7 – Opere di sostegno

Le opere di sostegno hanno la funzione di evitare che il materiale che esse sostengono assuma la sua pendenza naturale. I muri vengono comunemente usati per reggere grandi masse di terra, altri materiali oppure acqua. Le strutture di sostegno sono prevalentemente verticali o quasi; in ogni caso, se l’angolo a che compare nell’espressione del coefficiente di spinta del terreno di Coulomb è > 90°, si ha una riduzione della spinta laterale che può essere di fondamentale importanza nella situazione in cui il muro sia alto e si possa realizzare il medesimo in pendenza dal lato del terrapieno. A seconda del meccanismo stabilizzante, i muri di sostegno possono essere così suddivisi:

–       muri in terra rinforzata (trattata meccanicamente);

–       muri a gravità;

–       muri a mensola;

–       muri con ancoraggi (tiratati).

Attualmente i terreni stabilizzati meccanicamente e i muri a gravità sono i più diffusi, in particolare nel caso di opere stradali quando, per realizzare una strada a mezza costa o uno scavo alto, sia necessario sostenere il terreno con un muro, evitando che esso si disponga secondo l’angolo di naturale declivio.

Nelle aree urbane sono piuttosto diffusi anche i muri a mensola in calcestruzzo armato, in quanto sono meno esposti a danneggiamenti e sovente non richiedono terrapieni realizzati con terreno di qualità particolare. Negli edifici vengono inoltre largamente impiegati come muri per seminterrati e simili.

Fig. 7.1 – Modello di Terra Armata.

7.1 – Muri in terra rinforzata

II muro di terra rinforzata (Fig. 7.1) è realizzato introducendo all’interno di un terreno di riporto granulare rinforzi meccanici sotto forma di strisce e barre metalliche (terra armata), strisce e fogli di geotessile (geomembrane) oppure griglie di filo metallico.

Non esiste una differenza sostanziale tra rinforzare del terreno o del calcestruzzo: entrambi i materiali sfruttano il rinforzo (o l’armatura) per sopportare gli sforzi di trazione provocati dai carichi applicati; il calcestruzzo si oppone allo sfilamento delle barre per mezzo di sforzi di aderenza mentre il terreno sfrutta il proprio angolo d’attrito interno o per sviluppare tensioni tangenziali tra terreno e rinforzo.

Dalla figura emerge che i componenti fondamentali della terra armata sono 3:

a – terreno di riporto, generalmente materiale granulare appositamente selezionato, con percentuale di passante al setaccio N° 200 < 15%;

b – rinforzo, costituito da strisce o barre metalliche (armatura), strisce o fogli di geotessile oppure griglie metalliche, fissati agli elementi frontali che si estendono all’interno del terrapieno per un certo tratto;

c – elementi di rivestimento che, pur non essendo indispensabili, vengono spesso utilizzati per ragioni estetiche e per evitare l’erosione del terreno tra i rinforzi.

Tali componenti vengono assemblati così da ottenere un muro che, in vista laterale, appare come in Fig. 7.2.

Fig. 7.2 – Geometria di un muro in terra dopo posa in opera.

Gli elementi di rivestimento possono essere piastre metalliche piane o curve, oppure elementi o piastre in calcestruzzo prefabbricato. Quando si usa un geotessile per realizzare il rivestimento, si possono ripiegare le strisce come mostrato in Fig. 7.3. E’ compatibile anche l’utilizzo di griglie e reti metalliche quali rinforzo, realizzando il rivestimento mediante parziale ripiegatura dei rinforzi, in modo analogo alle strisce di Fig. 7.3

Fig. 7.3 – Fogli di geotessile utilizzati come rinforzo; il rivestimento è posto in opera ripiegando gli strati come in figura. Vengono poste in evidenza le dimensioni tipiche Le ed L0’.

In questo caso la griglia fa da armatura, mentre la rete metallica nella zona frontale fornisce un’ulteriore resistenza nei confronti dell’erosione del terreno fino a quando il muro non è finito.

Quando si usano reti metalliche, il muro completato viene spruzzato con malta di cemento o gunite per migliorarne l’aspetto e prevenire l’erosione. Anche il rivestimento in geotessile può venire ricoperto con malta o gunite, sia per evitare vandalismi, sia perché alcuni geotessili si deteriorano rapidamente se non vengono protetti dai raggi ultravioletti della luce solare.

Il principio di funzionamento della terra armata è mostrato in Fig. 7.4: a ridosso del muro si forma un cuneo che esercita una spinta attiva secondo la teoria di Rankine/Coulomb. A seguito di conferme da prove su modelli in grandezza naturale è possibile ipotizzare che la forza nel terreno prodotta dal cuneo esercitante una spinta attiva alla generica profondità z venga sopportata dalla trazione nelle strisce di rinforzo. La trazione nelle strisce nasce nel terreno al di fuori del cuneo attivo ed è legata dall’angolo d’attrito δ tra striscia e terreno alla pressione verticale del terreno γz sulla striscia.

Fig. 7.4 – L’ipotesi di base per la terra armata è che ΣTi = Pa cosδ, di modo che la spinta del terreno contro il muro risulti nulla.

Non dovendo più sopportare la spinta laterale del terreno, il muro frontale può essere molto sottile e flessibile e la sua funzione consiste essenzialmente nell’evitare l’erosione del terreno e migliorare l’aspetto dell’opera. Nel progetto di un muro in terra armata si devono tener presenti i seguenti fattori:

a – si richiede quasi sempre che il terrapieno sia in terreno granulare; recenti studi mostrano tuttavia che si possono anche utilizzare terreni coesivi pur di realizzare il rinforzo mediante un geotessile poroso, di modo che la pressione in eccesso nei pori provocata dalla pressione verticale agente sulla striscia di rinforzo si possa dissipare e che tra terreno e striscia si abbia un angolo d’attrito drenato Φ‘;

b – il terreno di riporto deve essere compattato con cautela evitando di avvicinare troppo le macchine agli elementi del rivestimento col rischio di strapparlo dal rinforzo. L’accorgimento va tenuto presente in modo particolare se il terrapieno è formato in terreno coesivo, motivo che richiede la presenza di almeno una zona ristretta di terreno granulare a ridosso del rivestimento;

c – gli esperimenti condotti su muri di prova hanno mostrato che il cuneo di terreno attivo è ben definito dalla teoria di Rankine. L’angolo ζ sull’orizzontale è ~45°Φ/2. Se l’angolo β risulta elevato è norma controllare ζ col metodo del cuneo di tentativo o con programma di calcolo;

d – il muro deve risultare sufficientemente flessibile affinché si possa effettivamente formare il cuneo attivo e gli elementi di rivestimento non vengano strappati dal rinforzo a seguito di cedimenti e abbassamenti del terreno;

e – di norma si tiene conto delle trazioni nei rinforzi soltanto al di fuori del cuneo attivo, come nel tratto Le di Fig. 7.5;

Fig. 7.5 – La lunghezza degli elementi L0 è quella richiesta, ma deve comunque estendersi oltre il cuneo che esercita la spinta attiva di Rankine/Coulomb.

f – il collasso del muro può realizzarsi per uno dei seguenti motivi:

–       Rottura a trazione dell’armatura.

–       Superamento della capacità portante del terreno in corrispondenza della base su cui insiste il muro, come lungo la linea AB in Fig. 7.6.

–       Slittamento/scorrimento dell’intero blocco di terra armata (blocco ABCD in Fig. 7.6) lungo la base AB.

g – viene consentita la presenza di sovraccarichi sul terrapieno (come in Fig. 7.6): ad una profondità generica, i sovraccarichi producono un aumento della pressione orizzontale (secondo le formule della teoria dell’elasticità) oltre che di quella verticale. La pressione verticale può essere valutata diffondendo il carico con un’inclinazione 2:1 come visualizzato in Fig. 7.5. Dall’immagine si vede che nel tratto di lunghezza L1 pressione verticale prodotta dal sovraccarico aumenta l’attrito resistente, compensando parzialmente la maggior pressione laterale prodotta dal sovraccarico stesso cui l’opera deve far fronte.

h – qualora venissero usati rinforzi metallici assume importanza particolare il problema della corrosione. Di norma lo spessore teorico delle armature viene opportunamente incrementato per tener conto di eventuali fenomeni di corrosione che possono innescarsi nel corso della vita dell’opera (valutata entro 50÷100 anni).

Fig. 7.6 – Caso generale di muro con terrapieno soggetto a sovraccarico, prodotto in genere da opere viarie.

Con accettabile approssimazione è possibile linearizzare l’andamento delle pressioni prodotte dal sovraccarico

7.2 – Progetti di opere di sostegno in terra armata

II progetto di un muro in terra armata comprende essenzialmente le seguenti fasi:

–       Valutazione della spaziatura delle strisce di rinforzo in verticale e in orizzontale, come in Fig. 7.6. Ciò non vale se il rinforzo è realizzato con reti metalliche o con fogli di geotessile, la cui spaziatura è fissa. La spaziatura verticale può variare entro 0.2÷1 m; quella orizzontale entro 0.8÷1 m. Nell’analisi si pone riferimento ad un tratto di larghezza unitaria cui si associa il diagramma delle pressioni orizzontali.

–       Determinazione delle forze di trazione nei vari rinforzi, date dall’area del diagramma delle pressioni relative ad ogni striscia. Nel caso di un diagramma composto come quello di Fig. 7.6 ci si riferisce all’area di un diagramma delle pressioni quale abcd. Per il diagramma triangolare relativo al terrapieno (eventualmente β > 0), la forza nella striscia è data dall’area ab’d’c, che viene trasformata nella pressione media qi alla profondità della striscia z, mediante la relazione:

q1 = γzi Ka

Questa pressione agisce su un’area definita dalla spaziatura delle armature h x s (eccetto che alle estremità) corrispondendo ad una forza di trazione nel rinforzo pari a:

Ti = qi A = γzi Ka (h x s)

L’equilibrio richiede che la somma delle forze di trazione sia pari alla componente orizzontale di Pa su un tratto di larghezza s, ossia:

ΣTi = s Pah

–       Si calcolano le lunghezze delle strisce Le che compaiono in Fig. 7.5, necessarie affinché si sviluppi una forza d’attrito Fr = Ti. Sulla base di tali lunghezze e delle dimensioni del cuneo di Rankine, si può determinare la lunghezza globale L0 delle strisce da utilizzare. Di norma, per tutta l’altezza del muro, si usano strisce della medesima lunghezza di modo che gli operatori di cantiere non debba preoccuparsi di cercare la lunghezza esatta per ciascuna quota. La lunghezza di ancoraggio dipende dal coefficiente d’attrito f = tg δ tra suolo e rinforzo, essendo δ un’opportuna frazione dell’angolo d’attrito interno del terreno Φ. Se la striscia è sufficientemente scabra δ = Φ mentre per metalli lisci δ è compreso entro 20°÷25°. Per strisce di dimensioni b x Le o per fogli di geotessile di larghezza unitaria e lunghezza Le entrambe le facce sviluppano attrito; per barre circolari l’attrito resistente è sviluppato lungo il perimetro. In ogni caso, l’attrito è dato dal prodotto di f per la pressione normale al rinforzo calcolata come p0 = γzi dove zi è la distanza media dalla superficie del terreno al rinforzo. Si ottiene quindi:

–       Se nelle precedenti formule il segno  è sostituito col segno di uguale, il coefficiente di sicurezza FS è pari a 1. Se si assume FS1, il valore, di Le risulta necessariamente maggiore di quello dato da queste formule.

–       Si determina di seguito la sezione delle armature b x t. Per barre o strisce in metallo avente sforzo ammissibile pari fa = fy/FS si ha:

b x t x fa  Ti

oppure:

fa π D2/4  Ti

Nel caso dei geotessili si ha il problema che la resistenza del tessuto varia a seconda del produttore, della classe e del tipo di tessuto. In tal caso si deve provare il tessuto per determinarne la resistenza, espressa generalmente in kN/m. Tra quelli possibili, si sceglie un tessuto tale che:

Larghezza striscia b x resistenza per unità di larghezza  Ti

A questo punto, può rendersi necessario ripetere i punti iniziali e ricalcolare la spaziatura tra i rinforzi in orizzontale e/o in verticale. Poiché il costo del tessuto è relativamente basso in rapporto agli altri costi (tempo di progettazione, esecuzione del terrapieno etc.) è accettabile un largo sovradimensionamento.

Le strisce metalliche di armatura hanno larghezza b compresa generalmente entro 75÷100 mm e spessore t dell’ordine di 4÷5 mm (2 mm servono come protezione nei riguardi della corrosione). Nel caso di barre si deve fare in modo che la loro dimensione sia almeno il triplo del diametro medio (D50) dei grani del terreno di riporto, in modo da sviluppare un attrito sufficiente. Il problema è meno sentito nel caso delle reti metalliche, in quanto le barre della rete perpendicolari alla direzione delle barre tese forniscono un notevole contributo resistente addizionale nei confronti dello sfilamento.

Si ipotizza che l’azione di sfilamento e la resistenza che le si oppone si sviluppino come mostrato in Fig. 7.4: partendo dal muro, la forza cresce fino a raggiungere un massimo in corrispondenza della superficie del cuneo di rottura di Rankine/Coulomb, definita dall’angolo ζ. Questa forza viene contrastata dall’attrito che si sviluppa lungo il tratto Le (Fig. 7.5); dall’equazione differenziale riportata in Fig. 7.4 si può allora scrivere:

Nel caso di barre circolari, a 2b occorre sostituire il valore del perimetro  per quanto tale formula possa essere stata eccessivamente semplificata conduce a un progetto attendibile della struttura.

I muri di terra rinforzata oggi realizzati sono prevalentemente brevettati; è comunque importante comprendere il loro principio di funzionamento e il metodo di analisi, sia al fine di scegliere la miglior soluzione per un dato sito in maniera ragionata, sia perché i brevetti di diversi tipi di muro scadranno a breve termine e la loro tecnica costruttiva diverrà di pubblico dominio.

Fig. 7.7 – Spaziatura dei rinforzi nei muri a terra armata.

7.3 – Muri di sostegno in calcestruzzo

La Fig. 7.8 illustra una serie di possibili tipologie di muri in calcestruzzo armato e in muratura. Come osservato in precedenza, di questi trovano frequente impiego soltanto il muro a mensola (b) e la spalla da ponte (f), a causa dei sostanziali vantaggi economici offerti dai muri in terra rinforzata.

Un muro in terra rinforzata, di fatto, equivale essenzialmente a un muro a gravità (a) e ad un muro a gabbia (o muro cellulare o crib wall, Fig. 7.7d).

I muri a contrafforti (c) venivano usati come muri di sostegno a mensola quando l’altezza era notevole; i contrafforti (detti speroni, se situati sul lato a valle) offrivano funzione stabilizzante, consentendo di ridurre lo spessore del muro senza che gli spostamenti trasversali diventassero eccessivi. Dato l’elevato costo di messa in opera e dei materiali connesso a questi muri appare molto difficile che possano ancora competere economicamente con la terra rinforzata (é opportuno osservare, altresì, che esistono muri prefabbricati che in alcuni casi possono competere con altri tipi di muro).

Di norma i produttori di muri prefabbricati presentano al potenziale utente la tecnologia costruttiva e i parametri di progetto per consentire un confronto con soluzioni alternative. Ai muri prefabbricati si applicano sostanzialmente i medesimi metodi di analisi dei muri di sostegno a mensola e, di conseguenza, l’apprendimento di questa tecnica progettuale consente di giungere a un progetto nei casi in cui muri in terra rinforzata non si rivelino idonei.

7.4 – Muri di sostegno a mensola

I termini utilizzati in sede di progetto per definire le parti di un muro di sostegno sono riportati in Fig. 7.8. Attualmente, i casi d’impiego più diffuso dei muri a mensola comprendono:

– il caso di muri bassi e corti. Per basso s’intende un muro di altezza compresa orientativamente entro 1÷2.5 m e di lunghezza < 40 m.

– il caso in cui il terrapieno debba avere estensione limitata o sia necessario realizzare il terrapieno col terreno preesistente: la spinta sul muro è dovuta principalmente al costipamento del terrapieno nella zona di limitata estensione individuata essenzialmente dalla dimensione del piede del muro.

Fig. 7.7 – Tipi di muri di sostegno.

