, usato nelle carte di stabilità dei pendii rappresenta il rapporto del carico idrostatico in un certo punto del pendio rispetto al carico totale, come stimato approssimativamente dall’altezza del terreno sopra quel particolare punto e dal suo peso specifico.

In tutti i casi, salvo quelli estremi, questo non risulta il medesimo per tutti i punti del pendio, ma occupa unicamente un piccolo campo di valori per cui il calcolo di un valore medio implica solamente un minimo grado di approssimazione.

L’introduzione delle pressioni neutre, di conseguenza, aggiunge solo un parametro in più al problema, che viene sistemato in più maniere.

La più significativa di queste tratteggia l’approccio seguito da Spencer che richiede una serie di carte, ciascuna molto somigliante a quella di Taylor, ma calcolate per un singolo valore ru (l’autore sceglie 0, 0.25, 0.5).

La stima del fattore di sicurezza del pendio viene eseguita usando una carta per volta per passare successivamente ad interpolare ottenendo il valore effettivo ru che vale per il pendio in esame.

Fig. 11.24 – Carte della stabilità di Spencer.

Le carte di Bishop & Morgenstern, a loro volta, sono state create specificamente per la progettazione di dighe di terra e, pertanto, si occupano di terreni che hanno coesione relativamente scarsa. Per tali terreni gli autori notano che il fattore di sicurezza, per un dato pendio diminuisce con l’aumentare di ru in modo che F = m – nru.

A seguire vengono tabulati i valori m ed n che sono posti in un grafico. Dato che m ed n sono entrambi funzioni di c‘, f e dell’angolo di inclinazione b, si richiede la composizione di una serie di carte.

Tab. 11.1 – Carte della stabilità: metodo di Morgenstern & Bishop.

L’uso delle carte di Bishop & Morgenstern è limitato dalla scarsa gamma di valori di coesione che viene coperta. Fino ad un certo punto questa deficienza è stata superata da carte aggiuntive pubblicate da O’Connor & Mitchell, i quali allargano la gamma dei valori di coesione. Valori di coesione più ampi, tuttavia, tendono a far sì che il cerchio critico di scorrimento venga situato a maggiore profondità rispetto ai casi in cui la resistenza è dominata dall’attrito e ciò spiega la piccola differenza nel fattore di sicurezza previsto dalle carte di Spencer e da quelle di Bishop & Morgenstern.

11.7 –  Considerazioni sulle analisi di stabilità in terreni

Le analisi di stabilità dei pendii (in questo caso dei terreni) vengono suddivise in 2 categorie: alla prima appartengono le verifiche che consentono di valutarne la stabilità considerando il solo equilibrio delle forze in gioco; alla seconda appartengono le metodologie che consentono una valutazione dei possibili movimenti.

11.7.1 – Introduzione

La stabilità di un versante o pendio, come visto, è usualmente analizzata mediante i metodi dell’equilibrio limite globale. Questo tipo di procedura richiede la sola conoscenza della resistenza al taglio del terreno e non il comportamento sforzi-deformazioni. Tali sistemi non forniscono, di conseguenza, informazioni circa l’entità dei movimenti. I movimenti, per contro, vengono usualmente analizzati mediante il metodo degli elementi finiti dove si rende necessaria la conoscenza del comportamento sforzi-deformazioni del terreno oltre alla valutazione della resistenza al taglio. Sebbene questi metodi consentano la definizione dello stato di deformazione e di tensione all’interno di un pendio, essi non forniscono una misura diretta del grado di stabilità come, ad es., la valutazione del coefficiente di sicurezza ricavabile da un’analisi all’equilibrio limite.

11.7.2 – Analisi all’equilibrio limite globale

Nei metodi basati sul concetto dell’equilibrio limite globale, l’analisi di stabilità viene effettuata al fine di valutare il coefficiente di sicurezza; tale valore deve essere calcolato per la superficie di scivolamento più critica, normalmente definita come superficie di scivolamento critica. Con queste condizioni vengono impiegate delle procedure iterative, ciascuna delle quali comprende la scelta di una superficie critica, la suddivisione della massa interessata dallo scivolamento in un numero conveniente di settori o conci e la valutazione dell’equilibrio di ciascuno dei questi mediante uno dei numerosi metodi disponibili. Le procedure di calcolo della stabilità dei pendii presentano diversi gradi d’accuratezza a seconda delle ipotesi semplificanti assunte da ciascun metodo.

Il coefficiente di sicurezza è definito come il rapporto fra la resistenza al taglio e la tensione tangenziale richiesta per l’equilibrio del pendio.

I metodi dell’equilibrio limite globale determinano, attraverso le equazioni della statica, la resistenza al taglio, agente lungo la superficie di scivolamento presa in considerazione, necessaria all’equilibrio. Il coefficiente di sicurezza, di conseguenza, deve intendersi come un fattore per il quale possono essere ridotti i parametri di resistenza al taglio al fine di portare il pendio in condizione d’incipiente rottura.

Sotto tale ipotesi è evidente che il coefficiente di sicurezza permanga costante lungo tutta la superficie di rottura secondo la relazione:

τeq =(c + σ tg Φ)/F

nella quale τeq è la tensione tangenziale necessaria all’equilibrio, c la coesione intercetta all’inviluppo di rottura di Mohr-Coulomb, Φ l’angolo di attrito, σtensione agente normalmente alla superficie di scivolamento ed F il coefficiente di sicurezza.

Per valutare la stabilità di un pendio con i metodi dell’equilibrio limite è necessario effettuare l’analisi considerando un discreto numero di superfici di scorrimento al fine di determinare la posizione della superficie critica per la quale si rileva il minimo valore del coefficiente di sicurezza. Suddividendo la massa in elementi (o conci) è possibile il raggiungimento di due semplificazioni:

–       la base di ciascun elemento è situata in un unico materiale;

–       gli elementi risultano di estensione sufficientemente limitata motivo per cui i segmenti della superficie di scorrimento, alla base di ogni elemento, possono venire rappresentati da una linea ~ retta.

La condizione di equilibrio viene considerata per ogni elemento: risultando soddisfatta per ognuno di questi, la stessa risulterà  soddisfatta per l’intera massa. In Fig. 11.25 sono mostrate le forze agenti sul generico concio.

