5 – Tecnica delle Fondazioni

Ogni costruzione edificata che poggi sulla terra deve essere supportata da una fondazione.

La fondazione è la parte di un sistema strutturale che trasmette al suolo o alla roccia sottostante e al loro interno i carichi che essa porta e il suo peso proprio. Gli sforzi che si originano nel suolo, fatta eccezione per la superficie, si aggiungono a quelli precedentemente presenti nella massa del terreno, dovuti al peso proprio del materiale ed alla storia geologica.

Il termine sovrastruttura viene comunemente usato per descrivere la parte del sistema strutturale che trasmette il carico alla fondazione, o sottostruttura. In sostanza una fondazione è identificabile con quella parte del sistema strutturale che agisce da interfaccia tra gli elementi con funzione portante e il terreno.

Sulla base di tale definizione, emerge evidente come la fondazione rappresenti la parte più importante di un sistema strutturale e, di conseguenza, della sua progettazione.

Per progettare una fondazione i punti indispensabili da seguire sono i seguenti:

–       1 – Analisi del sito e della posizione del carico: una valutazione approssimativa del carico (o dei carichi) gravanti sulla fondazione è in genere fornita dalla committenza; a seconda della complessità del sito o del sistema di carichi si rivela utile avviare un’indagine bibliografica per vedere come siano stati affrontati in precedenza problema analoghi.

–       2 – Ispezione diretta dell’area per evidenziare ogni eventuale problema di carattere geologico o strutturale: è opportuno completare l’indagine con qualsiasi altro dato geotecnico precedentemente ottenuto.

–       3 – Determinazione di un programma d’indagini in situ e, sulla base dei risultati, approntare le necessarie prove supplementari unitamente al programma di prove di laboratorio.

–       4 – Determinazione dei parametri di progetto del terreno integrando fra loro dati di prove, principi teorici e giudizio tecnico. Possono rendersi opportune analisi su modello, più o meno sofisticate.

–       5 – Progetto della fondazione utilizzando i parametri del terreno di cui al punto 4. Il costo della fondazione deve risultare congruo in termini economici. E’ altresì opportuno tener conto delle tolleranze di progetto nonché delle pratiche operative locali. Ancora, risulta conveniente interagire strettamente con tutti gli interlocutori (committenza, ingegneri, architetti, imprenditori), in modo che la sottostruttura non sia eccessivamente sovradimensionata e che il rischio sia contenuto entro livelli di sicurezza accettabili.

Il principale problema che pone a rischio la validazione di un progetto è la tendenza a trattare i parametri del terreno, ottenuti mediante prove geotecniche di qualità variabile e fortemente influenzati dal giudizio tecnico, come grandezze assolute il cui valore debba ritenersi comunque attendibile.

Diventa pertanto indispensabile che il tecnico delle fondazioni lavori a stretto contatto col tecnico di cantiere in modo che possa comprendere in che modo siano stati determinati i parametri del terreno d’interesse progettuale. Si può raggiungere una tale comprensione se ciascuna delle due figure professionali ha accumulato esperienza anche nel campo di specializzazione dell’altra.

A tal fine il presente capitolo verte in modo particolare sull’analisi e il progetto degli elementi d’interfaccia per manufatti base e opere di contenimento, nonché su quei principi di meccanica dei terreni che vengono usati per ottenere i parametri necessari per realizzare il progetto. Più precisamente, le strutture di fondazione considerate comprendono fondazioni superficiali, quali travi e plinti, e fondazioni profonde, quali pali e pozzi. Alcune opere di contenimento vengono considerate nel capitolo successivo e nel 3° vol., dedicato alle specifiche tecniche della grandi opere.

La trattazione riguarderà principalmente la resistenza e la deformabilità dei terreni, nonché l’influenza della presenza dell’acqua verso tali grandezze. Data l’attuale tendenza a utilizzare siti secondari per la realizzazione di grandi opere, in un capitolo successivo verranno brevemente considerati i metodi per migliorare la resistenza e le caratteristiche di deformabilità del suolo mediante opere di consolidamento.

5.1 – Classificazione e nomenclatura delle fondazioni

Le fondazioni possono essere suddivise, sulla base del modo in cui il terreno sopporta il carico, in:

–       Fondazioni superficiali: travi, plinti, fondazioni diffuse (platee e graticci di fondazione). Generalmente si ha un rapporto D/B  1 ma questo può anche essere leggermente superiore. (Fig. 5.1a).

–       Fondazioni profonde: pali infissi, pali trivellati, pozzi trivellati. Rapporto D/B  4 e oltre; un palo è illustrato in Fig. 5.1b.

La Fig. 5.1 mostra tipici esempi dei 3 tipi fondamentali di fondazioni considerate nel presente capitolo e fornisce alcune delle definizioni comunemente usate nel settore. Poiché tutti i simboli e le definizioni riportate sono largamente impiegati nel prosieguo del testo risulta opportuno tenere in considerazione attentamente la figura.

La sovrastruttura trasmette i carichi all’interfaccia col terreno attraverso elementi tipo colonna. Le colonne portanti sono usualmente di acciaio o calcestruzzo e la loro resistenza a compressione è pari a ~40 MPa per l’acciaio e ~10 o più MPa per il calcestruzzo; di conseguenza la sezione trasversale di tali elementi è relativamente piccola. La capacità portante del suolo, sia dal punto di vista della resistenza che della deformabilità, è raramente > 103 kPa ma più spesso è dell’ordine di 200-250 kPa. Questo significa che la fondazione fa da interfaccia fra due materiali con un rapporto tra le resistenze che è dell’ordine di diverse centinaia. Di conseguenza, il carico deve essere diffuso nel terreno in modo da non superarne la resistenza ultima e da produrre deformazioni accettabili. Le fondazioni superficiali raggiungono questo scopo diffondendo il carico lateralmente, da cui il termine fondazioni diffuse.