In questi casi, poiché il terreno esistente deve essere in grado di autosostenersi per tutta l’altezza dello scavo durante il getto della fondazione e, in tempi successivi, del muro, lo stesso, in teoria, non trasmette al muro alcuna spinta e le pressioni agenti sul muro sono dovute unicamente al riporto (di limitata estensione) e ad eventuali azioni di costipamento. Alcuni muri di questo tipo sono stati costruiti misurando le pressioni trasversali; si è così trovato che:

–       II costipamento può produrre pressioni trasversali elevate;

–       La risultante delle pressioni dovute al costipamento si trova all’incirca a un’altezza pari a 0.4÷0.5H invece che a H/3 come si assume generalmente nella teoria di Rankine.

Operativamente, lo spessore di questi muri di altezza limitata è spesso costante ed è quasi sempre compreso entro 25÷30 m. Ciò consente di ridurre il costo della casseratura ma implica un sovradimensionamento affinché la spinta laterale non faccia inclinare in avanti il muro, in modo immediatamente avvertibile, se la faccia anteriore non è inclinata. In genere, è possibile realizzare muri a facce parallele opportunamente inclinati all’indietro con un minimo incremento del costo di messa in opera.

Fig. 7.8 – Terminologia usata per i muri di sostegno.

La Fig. 7.9 illustra le comuni dimensioni di un muro a mensola che possono servire come guida in un calcolo manuale. Poiché il progetto di un muro di sostegno richiede un notevole impegno di calcolo essendo necessario procedere per tentativi, si rivela prezioso il ricorso ad analisi al computer, per le quali si assegnano come dati d’ingresso i valori fondamentali γΦH e una modesta larghezza della base B, ottenendo una soluzione per iterazioni successive.

Fig. 7.9 – Dimensioni indicative per il pre-dimensionamento di un muro a mensola.

Le dimensioni riportate in Fig. 7.9 sono dettate soprattutto dall’esperienza accumulata su verifiche di stabilità di muri basate sulla teoria di Rankine. Progettando muri di dimensioni ridotte soggetti a spinta laterale (dovuta al costipamento o ad altre cause) si può pervenire a dimensioni diverse.

In ogni caso, la larghezza della base è generalmente dell’ordine di 0.5H, dimensione legata in qualche modo a quella della parte del piede all’esterno del muro (che in figura è stata segnata pari a B/3).

Gli spessori del calcestruzzo della base e del muro vero e proprio devono soddisfare la verifica a flessione; inoltre lo spessore del muro in sommità deve risultare tale che, sebbene possa fratturarsi a causa di variazioni termiche o da qualunque tipologia d’impatto, la parte residua del muro, a seguito del distacco di frammenti, risulti ancora del tutto sicura sotto l’aspetto strutturale e garantisca una protezione sufficiente alle barre di armatura.

Si consiglia di considerare cautelativamente, quali sezioni critiche per le verifiche a taglio nella soletta di base, quelle in corrispondenza delle facce anteriore e posteriore della mensola, effetto che si traduce in una minima quantità supplementare di calcestruzzo. Per la mensola, quale sezione critica per la verifica a taglio, viene presa quella appena al di sopra della base di fondazione. Tutto ciò perché, di norma, la base viene gettata per prima, conglobando nel getto le barre di ripresa della mensola, mentre successivamente si dispongono le casseforme per la mensola procedendo al getto, di modo che nella sezione considerata si manifesta una discontinuità.

Essendovi una discontinuità nella sezione considerata, la sola resistenza al taglio è dovuta all’aderenza d’interfaccia tra i due getti, cui si sommano l’attrito dovuto al peso della parte verticale del muro ed eventualmente la resistenza al taglio dell’armatura della mensola. Se queste barre sono strettamente sufficienti a far fronte al momento ma si fa affidamento sulla loro capacità di sviluppare resistenza al taglio, le medesime risultano sottodimensionate. Per tale motivo è buona abitudine prevedere un minimo di armatura a flessione addizionale affinché il taglio nella mensola venga sopportato in sicurezza.

Fig. 7.10 – Stabilità globale di un muro.

7.5 – Stabilità dei muri

nella Fig. 7.10 sono illustrati i fattori che intervengono nella valutazione della stabilità di un muro. Il muro deve permanere stabile rispetto a:

a – Momento e taglio dovuti alla spinta laterale sulla mensola, calcolati in funzione dell’altezza del muro;

b – Momento e taglio dovuti alla pressione del terreno (originata dal carico gravante sul muro), agente sulla fondazione di base del muro. Come sezione critica nei riguardi della flessione del piede si deve assumere, approssimativamente, quella corrispondente al baricentro dell’armatura della mensola (non quella corrispondente alla faccia posteriore della mensola);

c – Fenomeni d’instabilità globale del muro, cioè:

– Scorrimento/Slittamento causato dalla pressione del terreno agente sul piano verticale ab (distanza H’) passante per lo spigolo interno della fondazione;

– Ribaltamento attorno allo spigolo esterno (punto O);

– Perdita di stabilità globale per rottura a taglio del terreno con conseguente rotazione, come mostrato in Fig. 7.11.

d – Superamento della capacità portante del terreno o cedimenti eccessivi della base che possono tradursi in una notevole inclinazione del muro.

Fig. 7.11 – Collasso per sprofondamento dovuto a rottura del terreno a taglio.

7.5.1 – Verifica di stabilità allo scorrimento/slittamento

La stabilità globale del muro richiede che esso sia stabile nei confronti dello scorrimento (in maniera analoga ai muri di terra rinforzata). La spinta sul muro Pahtende a farlo slittare in avanti. A tale scorrimento si oppongono:

–       l’attrito e l’aderenza della base, ossia:

Fr = R tgδb + caB

–       l’eventuale spinta passiva sviluppata dal terreno a valle del muro. Se si tratta di terreno permanente può essere valutato attraverso una spinta Pp. In mancanza di affidabilità non si deve mettere in conto Pp oppure, nel suo calcolo, si deve considerare soltanto una frazione della profondità dello strato ricoprente a valle del muro. Il coefficiente di sicurezza N risulta:

Ns = Presistente/Psollecitante

Ns = (Fr+Pp)/Pah

In generale il coefficiente di sicurezza deve essere compreso tra 1.25÷2 a seconda dell’importanza del muro.

7.5.2 – Verifica di stabilità al ribaltamento

La verifica al ribaltamento richiede il calcolo della somma dei momenti attorno allo spigolo esterno della base (punto O in Fig. 7.10b). Sommando le forze verticali si ricava:

ΣFv = Wc+Ws+Pav’ = R

E’ da notare la comparsa della componente verticale di Pa (Pav’) che può anche essere nulla.

Il momento ribaltante M0 vale:

M0 = Pah γa

dove γa può essere ≥ H/3. Indicando con xi i bracci delle varie forze rispetto al punto O e notando che nel meccanismo di rottura Pav (definito in Fig. 7.10b) ha sempre verso tale da opporsi al ribaltamento, si ha che il momento resistente Mr vale:

Mr = Wcxc + Wsxs + Pavxav + Ppγp

II coefficiente di sicurezza nei riguardi del ribaltamento (N0) è:

N0 = momento resistente/momento ribaltante = Mr/M0

e deve essere compreso entro 1.5÷2, sempre in funzione dell’importanza del muro.

Il punto di applicazione della risultante R sulla base del muro può essere calcolato con la formula:

x = (M0-Ppyp)/R = M0          **

mentre l’eccentricità di R (rispetto al centro della base) è pari a:

e = (B/2) – x

L’eccentricità della risultante può anche essere determinata calcolando la somma dei momenti rispetto al centro della base; in ogni caso è più semplice usare la ** poiché tutti i termini che compaiono in tale formula sono noti.

Se l’eccentricità e cade entro il terzo medio, la base è interamente reagente su tutta la lunghezza B; è per questa ragione che la maggior parte dei progettisti vincola e in tal senso.

Quando e = B/6 (estremo del nocciolo o del terzo medio) la pressione in corrispondenza dello spigolo esterno del piede vale 2 x qmed mentre la pressione in corrispondenza dello spigolo interno è nulla. Se e è maggiore o uguale a tale valore è praticamente certo che i cedimenti differenziali sono tali da far inclinare il muro.

7.5.3 – Considerazioni relative alla stabilità dei muri

Per un’analisi relativamente conservativa è prassi comune, soprattutto nel caso di muri bassi, fare uso dei coefficienti di spinta di Rankine Ka e Kp. Se l’inclinazione del muro a è > 90°, si prende in esame la possibilità di usare le formule di Coulomb con angolo d’attrito muro-terreno δ = 0. Se la spinta laterale è prodotta essenzialmente dal costipamento, conviene esaminare la possibilità di usare Ko oltre ad un piccolo sovraccarico che serve ad aumentare la spinta sul muro e ad innalzare il punto di applicazione della risultante.

Per l’analisi della mensola di Fig. 7.10, l’angolo δ che compare in Fig. 7.10b viene preso pari alla pendenza β in un’analisi secondo il metodo di Rankine e a una frazione dell’angolo Φ in un’analisi con il metodo di Coulomb, assumendo generalmente 0.67 Φ nel caso di muri di calcestruzzo gettati usando casseforme in legno o metallo, di modo che la superficie posteriore sia piuttosto liscia.

Nell’analisi della stabilità globale del muro di Fig.7.10b, l’angolo β‘ può essere assunto pari a 0 usando il metodo di Rankine ma se si usa il metodo di Coulomb bisogna porre β‘ = Φ. Questo valore viene poi usato per calcolare la componente orizzontale di Pa come illustrato. Per la componente dell’attrito verticale che si oppone al ribaltamento, si assume sempre:

Pav = Pah tg Φ

7.5.4 – Basamenti muniti di denti

Quando la verifica allo scorrimento non risulta soddisfatta (di solito nel caso di muri di altezza H elevata), si può realizzare un dente alla base come mostrato in Fig. 7.12.

Sulla posizione ottimale e sull’utilità di un dente alla base esistono opinioni diverse; fino a quando non si è avuta la certezza della possibilità che avvenisse quanto mostrato in Fig. 7.12b era prassi comune realizzare il dente direttamente al di sotto dell’elemento verticale, come mostrato in Fig. 7.12a. Questa disposizione aveva il vantaggio di armare il dente semplicemente prolungando l’armatura della mensola attraverso la base. In seguito si è notato che il dente è più efficiente se posizionato come in Fig. 7.15c e tale è la disposizione attualmente consigliata dall’autore a chi ne debba realizzare uno.

Fig. 7.12 – Uso di basi provviste di dente per soddisfare la verifica di stabilità allo scorrimento.

poiché l’angolo 6 mostrato in figura è legato all’attrito tra terreno e terreno.

Per la stabilità allo scorrimento, l’angolo d’attrito tra base e terreno può essere preso pari a δb = Φ essendo Φ l’angolo d’attrito del terreno alla base (non quello del terrapieno). Questo perché, indipendentemente dal fatto che il terreno alla base possa essere reso liscio quando viene compattato (operazione da eseguirsi comunque) il calcestruzzo umido aderisce a esso in misura tale che la resistenza all’attrito che nasce risulti, di fatto, tra terreno e terreno. Di norma la coesione viene parzialmente ridotta dal contatto col calcestruzzo fresco e il valore ridotto della coesione ca viene generalmente assunto pari a 0.5÷0.7c.

Se entra in gioco una spinta passiva si usa di solito il coefficiente di Rankine Kp. Se non si è sicuri che la spinta passiva si sviluppi sull’intera profondità D è possibile usare un valore ridotto della profondità D‘ definito a meno della cosiddetta zona incerta.

La profondità della zona incerta può arrivare, ad es.,fino all’estremità superiore della base, oppure comprendere i primi 0.3 m di terreno superficiale, a seconda della sensibilità geotecnica e della quantità di terreno che continua ad insistere sulla parte del piede a valle del muro.

Occorre anche tener presente che tale terreno è in parte terreno di riporto e che, di conseguenza, deve essere opportunamente compattato ad evitare che l’intera spinta passiva si sviluppi solo a seguito di uno scorrimento in avanti del muro d’entità tale da corrispondere, di fatto, a un collassamento.

Tenuto conto del costo della manodopera necessario, probabilmente è preferibile una soluzione in terra rinforzata a un muro di altezza tale da richiedere un dente. Nel caso dei muri a mensola di altezza limitata, di più frequente realizzazione, non è necessario il ricorso a un dente in quanto è meno costoso aumentare semplicemente la dimensione B della base fino a quando il coefficiente di sicurezza nei riguardi dello scorrimento Ns non risulti sufficiente.

7.5.5 – Inclinazione nei muri di sostegno

I muri di sostegno in calcestruzzo hanno la tendenza a inclinarsi in avanti. Dall’esame della Fig. 7.10a è possibile notare come la pressione in corrispondenza dello spigolo esterno della base sia maggiore di quella in corrispondenza dello spigolo interno, il che equivale intrinsecamente a una tendenza del muro a inclinarsi.

Può anche capitare che il terreno sotto la base sia di qualità scadente; se il terrapieno ha un’estensione sufficiente (come avviene tipicamente nel caso delle rampe d’accesso alle spalle dei ponti) il suo peso provoca un cedimento della zona sotto il piede e, di fatto, il muro s’inclina all’indietro contro il terrapieno (Fig. 7.13).

Fig. 7.13 – Rottura prodotta da cedimenti eccessivi: (a) eccessiva inclinazione in avanti dovuta a pressione troppo elevata sotto lo spigolo esterno della base; (b) cedimento eccessivo e conseguente inclinazione all’indietro prodotti dal terrapieno (caso tipico sotto le rampe d’accesso dei ponti).

Da quanto notato in precedenza affinché si sviluppi una spinta attiva del tipo di Rankine è necessario che il muro s’inclini in avanti; si è anche già detto che, se un muro verticale non rastremato s’inclina in avanti, la sua stabilità appare precaria e si è inoltre osservato che, se il terrapieno ha una limitata estensione, il cuneo di Rankine può non formarsi.

In entrambi i casi si deve provvedere laddove possibile a limitare le possibilità che il muro s’inclini. Tale movimento può essere parzialmente evitato progettando il muro basandosi sul diagramma delle pressioni di Fig. 7.14 invece che sul classico diagramma di Rankine, ossia sulla spinta attiva Pa = 0.5 γ H2 Ka.

L’inclinazione può essere limitata collocando la risultante delle pressioni R (Fig. 7.10) in prossimità di B/2 in maniera che e ~ 0.

Infine, come già osservato, anche nel caso di muri a spessore costante è possibile disporre le casseforme in modo da imprimere una contropendenza al muro verso il terrapieno.

Fig. 7.14 –Modalità diverse per calcolare le pressioni orizzontali nel caso di muri rigidi o terrapieni d’estensione limitata.

7.5.6 – Giunti nei muri

È prassi comune prevedere falsi giunti (giunti di contrazione) verticali ogni 8÷12 m; questi vengono realizzati stendendo sottili strisce verticali nella cassaforma esterna della mensola per far sì che, quando il calcestruzzo indurisce, si formi una scanalatura verticale. La scanalatura crea un piano di debolezza nel quale si concentrano le fessure dovute agli sforzi di trazione che originatesi al momento della presa (fenomeno del ritiro) o alle contrazioni prodotte da variazioni termiche senza alterare per questo l’aspetto del muro.

Di norma, i giunti tra getti successivi non vengono considerati come tali: il nuovo getto di calcestruzzo viene semplicemente realizzato sopra il precedente (che, in genere, è stato eseguito il giorno prima) proseguendo la costruzione del muro. Dopo la rimozione delle casseforme, tutte le discontinuità più appariscenti vengono eliminate nelle operazioni di finitura.

7.5.7 – Drenaggio nei muri

Per la maggior parte degli operatori è preferibile munire di drenaggi il terrapieno piuttosto che progettare il muro tenendo conto delle notevoli pressioni orizzontali che possono nascere in un terrapieno saturo.

Il drenaggio può essere realizzato collocando materiale drenante a ridosso del muro (o nell’intero cuneo di Rankine) e ponendo dei collettori longitudinali lungo la faccia posteriore (Fig. 7.15).

A intervalli regolari, il muro viene attraversato da fori di scolo (Ø 75÷100 mm) o feritoie, in maniera da scaricare l’acqua accumulata nel condotto orizzontale, a meno che questo non possa scaricare naturalmente all’estremità del muro.