Fig. 11.25 – Forze agenti sul medesimo elemento (o concio).

Come anticipato nei paragrafi precedenti, il numero di equazioni di equilibrio disponibili dipende dal numero n di conci e dal numero di equazioni di equilibrio utilizzabili; come da indicazioni in Tab. 11.2, il numero di equazioni disponibili è 2n se deve essere soddisfatto il solo equilibrio delle forze e 3n se deve essere soddisfatto l’equilibrio sia delle forze sia dei momenti. Dovendo essere soddisfatto l’equilibrio delle sole forze, le incognite sono (3n-1). Se deve essere soddisfatto l’equilibrio sia delle forze che dei momenti, il numero delle incognite è pari a (5n-2).

Nel caso specifico per cui n=1, il problema è staticamente determinato, e il numero delle equazioni di equilibrio è uguale al numero di incognite. Per suddividere una superficie di rottura in maniera sufficientemente accurata, tuttavia, è usualmente necessario utilizzare da 10 a 40 elementi, motivo per cui il numero di incognite eccede il numero di equazioni disponibili. Il numero delle equazioni mancanti è pari a (n-1) per le analisi che considerino il solo equilibrio delle forze e (2n-2) per le analisi che soddisfino tutte le condizioni di equilibrio.

Per tale motivo il problema risulta staticamente indeterminato occorrendo imporre delle assunzioni per quanto attiene alle equazioni mancanti. Nei diversi metodi reperibili in letteratura tali assunzioni riguardano la direzione e il punto di applicazione delle forze mutuate tra i diversi elementi.

Tab. 11.2 – Analisi di stabilità dei pendii: rapporti equazioni/incognite.

Tab. 11.3 – Caratteristiche dei metodi all’equilibrio limite più usati per l’analisi di stabilità dei pendii.

I diversi metodi dell’equilibrio limite variano l’uno dall’altro per le seguenti caratteristiche:

–       differenti assunzioni per quanto concerne le equazioni mancanti per ricavare tutte le incognite del problema;

–       alcuni metodi (ad es. Fellenius e Bishop modificato) non soddisfano tutte le equazioni di equilibrio o addirittura le condizioni di equilibrio delle forze. Di conseguenza tali procedure sono basate su un minor numero di equazioni (e incognite) rispetto a quanto indicato in Tab. 11.3.

Nei metodi basati sull’equilibrio limite assume importanza decisiva l’accuratezza del calcolo, che può variare nelle diverse procedure tenendo presente che le equazioni di equilibrio disponibili sono inferiori alle incognite e, conseguentemente, per valutare il coefficiente di sicurezza occorre fare delle assunzioni semplificanti. L’accuratezza del calcolo riguarda unicamente la valutazione della tensione di taglio richiesta per l’equilibrio (Teq) e il valore della tensione normale o agente lungo la superficie di rottura.

E’ altresì opportuno evidenziare come, oltre alla precisione del calcolo, si ottenga un’accuratezza complessiva relativamente alla conoscenza del sito ed alla valutazione, sulla base delle indagini geognostiche, di tutti i parametri geotecnici necessari per il calcolo, con particolare riferimento alla resistenza al taglio. Ricerche condotte a tale proposito hanno portato alle seguenti conclusioni:

–       a – qualora il metodo d’analisi soddisfi tutte le condizioni d’equilibrio, il coefficiente di sicurezza è accurato in una % entro ± 6%;

–       b – il metodo di Bishop modificato costituisce una particolarità e, per quanto non soddisfi tutte le condizioni d’equilibrio, risulta molto accurato sebbene limitato a superfici di scivolamento circolari;

–       c – qualunque sia la procedura utilizzata, risulta decisiva un’accurata ricerca della superficie critica per assicurarsi che sia stato effettivamente calcolato il coefficiente di sicurezza minimo.

11.7.3 – Soluzioni grafiche

La qualità dell’accuratezza nell’utilizzo d’abachi per le analisi di stabilità è comparabile a quella ottenibile nella valutazione della resistenza al taglio. Le analisi di stabilità utilizzanti abachi vengono effettuate in breve una volta valutati con sufficiente accuratezza la resistenza al taglio ed il peso di volume dei differenti strati al fine di determinare quel valore medio rappresentativo da utilizzare nell’abaco medesimo. Tali sistemi grafici, fornendo un rapido mezzo per le analisi di stabilità, vengono impiegati per effettuare analisi preliminari, controllare verifiche più complesse o effettuare analisi complete.

11.7.3.1 – Quantificazione di β, τ e γ

Per diminuire il numero delle variabili gli abachi sono stati sviluppati per pendii omogenei. Applicando tale approccio è necessario semplificare la geometria del pendio assumendo una pendenza media costante (βm).

Per definire un valore medio della resistenza al taglio è utile conoscere, per quanto con una certa approssimazione, la posizione della superficie di rottura; gli abachi riportati forniscono un mezzo per stimare la posizione della superficie di scivolamento. Il valore di resistenza al taglio media, da utilizzare nel grafico, è calcolato disegnando la superficie di rottura circolare critica. Una volta definita tale superficie viene misurato l’angolo, dal centro del cerchio di scivolamento, sotteso da ogni strato o zona di terreno.

Tali angoli sono utilizzati come fattori di peso per calcolare i parametri medi di resistenza al taglio cm e Φm espressi dalla relazione:

nella quale cm è la coesione media, Φm l’angolo di attrito medio, δi angolo dell’arco sotteso dalla zona i-esima, misurato dal centro del cerchio di scivolamento critico, ci la coesione nella zona i-esima e Φi l’ angolo di attrito nella zona i-esima.

Per valutare il valore medio del peso di volume è sufficiente utilizzare lo spessore del singolo strato quale fattore di ponderazione secondo l’espressione:

In cui γm è il peso dell’unità di volume medio γi il peso dell’unità di volume dello strato i-esimo e hi lo spessore dello strato i-esimo.