Mentre un plinto superficiale regge una singola colonna, una fondazione a graticcio o a platea serve a reggere più ordini di colonne parallele e può essere sovrastata da una porzione o dall’intera pianta della struttura. Eventualmente il graticcio può essere fondato su pali o pozzi.

Col nome di basamenti vengono talvolta indicate le fondazioni che reggono macchinari o apparecchiature; questi possono produrre un carico di notevole intensità su di un’area limitata, per cui il basamento viene usato come mezzo per diffondere il carico in modo analogo alle fondazioni. Le fondazioni profonde sono analoghe a quelle diffuse ma distribuiscono il carico verticalmente invece che orizzontalmente. La distribuzione qualitativa del carico lungo l’altezza di un palo è mostrata in Fig. 5.1b.

I termini palo trivellato e pozzo trivellato vengono impiegati per indicare elementi strutturali tipo palo costruiti eseguendo un foro di Ø > 0.76 m, inserendo l’armatura e riempiendo la cavità di calcestruzzo. Il progetto e la costruzione di pali e pozzi sono esaminati più in dettaglio nei paragrafi relativi.

Il problema più importante legato sia alle fondazioni superficiali (o a platea) sia ai pali è la distribuzione degli sforzi nell’area d’influenza al di sotto della fondazione (plinto o punta del palo). La distribuzione teorica degli sforzi verticali nel terreno al di sotto di un plinto quadrato è mostrata in Fig. 5.1a. È evidente che oltre una profondità pari a circa 5B l’incremento dello sforzo nel terreno dovuto al carico trasmesso dalla fondazione è trascurabile. Tale profondità dipende peraltro da B e, se ad es. B = 0.3 m, lo spessore della zona sovrasollecitata è 5×0.3 = 1.5 m, mentre se B = 3 m è 15 m, per cui il rapporto tra gli spessori delle due zone è 1:10. Poiché tali valori di B delimitano l’intervallo che si può ragionevolmente avere al di sotto di un grosso edificio, un terreno scadente che dovesse trovarsi a una profondità > 2 m avrà una notevole influenza sulla progettazione delle fondazioni di maggior estensione.

Qualsiasi struttura utilizzata per contenere terreno o altro materiale (Fig. 5.1c) entro una forma geometrica diversa da quella che si avrebbe naturalmente sotto l’azione della forza di gravità viene detta struttura di contenimento. Le strutture di contenimento possono essere realizzate impiegando una vasta gamma di materiali, tra cui paratie metalliche e di legno, calcestruzzo semplice o armato, terre armate, elementi prefabbricati di calcestruzzo, pali fortemente ravvicinati, elementi metallici e di legno interconnessi (palancole) e simili. A volte la struttura di contenimento è permanente, mentre in altri casi viene rimossa quando non è più necessaria.

Fig. 5.1 – Definizione di alcuni dei termini impiegati in Tecnica delle Fondazioni.

5.2 – Considerazioni generali

Gli elementi delle fondazioni devono essere dimensionati sia per trasmettere al suolo sforzi ammissibili sia per contenere i cedimenti entro livelli tollerabili: sebbene nel passato i problemi connessi a cedimenti eccessivi siano stati largamente diffusi sono rimasti relativamente sconosciuti all’opinione pubblica in quanto è stato dato risalto soltanto ai più spettacolari.

Pochi edifici moderni, infatti, crollano a causa di cedimenti eccessivi; tuttavia, non è raro che crolli parziali o rotture localizzate si producano in elementi strutturali. Gli eventi che si verificano più di frequente sono invisibili fessure in muri e pavimenti, pavimenti irregolari (incurvati o pendenti), porte e finestre che s’incastrano etc.

L’estrema variabilità della struttura del terreno, in aggiunta a carichi imprevisti o a movimenti successivi (come nel caso dei sismi) può dar luogo a problemi di cedimenti sui quali il progettista si trova ad avere scarsa possibilità di controllo. In altre parole, l’attuale stato dell’arte sui metodi di progettazione può grandemente contribuire a ridurre la possibilità (o fattore di rischio) di cedimenti, ma non fornisce in generale un progetto sicuro in assoluto. E’ anche da considerare, tuttavia, che alcuni problemi non sono che la diretta conseguenza di una progettazione malfatta, per pura trascuratezza o per mancanza di conoscenza tecnica.

Un altro fattore che complica la progettazione è il fatto che di solito i parametri del terreno vengono determinati prima che il progetto esecutivo venga approvato dalla committenza, cosicché quando la fondazione è in opera le proprietà fisiche del terreno su cui questa poggia possono essere notevolmente diverse da quelle originarie per via di disturbi prodotti durante la costruzione. Ad es. il terreno può venire scavato e ricompattato; gli scavi tendono a diminuire i carichi permettendo al terreno sottostante di espandersi; l’infissione dei pali in genere compatta il terreno, e così via.

L’incertezza relativa all’entità dei carichi e alle proprietà del terreno, il tentativo di tener conto di tale variabilità e di altri fattori fanno sì che risulti ormai pratica comune progettare questa parte del sistema in favore di sicurezza. È facile comunque rendersi conto del fatto che, poiché questa parte della struttura è la più importante e, al contempo, quella su cui è più difficile intervenire se successivamente sorgono dei problemi, ogni sforzo per realizzare un progetto in favore della sicurezza (sovradimensionato) si rivela un investimento economico migliore nell’ambito delle fondazioni che in qualsiasi altra parte del progetto.