Quando la base è situata ad una certa profondità nel terreno ha senso soltanto realizzare fori di scolo in prossimità della superficie del terreno a valle del muro, consentendo il drenaggio del terrapieno fino a quella quota; al di sotto di questa il terreno é saturo da entrambi i lati del muro e la pressione idrostatica si elide senza porre particolari problemi.

Con qualsiasi sistema di drenaggio, va tenuto presente l’importante problema della collocazione di materiale filtrante in prossimità dei fori dal lato del terrapieno al fine di evitare la fuoriuscita di materiale fine. Lungo la faccia posteriore del muro e sopra i fori di scolo è possibile disporre del materiale poroso tipo geotessile: in tal modo, l’acqua è libera di penetrare nel geotessile e di muoversi in verticale (e in orizzontale) fino agli scoli e si evita al contempo la fuoriuscita di grosse quantità di materiale fine.

Fig. 7.15 – Opere di drenaggio nei muri di sostegno.

Se non si fa uso di geotessile, si deve disporre della ghiaia molto grossa in prossimità dei fori di scolo (e attorno al collettore orizzontale), seguita da materiale di diametro gradualmente variabile fino a quello del terrapieno. Usando unicamente della sabbia di media grossezza questa verrà quasi sicuramente dilavata attraverso i fori di scolo dopo qualche pioggia abbondante. Anche in questo caso è di fondamentale importanza controllare lo svolgimento dei lavori in quanto è molto più semplice (e meno costoso) limitarsi a versare della sabbia a ridosso del muro senza preoccuparsi molto del fatto che verrà dilavata attraverso gli scoli, che non versare la sabbia, disporre ghiaia nel terrapieno e in prossimità dei fori di scolo proseguire con altra sabbia e così via.

7.5.8 – Parametri progettuali

Per il calcolo della spinta, bisogna ovviamente conoscere i parametri γ e Φ del terrapieno: è evidente che almeno in una zona di limitata estensione a ridosso del muro viene usato del terreno di riporto granulare. Il coefficiente K0 può essere applicato, come visto, a tutto o parte del muro; lo stesso si calcola dalla relazione:

K0 = 1  sin Φ

I parametri del terreno vengono di norma assunti come:

Φ = 30°÷36° (più spesso 32°÷34°)

γ = 16.5÷17.5 kN/m3

Anche il terreno originario (scavato per far posto al muro) é caratterizzato da determinati valori di Φγ e della coesione. Le prove che forniscono i valori più attendibili sono quella di taglio diretto e quella alla scatola di Casagrande, dato che un muro di sostegno si trova in uno stato piano nelle deformazioni. I valori a cui si fa riferimento quando si eseguono prove di laboratorio sono di solito valori non drenati. Anche i parametri Φγ e la coesione del terreno sotto la base vanno determinati come quelli del terreno a ridosso del muro e sono a loro volta parametri valutati in condizione di deformazioni piane. I parametri del terreno alla base servono per il calcolo della capacità portante del muro (di sostegno o in terra rinforzata).

È altresì prassi comune assumere per i terreni coesivi su = qu/2 dove, come descritto in precedenza, il valore di qu è stato ottenuto eseguendo prove penetrometriche standard e utilizzando un’attrezzatura di laboratorio per prove di compressione o un penetrometro tascabile (o ambedue).

Parametri di questo tipo vengono tuttora utilizzati con successo; i principali inconvenienti (collasso di muri) derivano da un insufficiente drenaggio del terrapieno (e dal conseguente sviluppo di forti pressioni idrostatiche) e/o dall’eccessiva saturazione del terreno alla base che, nel caso di terreno coesivo, dà luogo a rammollimento e, conseguentemente, a una riduzione di su.

7.5.9 – Progettazione dei muri di sostegni in cls

I muri di sostegno possono essere progettati ipotizzando la formazione di una spinta attiva quando il muro è sufficientemente flessibile da ruotare in misura sufficiente a consentire il formarsi di un cuneo di terra spingente. In caso contrario, il muro deve essere progettato in funzione delle pressioni che si presume agiranno su di esso. Le pressioni prodotte dal costipamento possono essere ragionevolmente messe in conto sia usando K0 in luogo di Ka che usando K0 con l’aggiunta di un minimo sovraccarico fittizio come mostrato in Fig. 7.14.

È abbastanza diffusa l’opinione che per tutti i muri un progetto basato sull’ipotesi di spinta attiva sia accettabile dato che al collasso della mensola corrisponda comunque un movimento sufficiente a far formare il cuneo attivo. Più cautelativamente, alcuni affermano che non sempre esistono le condizioni perché tale circostanza si verifichi, soprattutto quando la geometria del terrapieno è del tipo mostrato in Fig. 7.14b o quando il muro è molto rigido. Il caso citato corrisponde tipicamente ai muri di scantinati/seminterrati e alle spalle dei ponti. In entrambi i casi, la funzione del muro è proprio quella di evitare uno spostamento eccessivo che produrrebbe una spinta attiva.

Nei casi in cui non si possa produrre la spinta attiva, oppure in presenza di pressioni originate dal costipamento o da cause simili, è necessario stimare al meglio le pressioni agenti sul muro e progettarlo poi su questa base.

Va inoltre notato che, anche nel caso di terreni incoerenti nei quali il cuneo attivo di Rankine si può formare, l’effetto si realizza presumibilmente solo nella parte superiore del muro mentre la parte inferiore (alta circa quanto 1/4 del muro) è relativamente vincolata dalla base e da altri fattori, cosicché il cuneo di Rankine non si forma per intero. Misurando la spinta del terreno su muri in grandezza naturale si è trovato che sulla parte inferiore del muro le pressioni superano le pressioni attive previste dai metodi di Rankine o di Coulomb. Alcuni dei valori sperimentali sono pari a ben due volte e mezzo quelli teorici.

E’ ancora da infine che, se il terrapieno di un muro di sostegno viene realizzato in terreno coesivo e compattato, nascono pressioni laterali molto elevate; queste non sono valutabili né con le formule di Rankine o di Coulomb per il calcolo della spinta attiva né con la relazione di Mohr.

Ciò non toglie che diversi muri siano stati costruiti in tal modo al fine di realizzare il terrapieno sfruttando il terreno originario. In questi casi è consigliabile:

a – Applicare alle pressioni laterali un elevato fattore di sicurezza (≥3);

b – Determinare accuratamente il possibile (o probabile) peso specifico tenendo presente che, se un terreno coesivo diventa saturo, aumenta molto di peso e il suo angolo d’attrito si riduce;

c – Provvedere a opportune ispezioni durante i lavori affinché, riscontrando qualsiasi anomalia (inclinazione in avanti del muro, movimenti laterali etc.) l’esecuzione del terrapieno possa essere sospesa.

7.5.10 – Capacità portante ammissibile

La stabilità della base del muro nei riguardi di un superamento della capacità portante viene assicurata applicando alla capacità portante ultima calcolata un opportuno fattore di sicurezza, preso di solito pari a 2.0 per terreni granulari e a 3.0 per terreni coesivi.

La pressione ammissibile sul terreno può essere calcolata in base alla seguente formula della capacità portante omettendo i fattori di forma:

essendo di i fattori di profondità e ii i fattori d’inclinazione (funzioni dell’inclinazione del carico, che possiede sia una componente verticale che una orizzontale). E’ consigliabile l’utilizzo dei fattori d’inclinazione di Hansen, riportati in Tab. 5.8 usando tuttavia un esponente 2 nell’espressione di iq e 3 in quella di iγ invece del 5 riportato nella tabella. Così facendo, si sta leggermente meno in favore della sicurezza che non usando 5. Ciò equivale, in via approssimata, a utilizzare nell’espressione del fattore d’inclinazione riportata nella stessa tabella l’esponente m o (m+1) di Vesic.

Il fatto si giustifica parzialmente considerando che la fondazione del muro è spesso interrata per un certo tratto e che la pressione del terreno a valle del muro viene trascurata nel calcolo della forza orizzontale H che compare nei fattori d’inclinazione. I fattori di forma sono stati omessi poiché la fondazione del muro viene assimilata a una fondazione nastriforme e tutti gli si valgono quindi 1. La profondità D del piano di posa della base deve essere tale che la fondazione si trovi a una quota dove non si risente del gelo e delle variazioni di umidità stagionali. Deve essere inoltre sufficiente a evitare pericoli di erosione e a consentire lo sviluppo della capacità portante e della resistenza allo scorrimento.

Le pressioni sul terreno vengono calcolate come nel caso di fondazioni rigide, ipotizzando che siano distribuite linearmente, per cui:

q = R/B ± 6Re/B  qa

dove i simboli RB ed e sono definiti in Fig. 7.10b. Questa formula vale purché risulti e < B/6; in ogni caso la larghezza B della base viene aumentata finché l’eccentricità cade entro il terzo medio per evitare che le pressioni ai due estremi della fondazione siano molto diverse e che il muro s’inclini.

Quando la capacità portante del terreno è bassa o è poco pratico realizzare una base larga, è necessario ricorrere a una fondazione su pali per reggere la piastra di base che, a propria volta, regge il muro. A questa soluzione si ricorre spesso nel caso delle spalle dei ponti, al fine di mantenere entro limiti accettabili i cedimenti nel passaggio dalla rampa d’accesso all’impalcato da ponte.

7.5.11 – Cedimenti dei muri

Quando il terreno sotto la base è granulare, di norma il tempo di costruzione del muro è sufficiente a far esaurire i cedimenti. Se sotto la base si trova un terreno coesivo saturo, i cedimenti dovuti alla consolidazione possono richiedere un tempo notevole prima di esaurirsi. In ogni caso, la differenza tra i cedimenti ai due estremi della base può far si che il muro s’inclini se la differenza di pressione è notevole.

Il problema dei cedimenti si presenta essenzialmente nei casi in cui si abbia un notevole aumento del volume del terrapieno. Se le fasi della costruzione sono state:

–       rimozione del terreno;

–       costruzione del muro;

–       ripristino del terrapieno.

i cedimenti sono molto modesti in quanto la sostituzione di terreno con calcestruzzo nel volume occupato dal muro si traduce in un modesto incremento di carico.

Una nuova situazione in cui la pressione sul terreno sia prodotta, ad es., da 3 m di terreno di riporto non preesistente rappresenta, viceversa, un carico elevato che può produrre notevoli cedimenti a lungo termine in terreni coesivi e, quanto meno, un certo cedimento (immediato) se il terreno sotto la base è incoerente.

Una situazione più pericolosa si trova comunque quando, per far posto alla fondazione, si rimuove il terreno con attrezzature a motore, si ricopre quindi la base scabra dello scavo con un sottile strato di sabbia, spianandolo, e infine gettando la fondazione. Tale procedimento provoca quasi certamente dei cedimenti e delle fessure nel muro spesso a breve distanza di tempo dal completamento del muro. In questo caso, per ottenere un muro a regola d’arte è necessario compiere controlli adeguati e far precedere al getto della fondazione un ripetuto costipamento del piano di posa.

7.5.12 – Muri di sostegno d’altezza variabile (spalle di ponte e muri d’ala)

È raro che un muro di sostegno sia ad altezza costante quando è di una certa lunghezza per quanto eccezioni siano possibili nel campo delle strutture idrauliche. I tradizionali metodi di analisi si basano sull’esame di una striscia di altezza costante e larghezza unitaria.

È altresì chiaro che, nel caso di muri ad altezza variabile, si abbia uno stato di deformazione non piano, nonché una torsione del muro. Nel caso più frequente di muri di altezza gradualmente variabile, ritenendo costante l’altezza si ha un sovradimensionamento del muro sufficiente a far fronte a un momento torcente, sia perché lo spessore del muro è mantenuto costante, sia perché l’armatura minima richiesta dalla normativa (per gli effetti del ritiro e di variazioni termiche) è in grado di sopportare un certo momento torcente. Nel caso di brusche variazioni nell’altezza del muro, si deve verosimilmente disporre un’armatura superiore a quella minima nella zona di transizione, in modo da tener conto indirettamente del momento torcente addizionale che probabilmente nasce.

Le spalle e i muri ad ala trovano largo impiego nella costruzione dei ponti e la principale indicazione di cui si dispone al proposito consiste nell’assimilare la spinta del terreno alla pressione prodotta da un fluido equivalente (γKa), di peso specifico ≥ 4.75 kN/m3.

Per quanto riguarda le spalle, in generale, valgono le disposizioni seguenti:

1 – Le spalle devono essere dimensionate per sopportare la pressione del terreno;

2 – Le spalle devono essere progettate in modo da soddisfare la verifica al ribaltamento attorno allo spigolo esterno e allo scorrimento della base, nonché in modo da non superare la capacità portante del terreno sottostante;

3 – Il terrapieno che insiste verticalmente sulla base può essere conglobato nel peso efficace della spalla.

Per quanto riguarda i muri ad ala valgono, in generale, le prescrizioni:

1 – La loro lunghezza deve essere sufficiente a contenere il rilevato stradale;

2 – La spalla e le ali devono essere rese collaboranti disponendo barre ad aderenza migliorata di sezione opportuna lungo le loro giunzioni. Le barre devono avere lunghezza sufficiente affinché si sviluppi l’aderenza necessaria a farle lavorare; inoltre devono essere di lunghezza variabile, affinché non si crei un piano di minor resistenza verticale;

Operativamente le spalle e i muri ad ala vanno progettati come muri di sostegno a mensola (o a gravità) tenendo conto del fatto che l’impalcato da ponte può trasmettere una spinta orizzontale, un carico verticale nonché, nel caso di appoggi fuori asse, un momento in sommità, che si sommano alla spinta laterale del terreno. I muri ad ala, viceversa, vengono progettati semplicemente come muri di sostegno a mensola.

Appare discutibile quali azioni (taglio, trazione, momento) si trasmettano la spalla e le ali lungo la giunzione; comunque è prescrizione generale che in assenza di barre, sia necessario realizzare un giunto di dilatazione e ammorsare il muro ad ala nel corpo della spalla.

Dall’esame della Fig. 7.16 emerge che, se i muri sopportano le forze Pspalla e Pala alle giunzioni resta di fatto poco da trasmettere, per cui è sufficiente l’armatura minima prescritta dalle varie normative (o un’equivalente approssimazione). L’unico valore che non sembra in favore della sicurezza è il peso specifico del fluido equivalente, assunto pari a 4.75 kN/m3. Nella parte di terrapieno costipato di limitata estensione, individuata dalla spalla e dalle ali, sembra che, come minimo, sia opportuno porre in conto un peso specifico compreso entro 8÷12 kN/m3. Infatti, per un terreno avente peso specifico γ = 17.5 kN/m3, l’impiego del fluido equivalente si traduce in un coefficiente di spinta attiva pari a:

Ka = 4.75/17.3 = 0.271 → Φ ~35°

II coefficiente di spinta a riposo è:

K0 = 1-sin 35° = 0.426

cui corrisponde un fluido equivalente caratterizzato da:

17.5 (0.426) = 7.4 kN/m3 (arrotondato per eccesso a 8 kN/m3)

A motivo degli sforzi prodotti dal costipamento in una zona di estensione ridotta, come già noto, tale valore può rivelarsi più realistico del valore minimo di 4.75 kN/m3 sebbene i valori minimi coincidano spesso con quelli di progetto.

Un ulteriore importante indice del fatto che il minimo di normativa 4.75 kN/m3 possa risultare troppo basso è che nella zona di limitata estensione individuata dalla spalla e dai muri d’ala è poco realistico pensare che si realizzi uno stato piano nelle deformazioni, come richiesto per l’applicabilità delle teorie di Rankine e di Coulomb.

Si tratta, più verosimilmente, di una condizione di sforzo triassiale, il che introduce un certo grado d’indeterminatezza nell’analisi del muro, al quale si può in qualche modo ovviare ponendo in conto una pressione sul muro maggiore.

Fig. 7.16 – Pressioni del terreno su spalle di ponti e muri ad ala e loro tecniche costruttive.

7.6 – Paratie-Palancolate

Le paratie (o palancolate) vengono largamente utilizzate nella realizzazione di banchine sia di grandi che di piccole dimensioni, tanto nelle strutture per l’ormeggio di imbarcazioni turistiche quanto nei grandi moli di ormeggio per navi d’alto mare. È anche diffusa le realizzazione di banchine d’ormeggio mediante disposizione di due file di palancolate, come illustrato in Fig. 7.17. Le palancolate sono usate anche per la realizzazione di strutture di protezione contro l’erosione di spiagge, per migliorare la stabilità di pendii, per puntellare pareti di trincee e altri scavi, e per realizzare cassoni a tenuta stagna per lavori subacquei.