In riferimento a terreni incoerenti (Fig. 11.26) viene riportato l’abaco di Janbu che consente di determinare le coordinate del cerchio di scivolamento critico unitamente al coefficiente di sicurezza. Definiti i valori medi della coesione, dell’angolo d’attrito e del peso dell’unità di volume, il coefficiente di sicurezza viene ricavato dalla relazione:

nella quale Ncf è un coefficiente di stabilità ricavabile dall’abaco di sinistra (Fig. 11.26) c è il valore medio di coesione intercetta, e Pd viene definito dalla relazione:

nella quale γ è il peso dell’unità di volume, H l’altezza del pendio, q il sovraccarico in sommità al pendio, YW il peso dell’unità di volume dell’acqua, Hw la profondità della superficie piezometrica, a valle del pendio, misurata dal piede del pendio, μq un coefficiente di correzione per effetto del sovraccarico, μw un coefficiente di correzione per effetto della pressione neutra, μt un coefficiente di correzione per effetto della presenza di una frattura verticale.

I valori di μqμw e μt sono dati dagli abachi di Fig. 11.27. Il valore di Ncf (Fig. 11.26) è ricavato dal valore b = cotg β (angolo di inclinazione del pendio) e dal valore del parametro adimensionale λ. Quest’ultimo è definito dalla relazione:

λ = Pe tg Φ/c

nella quale c e tg Φ sono i valori medi della coesione e dell’angolo di attrito. Il valore di Pe è definito dall’espressione:

dove Hw è il livello piezometrico medio all’interno del pendio misurato dal piede del pendio, μw è un coefficiente di correzione per quanto concerne il moto di filtrazione all’interno del pendio (YHq già definiti).

Il valore di Hw difficoltoso da rilevare è collegato al valore di Hc (livello di falda in corrispondenza della sommità del pendio, Fig. 11.28 – Abaco di Duncan). Quando il valore di Hc viene determinato da misure effettuate in situ o da prove di filtrazione, il valore di Hw è ricavabile dall’abaco in Fig. 11.28.

Fig. 11.26 – Abachi di Janbu per l’analisi di stabilità dei pendii entro terreni incoerenti.

Fig. 11.27 – Abachi di Janbu: coefficienti di correzione.

Fig. 11.28 – Abaco di Duncan per determinazioni del moto di filtrazione in regime stazionario.

11.7.3.2 – Analisi di stabilità con pendio indefinito

Trovandosi in ambiti nelle quali uno strato superficiale di terreno di spessore limitato è situato parallelamente alla superficie del pendio, la superficie di potenziale scivolamento può sovente essere ipotizzata parallela alla superficie del pendio (Fig. 11.29).

Quando la superficie di scorrimento risulta sufficientemente estesa a confronto con la profondità questa la medesima diviene analizzabile mediante la procedura di stabilità relativa ad un pendio indefinito.

Le condizioni d’equilibrio di un pendio indefinito, come visto nel paragrafo relativo, trascurano le forze agenti nella zona soprastante la massa interessata dal movimento così come le forze resistenti nella parte sottostante.

Tali forze trascurate risultano normalmente più elevate, e l’analisi di un pendio indefinito porta ad un risultato conservativo.

Il coefficiente di sicurezza per l’analisi di un pendio indefinito, viene espresso dalla relazione:

nella quale A e B sono due coefficienti di stabilità adimensionali (Fig. 11.29), Φ‘ e c‘ sono i parametri di resistenza al taglio in termini di tensioni efficaci in corrispondenza della superficie di rottura, β l’angolo di inclinazione del pendio, γ il peso dell’unità di volume totale del terreno interessato dallo scivolamento, Hla profondità della superficie di scivolamento, misurata verticalmente.

L’abaco di Fig. 11.29 viene utilizzato sia in corrispondenza di tensioni efficaci che per tensioni totali: per le prime, le pressioni neutre lungo la superficie di rottura sono caratterizzate dal parametro adimensionale della pressione dell’acqua interstiziale (pressione neutra); per le seconde i valori di c’ e Φ sono utilizzati, ovviamente, al posto di c e Φ mentre ru = 0.

Fig. 11.29 – Abachi di Duncan per le verifiche di stabilità con pendii indefiniti.

11.7.4 –  Analisi tridimensionali

Sebbene i metodi di analisi di pendii discussi in precedenza siano stati formulati per casi bidimensionali risulta opportuno rammentare come l’effettiva rottura di un pendio avvenga in condizioni tridimensionali e da tale constatazione emerge spontanea la questione circa l’esatta portata dell’accuratezza e dell’attendibilità di una analisi bidimensionale applicata a problemi tridimensionali.

Studi effettuate in tale senso, tuttavia, sono concordi nell’affermare come i coefficienti di sicurezza calcolati utilizzando una analisi 3D risultino maggiori di quelli calcolati mediante una analisi 2D, a parità dei restanti dati (geometria, stratigrafia, parametri geotecnici etc.).

Una deduzione decisiva ricavabile è che la sezione 2D analizzata rappresenti la sezione più critica della massa di terreno potenzialmente instabile.

Nell’esempio mostrato in Fig. 11.30, riassuntivo dei risultati delle analisi 2D e 3D relativi ad una superficie di scorrimento ellittica, i coefficienti di sicurezza calcolati per 3 sezioni trasversali bidimensionali attraverso la massa di terreno instabile, sono pari a F2 = 1.11.0 e 1.19.

 

Fig. 11.30 – Confronto tra analisi di stabilità 2D e 3D.

La sezione centrale (2) risulta la più critica per cui il minimo coefficiente di sicurezza 2D è relativo a tale sezione. La Fig. 11.30b mostra i risultati di una analisi 3D effettuata utilizzando il metodo di Bishop modificato esteso ai casi tridimensionali. La forma della superficie di scivolamento ellissoidale critica è mostrata in Fig. 11.30c dove il minimo coefficiente di sicurezza 3D è F3 = 1.01 che risulta, solo dell’1% maggiore di quello minimo calcolato con un’analisi 2D.

E’ tuttavia decisamente più difficile effettuare un’analisi 3D piuttosto che una 2D in quanto le analisi 2D, fornendo comunque un risultato conservativo (F2<F3 a parità delle restanti condizioni) le medesime forniscono un ragionevole e sufficientemente accurato approccio alla maggior parte dei problemi pratici di analisi di stabilità dei pendii.