Sintetizzando tali osservazioni, è possibile dire che un progetto ottimale richiede:

–       1 – La definizione della finalità della struttura, delle probabili condizioni di carico in esercizio, del tipo di telaio, delle caratteristiche del terreno, delle metodologie costruttive e dei costi di costruzione;

–       2 – La determinazione delle necessità della committenza;

–       3 – La realizzazione del progetto, assicurandosi che l’impatto ambientale sia accettabile e con un margine di sicurezza che dia un livello di rischio tollerabile per tutte le parti in causa: l’utenza, la committenza e il progettista.

Dopo aver descritto gli aspetti fondamentali del progetto di una fondazione in termini di cedimenti e di resistenza del terreno è opportuno introdurre una serie di ulteriori considerazioni di cui può essere necessario tener conto in siti particolari:

–       1 – La profondità deve essere tale da evitare l’espulsione laterale di materiale da sotto la fondazione nel caso di travi e graticci. Analogamente, nella fase di scavo, si deve tener conto della possibilità che ciò possa accadere a fondazioni esistenti nelle adiacenze, per cui può essere necessario prendere precauzioni per gli edifici circumvicini.

–       2 – La fondazione deve trovarsi a una quota inferiore alla zona di cambiamento stagionale del volume del terreno dovuta a gelo, disgelo e crescita di piante. La maggior parte delle normative edilizie locali contiene requisiti di minima profondità.

–       3 – Lo schema della fondazione può dover tenere conto di condizioni d’espansione del terreno. In questi casi l’edificio tende a bloccare l’umidità del suolo nella zona interna e a permetterne la normale evaporazione solo lungo il perimetro. In un vasto numero di aree geografiche il terreno tende a rigonfiarsi in presenza di umidità notevole e a trasportare con sé la fondazione verso l’alto.

–       4 – Oltre alle considerazioni che riguardano la resistenza a compressione, il complesso delle fondazioni deve essere posto in sicurezza nei confronti di ribaltamento, scivolamento e di qualsiasi sollevamento (galleggiamento).

–       5 – Il sistema deve parimenti essere sposto in sicurezza nei confronti di corrosione e deterioramento dovuti a sostanze aggressive presenti nel terreno. Questo problema è particolarmente sentito nella bonifica di discariche ma s’incontra anche in opere marine o altri casi nei quali gli agenti chimici presenti possano corrodere palificate metalliche, distruggere paratie e pali di legno, provocare reazioni dannose verso il cemento Portland in travi e pali di calcestruzzo etc.

–       6 – Il complesso delle fondazioni deve potersi adattare a successivi cambiamenti delle aree adiacenti (ad es. per effetto di nuove costruzioni o di scavi) o della costruzione stessa ed essere facilmente modificabile qualora dovessero rendersi necessari cambiamenti nella sovrastruttura e nei carichi.

–       7 – La fondazione e le modifiche del sito devono essere compatibili con i locali requisiti ambientali.

Mentre non tutti i punti precedenti sono importanti per un determinato progetto, appare evidente come quelli che lo sono tendano a introdurre ulteriori fonti d’incertezza nel sistema, rendendo il giudizio geotecnico un fattore ancora più importante nel processo di progettazione.

Tab. 5.1 – Tipi di fondazione e loro impiego principale.

5.3 – La consolidazione

Quando il terreno è caricato da una fondazione hanno sempre luogo dei cedimenti.

Questi possono essere irrilevanti oppure d’entità tali da richiedere speciali tecniche costruttive. Tali cedimenti non sono elastici come quelli che si ottengono comprimendo una colonna d’acciaio o calcestruzzo, ma derivano invece dalla somma di un gran numero di movimenti di rotolamento, scivolamento e scorrimento di particelle negli spazi vuoti e sono, in larga parte, irreversibili qualora il carico venga rimosso. Come osservato nel 1° vol., tutto ciò può causare, temporaneamente, una sovratensione interstiziale, a seconda della quantità e della distribuzione dell’acqua presente nei pori.

Se si dispone di una relazione tra sforzi e deformazioni per il terreno, si può calcolare un modulo sforzi-deformazioni E, (detto anche modulo di deformazioneo comunemente, anche se impropriamente, modulo elastico): mediante tale modulo, integrando sulla lunghezza d’influenza L0, si può calcolare il cedimento ΔHcome:

          (a)

La relazione diviene, dopo integrazione:

ΔH = ε L0

Nel caso dei terreni, non è facile conoscere né E né L0. Inoltre, quando ha luogo un deflusso dell’acqua dai pori, entra in gioco anche l’intervallo di tempo. Ad es., ricavato il cedimento ΔH dalla (a), questo potrebbe impiegare anche 3 o 4 anni per avvenire. Come esempio limite, la Torre Pendente di Pisa sta cedendo (ma non uniformemente) da più di 700 anni. La maggior parte dei cedimenti differiti nel tempo, comunque, ha luogo entro un intervallo di 3÷10 anni ma spesso è necessario stimare con maggior precisione la durata del periodo di cedimento.