Quando una paratia presenta un’altezza < 3 m allora può essere realizzata a mensola; in ogni caso, per altezze maggiori, essa viene solitamente ancorata, e sotto tali condizioni prende il nome di paratia ancorata oppure di palancolata ancorata.

Le tipologie costruttive sono definite in Fig. 7.17.

Nel § sono presentati i diversi metodi comunemente adottati per l’analisi e il progetto di paratie, sia a mensola e ancorate. Vengono inoltre illustrati i tipi di materiale adottati per la realizzazione.

Al presente non si dispone di metodi esatti per l’analisi e il progetto di palancolate; infatti sia osservazioni in situ che prove effettuate su modelli di laboratorio hanno evidenziato come esista una complessa interazione tra la profondità dello scavo, la rigidezza del materiale costituente la paratia e la resistenza dovuta alla pressione passiva.

Per quanto attiene alle paratie ancorate l’analisi viene ulteriormente complicata dalla geometria dell’ancoraggio e dalla sua pretensione (o precarico) iniziale.

Fig. 7.17 – Strutture di contenimenti flessibili (o paratie o palancolate). (a) paratia a mensola; (b) paratia ancorata; (c) diaframma per scavi sbadacchiati; (d) palancolata ancorata in serie.

I metodi correntemente adottati per l’analisi possono essere divisi in due gruppi:

–       Metodi discreti: alla categoria appartengono gli approcci alle differenze finite e agli elementi finiti;

–       Metodi classici: procedimenti che prendono corpo da ipotesi estremamente semplificate unite a considerazioni basate sulla statica del corpo rigido.

In generale è consigliabile usare il metodo degli elementi finiti, adottando elementi tipo trave, in quanto fornitore di soluzioni ad ampio spettro: presenta una modellazione più realistica della parete tenendo conto della flessibilità della paratia e della barra d’ancoraggio esprimendo in misura ragionevole le caratteristiche del terreno e della sua interazione con la struttura che lo sostiene. Lo svantaggio principale è che si deve disporre di un programma di calcolo qualificato.

I metodi classici vengono presentati sia per il loro valore didattico sia perché alcuni operatori preferiscono ancora adottare tale procedimento.

7.6.1 – Tipi di paratie

I materiali generalmente impiegati per la realizzazione di paratie possono essere il legno, il calcestruzzo armato o l’acciaio. Gli sforzi di progetto sono spesso assunti più elevati rispetto a quelli adottati nelle costruzioni di edifici e variano entro 0.65fy÷0.90fy per l’acciaio e il legno mentre per il calcestruzzo possono arrivare fino a 0.75fy calcolando carichi non amplificati del fattore che fornisce i valori ultimi. Gli sforzi effettivi di progetto dipendono dal giudizio tecnico, dalle conseguenze del collasso della paratia e dalle normative specifiche.

7.6.1.1 – Palancolate in legno

Una palancolata in legno viene utilizzata per altezze libere H limitate < 3 m. Il legno viene spesso adottato nella realizzazione di palancolate sostenute da sbadacchi (sostegni di supporto a martinetto) per trincee temporanee, per prevenire franamenti durante la costruzione di acquedotti e di reti fognarie. Se una palancolata in legno viene usata in strutture permanenti al di sotto del livello di falda è necessario sottoporla a un trattamento conservativo per quanto la vita utile raramente superi i 12 anni.

Le forme delle palancole in legno sono illustrate in Fig. 7.18; il tipo Wakefield e quello con scanalatura a V rappresentano quelli attualmente più utilizzati.

Fig. 7.18 – Palandole in legno. (a) a bordi affiancati; (b) a incastro mediante assemblaggio, tipo Wakefield; (c) a incastro prefabbricato; (d) listelli metallici per fissaggi tra elementi adiacenti; (e) palandole con scanalatura a V.

Paratie basse costruite in legno trattato con sostanze conservative sono piuttosto comuni lungo zone antistanti specchi d’acqua e trovano un utilizzo considerevole nella protezione di litorali, dove la palancolata viene dapprima infissa, successivamente circondata da blocchi o massi stabilizzanti (denominati frangiflutti) atti a trattenere la sabbia dall’azione dell’erosione del mare per la protezione delle spiagge. In questo caso si può anche consentire che la paratia venga, eventualmente, coperta dalla sabbia; è allora sufficiente che essa duri abbastanza a lungo perché ciò si verifichi: successivamente, se anche il legno marcisce, non ne nasce alcuna conseguenza.

L’operazione di infissione di palancole in legno può risultare difficile, in quanto è necessario usare una cuffia di infissione. L’infissione in terreno molto duro con ghiaia di grosse dimensioni può dare luogo alla rottura della palancola a meno che l’applicazione non sia accompagnata da getti d’acqua in pressione. Le palancole possono essere appuntite (Fig. 7.19) e disposte in modo tale che l’elemento che si sta infiggendo vada a incunearsi contro la palancola posizionata in precedenza.

7.6.1.2 – Palancolate in cls armato

Questi tipi di palancolate sono realizzati con elementi in calcestruzzo prefabbricati, connessi tra loro mediante giunzioni a maschio e femmina. Le palancole sono progettate in base agli sforzi di progetto calcolati ma devono essere tenuti in debito conto gli sforzi che si generano durante le operazioni di trasporto e di posa in opera, che sono considerevoli a causa del peso delle palancole stesse.

Le punte vengono solitamente costruite con una forma tale da presentare una superficie obliqua, in modo da fare incuneare la palancola contro quella precedentemente posta in opera.

Si nota che gli elementi sono abbastanza voluminosi; di conseguenza richiedono che il volume di terreno spostato sia relativamente grande. Tale volume di terreno spostato tende ad aumentare la resistenza all’infissione. Le grandi dimensioni, insieme all’elevato peso specifico del calcestruzzo, comportano che palancole di questo tipo siano piuttosto pesanti e quindi risultino poco competitive nei riguardi di altri tipi di palancole, a meno che esse non siano costruite in prossimità del luogo di posa in opera.

Se si puliscono i giunti e li si sigilla con malta dopo l’infissione, è possibile realizzare una paratia relativamente impermeabile. In ogni caso, se i giunti fra palancola e palancola vengono sigillati, può risultare necessario disporre dei giunti di dilatazione con un certo intervallo nel senso della lunghezza della paratia stessa.

Fig. 7.19 – Palancole in legno. (a) a bordi affiancati; (b) a incastro mediante assemblaggio, tipo Wakefield; (c) a incastro prefabbricato; (d) listelli metallici per fissaggi tra elementi adiacenti; (e) palandole con scanalatura a V.

7.6.2 – Palancolate in acciaio

La palancola in acciaio rappresenta il tipo più comunemente usato, in virtù degli svariati vantaggi che manifesta rispetto a palancole realizzate con altri materiali. I principali vantaggi di una palancola in acciaio sono:

–       a – resistenza agli elevati sforzi di infissione che si sviluppano in presenza di materiali duri o rocciosi;

–       b – peso relativamente limitato;

–       c – possibilità di riutilizzo dell’elemento;

–       d – lungo periodo utile di esercizio (anche utilizzando una modesta protezione) sia al di sopra che al di sotto del livello dell’acqua;

–       e – semplicità d’azione nell’aumento eventuale della lunghezza della palancola (sia ricorrendo a saldatura che a collegamenti bullonati).

–       f – minor soggezione a deformazione anche quando sono saldamente incuneati fra terreno e sassi durante l’infissione.

Le palancole in acciaio sono disponibili in svariate forme e con diversi tipi di giunto; gli elementi a Z sono utilizzati per sopportare elevati momenti flettenti, come avviene in paratie ancorate o a mensola, quando è necessario resistere a momenti di elevata intensità. Gli elementi ad anima rettilinea vengono utilizzati nelle occasioni in cui l’anima risulti soggetta a trazione, come nel caso di paratie cellulari (cassoni) a tenuta stagna. Per realizzare cassoni a tenuta stagna, le sezioni devono essere costruite o sagomate secondo determinati collegamenti standard, a T, a Y, a croce, per realizzare il collegamento tra le diverse celle o per consentire cambiamenti di direzione.

La Fig. 7.20 illustra la posizione dell’asse neutro a flessione in un tratto di paratia: nel caso risulti applicabile quanto illustrato in Fig. 7.20b, si adotta la formula di trasporto per riportare il momento di inerzia I alla posizione del giunto di collegamento. I valori del momento di inerzia I e del modulo di resistenza a flessione S (reperibili in apposite tabelle) sono relativi all’asse neutro, ma con S = I/c si può determinare con facilità la distanza di trasporto.

Fig. 7.20 – Posizione dell’asse neutro per sezioni laminate ad anima alta.

7.6.3 – Proprietà del terreno per le paratie

Facendo riferimento alla Fig. 7.21 appare evidente come le pressioni laterali chiamate in causa siano la pressione attiva sviluppata dal terrapieno alle spalle della paratia e la pressione passiva nella parte anteriore della paratia, al di sotto della linea di fondo scavo. Per la determinazione delle pressioni del terreno possono essere usati sia i coefficienti di Coulomb che quelli di Rankine; in ogni caso, i valori di Coulomb risultano preferibili in quanto una palancolata si rivela solitamente piuttosto flessibile cosicché si manifestano spesso spostamenti relativamente elevati tra i punti di vincolo.

La resistenza dovuta all’attrito manifestantesi sulla faccia della paratia rivolta verso il terrapieno può essere tenuta in conto solo mediante l’adozione dei coefficienti di Coulomb; malgrado questa osservazione si utilizzano occasionalmente i coefficienti di Rankine per la pressione attiva del terreno Ka poiché risultano un poco più a favore di sicurezza.

Per l’applicazione del metodo degli elementi finiti è necessario utilizzare i coefficienti di pressione attiva del terreno alle spalle della paratia, e il concetto di modulo di reazione per il terreno al di sotto della linea di fondo scavo. L’utilizzo di ks consente di modellare il terreno in corrispondenza della linea di fondo scavo come una serie di molle nodali applicate alla paratia che contribuiscono alla resistenza allo spostamento laterale.

Fig. 7.21 – (a) deformata ipotizzata per la palancola; (b) probabile distribuzione qualitativa della pressione del terreno (elementi finiti); (c) diagramma delle pressioni semplificato (terreno incoerente senza falda).

Può inoltre essere necessario anche il coefficiente di pressione passiva se la linea di fondo scavo è inclinata rispetto alla paratia (situazione molto comune per le strutture antistanti specchi d’acqua) poiché sarà necessario confrontare la forza nodale calcolata a partire dalla molla nodale e dello spostamento Xi con la relazione:

qeffettivo = Xi Ki  0.5 γ zi2 Kp

dove il valore di Kp è basato sull’inclinazione β (negativa), della linea di fondo scavo. In questo caso si confronta la forza nodale effettiva sviluppata dal terreno con quella possibile dovuta alla resistenza passiva del terreno, alla medesima profondità, determinata mediante l’utilizzo del coefficiente Kp di Coulomb.

Da questa discussione risulta evidente che si deve disporre dei parametri Φ e γ del terreno e, nel caso di adozione del metodo degli elementi finiti, di un valore di ks. Essendo raro che si realizzino delle prove di laboratorio per la determinazione di questi parametri è prassi comune utilizzare dati ottenuti mediante prove penetrometriche statiche (CPT) o standard (SPT) o semplicemente effettuare una stima di Φ e γ.

Il materiale sostenuto dalla paratia è spesso un materiale di riporto, soggetto a un modesto o nessun costipamento e può essere ottenuto mediante dragaggio del letto di un corso d’acqua, cosicché risulta difficile determinare con precisione i parametri del terreno.

Il terreno nel quale la palancola viene infissa si presta maggiormente a prove di laboratorio su campioni recuperati in situ; tuttavia in quasi tutti i casi si adottano i dati ottenuti da prove penetrometriche (SPT o CPT). In queste condizioni, per terreni coesivi, si ottiene su = c = qu/2 e, per terreni incoerenti, i dati ricavati mediante prove penetrometriche vengono trasformati in una stima di Φ e γ tramite correlazioni.

Il peso specifico dei terreni coesivi può essere determinato usando il procedimento indicato in vol. 1° mentre si può ottenere una stima dell’angolo d’attrito interno Φ per terreni incoerenti realizzando un cumulo con una determinata quantità di terreno e misurando l’angolo di riposo, che viene generalmente accettato come limite inferiore per Φ.

Per sabbie sciolte si può assumere un γ variabile entro 12.5÷14 kN/m3.

Nel caso di acquisizione di prove di laboratorio, si suggeriscono le prove di taglio diretto o di taglio semplice, in modo da ottenere una stima dell’angolo Φ in condizioni di deformazione piana.

Nella maggior parte dei casi, come sottolineato in precedenza, l’angolo di attrito interno viene semplicemente stimato attraverso valori a favore di sicurezza, e i valori comunemente usati variano entro 28°÷32°.

7.6.3.1 – Condizioni drenate

Quando il terreno in corrispondenza della linea di fondo scavo è coesivo, e in particolare se una parte del terreno viene rimossa fino alla linea di fondo scavo, nell’analisi si possono ipotizzare sia i casi di sforzo totale in condizioni di resistenza a taglio non drenata su che di sforzo efficace con resistenza a taglio drenata; e tutto ciò in quanto, sotto l’azione di carichi a lungo termine, il terreno coesivo tende allo stato drenato, effetto che si verifica molto più rapidamente se il terreno in corrispondenza della linea di fondo scavo risulta scaricato per effetto dello scavo stesso (con conseguente dissipazione della pressione negativa nei pori). Come mostrato in vol. 1° si verifica una sostanziale diminuzione della resistenza al taglio durante la transizione dallo stato di sforzo totale a quello di sforzo efficace motivo per cui la principale ragione del collasso di paratie è causata dall’uso dei parametri di resistenza totali invece di quelli efficaci.

7.6.3.2 – Angolo d’attrito tra paratia e terreno (δ)

L’angolo di attrito 6 fra paratia e terreno può essere stimato mediante le tabelle proposte in precedenza oppure, per progetti di una certa importanza, determinato mediante una misura diretta. Qualsiasi misura diretta deve utilizzare una pressione normale all’interfaccia tra terreno e paratia dello stesso ordine di quella attesa nel modello reale, poiché δ risulta in qualche modo dipendente dalla pressione stessa. Per palancolate metalliche a Z e ad anima larga, un tratto di paratia di larghezza unitaria (considerando la superficie di scorrimento di area minima) comprende una parte in cui si determina contatto fra terreno e terreno e una parte in cui il contatto avviene fra terreno e acciaio, come in Fig. 7.20. Sotto tali condizioni è possibile utilizzare un valore medio dato dalla relazione:

tg δ’ = (tg δ+tg Φ)/2

dove Φ è l’angolo di attrito interno del terreno e δ è l’angolo di attrito ricavato da tabella o misurato mediante una prova di laboratorio.

7.6.3.3 – Modulo di reazione ks del terreno

II metodo degli elementi finiti fa uso di ks nella regione di pressione passiva al di sotto della linea di fondo scavo, nella zona antistante la paratia. E’ stato dimostrato che questo modello risulta ragionevolmente corretto se lo si utilizza per l’analisi di paratie in scala reale e per l’analisi a posteriori di modelli di palancolate riportati da Tschebotariov e Rowe. Stime di ks possono essere ottenute mediante l’equazione vista in precedenza, che assume la profondità come parametro, nella forma:

ks = As+Bs Zn

e può essere approssimata usando:

ks = C (FSqa

dove qa rappresenta la capacità portante a diverse profondità, nell’ambito della probabile profondità di infissione delle palancole, e C = 40. Il coefficiente di sicurezza FS vale solitamente per le sabbie e 3 per i terreni coesivi. Si possono quindi riportare graficamente questi valori di ks e tracciare la curva che meglio li approssima nella forma data dalla prima relazione per utilizzarla per il terreno in corrispondenza della linea di fondo scavo. In alternativa è possibile utilizzare l’equazione per la capacità portante con i coefficienti sidi e ii tutti pari a 1, ottenendo:

dove ΔH rappresenta un cedimento di 25 mm che fornisce C = 40. Separando i termini della prima equazione si ottiene:

Un limite superiore per ks è basato sulla capacità portante ultima valutata alla medesima profondità.