11.7.5 – Analisi di stabilità in condizioni sismiche

A motivo di eventi sismici, come visto, anche i pendii sono sottoposti a forze d’inerzia che mutano, alternativamente, di direzione più volte durante l’evento medesimo in quanto il sisma, nel proprio ambito, è caratterizzato da un moto accelerato variabile. La verifica della stabilità di un pendio in condizioni sismiche propone di conseguenza, quale obbiettivo, la valutazione delle sollecitazioni causate dal sisma le quali si vanno a sovrapporre allo stato di sollecitazione preesistente dovuto ai carichi permanenti.

II problema dell’analisi di pendii in condizioni sismiche viene, di norma, affrontato tramite modello pseudo-statico che consiste nell’assimilare l’azione sismica ad un sistema di forze inerziali orizzontali, proporzionali all’accelerazione massima del sisma atteso ed agenti nel verso di maggiore instabilità.

Tale procedura d’analisi riconduce gli effetti sismici ad un problema statico dove la forza orizzontale viene espressa come il prodotto di un coefficiente sismico Kper il peso W della massa di terreno supposta interessata dal movimento di collasso. La scelta del coefficiente sismico é basata, di norma, su criteri empirici o indicazioni della normativa esistente sebbene debba invece essere composta in funzione della magnitudo, della distanza ipocentrale e del tipo di terreno.

A livello statico, entro pendii stabili, un sisma causa delle deformazioni permanenti solo quando le forze di inerzia (durante il sisma variabili in intensità e direzione) inducono delle sollecitazioni che, aggiunte a quelle dovute ai carichi permanenti, superano il limite di resistenza del terreno.

In presenza di materiali non caratterizzati da una rapida caduta di resistenza al taglio, ciò si verifica ogni volta che il coefficiente di sicurezza è <1; di conseguenza, adottando il metodo pseudostatico, la verifica delle condizioni di equilibrio del pendio consiste nella ricerca della superficie critica ( → minimo valore del coefficiente di sicurezza per un prefissato livello costante del coefficiente sismico). La stabilità viene assicurata solo se il coefficiente di sicurezza risulta >1.

In alternativa, adottando, come visto in precedenza, il metodo proposto da Sarma, si determina il coefficiente sismico critico kc, corrispondente a un coefficiente di sicurezza unitario, e lo si confronta col valore dell’accelerazione di picco attesa al sito.

Newmark ha evidenziato come gli effetti di un sisma sulla stabilità di un pendio debbano essere valutati in termini di deformazioni prodotte piuttosto che in termini di minimo coefficiente di sicurezza: in effetti, tramite il modello pseudo-statico, qualora il coefficiente di sicurezza fosse = 1, si potrebbe assumere che lo spostamento raggiunto sia così grande da rappresentare il collasso del pendio.

In ogni caso le forze d’inerzia indotte dal sisma, in grado di ridurre il coefficiente di sicurezza a livelli <1 e produrre deformazioni permanenti, si rivelano di natura transitoria, annullandosi quando le forze di inerzia invertono il verso e cessa l’evento sismico; di conseguenza la deformazione complessiva prodotta può non raggiungere necessariamente valori tali da causare il collasso del pendio.

Appare comunque evidente che le deformazioni, dovute a un carico ciclico come quello indotto da un sisma, dipendano dal tipo di sollecitazioni dinamiche (durata, forma e contenuto in frequenza dell’intero accelerogramma) e non possano venire rappresentata dal coefficiente di sicurezza minimo (ed istantaneo) in quanto relativo alla presenza delle forze di inerzia massime generate dal terremoto.

Un ulteriore limite del modello pseudo-statico consiste nella possibile riduzione della resistenza al taglio conseguente all’aumento della pressione interstiziale manifestantesi in un terreno saturo a seguito d’episodi di carico ciclico: l’effetto dell’aumento della pressione interstiziale comporta una riduzione della resistenza totale del materiale e, per determinati terreni (sabbie e sabbie limose sature), questo può produrre liquefazione. A motivo della lenta dissipazione della pressione interstiziale il coefficiente di sicurezza, dopo che un sisma ha sollecitato un pendio, tende gradualmente ad aumentare, raggiungendo il valore finale posseduto prima del sisma, e durante questa fase nuovi eventi sismici, anche di ridotta entità, possono portare ad uno stato di rottura. Per quanto riguarda la valutazione degli spostamenti permanenti di un pendio indotti dal sisma durante tutta la propria durata, risulta opportuno rammentare la procedura proposta da Newmark.

Il metodo si articola per 2 fasi:

–       a – determinazione del coefficiente sismico critico kc ac/g cui corrisponde la condizione di equilibrio limite;

–       b – determinazione dello spostamento prodottosi negli intervalli di tempo in cui l’accelerazione critica viene superata.

Per quanto attiene al punto a il coefficiente di accelerazione critica è determinato sulla base del modello pseudo-statico; per quanto attiene al punto b Newmark suggerisce un procedimento nel quale si assume un comportamento del terreno rigido-plastico mentre la massa di terreno, compresa fra la superficie di rottura e il piano campagna, viene schematizzata con un blocco rigido posto su un supporto mobile.

Riferendosi alla Fig. 11.31a, il blocco rigido (peso W e massa M) subisce uno spostamento assoluto x. Il movimento del supporto (terreno) sul quale il blocco poggia viene definito dalla funzione y(t), nella quale y varia col tempo t. Il movimento del blocco relativo al supporto è indicato con u = x-y.

Fig. 11.31 – (a) blocco rigido su supporto mobile; (b) impulso di accelerazione rettangolare.

La resistenza al moto viene presa proporzionale al peso W e pari a NW: questo corrisponde ad un’accelerazione del supporto pari a Ng (accelerazione critica). In Fig. 11.31b sono mostrati l’impulso di accelerazione Ag costante e agente per la durata t0 e, con una linea tratteggiata, l’accelerazione critica Ng.

La forza agente assume un minimo periodo mentre quella resistente dura fino a quando muta la direzione del movimento: nella Fig. 11.32 sono mostrate le velocità del blocco corrispondenti alla forza agente e a quella resistente. Il valore massimo della velocità V per la forza agente viene stabilito dalla relazione:

V = A g t0

Fig. 11.32 – Risposta in termini di velocità ad un gradino di accelerazione.