Nei terreni saturi a grana grossa o nei terreni insaturi a grana fine il drenaggio dai pori avviene quasi istantaneamente, di modo che si può usare la (a) senza preoccuparsi del tempo. Nei terreni saturi a grana fine, viceversa, il tempo entra in gioco, per cui è necessario valutare oltre ad (a) anche un parametro temporale. A tal fine si ricorre frequentemente alle prove di consolidazione. Queste prove, come visto nel 1° vol., vengono utilizzate a ricavare un parametro di comprimibilità per la valutazione del cedimento totale e un parametro di consolidazione per la valutazione della velocità di cedimento. Da tali prove si può anche determinare il rapporto di sovraconsolidazione OCR. Le prove vengono effettuate su un campione indisturbato posto entro un edometro il cui diametro può variare tra 45÷115 mm; l’altezza dei campioni è compresa tra 20÷30 mm; lo spessore più usato è 20 mm per ridurre la durata della prova. Dai campioni di diametro maggiore si ricavano i parametri più affidabili, in quanto il disturbo apportato ai campioni è all’incirca lo stesso, qualunque sia la loro dimensione, e gli effetti relativi sono minori per i campioni più grossi. Il diametro più comunemente usato nelle prove è 64 mm, poiché consente un buon compromesso tra costo del prelievo dei campioni e disturbo apportato. L’impiego di tubi di diametro maggiore di 76 mm può comportare un supplemento di costo del campione, specialmente se ciò implica l’esecuzione di un foro di sondaggio più largo.

La prova di consolidazione, come visto, consiste nell’applicare una serie d’incrementi di carico al campione e nel registrare la deformazione del campione a intervalli di tempo stabiliti: si deve disporre di un numero di dati di laboratorio sufficiente a calcolare il contenuto d’acqua wN, e il peso specifico relativo, in modo da poter calcolare l’indice dei vuoti a ogni intervallo di tempo.

I punti tempo-deformazione sono riportati entro un grafico in scala semilogaritmica o √t, come mostrato in Fig. 5.2. Lo scopo di questi diagrammi è di ricavare il tempo corrispondente ad una determinata % di consolidazione: il valore t50 (tempo corrispondente alla % di consolidazione pari al 50%) è quello più comunemente usato: il metodo per ottenerlo è quello di rilevare le letture corrispondenti al 100% della consolidazione D100 e quella ad inizio prova D0.

Il metodo per calcolare D0 consiste o nell’utilizzare la vera lettura d’inizio della prova oppure, se la curva iniziale è parabolica, nel determinarne il valore apparente. Ciò può rendersi necessario, in quanto non è possibile disegnare il logaritmo del tempo per t = 0.

Fig. 5.2 – Metodi per rappresentare i dati tempi-cedimenti. (a) diagramma semilogaritmico per ottenere sia ti che Cα per una stima della compressione secondaria. (b) diagramma √t usato per ottenere graficamente ti; la prova termina una volta ricavato t90.

Il valore modificato di D0 può essere ottenuto scegliendo 2 tempi t1 e t2 = 4t1 nel tratto parabolico, determinandone lo scarto (t2-t1) e riportando tale valore in termini di D sopra t1.

Il valore D100 viene ricavato dall’intersezione delle tangenti al tratto mediano e al ramo finale della curva, come mostrato in Fig. 5.2a. Se la curva non presenta una coppia di tratti le cui tangenti siano identificabili è necessario procedere per interpretazione: a volte un aumento della scala verticale facilita l’individuazione delle tangenti.

Il valore D50 (o corrispondente ad altre % di consolidazione) si ottiene sulla base di D0 e D100. Proiettando tale valore sulla curva dei cedimenti, si ricava t50dall’asse dei tempi.

Anche il metodo √t viene usato per il calcolo di t50: questo metodo richiede il tracciamento della lettura in funzione di √t, approssimando la prima parte del grafico con una linea retta; si prolunga quindi tale retta fino all’asse delle ascisse individuando un punto con valore > 15% a quello così trovato (Fig. 5.2b). Si traccia poi una seconda retta passante per tale punto e per l’intercetta della curva sull’asse delle ordinate. Il valore D90 corrisponde all’intersezione della curva lettura√t con questa seconda retta. La lettura iniziale apparente D0 si ottiene come intersezione tra la parte iniziale rettilinea della curva dei cedimenti con l’asse delle ordinate. Noti i valori D90 e D0, è facile ricavare D50 e t50 che è il parametro più usato. I valori di t50 ottenuti con i due metodi dovrebbero essere confrontabili, ma con terreni reali si ottengono a volte grosse differenze. Il metodo √t è più rapido, poiché la prova può essere conclusa per quel incremento di carico che corrisponde D90; tuttavia, se è ragionevole attendersi una consolidazione secondaria, è sempre preferibile utilizzare il grafico semilogaritmico.

5.3.1 – Coefficiente di consolidazione

II parametro t50 viene usato per calcolare il coefficiente di consolidazione (volumetrica) cv, con la relazione:

cv = TiH2/ti

dove Ti è un fattore temporale (Tab. 5.2), H la lunghezza del percorso di drenaggio più lungo per una particella d’acqua (in laboratorio è la semialtezza del campione, se il drenaggio avviene attraverso le due basi) e ti il tempo necessario a far sì che avvenga l’i% della consolidazione (in genere si usa t50). Secondo alcuni autori i migliori valori di cv, si ottengano ricavando t dal diagramma in √t. Nelle prove di laboratorio tradizionali si considera generalmente il caso 1 di Tab. 5.2. In corrispondenza del 50% di consolidazione la relazione diviene:

cv = 0.197 H2/t50

Tab. 5.2 – Fattori temporali corrispondenti alle distribuzioni di pressioni indicate.