Alcuni operatori hanno proposto di utilizzare la pressione passiva sebbene l’andamento degli spostamenti orizzontali sia tale da non essere, almeno per palancolate, troppo plausibile.

Le stime di ks forniscono valori ragionevoli per i momenti flettenti e gli sforzi nel terreno in corrispondenza dei nodi ma gli spostamenti, in particolare in corrispondenza della linea di fondo scavo, possono essere affetti da errore in quanto sono direttamente dipendenti dal valore di ks assunto. Si è compreso, viceversa, come le pressioni del terreno in corrispondenza dei nodi siano indipendenti da ks entro un ampio intervallo di valori.

Il metodo degli elementi finiti consente di tenere in conto effetti non-lineari, per i quali si suggerisce di adottare il termine Xmax definito in precedenza.

7.7 – Palancolate a mensola (metodo classico)

Le palancolate a mensola illustrate in Fig. 7.17a fanno affidamento su un’adeguata lunghezza di infissione nel terreno a partire dalla linea di fondo scavo, così che la paratia può essere essenzialmente considerata una mensola larga di altezza pari a H. Poiché la trave è molto larga, se ne considera comunemente un tratto di larghezza unitaria (come nel metodo degli elementi finiti). Sia per il metodo degli elementi finiti che per i procedimenti classici la paratia risulta soggetta alla pressione attiva del terreno fino alla linea di fondo scavo dalla parte del terrapieno, e mantenuta in posizione dalla resistenza passiva del terreno posto di fronte alla paratia stessa al di sotto della linea di fondo scavo. Nel metodo degli elementi finiti si è modellato il terreno nella parte anteriore rispetto alla linea di fondo scavo mediante delle molle. Nei metodi classici si adotta la pressione passiva definita dai coefficienti di Coulomb (di preferenza) oppure di Rankine.

Con le paratie a mensola è importante che la linea di fondo scavo sia stabile in quanto l’unica resistenza del terreno si sviluppa in questa zona e, a prescindere dal fatto che si adotti il metodo degli elementi finiti o un metodo classico, la stabilità della paratia dipende fortemente dalla profondità di infissione.

E’ opportuno riferire che, per il metodo degli elementi finiti, la sola differenza nell’analisi di una palancolata ancorata o di una a mensola consiste nell’adozione di un ancoraggio. I metodi classici, viceversa, partono da ipotesi considerevolmente differenti dipendendo, inoltre, dal terreno in cui la palancola è immersa (granulare o coesivo). In generale, comunque, non è facile progettare una palancolata usando i metodi classici quando il terreno al di sotto della linea di fondo scavo presenti sia attrito (definito mediante l’angolo d’attrito interno Φ) che coesione c.

7.7.1 – Palancolate a mensola (terreni granulari)

Per la soluzione del problema, si assume che la palancola sia soggetta, dalla parte del terrapieno, a pressione attiva fino alla linea di fondo scavo. Sotto l’influenza della spinta generata dalla pressione attiva, la paratia tende a ruotare, sviluppando pressione passiva nella parte antistante la paratia stessa e pressione attiva alle sue spalle. In corrispondenza del punto di rotazione b di Fig. 7.21a, il terreno alle spalle della paratia passa dalla condizione di pressione attiva a quella di pressione passiva, con pressione attiva nella parte antistante la paratia per il resto della lunghezza, fino all’estremità inferiore della palancola.

Per il calcolo delle pressioni attiva e passiva, risulta conveniente trattare la massa del terreno al di sopra del punto che si sta considerando come un sovraccarico.

Poiché il progetto di questo tipo di paratia richiede la soluzione di un’equazione di quarto grado per la determinazione della profondità di infissione, risulta conveniente ricavare tale equazione, una volta per tutte. Ciò non è troppo difficile per le condizioni illustrate nelle Fig. 7.21c e 7.22, quando si assume che il terreno al di sotto della linea di fondo scavo abbia il medesimo angolo di attrito Φ del terreno che costituisce il terrapieno al di sopra della linea di fondo scavo (in Fig. 7.22 tutti i termini necessari).

Dovendo seguire il metodo che consiste nel dividere i coefficienti di pressione passiva del terreno per il coefficiente di sicurezza, i termini Kp e Kp’ vanno modificati prima di eseguire qualsiasi calcolo. Nel caso di linea di fondo scavo inclinata è opportuno usi il valore di Kp ottenuto in base all’angolo  β.

Tramite termini definiti in Fig. 7.22, si può ora ottenere una soluzione generale per una palancolata realizzata in un terreno incoerente. Dapprima tutte le forze applicate al di sopra del punto O devono essere sostituite da una singola forza risultante Ra posta a una distanza y al di sopra di tale punto. Il punto O si trova ad una distanza a al di sotto della linea di fondo scavo (dove la pressione del terreno sulla paratia è assunta essere nulla):

Si può determinare la distanza z in funzione di Y attraverso considerazioni statiche (ΣFH = 0), ottenendo:

da cui, risolvendo rispetto a z, si ricava:

      *

Si può ricavare un’ulteriore equazione in termini di Y e z imponendo l’equilibrio dei momenti rispetto a un punto opportuno (in questo caso l’estremità inferiore della palandola) con la:

semplificando:

Sostituendo la (*) nell’ultima relazione e risolvendo rispetto a Y, si ottiene la seguente equazione di 4° grado valida sia in presenza che in assenza di acqua nel terreno:

dove tutti i termini sono definiti in Fig. 7.22. In presenza di acqua, Ra e y vanno opportunamente corretti per tener conto del livello dell’acqua stessa.

Il problema si riduce a quello dell’asta di bandiera (o del pennone) operando determinate semplificazioni, e cioè: a diviene uguale a 0; Ra diviene la forza applicata, analoga a quella che si considera nel progetto di un cartello indicatore; y è la distanza tra la superficie del terreno e il punto d’applicazione di Rappdiviene uguale a 0. Una volta applicate le semplificazioni, l’equazione ultima si trasforma in:

L’analisi della geometria, i termini coinvolti e le condizioni date possono semplificare il problema. Inoltre, se è preferibile aumentare la profondità di infissione del 20÷40% piuttosto che usare un coefficiente di sicurezza per il termine Kp, si devono effettuare le modifiche appropriate.

Se l’acqua si trova a diversi livelli nelle 2 parti della paratia è anche necessario tener conto dell’effetto di squilibrio idrostatico che ne nasce. Quando tale differenza non è molto elevata, o se il terrapieno è realizzato con materiale granulare drenante, il coefficiente di sicurezza é in genere tale da poter considerare il livello dell’acqua eguale da entrambe le parti. Per contro, se il dislivello è elevato, ad es., > 1÷1.5 m, e il terreno possiede un basso coefficiente di permeabilità, si può costruire un reticolo di flusso per valutare la pressione idrostatica in diversi punti lungo la paratia.

Fig. 7.22 – Diagramma delle pressioni per una paratia a mensola posta in un terreno granulare.

I passi da compiere per la soluzione di una paratia a mensola in un terreno granulare sono i seguenti:

a – Calcolare i coefficienti di pressione attiva e passiva del terreno;

b – Calcolare le pressioni ppp-‘p e p‘’p, la distanza a, la spinta risultante Ra e il suo punto di applicazione y. Il punto d’applicazione y della spinta risultante viene determinato in base all’equazione seguente quando il diagramma delle pressioni è un triangolo di base (H+a) e altezza pa con l’espressione:

y = (H+2a)/3

c – Sostituire i valori ricavati al punto 3 nella (13.1) e determinare Y. Un metodo iterativo (del tipo di quelli usati per la stabilità delle scarpate) fornisce una soluzione rapida, poiché soluzioni comprese entro un intervallo di 0.15 m sono da considerare sufficientemente precise. Si parte assumendo Y pari a ~ 0.75 Hper il primo calcolo, in quanto la maggior parte delle paratie a mensola richiede una profondità di infissione pari appunto a 0.75÷1.0 H.

d – Ricavare al lunghezza totale necessaria per la palancola:

L = H+D

D = Y+a

7.7.2 – Palancolata a mensola (terreni coesivi)

Le palancolate in terreni coesivi vengono trattate, per un certo modo, come quelle in terreni granulari. Vi sono, comunque, determinati fenomeni associati alla presenza di terreni coesivi che richiedono delle considerazioni addizionali. Per esempio, nelle zone di pressione passiva si può avere consolidazione. Nella zona attiva si possono formare delle fratture per trazione destinate poi a riempirsi d’acqua, con conseguente aumento considerevole della pressione laterale, e con cambiamento del punto di applicazione della spinta risultante. L’argilla può ritirarsi ed essere spinta fuori dalla paratia, con ulteriore aumento della pressione laterale. Quest’ultimo problema può essere tenuto in conto in fase di progetto trascurando i benefici teorici dovuti all’adesione tra paratia e terreno.

A causa delle incertezze proprie dei terreni argillosi, e poiché la maggior parte delle palancolate viene realizzata allo scopo di sostenere terrapieni sui quali si possono poi costruire delle strutture, si può ricorrere dopo l’infissione delle palancole in terreno argilloso o limoso, alla realizzazione del terrapieno di riporto con materiale granulare drenante. Naturalmente, è anche possibile che la palancola possa essere destinata a sostenere, così come può esservene immersa, del materiale coesivo.

Facendo riferimento alla Fig. 7.23 e alle relazioni di Mohr si ha:

Fig. 7.23 – Paratia posta in terreno coesivo.

In corrispondenza del punto A sul lato sinistro della paratia in corrispondenza della linea di fondo scavo si ha q = 0 e la pressione netta in A vale (si osservi che γehKa o γehKp devono essere usati al posto di q se Φ≠0° nel terreno in corrispondenza della linea di fondo scavo):

poiché Ka = Kp = 1.

In corrispondenza del punto B le pressioni valgono:

Sommando le pressioni (σpa) si ottiene:

L’equilibrio deve sussistere per la stabilità della paratia, cioè deve essere, sommando le aree delle pressioni ΣFH = 0:

e risolvendo rispetto a z:

Deve essere inoltre verificato l’equilibrio dei momenti rispetto a un punto qualsiasi: sommando quindi i momenti rispetto alla base della paratia si ricava:

e sostituendo la penultima relazione nell’ultima, raccogliendo i termini e semplificando, si ha:

dove tutti i termini sono identificati in Fig. 7.23 ma usando come pressione efficace in corrispondenza della linea di fondo scavo il sovraccarico q.

La profondità calcolata mediante l’equazione prima espressa può essere aumentata del 20-40% oppure, in alternativa, si può dividere in tale equazione la coesione e per un coefficiente di sicurezza variabile entro 1.5÷2.0, aumentando così direttamente il valore delle profondità che si va calcolando. Applicando il coefficiente di sicurezza in questo modo si può tuttavia giungere alla conclusione (erronea) che non sia possibile realizzare nessuna paratia se la coesione del terreno è tale che 4c/FS  q.

7.8 – Palancolate ancorate (Free-Earth Support Method)

Esistono vari metodi di uso corrente per il progetto di palancolate ancorate: tra questi ha acquisito ampia diffusione da parte degli operatori il Free-Earth Support Method (FESM, paratia con appoggio libero nel terreno), una tipica applicazione usata in combinazione con un metodo di riduzione dei momenti.

Il FESM assume che la palancolata sia rigida e che possa ruotare al livello dell’ancoraggio, con una modalità di collasso per rotazione intorno all’ancoraggio ritenuto fisso. La pressione passiva si sviluppa nel terreno antistante la palancola mentre quella attiva si manifesta alle spalle della palancola stessa. Una volta calcolata la profondità di infissione teorica il valore può essere incrementato del 20÷40%; oppure, in alternativa, è possibile dividere Kp per un idoneo coefficiente di sicurezza prima di effettuare il calcolo della profondità di infissione stessa.

Fig. 7.24 – Paratia ancorata analizzata col metodo FESM: (a) terreno granulare; (b) terreno coesivo al di sotto della linea di fondo scavo; riporto realizzato con terreno granulare.

Il diagramma delle pressioni assunto e il significato dei simboli sono illustrati in Fig. 7.24.

Dalla Fig. 7.24a la distanza a dal punto di pressione nulla vale

Di seguito, sommando i momenti rispetto alla barra d’ancoraggio per la verifica dell’equilibrio statico, usando i valori indicati in Fig. 7.24a e ordinando i termini secondo potenze decrescenti di X, si ottiene:

La forza nella barra di ancoraggio Par si determina scrivendo l’equilibrio delle forze orizzontali, ottenendo quindi:

     *

La profondità di infissione é D = X+a. In base alla Fig. 7.24b, nel caso in cui il terreno al di sotto della linea di fondo scavo sia coesivo (Φ =  oppure si abbiano condizioni non drenate), si può scrivere l’equilibrio alla rotazione intorno alla barra di ancoraggio:

che può essere ordinata in termini di potenze decrescenti di D ottenendo:

La trazione nella barra di ancoraggio può essere calcolata mediante la (*). Dall’esame di Fig. 7.24b si ricava che se la pressione passiva σp < 0 allora la paratia è instabile. Tale situazione si manifesta quando:

Assegnato il materiale del terrapieno, esiste un valore critico di H oltre il quale non è possibile porre una paratia in un terreno argilloso. Il rapporto c/q viene denominato, nella letteratura relativa alla meccanica dei terreni, numero di stabilità:

Se si tiene conto dell’adesione e, tra paratia e terreno, il numero di stabilità può essere calcolato approssimativamente con la:

Per ca = 0.56c, il termine sotto radice vale 1.25 e il numero di stabilità diventa:

Per un coefficiente di sicurezza pari a 1 e con c/q = 0.25, il numero di stabilità vale approssimativamente 0.31 considerata anche l’adesione tra paratia e terreno.

Nel progetto di palancolate poste in argilla la struttura deve avere un numero di stabilità pari a:

Sn = 0.3 FS

II FESM viene preferito rispetto agli altri metodi in virtù della sua maggiore semplicità. La Fig. 7.25 indica i diagrammi qualitativi delle pressioni in depositi erratici o in terreni dotati di coesione e attrito.

Fig. 7.25 – Diagramma delle pressioni agenti sulla paratia. (a) depositi caotici e/o indifferenziati; (b) riporto di sabbia sovrapposto a terreno dotato di coesione ed attrito.

7.9 – Barre d’ancoraggio

II progetto di una barra d’ancoraggio si esegue partendo da un’analisi della reazione d’ancoraggio che si sviluppa. Nelle analisi a elementi finiti tale reazione dipende in qualche misura dalla dimensione della barra d’ancoraggio prescelta all’inizio del calcolo. In ogni caso, si deve verificare lo spostamento laterale della paratia in corrispondenza della barra d’ancoraggio per valutare se il movimento della paratia è sufficiente a dare luogo alla condizione di spinta attiva.

E’ consigliabile fare in modo che lo spostamento in corrispondenza della barra d’ancoraggio sia dell’ordine di 0.001 H.

A meno che la paratia non sia molto rigida, come accade per certe paratie in calcestruzzo, di norma la pressione attiva del terreno si sviluppa sulla faccia interna della paratia stessa, tra la barra d’ancoraggio e la linea di fondo scavo.

Il progetto della barra d’ancoraggio è una semplice applicazione della formula f = P/A; in ogni caso, l’analisi potrebbe essere in qualche modo resa più complessa a motivo delle seguenti considerazioni:

–       a – se il terreno alle spalle dell’ancoraggio subisce un cedimento causante l’allontanamento dalla barra, la barra medesima non é più sostenuta dal terreno e deve quindi essere in grado di sostenere il proprio peso oltre al peso di una quota parte assegnata del terreno sovrastante, che agisce come un carico distribuito per unità di lunghezza gravante sulla barra. Di solito si può contare su un effetto ad arco cosicché la colonna di terreno sovrastante non risulta interamente gravante sulla barra; comunque, una barra piuttosto piccola su una luce grande può presentare dei momenti flettenti significativi dovuti al peso proprio e, se il modulo di resistenza è molto piccolo, l’incremento di sforzi di trazione può essere realmente significativo;

–       b – alcuni operatori suggeriscono di imporre una controfreccia (curvatura negativa) alla barra per compensare la freccia che la barra stessa presenta in virtù di quanto detto al punto precedente;

–       c – altri operatori suggeriscono di disporre la barra d’ancoraggio all’interno di un tubo cavo in modo che essa si trovi inizialmente in condizioni non vincolate; in queste condizioni il carico addizionale definito al punto a non si può manifestare.