Dopo l’istante t0 la velocità permane costante. Il valore della velocità per la forza resistente è pari a Ngt. All’istante tm le 2 velocità si pareggiano motivo per cui la loro risultante è pari a 0 (il corpo rigido torna allo stato di quiete rispetto al supporto). Ponendo V = Ngt si ricava:

tm = V/Ng

Il massimo spostamento della massa um riferito al supporto è dato dall’area tratteggiata in Fig. 11.32. Il calcolo è fornito dalla relazione:

quindi:

L’impulso di Fig. 11.31 corrisponde ad uno spostamento del terreno infinito; in realtà si compone una successione di impulsi di entità diversa, alcuni positivi ed altri negativi; di conseguenza la relazione indicata per valutare sovrastima lo spostamento relativo causato dal sisma, sebbene si ottenga una ragionevole indicazione dello spostamento causato da un sisma.

Per quanto concerne l’identificazione dei valori di spostamento ammissibili, Wilson & Keefer suggeriscono uno spostamento critico ~10 cm per pendii in terreni coesivi e ~2 cm per pendii in materiali rocciosi a struttura complessa.

11.8 – Considerazioni sull’analisi di stabilità dei pendii rocciosi

La maggior parte degli ammassi rocciosi, a parte situazioni particolari di bancate completamente integre, può essere considerata costituita da un insieme di blocchi di materiale lapideo intatto separati da sistemi di discontinuità di diversa origine (giunti, superfici di stratificazione o di scistosità, faglie etc.). Di norma il comportamento meccanico di un ammasso roccioso dipende dalle caratteristiche meccaniche delle discontinuità che si dimostrano, generalmente, più scadenti di quelle del materiale roccioso costituente i blocchi isolati dalle medesime discontinuità. Appare allora evidente come la stabilità di un pendio roccioso dipenda, fondamentalmente, dalla presenza di discontinuità e dal loro status geomeccanico.

11.8.1 – Introduzione

Escludendo le rocce molto tenere, l’analisi di stabilità di un pendio roccioso si compone di 2 differenti passi: il primo consiste nell’analizzare le condizioni strutturali dell’ammasso per determinare se l’orientamento delle discontinuità (assimilabili a superfici ~ piane) possa determinare l’insorgere di movimenti di massa entro il pendio in esame. Tale analisi viene usualmente effettuata utilizzando i reticoli stereografici e prende il nome di analisi cinematica.

Dopo aver appurato che un movimento franoso risulta cinematicamente possibile, il secondo passo comporta un’analisi col metodo dell’equilibrio limite allo scopo di confrontare le forze destabilizzanti con quelle resistenti e determinare,di conseguenza, il coefficiente di sicurezza.

I principali movimenti franosi in roccia (Fig. 11.33) vengono suddivisi in 4 diverse categorie:

–       a – rottura lungo discontinuità (piana) inclinata verso valle (Fig. 11.33a);

–       b – rottura (tetraedrica) lungo 2 piani di discontinuità non paralleli la cui intersezione è inclinata verso la superficie esterna del pendio (Fig. 11.33b);

–       c – rottura (per ribaltamento) dovuta a blocchi/colonne individuati da discontinuità subverticali (Fig. 11.33c);

–       d – rotture nelle quali il piano di scivolamento non coincida con le superfici di discontinuità in quanto l’ammasso roccioso risulta molto fratturato oppure la roccia è caratterizzata da un basso valore di resistenza al taglio.

Fig. 11.33 – Pendii rocciosi e differenti tipi di rottura:

I primi 3 tipi di movimenti si distinguono da quelli nei terreno in quanto la superficie di rottura è nota in partenza; per un versante in roccia, di conseguenza, assume fondamentale importanza la descrizione geometrica di ogni discontinuità ottenuta mediante i 2 parametri dell’inclinazione e dell’immersione.

Fig. 11.34 – Rappresentazioni stereografiche.

Facendo riferimento alla Fig. 11.34 l’inclinazione (0°÷90°) è l’angolo tra il piano orizzontale e la linea di massima pendenza della discontinuità: positivo se diretto verso il basso. L’immersione (0°÷360°) è l’angolo misurato in senso orario tra la direzione Nord e la linea di massima pendenza diretta verso il basso. L’immersione differisce, dall’angolo relativo alla direzione, di 90°; essendo quest’ultima definita come l’angolo tra la direzione Nord e la retta d’intersezione tra la discontinuità piana ed il piano orizzontale. Di norma è preferibile utilizzare l’angolo d’immersione piuttosto che l’angolo di direzione per evitare ambiguità nella definizione dell’inclinazione della discontinuità.

L’interpretazione di tali dati strutturali richiede l’impiego delle proiezioni stereografiche (vol. 1°) che permettono di rappresentare entro un piano l’orientamento di rette o piani nello spazio.

Poiché le rappresentazioni stereografiche eliminano dal problema una dimensione, i piani possono essere rappresentati mediante linee e le linee mediante dei punti, considerando le analisi solo le relazioni angolari esistenti tra rette, piani e rette e piani; tale tipo d’analisi, quindi, non consente di rappresentare la posizione o le dimensioni delle discontinuità.

II principio di una proiezione stereografica consiste nel considerare una sfera di riferimento che ha un orientamento prefissato dei suoi assi e del suo piano equatoriale rispetto al Nord (Fig. 11.34b). Rette caratterizzate dal valore dell’angolo d’inclinazione (plunge, angolo tra la retta e la sua proiezione sul piano H) e dal valore dell’angolo d’immersione (trend, angolo compreso fra la normale alla proiezione H della retta e la direzione Nord) possono essere poste, in senso immaginario, in maniera tale da attraversare il centro della sfera di riferimento.

Fig. 11.35 – Proiezioni equiareali per la rappresentazione di rette e piani.

L’intersezione della retta con la semisfera inferiore della sfera ideale di riferimento definisce un unico punto (Fig. 11.35a). A seconda del tipo di proiezione stereografica, il punto è ruotato fino a coincidere con un unico punto sul reticolo stereografico. Una linea retta con un piccolo angolo di inclinazione è riportata in prossimità della circonferenza del reticolo stereografico mentre una linea retta, con un angolo d’inclinazione elevato, viene rappresentata nel reticolo stereografico da un punto in prossimità del centro del cerchio.