I vari incrementi di carico forniscono valori diversi di cv, che possono essere riportati sulla curva (mostrata in Fig. 5.3a) dell’indice dei vuoti o della deformazione in funzione del logaritmo della pressione p. Il grafico, di norma, è molto irregolare a causa di variazioni dell’indice dei vuoti, della temperatura e di S. La curva può essere resa più regolare usando una scala verticale ridotta; a parte questo, la determinazione del valore di cv, da impiegare per la valutazione dei cedimenti in situ, è un esercizio di giudizio geotecnico. Il tempo necessario a un dato cedimento ti per aver luogo su un tratto corrispondente all’altezza del percorso di drenaggio Hf, si ricava utilizzando inversamente la relazione iniziale e sostituendo Hf ad H.

Fig. 5.3 –Metodi per presentare i valori dei cedimenti per ricavare i parametri Cc  e Cc. Il metodo per correggere i dati relativi a un’argilla normalmente consolidata è mostrato in (a). I dati utilizzati per tracciare entrambe le curve sono mostrati in (b). La leve discrepanza tra i valori di Cc è dovuta al disegno.

5.3.2 – Indici di compressione

II cedimento totale dovuto alla consolidazione primaria viene calcolato usando o l’indice di compressione Cc, ottenuto diagrammando l’indice dei vuoti in funzione del logaritmo della pressione, oppure il rapporto di compressione C’c, ottenuto diagrammando la deformazione in funzione del logaritmo della pressione, come in Fig. 5.3a-b.

L’indice dei vuoti o la deformazione si calcolano sulla base delle condizioni iniziali del campione e del cedimento dovuto all’incremento di carico corrente fino a D100. Alcune autori hanno utilizzato il cedimento totale prodotto dall’incremento di carico per calcolare l’indice dei vuoti o la deformazione corrente ma nella pratica attuale si preferisce l’uso del solo cedimento del campione fino a D100. Tale valore fornisce un valore leggermente più grande (e più conservativo) degli indici di compressione Cc e Cc.

Il tratto iniziale della curva e-logp (oppure ε-logp) corrisponde alla ricompressione del campione fino alla condizione in situ, a seguito dell’espansione avvenuta durante il prelievo (Fig. 5.4).

Fig. 5.4 – Curve indice dei vuoti-logp. (a) diagramma generale per un terreno sovraconsolidato e illustrazione del metodo per depurare C’ dal disturbo apportato al campione.(bCc non è facilmente individuabile quando la struttura del terreno collassa producendo una brusca interruzione nella curva.

Se il terreno è preconsolidato, la pendenza del diagramma tra i valori di p0 e pc correnti, ricavata interpolando a occhio dato che il diagramma è generalmente curvo, si indica col nome di indice (Cr) e rapporto (Crdi ricompressione; in modo analogo si possono definire l’indice (Cs) e il rapporto (Cs) di rigonfiamento per la fase di scarico successiva al prelievo di un campione preconsolidato (visibile nel ciclo di scarico e ricarico in Fig. 5.4a).

Al termine della consolidazione primaria (la cui durata viene di norma considerata pari a 24 ore), la lettura del cedimento non deve variare in maniera apprezzabile per un periodo di tempo considerevole. Si dice che tale condizione corrisponde alla fine della consolidazione primaria, allorché la pressione neutra è nulla (o quasi) e si è praticamente nella fase di consolidazione secondaria che verrà considerata nel seguito, II valore di D100 del paragrafo precedente viene assunto arbitrariamente come cedimento primario e il corrispondente tempo come quello necessario a farlo avvenire.

Quando il campione si ricomprime seguendo il ramo di ricompressione della curva e-logp, raggiunge il punto nel quale gli era stata lasciata l’impronta della precedente storia di carico. Da questo punto in poi si comprime seguendo la curva del nuovo carico (curva vergine).

La transizione dalla curva di ricompressione alla curva vergine è di grande interesse: per terreni normalmente consolidati la transizione corrisponde alla pressione geostatica efficace corrente p0; per terreni sovraconsolidati tale punto rappresenta l’impronta dello sforzo di preconsolidazione pc. Dovrebbe essere superfluo rammentare come tutti gli sforzi considerati siano sforzi efficaci (in situ si ha una condizione di riposo e in laboratorio la pressione in eccesso nei pori è nulla per definizione quando si completa un generico incremento di carico sul campione).

La transizione può essere graduale e individuata da una curva, può essere un punto abbastanza ben individuabile o può corrispondere, di fatto, a una brusca interruzione.

E’ possibile individuare il punto di transizione come quello che a occhio appare come il più probabile (pratica piuttosto frequente) oppure determinare pcusando il metodo proposto da Casagrande e illustrato in Fig. 5.3a. Il metodo comprende i passi seguenti:

–       1 – Determinare a occhio la curvatura più brusca tracciandovi una tangente;

–       2 – Disegnare una linea orizzontale passante per il punto di tangenza tracciando la bisettrice dell’angolo così individuato;

–       3 – Prolungare la pendenza del tratto finale della curva e-logp sino a intersecare la bisettrice del punto 2;

–       4 – Prendere come pressione di preconsolidazione pc il valore corrispondente all’intersezione definita al punto 3.

Tale metodo è applicabile sia a curve e-logp che a diagrammi ε-logp. Il valore di pc così ottenuto (in generale, p0 o pc in diagrammi quali quello di Fig. 5.4) viene confrontato con la pressione geostatica efficace in situ p0, quindi:

–       se p0 è superiore o inferiore a pc ~10%, il terreno è probabilmente normalmente consolidato;

–       se p0 > pc il disturbo apportato al campione può essere stato eccessivo oppure si è in presenza di un errore di calcolo;

–       se p0 < pc il terreno è sovraconsolidato e si può valutare OCR = pc/p0.