Considerando tutti questi fattori appare evidente come si debbano adottare dei coefficienti di sicurezza procedendo alla determinazione della trazione presente nella barra d’ancoraggio. A questo proposito vengono comunemente usati valori compresi tra 1.2÷1.5; in alternativa è possibile ridurre, per il materiale di cui è costituita la barra, lo sforzo ammissibile.

Per l’acciaio si adotta un fa dell’ordine tra 0.6÷0.66fy in maniera da ottenere un coefficiente di sicurezza apparente pari 1.6÷1.5.

Questo trova giustificazione nel fatto che l’analisi ad elementi finiti mostra come la trazione nella barra d’ancoraggio non vari di molto aumentando la profondità di infissione, cosicché le principali incertezze derivanti dal cedimento del terreno alle spalle della paratia e il successivo incremento di sovraccarico tendono a concentrarsi nella zona d’attacco della barra medesima.

Una barra più rigida può, infine, richiedere la ripetizione dell’analisi adottando quale coefficiente di spinta K0 nella regione d’ancoraggio e Ka altrove.

7.9.1 – Metodi d’ancoraggio di paratie

L’ancoraggio per le paratie può essere realizzato mediante blocchi di calcestruzzo di grandi dimensioni (corpo morto) gettati in opera (a forma di cubo o di parallelepipedo della lunghezza necessaria) o di blocchi di calcestruzzo prefabbricati affondati nel terreno fino a una certa profondità. Altrimenti è possibile utilizzare una fila di palancole d’altezza limitata infisse parallelamente alla paratia da sostenere (sebbene sia opportuno infiggere una palancola ogni due a una maggiore profondità) e utilizzare una trave orizzontale per distribuire la reazione della barra di ancoraggio.

Le palancole possono essere infisse come in Fig. 7.26b/c; alcuni operatori indicano tale soluzione come la più affidabile per diverse installazioni.

Fig. 7.26 – Metodi di realizzazione degli ancoraggi per paratie in acciaio: (a) corpo morto gettato in opera; (b,c) sistema di pali con funzione d’ancoraggio; (d) paratia d’altezza limitata utilizzata con funzione d’ancoraggio; (e) ancoraggio per tirantatura.

Una pavimentazione superficiale realizzata in calcestruzzo può essere prolungata a costituire un cordolo superiore per la paratia, in corrispondenza dell’ancoraggio posto in sommità. In genere ciò consente di fissare l’estremità superiore tanto nei riguardi della rotazione che dello spostamento laterale e tale situazione può essere facilmente analizzata con un programma agli elementi finiti, imponendo le opportune condizioni al contorno. Si possono anche realizzare ancoraggi (tiranti) iniettando del calcestruzzo o della malta in fori opportunamente predisposti nel terreno, dopo avervi steso una barra oppure un cavo d’acciaio ad alta resistenza, dotato di una piastra di estremità per aumentarne la resistenza all’estrazione.

Per la realizzazione di ancoraggi a tirante si adottano comunemente cavi d’acciaio ad alta resistenza con uno sforzo di snervamento fy dell’ordine di 1 103÷1.4103 MPa; per confronto si consideri che l’acciaio d’impiego strutturale di uso più comune presenta valori di fy pari a 250 MPa.

7.9.2 – Blocchi di calcestruzzo per ancoraggi

Un blocco di ancoraggio (corpo morto) è un elemento realizzato con calcestruzzo gettato in opera, oppure prefabbricato, che può essere un cubo, un parallelepipedo oppure un solido di forma molto allungata. Se il corpo morto presenta una lunghezza L molto maggiore della sua altezza H e viene disposto in modo tale che la profondità d1 alla quale si trova (Fig. 7.27a) valga entro 0.5÷0.7 H, si può stimare che la resistenza ammissibile all’estrazione sia pari, per l’ancoraggio, a:

Par = (Pp-Pa)/FS

dove il coefficiente di sicurezza FS vale 1.2÷1.5. I termini Pp e Pa indicano le pressioni passiva e attiva del terreno determinate in base alla relazione 0.5γd22Ki. Per d1 = 0.5 H si ricava un valore esaustivo, in quanto il punto d’applicazione della resistenza passiva si trova in corrispondenza del centro del corpo morto e, quindi, in corrispondenza del punto d’attacco della barra d’ancoraggio.

Fig. 7.27 – Ancoraggio a corpo morto (L ┴ al foglio).

Con questa equazione si trascura qualsiasi resistenza di estremità ma è tuttavia implicito che l’ancoraggio debba essere posizionato a una distanza sufficiente affinché la zona di scorrimento passiva non interferisca con la zona di pressione attiva. Tale posizione può essere determinata mediante la procedura:

a – determinare lungo la paratia, in prossimità (o al di sotto) della linea di fondo scavo, la posizione del punto in cui si annulla il momento flettente.

b – in corrispondenza del punto di momento nullo tracciare due linee inclinate rispetto all’orizzontale di ζ1 = 45°Φ/2 e ζ2 = 45°+Φ/2 (zone di Rankine).

c – posizionare l’ancoraggio in modo tale che la sua estremità si trovi nella zona tratteggiata e al di sotto della linea AD di Fig. 7.27d, per ottenere la massima efficienza. Se si dispone l’estremità dell’ancoraggio (punto fisso) nella zona BCD si limita il cuneo d’ancoraggio alla linea BC ma non si può ottenere la massima efficienza dell’applicazione.

Se l’ancoraggio è costituito da un blocco a forma di parallelepipedo tozzo (oppure di cubo) con L 1.5H la resistenza d’ancoraggio può essere calcolata dalla relazione:

 **

II coefficiente C può essere assunto pari a 0.5÷0.65, e Kp rappresenta il valore di Rankine (→ tabella). Prove sperimentali realizzate su blocchi d’ancoraggio in scala reale indicano che C = 0.65 rappresenta un valore adeguato per tener conto sia della resistenza passiva che della resistenza lungo i fianchi e la faccia inferiore del corpo morto (che non è trascurabile per blocchi tozzi).

Il valore C = 0.5 può essere adottato nel caso in cui l’ancoraggio venga realizzato mediante piastre in acciaio disposte verticalmente o palancolate in acciaio, poiché in questo caso la resistenza al taglio lungo i lati e la base è considerevolmente inferiore.

Nel caso di terreni coesivi si può calcolare la trazione nella barra di ancoraggio in modo diverso, come segue:

Par = McHL/FS

dove M = 9 per d2/H ≥ 3 (occorre rammentare come 9 sia il coefficiente di capacità portante per una fondazione profonda); M = 9/(d2/H) per d2/H < 3 (mediante interpolazione lineare).

Per terreni dotati di coesione e attrito (definiti mediante i parametri c e Φ) si usa la relazione base  calcolando le resistenze dovute alla pressione attiva e passiva del terreno mediante le relazioni di Mohr nel caso di blocchi d’ancoraggio allungati; per blocchi d’ancoraggio tozzi si usa invece la seguente espressione

Par = PpL/FS

Qualora il blocco di ancoraggio si trovi a grande profondità, vale a dire d2/H ≥ 6.5 è possibile calcolare la resistenza d’ancoraggio mediante la (**) ottenendo una ragionevole approssimazione per tutti i valori di lunghezza L.

7.9.3 – Ancoraggi per tirantatura

Gli ancoraggi a tirante sono solitamente preferiti nel caso di costruzioni provvisorie dove è possibile inserirsi nel terreno adiacente per installare l’ancoraggio. Lo svantaggio più consistente si verifica quando s’incontrano dei servizi di pubblica utilità (cavi elettrici e telefonici, acquedotti, fognature etc.) installati nel sottosuolo. I vantaggi principali consistono nel lasciare libera l’area di fronte alla paratia, nella possibilità di procedere all’installazione mano a mano che s’abbassa la linea di fondo scavo e nel fatto che la tesatura nei cavi costituisce implicitamente un collaudo dell’ancoraggio stesso.

L’installazione può essere effettuata utilizzando una sonda a fusto cavo Ø 200÷375 mm. Il cavo tirante, provvisto di un dispositivo ad espansione all’estremità per garantire la resistenza all’estrazione sia in fase di posa che nella successiva fase d’esercizio, viene inserito attraverso il fusto cavo. Raggiunta la lunghezza desiderata la sonda viene leggermente arretrata e, attraverso il suo fusto, si provvede a iniettare calcestruzzo/malta (fc = 21 MPa) fino a riempire la cavità. Il fluido viene iniettato con pressione limitata pressione al fine di garantire il completo riempimento della cavità e per espandere leggermente il diametro del foro, cosicché si possano realizzare condizioni di pressione del terreno superiori alle condizioni di spinta a riposo, K0.

Il terreno che forma il bordo del foro trattiene la malta (pressione di pompaggio entro 75÷225 kPa. A volte si trivellano fori di dimensioni molto più piccole utilizzando pressioni molto più elevate. È probabile, tuttavia, che compensando il ricorso a fori di maggiori dimensioni con basse pressioni si possano ottenere ancoraggi più affidabili e di più rapida realizzazione.

Mentre il collaudo in fase di tesatura assicura la stabilità della paratia è comunque necessario prevedere in anticipo la posizione dell’ancoraggio e le sue dimensioni principali. In generale, l’inclinazione deve essere compresa entro 15°÷30° (non oltre) rispetto all’orizzontale, affinché la componente verticale della forza d’ancoraggio sulla palancolata non risulti elevata. Un’inclinazione modesta consente una più facile trivellazione e installazione dell’ancoraggio. È comune posizionare la porzione ancorata del cavo al di fuori della zona di pressione attiva con la rimanente parte del cavo lasciata libera (ma protetta nei riguardi della corrosione). Ciò consente al cavo di deformarsi sotto il carico di pretensione cosicché quando esso viene rilasciato dal martinetto e ancorato, le perdite di pretensione non sono così elevate da annullare la pre-trazione residua d’ancoraggio. Queste perdite, dovute alla variazione di allungamento sono tali che la pre-trazione residua in acciai non ad alta resistenza sia piuttosto bassa e, in seguito a ulteriori variazioni dell’allungamento dovute al rilassamento del terreno, risulti inaccettabile per l’ancoraggio.

In opere permanenti è consigliabile riempire di malta anche la parte rimanente della lunghezza del foro (oltre a quella che garantisce la tenuta dell’ancoraggio) per fornire al cavo, dopo avere eseguito la tesatura, una protezione a lungo termine.

La resistenza dell’ancoraggio a tirante può essere valutata usando le relazioni per le fondazioni circolari:

 (f. superficiali)

 (f. profonde)

quando l’estremità dell’ancoraggio è svasata.

Quando l’estremità non è svasata o il diametro del foro è in qualche modo variabile nel senso della lunghezza, come si ottiene per effetto dell’iniettare malta/calcestruzzo in pressione, la resistenza d’ancoraggio può essere calcolata (con riferimento alla Fig. 7.26e) con la relazione:

dove ca è l’adesione (0.7÷0.9c); per D si usa il diametro medio del foro; L è la lunghezza del tratto in cui si è realizzata l’iniezione di malta e d2 è la profondità media del tratto L in cui si è realizzata l’iniezione.

L’uso di K = K0 può essere giustificato se l’iniezione avviene sotto pressione, come spesso accade; altrimenti si adotta K = Ka. Valori di K > K0 non sono consigliabili a causa degli effetti di scorrimento viscoso del terreno.

7.9.4 – Stabilità della paratia

Una paratia può collassare per:

Rottura a flessione dell’elemento

Per tutelarsi da questa eventualità si prendono il momento di progetto (massimo) M dedotto dall’analisi e il modulo di resistenza a flessione della paratia; quindi mediante l’utilizzo della relazione f = M/S ≤ fa si ottiene un adeguato coefficiente di sicurezza limitando fa. L’utilizzo della relazione fa = 0.65fy fornisce un coefficiente di sicurezza apparente pari a 1.53 che risulta ampiamente sufficiente nella maggior parte delle situazioni. E’ possibile, evidentemente, usare un valore di fa maggiore; in ogni caso si raccomanda di non superare il livello 0.83fy poiché in questo caso si otterrebbe un coefficiente di sicurezza apparente troppo basso (~ 1.2).

Collasso della barra d’ancoraggio

Questa situazione si può determinare per sfilamento del cavo d’ancoraggio (nel caso di tiranti) o della barra d’ancoraggio (a seguito dello slittamento del blocco di ancoraggio), oppure per rottura della barra d’ancoraggio in corrispondenza dell’attacco con la paratia o con il corpo morto (blocco d’ancoraggio). Per quanto riguarda la barra di ancoraggio si può imporre la limitazione f = Par/A ≤ 0.6÷0.7fy. Si deve quindi adottare un coefficiente di sicurezza entro 1.5÷2 per l’attacco fra barra d’ancoraggio e paratia e per quello fra barra d’ancoraggio e corpo morto.

Rottura al piede

L’effetto può verificarsi quando la lunghezza della parte infissa non è sufficiente. Questo tipo di collassamento può essere prevenuto aumentando del 20÷40% la profondità d’infissione D richiesta, ricavata basandosi su un’analisi agli elementi finiti o con un metodo classico. E’ consigliabile, in ogni caso, includere nell’analisi ad elementi finiti una possibile rottura al piede, allo scopo di valutare quale sia il corrispondente valore di D, piuttosto che incrementare arbitrariamente in percentuale un valore ottenuto mediante l’analisi. Imporre l’equilibrio dei momenti calcolati, ad es., rispetto alla barra d’ancoraggio si rivela un’operazione priva di significato in quanto tale ipotesi è già stato imposta per calcolare la profondità di infissione della paratia col metodo classico e risulta automaticamente soddisfatta nell’analisi a elementi finiti.

Collasso dovuto a perdita di stabilità globale del sistema

In questo caso si può realizzare un’analisi con linea di scorrimento circolare come nel caso della verifica di stabilità dei muri di sostegno, dove i cerchi di tentativo si assumono passare appena al di fuori del blocco di ancoraggio e attraverso il piede della paratia. Un valore minimo consigliato per il coefficiente di sicurezza per questo modo di collasso è 1.2.

Poiché la zona compresa tra il cuneo di pressione attiva del terreno e l’ancoraggio risulta simile a un sistema costituito da terra rinforzata (con la differenza che in questo caso sono presenti solamente 1 o 2 barre d’ancoraggio invece che un certo numero di strisce di rinforzo) risulta che in questa regione non si formano cerchi di scorrimento.

Diversi operatori consigliano di prendere in esame anche un’eventuale rottura per eccessiva penetrazione delle palancole in presenza d’ancoraggi inclinati. Sebbene risulti poco probabile che la pressione attiva possa forzare ulteriormente la palancolata, in ogni caso, qualora l’ancoraggio facesse uso di un tirante preteso soggetto ad uno sforzo di pretensione elevato, non è escludibile che possa prodursi una forza verticale di valore sufficientemente grande. Il problema in questo tipo di analisi è che, allo svilupparsi di una forza verticale di entità notevole, s’accompagna anche una componente orizzontale di valore elevato, così che aumenta la resistenza d’attrito per effetto dell’aumento della componente normale al piano di scorrimento; inoltre, il coefficiente d’attrito tende a modificarsi con la pressione, al punto da rendere difficile l’effettuazione di un’analisi che restituisca risultati significativi per questo tipo di possibile collasso.

7.10 – Scavi sostenuti

Avviando una nuova costruzione in un’area dove sono già presenti altri insediamenti sorge la necessità di fornire una protezione alle strutture viciniori qualora uno scavo di profondità qualsiasi possa dare luogo ad una perdita di capacità portante, a cedimenti o a spostamenti laterali nell’ambito circostante. Fra queste nuove costruzioni si possono comprendere anche le operazioni di scavo e di successivo ricoprimento necessari ai trasporti pubblici o per servizi sotterranei di pubblica utilità quando la profondità prevista non è sufficiente per ricorrere a gallerie. Le nuove costruzioni possono richiedere scavi di profondità compresa entro 1÷20 m, al di sotto del terreno esistente, per la posa in opera di fondazioni superficiali, di platee o per consentire la realizzazione di un determinato numero di piani seminterrati e interrati.