Allo stesso modo i piani vengono posti in maniera tale da passare per il centro della sfera di riferimento, vigendo una linea d’intersezione univoca con la semisfera inferiore (Figg. 11.34b e 11.35b). La proiezione di tale intersezione sul reticolo stereografico produce un’unica rappresentazione del piano definita grande cerchio. Piani di discontinuità con bassi valori dell’angolo d’inclinazione, presentano il grande cerchio prossimo alla circonferenza del reticolo stereografico mentre piani di discontinuità molto inclinati vengono definiti da un grande cerchio prossimo al centro del reticolo.

Una tecnica alternativa di rappresentare i piani utilizza il concetto di polo, che rappresenta l’intersezione con la semisfera inferiore della normale al piano condotta per il centro della sfera (Fig. 11.35b).

 

Fig. 11.36 – Diagramma stereografico polare di Schmidt: poli rappresentativi dei piani di discontinuità e delle curve di livello della densità dei poli.

In un rilievo strutturale la rappresentazione più efficace, per valutarne i risultati, consiste nel rappresentare su un diagramma polare tutti i poli dei piani di discontinuità rilevati, poiché tale rappresentazione fornisce un’indicazione delle orientazioni preferenziali dei sistemi di discontinuità presenti nell’ammasso.

A tale ultimo riguardo può essere utile (Fig. 9.36) riportare la densità dei poli, definita pari al rapporto fra il numero dei poli che ricadono in un’areola elementare intorno al punto in esame e il numero dei poli totale, diviso ancora per il rapporto fra la superficie dell’areola e quella della proiezione (tale rapporto viene assunto, usualmente, pari a 0.01).

La Fig. 11.37 riporta un esempio (Hoek & Bray) di come determinare l’intersezione fra due piani.

Fig. 11.37 – Determinazione della linea d’intersezione di 2 piani.

11.8.2 – Rottura lungo un’unica discontinuità

La Fig. 11.38a definisce il modello dove le rotture planari avvengono lungo un’unica superficie di discontinuità, inclinata verso l’esterno del pendio, ed approssimata da un piano. L’analisi di stabilità di un pendio in roccia, se la rottura avviene lungo una sola discontinuità, può venire riportata ad una situazione bidimensionale. Superfici di discontinuità addizionali possono definire l’estensione laterale di una rottura piana ma tali elementi vengono considerati quali zone di rilascio che non contribuiscono alla stabilità dell’ammasso roccioso interessato dalla rottura.

 

Fig. 11.38 – Analisi cinematica di una rottura piana.

11.8.2.1 – Analisi cinematica

Relativamente all’assetto strutturale dell’ammasso roccioso sono 4 le condizioni che permettono una rottura piana, ossia:

–       a – l’angolo d’immersione della discontinuità piana deve risultare max ± 20° rispetto a quello relativo all’immersione del fronte del pendio;

–       b – l’inclinazione della discontinuità piana deve essere inferiore all’inclinazione del fronte del pendio e, conseguentemente, affiorare a valle del medesimo;

–       c – l’inclinazione della discontinuità piana deve essere maggiore dell’angolo di attrito della discontinuità stessa;

–       d – l’estensione laterale dell’ammasso roccioso potenzialmente interessato dalla rottura, deve essere definita dalle superfici laterali di rilascio (che non contribuiscono alla stabilità della massa di roccia) o dalla presenza di un pendio a forma convessa intersecato dalla discontinuità piana.

In Fig. 11.38 sono illustrate le prime 3 condizioni; le medesime sono le uniche che possano essere valutate con un’analisi effettuata mediante i reticoli stereografici.

La presenza di valori indicativi della pressione interstiziale, lungo la superficie di rottura, viene a modificare, in talune situazioni, le possibilità cinematiche di una rottura piana (ad es. la presenza di pressioni interstiziali può causare rotture anche se l’inclinazione della superficie di rottura è inferiore al valore dell’angolo di attrito della discontinuità stessa).

11.8.2.2 – Analisi di stabilità

Riferendosi alle condizioni strutturali, qualora l’analisi cinematica indicasse la presenza dei requisiti per un eventuale movimento franoso, la stabilità deve essere valutata mediante un’analisi all’equilibrio limite che consideri:

–       la resistenza al taglio lungo la superficie di rottura;

–       gli effetti dovuti alla pressione dell’acqua;

–       l’influenza delle forze esterne come elementi di rinforzo o sollecitazioni sismiche.

L’analisi di stabilità per rotture piane richiede la valutazione delle forze agenti perpendicolarmente e parallelamente alla potenziale superficie di rottura. L’analisi del problema può venire effettuata in 2D o 3D; tuttavia il caso più frequente è quello di ricavare la soluzione schematizzando il problema in 2D considerando uno spessore unitario del pendio.

Fig. 11.39 – Determinazione del Coefficiente di sicurezza per due casi di rottura piana.

La Fig. 11.39 mostra due diverse situazione geometriche in funzione della differente posizione di una frattura di trazione localizzata alla sommità del pendio:

–       frattura di trazione ubicata sul fronte del pendio (Fig. 11.39a);

–       frattura dì trazione ubicata sul ciglio superiore del pendio (Fig. 11.39b).

In presenza di falda un sistema semplificato consiste nell’assumere il giunto di trazione parzialmente saturo e considerare una superficie freatica che vari linearmente fino a raggiungere il lato esterno del pendio (Fig. 11.39). La figura riporta per i diversi casi di ubicazione del giunto di trazione, le equazioni necessarie per calcolare il coefficiente di sicurezza. Le equazioni comprendono anche possibili forze esterne stabilizzanti (dovute a chiodature o tiranti e forze destabilizzanti dovute a un evento sismico).

Sempre facendo riferimento alla Fig. 11.39, assume particolare importanza l’ubicazione della frattura di trazione indicata dalla dimensione b; in generale, infatti, si rende pienamente ipotizzabile per molti casi la presenza, nella parte alta di una scarpata, di una frattura aperta, sub-verticale, di neoformazione, in particolare satura d’acqua.

Una frattura di trazione del genere può sicuramente essere presente nella parte sommitale del pendio (Val Pola, ad es.) per effetto di precedenti movimenti; con tali condizioni la geometria per l’analisi di stabilità risulta definita con buona precisione.

In altri episodi, tuttavia, possono non essersi manifestati movimenti del tipo; oppure l’ubicazione risulta difficile da appurare causa ricoprimenti superficiali. Sotto tali limitazioni è possibile allora valutare la più probabile ubicazione del giunto di trazione tramite la relazione di Hoek & Bray:

L’equazione è stata ricavata nel caso di un pendio secco e per un pendio con la superficie superiore orizzontale; in ogni caso, quale primo approccio, risulta adeguata a molti casi pratici.