Gli indici dei cedimenti vengono calcolati sulla base delle curve indice dei vuoti (o deformazione) – logp lungo il ramo vergine, secondo le formule:

                 (b)

Gli indici di ricompressione Cr e Cr si calcolano in modo analogo ma facendo riferimento al tratto di curva tra p0 e pc. Ove possibile, è abitudine prolungare la pendenza in modo da definire un tratto corrispondente a un incremento unitario delle ascisse, tale cioè che log (p2/p1) = log 10 = 1, al fine di semplificare i calcoli.

Sin dai primi sviluppi della teoria della consolidazione, si è potuto altresì osservare come un campione completamente rimaneggiato dia luogo a una curva che giace sempre al di sotto di quella relativa a un campione indisturbato, come mostrato qualitativamente in Fig. 5.4a.

Si è anche notato che i terreni a struttura instabile (spesso con wN > wL) mostrano un comportamento del tipo illustrato in Fig. 5.4b dove, superata la pressione in situ, la struttura del terreno collassa. Nell’esprimere una qualunque valutazione degli indici dei cedimenti per terreni di quest’ultimo tipo è necessaria una buona capacità di giudizio geotecnico. A parte questo, per i suoli del tipo mostrato in Fig. 5.4b, è possibile migliorare la valutazione degli indici di.compressione Cc e Cc usando un metodo proposto da Schmertmann; dopo aver analizzato un gran numero di prove di consolidazione, l’autore propose una procedura che consta essenzialmente dei passi seguenti:

–       1 – Prolungare la porzione rettilinea del ramo terminale fino a che intersechi la retta indice dei vuoti = ~0.4 (minimo valore dell’indice dei vuoti per la maggior parte dei terreni);

–       2 – Procurarsi il valore dell’indice dei vuoti iniziale del terreno in situ. Il valore di rigonfiamento misurabile dopo il prelievo è troppo elevato ma si può ottenere una stima presumibilmente attendibile usando GS e wN (e ~ wN Gs) poiché il terreno in situ è saturo;

–       3 – Determinare la pressione geostatica efficace in situ p0 (→ vol. 1°);

–       4 – Dal punto di coordinate (p0e0) mandare una retta sino al punto individuato al punto 1.

–       5 – La pendenza della retta tracciata al punto 4 è il valore corretto di Cc per un’argilla normalmente consolidata.

Per un terreno sovraconsolidato, si può stimare un valore corretto di Cc nel modo seguente: i passi da 1 a 3 sono gli stessi visti per un’argilla normalmente consolidata.

–       4 – Partendo dal punto di coordinate (p0e0) tracciare una retta parallela alla tangente alla vera curva e-logp, individuata a occhio (Fig. 5.4a);

–       5 – Dal punto della retta individuata al punto 4 di ascissa pc tracciare una retta fino al punto definito al punto 1;

–       6 – La pendenza della retta individuata al punto 5 dà il corretto valore approssimato di Cc per il tratto di curva oltre pc.

Il disturbo apportato al campione riduce sempre il valore di Cc, rispetto a quello in situ; il valore relativo a un campione completamente rimaneggiato corrisponde a un minimo. Pertanto anche i valori corretti tendono a essere leggermente più bassi di quelli reali. Holtz et al. riportano i risultati ottenuti su campioni intagliati a mano e prelevati con un carotiere a pistone d’alta qualità. Mentre non appare una grande differenza derivante dalla modalità di prelievo, si è potuto osservare che un qualsiasi disturbo porta ad una riduzione di Cc. E’ opportuno notare come, prelevando dei campioni orientati orizzontalmente e verticalmente da un blocco intagliato a mano ed eseguendo due prove di consolidazione, si possa calcolare K0 dalla relazione:

K0 = pc,H/pc,v

Si possono a questo punto definire i seguenti termini:

– Dalla porzione rettilinea del diagramma e-logp corrispondente a p  pc si ricava l’indice di compressibilità av dalla relazione:

av = Δe/Δp

 – II coefficiente (o modulo) di compressibilità volumetrica mv è dato dalla relazione:

Fig. 5.5 – Relazioni tra i parametri del terreno per il calcolo dei cedimenti: (sx) relazioni di laboratorio; (dx) relazioni di campagna.

Dalla Fig. 5.5 si può allora ricavare il cedimento dalla relazione:

               (c)

Poiché la deformazione è ε = Δe/(1+e0) e mv è equivalente a 1/Es, si ha semplicemente:

ΔH = εH         (d)

Più frequentemente, si calcola ΔH utilizzando Cc e attraverso una relazione ricavata risolvendo (b) rispetto ad Δe e sostituendo nella precedente (c), così da ottenere la relazione:

           (e)

Questa è semplicemente un’altra scrittura della (c), nella quale il significato dei termini è il seguente:

–       Cc è l’indice di compressione (corretto) ricavato dal diagramma e-logp;

–       e0 è l’indice dei vuoti medio in situ per lo strato a cui si riferisce Cc;

–       H è lo spessore dello strato. Per strati spessi risulta opportuno usare diversi valori di HCc ed e0 e calcolare ΔH come somma dei cedimenti dei vari strati;

–       p0 è la pressione geostatica efficace alla quota media dello strato H;

–       Δp è l’aumento medio della pressione nello strato H dovuto alla fondazione, espresso nelle stesse unità di misura di p0.