Lavori di siffatta portata richiedono il ricorso a un tipo di struttura di contenimento che può essere una paratia a cassone, un diaframma (o paratia sbatacchiata) oppure una parete realizzata facendo uso di fanghi speciali (impasti refrattari semiliquidi), e a opportuni sistemi per mantenere in posizione la struttura di sostegno.

La struttura di contenimento può essere realizzata con una delle seguenti soluzioni:

–       a – Palancolate (in acciaio, cls o legno);

–       b – Travi verticali (o pali) con eventuali centinature di tamponamento;

–       c – Pali trivellati di calcestruzzo gettati in opera;

–       d – Diaframmi di calcestruzzo gettati in una cavità sostenuta mediante un impasto refrattario (un fango liquido).

I sistemi di sostegno per mantenere in posizione la struttura di contenimento comprendono:

– travi orizzontali di rinforzo e sbadacchi o puntoni inclinati (Fig. 7.28);

– anelli di compressione (quando lo scavo è di ridotte misure);

– ancoraggi a tirante che rappresentano il metodo più comunemente adottato.

Per sostenere pareti di scavi si utilizzano di norma le palancolate, poiché tale soluzione manifesta il migliore rapporto tra resistenza e peso ed anche per il fatto che la maggior parte delle palancole può essere riutilizzata e, in genere, viene posta in opera con facilità sia mediante l’uso di magli per palancole che di dispositivi d’infissione vibranti. Non si rendono utilizzabili, tuttavia, quando il terreno sottostante contiene un’elevata quantità di massi o è molto denso, oppure in presenza di scavi molto profondi.

Fig. 7.28 – Paratie rinforzate, o di contenimento, per scavi.

Quando il terreno si presenta roccioso o denso e quando la palancola si può danneggiare durante l’infissione, si adotta sovente un sistema di travi verticali dotate di centinatura di contenimento (Fig. 7.28). Il sistema consiste in una serie di pali ad H, infissi con un interasse opportuno, pari a 2÷3 m, per consentire l’uso di tavole di legno di lunghezza standard. Via via che procede l’operazione di scavo, s’inseriscono alle spalle delle ali, rivolte verso lo scavo, delle tavole di spessore di 50÷100 mm, oppure (come da pratica comune poiché in tal modo l’operazione di scavo risulta più semplice) si dispongono le tavole addossate al filo esterno del palo, e le si fissa all’ala tramite sistemi d’aggancio. Se le vibrazioni generate dall’infissione dei pali, realizzata mediante maglio o con dispositivo vibrante, possano causare danni alle strutture adiacenti o se il rumore risulta fastidioso, è possibile il ricorso a pali trivellati in situ. I pali vengono trivellati adottando l’interasse minimo, compatibile con le esigenze pratiche, quindi riempiti di calcestruzzo.

Quando è il terreno a dover essere sostenuto e la presenza d’acqua non rappresenta un fattore decisivo, l’interasse tra travi verticali o pali trivellati in opera può essere tale da non richiedere la centinatura di rivestimento dello scavo, o altri mezzi di sostegno, in quanto si tiene conto dello sviluppo di un effetto ad arco nel terreno generato dalla pressione laterale, che contribuisce a sostenere il terreno impedendogli di franare in corrispondenza degli spazi aperti.

L’ampiezza ammissibile di questo interasse è stimabile considerando l’intersezione di linee a 45°, (Fig. 7.29).

Fig. 7.29 – Sistemi di rinforzo per scavi.

I pali, in ogni caso, devono risultare puntellati, in modo da fornire la necessaria resistenza laterale al terreno. Un metodo applicabile consiste, quando è disponibile un ancoraggio sufficiente alla base del palo e quando il palo è di Ø adatto, nel considerare il palo verticale come una trave precompressa (Fig. 7.29d). Terminata l’installazione, il tirante, alloggiato in una guaina, viene tesato secondo un carico prestabilito e ancorato in sommità. Il carico di pretensione produce uno sforzo, illustrato qualitativamente in corrispondenza di diverse sezioni lungo il palo, in funzione dell’eccentricità. Il palo tende a inflettersi all’interno, verso il terrapieno/terreno originale, quando il tirante è disposto come indicato, ma questo spostamento è contrastato cosicché il risultato finale è costituito da un palo praticamente verticale e dall’assenza di cedimenti del terreno dovuti a qualsiasi spostamento verso lo scavo. Disponendo, viceversa, il tirante con un’eccentricità e facendo inflettere il palo sul lato destro dell’asse verticale (dalla parte opposta al terrapieno) sarebbe possibile sfruttare meglio la resistenza a flessione del cls fc’ tuttavia, lo spostamento laterale in direzione dello scavo, finirebbe col favorire ulteriori cedimenti del terreno.

Nel caso in cui debbano essere sostenuti sia l’acqua che il terreno, il sistema deve risultare impermeabile al di sotto della falda e in grado di resistere tanto alla pressione del terreno che alla spinta idrostatica; in rari casi si rivela pratico abbassare il livello della falda poiché tale operazione comporterebbe anche un cedimento del terreno e/o delle strutture circostanti.

I collegamenti tra le palancole, viceversa, possono consentire ad una quantità d’acqua sufficiente di filtrare verso lo scavo, producendo un abbassamento della falda. Sotto tale ipotesi le soluzioni da adottare si possono restringere a diaframmi di calcestruzzo gettati in opera o a scavi a trincea riempiti di argilla, oppure all’uso di malta lungo il perimetro delle palancole per realizzare un’adeguata barriera antidrenaggio. Diaframmi in calcestruzzo o in argilla devono venire costruiti col metodo dello scavo a trincea mantenuto aperto con l’uso di fanghi liquidi.

Il sollevamento per spinta idrostatica e il sifonamento rappresentano, evidentemente, fattori di notevole importanza per strutture i cui piani interrati si trovino al di sotto della falda idrica. Se il sollevamento è uguale al peso della struttura, o maggiore, si rivela necessario ancorare la costruzione al terreno. Tale operazione può essere realizzata mediante l’utilizzo di sistemi di ancoraggio, quali pali ancorati al substrato roccioso, se questo è abbastanza prossimo, oppure pali con estremità svasata (bulbo alla base) o tiranti verticali.

La successione delle operazioni da compiere consiste, in primo luogo, nel porre in opera la paratia (costituita da palancole, travi verticali/pali o gettata in opera) effettuando le eventuali operazioni iniziali d’impermeabilizzazione mediante malta, individuando nel frattempo un determinato numero di punti di controllo sulla superficie del terreno scelti in modo tale da potere individuare e/o monitorare i cedimenti, dovuti alla subsidenza, che accompagnano gli spostamenti laterali della parete dello scavo).

In seguito si procede con lo scavo e, a profondità stabilite in base sia al monitoraggio che alla stima dei cedimenti, s’installano le travi orizzontali e gli altri rinforzi.

Un sistema di sbadacchi (contrafforti a martinetto) o di puntoni inclinati introduce degli ostacoli indesiderabili nell’area di scavo. L’alternativa consiste nell’uso di tiranti sebbene questo implichi la necessità di disporre di una macchina per trivellare i fori per i tiranti d’ancoraggio. Problemi logistici a parte il tirante rappresenta in ogni caso la soluzione preferibile se è possibile attraversare le proprietà adiacenti per realizzare l’ancoraggio del tirante stesso.

7.10.1 – Pressioni nel terreno su pareti di scavo o su paratie

Una paratia di contenimento rinforzata è soggetta alle medesime forze dovute alla pressione del terreno di qualsiasi altra struttura di contenimento e può essere calcolata adottando i metodi di Coulomb o di Rankine. Le pressioni di progetto, tuttavia, risultano differenti da quelle calcolate in precedenza a causa del modo in cui le pressioni si sviluppano (Fig. 7.30).

Fig. 7.30 – Sequenza delle fasi di sviluppo della pressione del terreno alle spalle di uno scavo.

Nel punto 1 in figura, infatti, la paratia è soggetta a una pressione attiva del terreno venendo a cedere; la deformazione laterale, nella fattispecie, dipende dall’interazione tra terreno e paratia (che si comporta in questa fase come una mensola).

Per passare, allora, alla seconda sequenza di scavo si deve applicare la forza esercitata da un puntone (sbadacchio).

Indipendentemente da quanto sia elevata la forza del puntone, paratia e terreno non vengono riportati nella loro posizione originale ma la forza generata dal puntone, essendo più elevata della pressione attiva, causa un incremento della pressione sulla paratia.

Integrando il diagramma delle pressioni alla fine del punto 2 si viene approssimativamente ad eguagliare la forza del puntone, sebbene non in maniera esatta poiché sussistono alcune incertezze su come la pressione agisca in corrispondenza e al di sotto della linea di fondo scavo. Lo scavo, come osservabile al termine del punto 2, produce un nuovo spostamento laterale tra b e c oltre ad una certa diminuzione della forza nel puntone mano a mano che il terreno tende a spostarsi dalla zona posta dietro il primo puntone nell’avvallamento formatosi tra b e c a seguito del cedimento della paratia e anche perché il terreno subisce uno scorrimento di tipo viscoso (rilassamento).

L’applicazione della forza generata dal secondo puntone o dalla ritesatura del primo puntone innesca il diagramma qualitativo all’inizio del punto 4 mentre lo scavo, assieme all’addizionale cedimento del terreno dovuto allo spostamento laterale, innesca quello relativo alla fine del punto 4, quando lo scavo avanza da c a d.

Di conseguenza appare chiaro che, misurando le pressioni alle spalle della paratia, i livelli rilevati sono direttamente dipendenti dalle forze nei puntoni dipendendo, viceversa, in minima parte dalle pressioni effettive coinvolte nel movimento della paratia verso lo scavo.

Fig. 7.31 – Diagramma delle pressioni laterali del terreno come suggeriti da Terzaghi e Peck.

Terzaghi e Peck, unitamente a Tschebotariov, hanno proposto diagrammi empirici delle pressioni per il progetto della paratia e dei puntoni, utilizzando i valori misurati delle pressioni del terreno, ottenuti come prima indicato (Figg. 7.31 e 7.32)

Questi diagrammi sono stati ottenuti come inviluppo delle pressioni massime ottenute e riportate in grafico per i diversi progetti. All’inviluppo delle pressioni è stata data un’ordinata massima basata su una quota della pressione attiva del terreno valutata con i coefficienti di pressione di Coulomb-Rankine.

Fig. 7.32 – Diagramma delle pressioni laterali del terreno (applicati a scavi sbatacchiati) come proposti da Tschebotariov.

7.11 – Proprietà del terreno

I parametri drenati del terreno per argille dure e per terreni dotati di coesione e attrito in genere si possono considerare appropriati per il calcolo delle pressioni laterali alle spalle di paratie rinforzate, quando lo scavo rimane aperto per un periodo di tempo piuttosto lungo (> 3 mesi).

Bjerrum e Kirkedam, infatti, hanno misurato le pressioni in uno scavo nel periodo che va da settembre fino a novembre osservando un aumento di pressione laterale (da 20 a 63 kPa) dovuto alla perdita di coesione .

Sovente la coesione viene a dissiparsi nello scavo a causa di variazioni del contenuto di umidità, di fenomeni di ossidazione, di fratture per trazione ed, eventualmente di altri fattori, al punto che a lungo termine non risulta opportuno far affidamento sulla coesione per ridurre la pressione laterale; operativamente, solo quando uno scavo rimane aperto per un periodo di 2÷5 giorni la coesione del terreno è ancora sufficiente a mantenere in posizione i lati dello scavo.

I parametri del terreno determinati mediante prove triassiali con pressione laterale decrescente possono essere più appropriati di quelli ottenuti con prove triassiali standard sebbene molto spesso l’operatore progettista deve estrapolare le pressioni laterali effettuando una stima dell’angolo Φ in base ai dati di una prova penetrometrica.

Qualora il terreno fosse stratificato, è possibile determinare i parametri per ciascun strato a mezzo dei metodi illustrati nei precedenti capitoli: in particolare analizzando le diverse fasi di costruzione. A volte è necessario sostituire ai diversi strati alle spalle di uno scavo sbadacchiato i parametri di un terreno equivalente, ad es. facendo uso dei diagrammi di pressione (Figg. 7.31 e 7.32).

Sotto tali ipotesi è possibile considerare una media pesata estesa all’intero blocco di terreno basandosi sul contributo di ciascuno strato per la valutazione delle proprietà dell’ammasso omogeneo equivalente. Generalmente si ottengono condizioni di deformazione piana lungo i lati e alle estremità di scavi di grandi dimensioni; in corrispondenza degli spigoli o delle estremità di scavi stretti, viceversa, é più probabile che si determinino condizioni triassiali.

7.12 – Progetto di paratie rinforzate di sostegno

II metodo degli elementi finiti rappresenta il metodo più razionale per condurre l’analisi/progetto di strutture di rinforzo per il sostegno di scavi; tuttavia, molti operatori, preferiscono basarsi ancora sul metodo convenzionale, basato essenzialmente sulle seguenti operazioni:

a – si traccia uno schizzo delle condizioni indicando tutti i dati del terreno noti, la stratigrafia, il livello di falda etc.

b – si calcola il diagramma della pressione laterale mediante il metodo di Tschebotariov o quello di Terzaghi-Peck. Nel caso di una paratia posta nell’acqua, per la costruzione di pile di ponti o strutture simili, la pressione laterale è data dalla sola pressione idrostatica.

c – si progettano i diversi componenti (paratia, travi orizzontali di irrigidimento, sbadacchi e puntoni o tiranti) oppure, nel caso di una pila da ponte, l’anello di compressione.

La paratia che sostiene la parete dello scavo può essere progettata o come una trave continua appoggiata in corrispondenza dei diversi punti di contatto con i puntoni/tiranti oppure (più in favore della sicurezza) come una serie di travi appoggiate (Fig. 7.33).

Le travi orizzontali di irrigidimento si possono progettare in maniera analoga a quella vista a proposito di paratie ancorate. Le si può considerare, a favore della sicurezza, incernierate agli estremi; in ogni caso, disponendo di un programma di calcolo, le si considera continue attraverso i punti d’ancoraggio. Diversamente, si valutano i momenti d’incastro come M = wL2/10 (col metodo degli elementi finiti wL2/12).

Fig. 7.33 – Metodo semplificato per l’analisi di paratie e per il calcolo delle azioni interne negli sbadacchi.

Il sistema di travi orizzontali per una paratia di contenimento rinforzata per la costruzione di una pila da ponte o di altre strutture simili in cui l’area di lavoro in pianta è limitata, viene progettato principalmente a compressione facendo combaciare le estremità delle travi orizzontali di irrigidimento poste lungo i lati corti con quelle delle travi orizzontali poste sui lati lunghi in modo che l’effetto risultante sia quello di un anello di compressione (per quanto la forma in pianta risulti rettangolare). In questo caso vengono posti degli sbadacchi nel senso della larghezza ma i carichi alle estremità delle travi, poste sul lato lungo, vengono trasferiti alle travi orizzontali disposte nel senso della larghezza come azioni di compressione.

In presenza di scavi di grandi dimensioni si preferisce, di norma, l’applicazione tiranti, in modo da ottenere un’area di lavoro relativamente priva di ostacoli. E’ possibile utilizzare tale tecnica solo quando è consentito scavare al di sotto delle proprietà adiacenti. In alternativa, per sostenere la parete dello scavo, o si costruisce la paratia in maniera differente oppure si utilizza un sistema di costruzione che faccia uso di fanghi semiliquidi (→ § succ.).

Sotto talune condizioni l’utilizzo di sbadacchi e/o puntoni inclinati può rappresentare una soluzione economica; tali componenti, infatti, sono in effetti delle travi-colonne soggette ad un’azione assiale e a flessione per effetto del peso proprio. Poiché uno sbadacchio è un elemento compresso, la sua capacità portante è fortemente dipendente dal rapporto L/r. Se si vuole ridurre il rapporto L/r per ragioni economiche o per altre ragioni, si può rendere necessario disporre dei sostegni (appoggi), sia laterali che verticali. Questi sostegni, naturalmente, costituiscono ulteriori ostacoli nell’area di lavoro.

La funzione prevista per sbadacchi e puntoni inclinati (e tiranti) è quella di opporsi ai movimenti laterali della paratia verso l’interno dello scavo. Infatti, una volta che si sia verificato un movimento della paratia verso l’interno dello scavo bisogna rassegnarsi in quanto non è più possibile forzare la paratia nella sua posizione originale.