Per entrambe le situazioni mostrate in Fig. 11.39, il coefficiente di sicurezza è dato dalla relazione:

L’espressione può essere semplificata in assenza di forze esterne (a = T = 0):

In assenza di falda (U = V = 0) e in assenza di forze esterne (a = T = 0):

Per terreni incoerenti (c = 0), nel caso di assenza di falda (U = V = 0) e di forze esterne (a = T = 0):

In questo caso, quando l’inclinazione della superficie di rottura è uguale all’angolo di attrito del piano di discontinuità, il coefficiente di sicurezza del pendio è pari ad 1.

Per l’analisi di stabilità, relativamente ad una rottura lungo una sola discontinuità contenuta nell’ammasso roccioso, è possibile utilizzare un metodo alternativo basato sull’equilibrio limite ed il metodo degli elementi al fine di schematizzare la geometria del pendio e della superficie di rottura.

11.8.3 – Stabilità di un cuneo di roccia di forma tetraedrica

Considerando i dissesti 3D di pendii in roccia, uno dei casi più comuni è quello relativo ai cunei di roccia di forma tetraedrica nei quali il detto cuneo viene individuato da 2 superfici di discontinuità, tra loro non parallele, e dalla superficie del pendio.

11.8.3.1 – Analisi cinematica

L’analisi cinematica di un cuneo di forma tetraedrica viene governata dall’orientazione della linea di intersezione dei 2 piani di discontinuità che isolano il blocco di roccia. La procedura permette di valutare se può verificarsi un moto associato al formarsi di un cuneo e se questo si realizzi su uno dei 2 piani o su entrambi, con un movimento in direzione della linea d’intersezione dei 2 piani.

Le condizioni strutturali necessarie a tale rottura (Fig. 11.40) sono:

a – l’angolo di trend della linea d’intersezione dei 2 piani deve approssimare l’immersione della superficie del pendio;

b – l’angolo di plunge della linea d’intersezione deve essere inferiore all’inclinazione della superficie del pendio (la linea d’intersezione affiora sulla superficie del pendio);

c – l’angolo di plunge della linea d’intersezione deve essere maggiore dell’angolo di attrito della superficie. Qualora gli angoli d’attrito delle 2 discontinuità fossero significativamente differenti, si può adottare un angolo d’attrito medio (Fig. 11.40a).

Fig. 11.40 – Analisi cinematica di un blocco roccioso di forma tetraedrica.

Il modello, rappresentando la soluzione di un problema 3D, non necessita d’alcuna assunzione sull’estensione laterale del blocco roccioso interessato dal dissesto; l’analisi stereografica consente inoltre di determinare se il movimento avviene su un piano di discontinuità o su entrambi (Markland Test).

La presenza di valori discreti della pressione neutra lungo le 2 discontinuità, tuttavia, può, in alcuni casi, modificare quanto appena affermato: ad es., la presenza di pressioni neutre può provocare la rottura nonostante l’angolo di plunge della linea d’intersezione risulti inferiore all’angolo d’attrito medio dei piani di discontinuità.

11.8.3.2 – Analisi di stabilità

Qualora l’analisi cinematica di un cuneo di forma tetraedrica, eseguita con procedura stereografica, evidenzi la possibilità di un collasso, è opportuno approfondire la ricerca con analisi di stabilità più dettagliate per la progettazione degli interventi di stabilizzazione.

Nell’analisi il blocco tetraedrico viene supposto rigido considerando una rottura di tipo traslativo trascurando i momenti delle forze agenti. La metodologia richiede che la geometria del blocco risulti definita essendo noti gli orientamenti:

–       dei 2 piani di discontinuità;

–       delle superfici superiore e inferiore del pendio;

–       della frattura a trazione.

L’analisi di stabilità di un blocco tetraedrico può essere effettuata calcolando il coefficiente di sicurezza sulla base delle componenti normali e parallele, alle superfici delle due discontinuità, delle forze agenti sul cuneo.

Fig. 11.41 – Equazioni risolutive per l’analisi di stabilità di un blocco roccioso di forma tetraedrica.

Le forze agenti includono il peso del blocco di roccia, forze esterne quali quelle dovute alla presenza di una fondazione o di un vettore sismico, reazioni di rinforzo quali chiodature o tiranti, forze generate dalla presenza di una falda e forze di resistenza al taglio agenti lungo i piani di scivolamento.

La procedura analitica per calcolare il coefficiente di sicurezza è molto rigorosa tanto da obbligare a ricorrere a fogli elettronici o a sistemi iteratori mirati; tuttavia, in diversi casi, si possono effettuare delle assunzioni allo scopo di semplificare il problema, motivo per cui le equazioni che forniscono la soluzione risultano di facile applicazione, anche mediante un calcolo manuale. In Fig. 11.41 sono indicate alcune metodiche per ricavare il coefficiente di sicurezza in casi semplici e realistici.

11.8.4 – Dissesti per ribaltamento

I dissesti per ribaltamento sono eventi relativamente diffusi nei pendii naturali, in particolare entro formazioni stratificate o scistose quando gli strati sono verticalizzati e la topografia è accidentata. Le medesime forme sono inoltre comuni nelle scarpate artificiali molto inclinate con strati a reggipoggio.

  

Fig. 11.42 – Differenti forme di rotture primarie per ribaltamento.

Nelle condizioni d’instabilità per ribaltamento l’ammasso roccioso viene, di norma, suddiviso in blocchi da una famiglia di discontinuità caratterizzate da un angolo di direzione ± parallelo alla superficie del pendio e con inclinazione accentuata in corrispondenza della superficie del pendio (Fig. 11.42).

Fig. 11.43 – Differenti forme di rotture secondarie per ribaltamento.

A seguito di una rottura per ribaltamento il blocco roccioso ruota intorno a un punto quasi fisso in corrispondenza, o in prossimità, della propria base. L’apertura dei giunti viene provocata dalla deformazione della massa rocciosa con spostamento complessivo, verso valle, conseguente alla creazione di un fronte di scavo o alla formazione di un pendio naturale.