Il cedimento ΔH così calcolato viene espresso nelle stesse unità di misura di H. Dalla definizione di Cc precedentemente data e dalla (d) si trova la relazione:

          (f)

Dal confronto fra la (e) e la (f) si ricava infine:

Cc = Cc/(1+e0)

Queste espressioni possono impiegarsi direttamente per terreni normalmente consolidati. Per terreni sovraconsolidati devono essere modificate nel modo seguente (Fig. 5.6). Si esprima l’incremento di sforzo come:

Δp = Δp1 + Δp2

dove Δp2 è la parte di Δp relativa alla zona a destra di pc fino a Cc. Si rileva così che il cedimento totale è somma di 2 contributi: quello da p0 a pc ed, eventualmente, quello a partire da pc.

Fig. 5.6 – Ingrandimento della parte superiore della Fig. 5.4 per il calcolo del cedimento dovuto a un incremento dello sforzo lungo il percorso ABC.

Questi contributi vengono calcolati mediante la teoria della consolidazione nel modo seguente:

Parte 1:

    (g)

Parte 2 (eventualmente):

II cedimento totale è ΔH = ΔH1+ΔH2. L’indice di ricompressione Cr (o Cr) che compare nelle precedenti espressioni viene calcolato in maniera analoga a Cc (o Cc) nel modo mostrato in Fig. 5.4.

Il cedimento calcolato attraverso le (f) o (g) si riferisce alla consolidazione primaria, cioè è il cedimento che ha luogo durante il periodo di tempo nel quale esiste nel terreno una sovratensione interstiziale Δu. Alla fine di tale cedimento, hanno luogo ulteriori cedimenti che vanno sotto il nome di consolidazione secondaria. Questi sono, di norma, limitati ma, in terreni organici o in argille molto tenere, possono costituire la parte di cedimento più importante. E’ opportuno altresì notare come nei terreni reali possa esistere una pressione nei pori in eccesso per periodi di tempo molto lunghi, in particolare all’interno di strati piuttosto spessi in fase di consolidazione. Ciò può essere dovuto a cedimenti che hanno luogo più rapidamente in corrispondenza delle superfici di drenaggio, con conseguente riduzione dei vuoti e diminuzione di k, al punto che tali zone divengono relativamente impermeabili e, di conseguenza, la pressione nei pori in eccesso all’interno resta bloccata in modo quasi permanente.

5.3.3 – Correlazione tra gli Indici di compressione

La Tab. 5.3 elenca alcune espressioni degli indici di compressione (Cc) e di ricompressione (Cr) in funzione di alcune proprietà dei terreni di facile determinazione. Calcolato Cc si può ottenere Cc usando la (g).

Tab. 5.3 – Formule degli Indici di compressione riportate dalle fonti citate.

È ragionevole attendersi che Cc dipenda almeno dall’indice dei vuoti in situ e0, dalla struttura del terreno, nonché dal tipo e dalla quantità di minerale argilloso presente nel terreno. L’argilla influenza wLIp e, naturalmente, è direttamente legata alla % di materiale di Ø < 0.002 mm. Da tali considerazioni emerge che le migliori valutazioni si ottengono da quelle espressioni in cui figuri il minor numero di coefficienti caratteristici di uno specifico sito. Questo commento nasce dal fatto che, negli studi statistici, le espressioni più semplici danno spesso buoni valori per quanto l’interesse non sia tanto quello di ottenere un valore buono in assoluto bensì un valore applicabile al sito in esame.

Quando nell’espressione compaiono wNe0 e/o wL questa può essere impiegata per terreni sovraconsolidati. È evidente che, per S = 100%e0 è legato direttamente sia a wN che a wdall’equazione e = wiGS.

E’ anche opportuno calcolare Cc attraverso più d’una delle espressioni elencate mediando poi i risultati oppure, qualora i questi fossero molto dispersi, effettuare una prova di consolidazione.

La pressione di preconsolidazione può essere calcolata attraverso un’equazione proposta da Nagaraj e Murthy per terreni sovraconsolidati dalla pressione geostatica; tale espressione, rivista da altri autori, viene espressa dalla:

dove le pressioni vanno espresse in kPa. Il rapporto di sovraconsolidazione calcolato attraverso questa espressione è in buon accordo con i valori forniti da altri ricercatori ma dovrebbe essere utilizzato con cautela e, comunque, essere confortato da una stima anche speditiva a seconda della collocazione di wN rispetto a wp e wL.

Per terreni sovraconsolidati da cementazione e ritiro, l’espressione proposta è:

in kPa: dove su è la resistenza al taglio in situ in condizioni non drenate (→ vol. 1°) e determinata in situ mediante uno scissometro.

5.3.4 – Consolidazione secondaria

Per consolidazione secondaria (o compressione secondaria, o creep) s’intende quel cedimento che ha luogo dopo la consolidazione primaria, come osservato in precedenza.

Al termine della consolidazione secondaria, il terreno si trova in una nuova condizione di riposo. La pendenza del ramo secondario della curva lettura dello strumento-logaritmo del tempo viene utilizzata per calcolare il coefficiente di consolidazione secondaria  dato dalla formula (Fig. 5.2):

Facendo uso del coefficiente di consolidazione secondaria è possibile valutare il cedimento secondario ΔHf dopo un certo tempo t2 = t1+Δt, dalla relazione:

dove H è l’altezza del campione di laboratorio; ΔH, la variazione dell’altezza del campione nell’intervallo da t1 a t2Hf l’altezza dello strato in fase di consolidazione in situ.