Poiché il movimento laterale della paratia è associato a un cedimento verticale del terreno al di fuori dello scavo (perdita del terreno) risulta essenziale che:

–       la paratia si adatti bene alle pareti dello scavo, e questo costituisce un aspetto critico quando si usano travi verticali e centinature o quando la paratia viene addossata alla parete di uno scavo eseguito in precedenza;

–       sbadacchipuntoni inclinati o tiranti consentano uno spostamento laterale di entità molto limitata. Essi sono elementi elastici caratterizzati da una certa rigidezza AE/L per cui un certo movimento verso lo scavo avviene sempre, in quanto essi si comportano come una molla equivalente che si allunga o si accorcia sotto l’azione dei carichi applicati alla paratia;

–       le travi orizzontali siano sufficientemente rigide che gli spostamenti dei punti che si trovano tra i punti di ancoraggio non siano > 2 mm rispetto agli spostamenti dei punti d’ancoraggio;

–       il sistema di rinforzo sia disposto in un piano perpendicolare alla paratia in modo che gran parte del rigonfiamento della parete verso lo scavo non si manifesti tra i punti di attacco dei rinforzi (sbadacchi, puntoni inclinati o tiranti). Ciò impone o un limite minimo alla rigidezza della paratia oppure dei limiti massimi all’interasse verticale delle travi orizzontali, o entrambi.

La posizione della prima trave orizzontale può essere determinata effettuando un’analisi della paratia schematizzata come una mensola usando un programma agli elementi finiti ed eseguendo diversi tentativi per determinare la posizione della linea di fondo scavo, valutando in seguito i risultati in termini di spostamento laterale della paratia verso lo scavo. Comunque, in presenza di terreni coesivi, la profondità non deve superare quella di una potenziale frattura a trazione (Fig. 7.34), ossia:

ht = 2c/γKa

in quanto tale formazione tenderebbe ad aumentare la pressione laterale contro la parte inferiore della paratia sovraccaricandola; e riempiendosi la frattura d’acqua la pressione laterale aumenterebbe in maniera sostanziale tendendo a rammollire l’argilla circostante per effetto di un cambiamento di coesione.

Qualora si possano tollerare lo spostamento laterale e la subsidenza del terreno risultanti, la profondità del primo puntone in terreni sabbiosi può essere posta in corrispondenza del punto in cui si raggiunge lo sforzo massimo ammissibile a flessione nella paratia, ottenuto mediante un’analisi secondo lo schema a mensola (Fig. 7.34).

Fig. 7.34 – Profondità della prima trave orizzontale d’irrigidimento e degli sbadacchi in uno scavo rinforzato.

7.13 – Stima dei cedimenti del terreno nelle vicinanze di scavi

La stima dei cedimenti del terreno nell’intorno degli scavi rappresenta un computo assai complesso, tale da richiedere una notevole esperienza a livello geotecnico.

Peck ha fornito delle curve dimensionali (Fig. 7.35) che possono essere utilizzate per de- terminarne l’ordine di grandezza. In seguito Caspe ha presentato un metodo di analisi che richiede una stima dello spostamento della paratia e del modulo di Poisson.

Mediante l’utilizzo di tali valori il medesimo autore ha ricalcolato i valori ottenuti da Peck ottenendo risultati sufficientemente affidabili secondo la seguente procedura:

a – determinazione della deformata della paratia;

b – integrazione numerica della deformata della paratia per ottenere il volume di materiale spostato Vs utilizzando la formula delle aree medie o la formula dei trapezi o la regola di Simpson);

c – stima dell’ampiezza laterale della zona di’influenza dei cedimenti.

Il metodo proposto è soddisfacente se lo si applica nel modo seguente (terreno argilloso, almeno negli strati inferiori):

–       calcolo dell’altezza Hw della paratia fino alla linea di fondo scavo;

–       calcolo della distanza Hp = B (per Φ = ) al di sotto della linea di fondo scavo dove B è la larghezza dello scavo. Per Φ >  si usa Hp = 0.5 B tg (45°+Φ/2);

–       calcolo di Ht = Hw+Hp;

–       calcolo dell’ampiezza della zona d’influenza dei cedimenti (D) con la relazione: D = Ht tg (45°Φ/2);

–       calcolo del cedimento di superficie in corrispondenza della paratia sw = 4Vs/D;

–       calcolo dei cedimenti rimanenti assumendo una variazione parabolica si partendo da D per arrivare fino al bordo dello scavo con la relazione: si = sw (x/D)2;

Fig. 7.35 – Curve di Peck per la previsione dei cedimenti del terreno.

7.14 – Instabilità dovuta a sollevamenti del fondo scavo

Quando una paratia di contenimento viene disposta al di sopra, o all’interno, di uno strato di argilla soffice come in Fig. 7.36a, l’argilla può fluire al di sotto della paratia all’interno dello scavo, se è stata rimossa una quantità sufficiente di terreno.

Le perdite di pressione dovute allo scavo danno luogo a un’instabilità del fondo dello scavo, con il terreno che, fluendo, produce un sollevamento del fondo stesso, comunemente indicato come rigonfiamento.

Questo fenomeno può essere analizzato mediante il cerchio di Mohr o usando la relazione omonima o come un fenomeno di collasso per perdita di capacità portante.

Fig. 7.36 – (a) paratia di contenimento in argilla soffice; (b) soluzione del modello.

Osservando la Fig. 7.36b è possibile notare come l’analisi col cerchio di Mohr si basi sul fatto che la pressione laterale σ3 su un elemento di terreno collocato nel punto A è eguale alla pressione laterale su un elemento posto nel punto B. In corrispondenza del punto B l’elemento è soggetto a una pressione verticale σ3 e alla medesima pressione laterale σ3 del punto A. Dalla relazione di Mohr e usando Ka in luogo della funzione trigonometrica si ottiene:

Per l’elemento B e indicando con σ1 lo sforzo principale massimo, da quanto fatto sopra, usando la relazione di Mohr e osservando che σ3 = γh si ha:

Dalla Fig. 7.36b si vede che le relazioni ultime devono fornire lo stesso valore, cosicché:

Si osservi con attenzione che la profondità D è misurata dalla superficie del terreno all’estremità inferiore della paratia e un valore D più piccolo riduce la tendenza a spingere il terreno dalla zona dove si trova il blocco A all’interno dello scavo. Si osservi anche che, al crescere della profondità h al di sopra dell’estremità inferiore della paratia (valutata all’interno dello scavo), corrisponde un valore ammissibile D più grande (e una riduzione della tendenza del fondo a scorrere, cioè del rigonfiamento). Ora, risolvendo l’equazione ultima rispetto alla profondità critica, Dc, dall’estremità inferiore della paratia con un determinato coefficiente di sicurezza si ottiene:

Con su = qu/2 si ottiene la relazione nella sua forma canonica:

Si è visto che, in funzione del valore di qu, si può scavare fino all’estremità inferiore della paratia (γh = 0) per un determinato valore H = Hc.

Dalla Fig. 7.37 consegue che l’analisi della capacità portante si basa sul fatto che il terreno rimosso rappresenta una pressione negativa di fondazione.

Si può effettuare l’analisi sia considerando la fondazione superficiale (D/B  1) che profonda (D/B > 1). Per scavi superficiali su = c e usando il valore Nc di Terzaghi, pari a 5.7, la capacità portante ultima vale:

qult = suNc = 5.7su

trascurando il termine qNq.

La striscia adiacente alla paratia di lunghezza unitaria e larghezza di base B‘ = 0.707B offre una resistenza verticale al taglio Ff = suD.

La pressione Pv sul piano orizzontale a profondità D, comprensiva del sovraccarico qs può essere determinata sommando le forze verticali, ottenendo:

da cui:

Fig. 7.37 – Stabilità di uno scavo nei riguardi del sollevamento del fondo mediante la teoria della capacità portante.

In condizioni di collasso incipiente o sollevamento del fondo la capacità portante ultima qULT è uguale a pv: pertanto eguagliando, e ponendo D uguale alla profondità critica Dc con un coefficiente di sicurezza FS si ottiene:

Quando D/B > 1 si ottiene l’equazione cercata trascurando la resistenza a taglio Ff nel blocco di terreno esterno di Fig. 7.38.

Per completezza e continuità si dovrebbero usare anche i coefficienti Nc di Fig. 7.38.

Con queste correzioni e tenendo conto del coefficiente di sicurezza, la profondità critica diventa:

In queste diverse equazioni il coefficiente di sicurezza FS assume valori dell’ordine di 1.2÷1.5, con valori più elevati per terreni anisotropi.

Fig. 7.38 – Coefficienti di capacità portante (Bjerrum & Eide).

7.15 – Prosciugamento di scavi in fase di costruzione

In Fig. 7.39 è mostrata l’eventualità che il flusso d’acqua in uno scavo possa rivelarsi causa del collasso del fondo dello scavo medesimo. Quando risulta poco pratico o impossibile abbattere il livello della falda, al fine di evitare i possibili danni generati dai cedimenti che ne risultano oppure da una riduzione dell’approvvigionamento idrico, è necessario impiantare una barriera idraulica impermeabile attorno allo scavo oltre che disporre dei pozzetti agli angoli onde evacuare il rimanente flusso d’acqua filtrante; nel contempo é importante tenere sotto controllo il livello della falda al di fuori dello scavo per garantire che il livello non venga alterato in misura sostanziale.

Quando è possibile abbattere la falda in prossimità dello scavo è conveniente un sistema di pozzi filtranti a collettore comune lungo il perimetro (Fig. 7.40); qualora i pozzi filtranti non risultassero soddisfacenti o pratici, si può ricorrere a un sistema di filtri posti lungo il perimetro, filtri che possono penetrare completamente lo strato acquifero oppure penetrarvi solo parzialmente se lo strato è piuttosto profondo

Fig. 7.39 – (a) condizioni di sottofiltrazione o condizioni mobili; (b) condizioni di sollevamento del fondo dello scavo.

Una stima della quantità d’acqua che deve essere pompata per prosciugare uno scavo si ottiene immaginando uno scavo come un grande pozzo (Fig. 7.40) e utilizzando l’equazione del pozzo con flusso a gravità:

dove i termini non definiti in precedenza sono: H l’altezza dell’acqua in corrispondenza della massima distanza R dal centro del pozzo alla quale si risente l’effetto dell’abbassamento della falda; hw il livello della superficie dell’acqua nel pozzo ed rw il raggio del pozzo.

Fig. 7.40 – Pozzi filtranti utilizzati per il prosciugamento di uno scavo.

L’equazione vale solo per pozzi a gravità: tale condizione sta a significare che l’altezza piezometrica e il livello statico dell’acqua nella falda coincidono; questo, infatti, è il caso che si verifica pompando acqua dalla falda in uno scavo di grandi dimensioni. E’ altresì improbabile che sia noto il raggio massimo d’influenza dell’abbassamento della falda R; è comunque possibile stimare diversi valori di R/r, e ottenere i corrispondenti valori di Q per determinare le quantità di pompaggio necessarie. Il livello statico dell’acqua nel terreno H è, in genere, noto e, di norma, viene stimato essere 1 o 2 m al di sotto del fondo dello scavo.

Tale stima delle caratteristiche dei pozzi necessaria a definire l’entità del pompaggio occorrente a prosciugare uno scavo risulta soddisfacente per la maggior parte delle applicazioni.

7.16 – Trincee sostenute con fanghi refrattari

L’utilizzo di cavità del terreno riempite di fluidi viscosi (impasti refrattari semi-liquidi) si è sviluppato a partire dagli anni ’60; la metodologia, evoluta tecnologicamente nel corso dei 2 ultimi decenni, viene utilizzata con successo per mantenere in posizione i lati di scavi stretti senza ricorrere a puntellamento o ad altri sistemi di rinforzo.

La fondazione di strutture mediante questa tecnologia trova una particolare applicazione dove il terreno originale deve essere sostenuto nelle medesime condizioni in cui si trova e il muro può, successivamente, essere usato come parete di un piano interrato. In tale caso il procedimento consiste nello scavare segmenti di muro della larghezza e della profondità stabilite.

Le gabbie costituite dalle armature metalliche vengono poste in opera effettuando il getto di calcestruzzo mediante una tramoggia per getti subacquei recuperando il fluido fangoso che fuoriesce. In seguito viene effettuato un nuovo tratto di scavo gettando in maniera analoga il calcestruzzo. La continuità del muro viene ottenuta mediante adozione di una chiave di collegamento tra i segmenti insieme a barre d’armatura per la ripresa del getto che proseguono lungo il giunto fino al segmento gettato per ultimo.

I muri costruiti con impasto refrattario semiliquido risultano necessari dove le condizioni locali non consentono l’infissione di palancole o di travi verticali per sostenere lo scavo. I muri possono essere realizzati con degli ancoraggi per migliorare la capacità di resistenza nei riguardi dei movimenti laterali.

Le tecniche costruttive che comportano il ricorso a fanghi semiliquidi si adottano anche per la realizzazione di barriere impermeabili; queste, tuttavia, vengono di norma realizzate con riempimento mediante argilla, ad eccezione dei muri di locali interrati.

I muri costruiti con impasti refrattari semiliquidi sono più costosi rispetto alle paratie realizzate con palancole o travi verticali centinate. Per tali motivi vengono usati solamente quando le condizioni stabilite indicano che questa è la soluzione più economica.

Di fatto, per realizzare una costruzione con questo tipo di fluido fangoso, occorre:

–       effettuare una valutazione della densità richiesta e delle proprietà del fango fluido in base alla stratigrafia del terreno;

–       provvedere alla realizzazione di un sistema in grado di consentire l’ottenimento di una grande quantità d’impasto (ottenuto miscelando i vari componenti con acqua);

–       riempire col fluido la cavità del terreno, via via che lo scavo procede, fino alla profondità richiesta.

Una volta completati scavo e riempimento si provvede periodicamente ad agitare il fango allo stato fluido per mantenere la miscela in sospensione. Tale azione deve essere effettuata con cautela onde evitare il collasso delle pareti dello scavo. La cavità viene in seguito riempita con argilla (oppure con calcestruzzo magro nel caso di diaframmi di tenuta) disponendo il materiale con attenzione sotto il fluido fangoso che viene espulso attraverso la sommità o recuperato per un successivo riutilizzo.

In una trincea sostenuta da fango semiliquido il calcestruzzo deve essere gettato mediante una tramoggia per getti subacquei, così che solo una piccola porzione sia esposta alla contaminazione col fango e per evitare che la miscela fangosa formi una pellicola lungo la giunzione tra getti successivi.

Al fine di ottenere prestazioni soddisfacenti da questa tecnica risultano importanti 2 fattori:

– Formazione di una pellicola filtrante pannello di fango dello spessore di ~3 mm all’interfaccia tra fluido fangoso e parete dello scavo mediante l’azione di gel e la precipitazione di particelle;

– Stabilizzazione della pressione laterale dovuta alla densità del fluido fangoso che spinge contro la pellicola filtrante e le pareti dello scavo. Poiché le prestazioni in opera indicano che i muri risultano spesso stabili con una pressione del fluido pari al 65-80% della pressione attiva del terreno, la pellicola filtrante deve fornire una considerevole stabilità.

Il fluido fangoso deve mantenersi sufficientemente viscoso da non filtrare con facilità attraverso le pareti dello scavo, anche grazie alla resistenza fornita dalla pellicola filtrante.

Se la pellicola filtrante si forma correttamente è presumibile che le perdite dovute alla filtrazione siano minime e la penetrazione della pellicola filtrante nelle pareti dello scavo risulti dell’ordine di pochi cm quando il terreno da sostenere presenta una granulometria fine.

Le realizzazioni mediante uso di fanghi speciali possono essere usate sia per terreni con tendenza a franare che coesivi e sono state utilizzate tanto per pali trivellati che per costruzioni di trincee. Densità di fluido fino a 1.92 g/cm3 si possono ottenere utilizzando una miscela di Solfato di Bario (γ ~ 4.52) e Bentonite (gel: γ ~ 2.15).

Diversi materiali (compresi limo, argilla e sabbia fine ottenuti dallo scavo) possono essere usati per ridurre la quantità di materia prima da acquistare. Comunemente si utilizzano densità ρ del fango dell’ordine di 1.2÷1.3 g/cm3 facendo uso di una miscela di Bentonite, Barite e di un agente disperdente per ridurre la tendenza dell’argilla a flocculare.

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