Esistono differenti tipi di rottura per ribaltamento (Fig. 11.42); eventi del genere possono inoltre comporsi quali movimenti di rottura secondari associati ad altri meccanismi di rottura (Fig. 11.43). Affinché si verifichi una rottura per ribaltamento occorre che il centro di gravità della colonna cada al di fuori delle dimensioni della base della colonna medesima.

Le rotture per ribaltamento sono caratterizzate da decisivi movimenti orizzontali alla sommità e da modesti movimenti al piede; allo scopo d’accomodare tali movimenti differenziali, tra il piede e la sommità, occorre che si compongano dei movimenti tra i diversi strati. Di conseguenza la resistenza al taglio tra i diversi strati assume un ruolo fondamentale per la stabilità di un pendio suscettibile di dissesti per ribaltamento. Ulteriore caratteristica dei movimenti causati dal ribaltamento di blocchi di roccia è lo sviluppo iniziale di giunti di trazione alla sommità, e dietro, la cresta del pendio, parallelamente all’angolo di direzione degli strati: la rottura non sopraggiunge finché non si realizzi una rottura per taglio dei blocchi alla base del pendio.

Pendii caratterizzati da una struttura dell’ammasso roccioso favorevole a movimenti di ribaltamento possono essere condotti a rottura a causa di un aumento delle pressioni neutre, per erosione o per scavi effettuato al piede del pendio.

11.8.4.1 – Analisi cinematica

In Fig. 11.44 sono indicati i parametri necessari a definire un modello analitico, per l’analisi di un pendio caratterizzato da possibili movimenti di ribaltamento e per l’analisi cinematica utilizzando le proiezioni stereografiche.

E’ opportuno evidenziare come le superfici delimitanti alla base le colonne siano state assunte notevolmente inclinate. Le condizioni necessarie affinché si verifichi una rottura per ribaltamento, sono:

–       l’angolo di direzione degli strati deve risultare ~ parallelo alla superficie del pendio: la differenza fra le orientazioni dei piani deve comporre al massimo un angolo di 20°;

–       l’inclinazione degli strati deve essere compresa entro quella della superficie del pendio.: l’immersione degli strati, quindi, deve risultare entro 160°÷200° dell’immersione della superficie del pendio;

–       affinché si verifichi un movimento per ribaltamento la normale al piano interessato deve avere un angolo di plunge inferiore a quello dell’inclinazione del pendio ed inferiore a quello dell’angolo di attrito del pendio. La condizione viene formalizzata dalla relazione:

dove ΨP è l’inclinazione dei piani di discontinuità, Ψf l’inclinazione della superficie del pendio e ΦP l’angolo d’attrito lungo i piani.

Operando sulla base di abachi elaborati per l’analisi di dissesti da ribaltamento, Choquet & Tanon hanno proposto una modifica alla condizione cinematica definita dalla relazione:

(90°ΨP) ≤ (ΨfΦP+k)

dove k = 0 per ΦP < 20° e k = 3/5 (ΦP20°) per ΦP ≥ 20°.

Allo stesso modo che per le rotture di tipo piano, affinché una rottura per ribaltamento risulti cinematicamente possibile, si rivela necessaria una quarta condizione relativa all’estensione laterale del dissesto, ossia: poiché l’analisi effettuata è 2D, si assumono presenti delle superfici laterali di rilascio con resistenza nulla; oppure che la massa rocciosa interessabile dal movimento venga individuata da un pendio a forma convessa.

Fig. 11.44 – Analisi cinematica di una rottura per ribaltamento.

11.8.4.2 – Analisi di stabilità

L’analisi di rotture per ribaltamento è stata oggetto di studio per numerosi ricercatori. Occorre tuttavia porre in evidenza come le diverse procedure analitiche, diversamente dagli altri metodi precedentemente visti per l’analisi di stabilità dei pendii in roccia, non risultino chiare, soprattutto per quanto attiene al concetto di coefficiente di sicurezza.

Le tecniche fin qui sviluppate consentono di stimare se il centro di gravità di un singolo blocco sia situato, o meno, all’interno della base; quando è situato al di fuori si verifica, quale conseguenza, un movimento per ribaltamento.

Il metodo sviluppato da Goodman & Bray considera per ciascun blocco 3 condizioni di stabilità: stabile, sottoposta a scivolamento lungo la superficie di base del blocco, sottoposta a ribaltamento.

Fig. 11.45 – Equazioni per l’analisi di stabilità di una potenziale rottura per ribaltamento.

La condizione di stabilità dipende dalla geometria del blocco, dai parametri di resistenza al taglio lungo la base e le superfici laterali del blocco e dalla possibile presenza di forze esterne agenti sul blocco medesimo. I blocchi suscettibili di scivolamento o ribaltamento esercitano una forza sui blocchi adiacenti in direzione di valle. L’analisi è effettuata per ciascun blocco nella sezione del pendio, in modo che tutte le forze che sono mutuate con altri blocchi possano essere determinate. La stabilità del pendio, di norma, non può essere evinta in termini di coefficiente di sicurezza. Tuttavia, il rapporto esistente tra l’angolo di attrito richiesto per l’equilibrio limite e quello effettivamente disponibile alla base della colonna è talvolta usato quale coefficiente di sicurezza per l’analisi di dissesti per ribaltamento.

In Fig. 11.45 è mostrato un esempio del metodo di analisi nel caso di un dissesto per ribaltamento. Choquet & Tanon hanno utilizzato una soluzione sviluppata da Hittinger per derivare una serie di abachi per la valutazione del fenomeno della rottura per ribaltamento; tali abachi sono stati sviluppati in funzione dell’angolo di attrito degli strati Φp. Un abaco per Φp = 30° viene riportato in Fig. 11.46a. Per la costruzione sono inserite le seguenti assunzioni:

–       a – i blocchi, nel modello, presentano una larghezza costante definita Δx (Fig. 11.46a);

–       b – la base di ciascun blocco, su cui il blocco medesimo può scivolare, presenta un’inclinazione verso valle di 15° (ΨP =15° in Fig. 11.46a);

–       c – non viene considerata la presenza di pressioni neutre all’interno del pendio.

Fig. 11.44 – Abachi di Choquet & Tanon per l’analisi di stabilità relativa a rotture per ribaltamento.

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