La pendenza del ramo secondario della curva cedimento-logaritmo del tempo è praticamente costante per terreni rimaneggiati. Per campioni di terreno indisturbati  va ricavato come pendenza della curva cedimento-logaritmo del tempo ottenuta in laboratorio sotto una pressione quanto più possibile prossima alla pressione in situ. Nonostante questo accorgimento, tuttavia, i cedimenti secondari derivanti dal calcolo non risultano molto affidabili.

Per fini geotecnici il periodo interessato dalla consolidazione secondaria può essere compreso entro 5÷50 anni; comunque, affinché si possa veramente ripristinare una condizione di riposo, potrebbe essere necessario, con ogni probabilità, attendere un periodo di tempo pari ad un intervallo cronostratigrafico o, talora, anche ad un’era geologica.

5.4  Capacità portante delle fondazioni

Un terreno deve essere in grado di reggere il carico che gli viene trasmesso da qualsiasi costruzione su di esso gravante senza che venga a prodursi una rottura per taglio e senza che i cedimenti provocati dal carico siano eccessivi per la costruzione. Il presente paragrafo affronta il problema del calcolo della resistenza limite al taglio, o capacità portante ultima (qULT) di un terreno caricato da una fondazione mentre il problema della valutazione dei cedimenti viene affrontato nel paragrafo successivo.

Una rottura a taglio del terreno può dar luogo a una deformazione eccessiva, se non addirittura al collasso, di un edificio. Cedimenti eccessivi, in generale, possono provocare danni strutturali al telaio di un edificio, inconvenienti quali porte e finestre che si bloccano, fessure nelle piastrelle e nell’intonaco, nonché un’usura eccessiva o la rottura d’impianti dovuta al disassamento provocato dai cedimenti medesimi.

In tempi recenti l’inclinazione o il crollo di un edificio a seguito di rottura per taglio alla base si sono verificati raramente: la maggior parte dei crolli di cui si abbia notizia si è verificata alla base di terrapieni o di strutture analoghe, per le quali era stato ritenuto accettabile un coefficiente di sicurezza basso. La maggior parte dei danni strutturali attribuiti a fondazioni mal progettate, pertanto, permane conseguenza di cedimenti eccessivi. Tuttavia, anche in questi casi, è comunque raro che si verifichi un crollo strutturale: e questo è in parte dovuto al fatto che i cedimenti si sviluppano lungo un certo arco di tempo per cui, quando compaiono fessure o altri segnali di danno, si ha tempo a sufficienza per prendere delle contromisure.

Per una qualsiasi struttura, è necessario studiare sia la resistenza al taglio alla base della fondazione che i cedimenti. In molti casi i criteri per la limitazione dei cedimenti vincolano la capacità portante ammissibile; comunque, in un buon numero di casi, è dal taglio alla base che dipende il valore della capacità portante. Ad es., la capacità portante ammissibile per fondazioni su terreni coesivi insaturi si basa sulla resistenza a compressione in espansione laterale libera, il che costituisce, a propria volta, una semplificazione delle formule della capacità portante presentate in questo paragrafo.

Viceversa, strutture fondate su terreni teneri, quali i serbatoi di stoccaggio per liquidi e/o platee di fondazione, possono essere più sensibili a rotture per taglio alla base che non a cedimenti, soprattutto nel caso in cui il carico agente sulla struttura sia tale da provocarne un cedimento uniforme e quando sono tollerabili spostamenti di una certa entità.

E’ in ogni caso da notare che, sebbene la successiva trattazione verta principalmente sulla capacità portante delle fondazioni di strutture intelaiate e d’impianti, le medesime considerazioni valgono per il calcolo della capacità portante di altre strutture, quali basamenti di torri, dighe e terrapieni; in più, proprio perché in termini geologico-tecnici la valutazione della capacità portante viene a complicarsi in presenza di terreni stratificati, oppure per fondazioni su (o in prossimità di) pendii e, ancora, per fondazioni il cui carico di progetto è costituito essenzialmente da trazione, vengono affrontati nel presente paragrafo anche i problemi di calcolo della capacità portante in relazione a tali effetti.

Concludendo, le prescrizioni sulla capacità portante ammissibile (qa) da utilizzare in sede di progetto si basano o su considerazioni riguardanti i cedimenti o sulla capacità portante ultima (qULT) calcolata nel modo illustrato nei paragrafi successivi. Tale capacità portante ultima viene divisa per un opportuno fattore di sicurezza (FS), ottenendo la relazione:

qa = qult/FS

II fattore di sicurezza dipende, a propria volta, dal tipo di terreno (coesivo o incoerente), dall’affidabilità dei parametri, da informazioni riguardanti la tipologia della struttura (funzione, livello d’importanza etc.) nonché dalla prudenza del progettista.

5.4.1 – Capacità portante

Dalle Figg. 5.7a e 5.8 appare chiaramente come, quando il carico gravante sulla fondazione produca una pressione pari a quella massima sopportabile (qULT), possono aversi due modi di rottura potenziali, nei quali la fondazione può:

–       ruotare attorno a un centro di rotazione (situato probabilmente sulla linea verticale Oa di Fig. 5.7a) mentre lungo la superficie di scorrimento, indicata in figura con un cerchio, si sviluppa la resistenza al taglio;

–       puntare il terreno come il cuneo agb di Fig. 5.8 o come il cuneo curvilineo ObO’ di Figura 5.7a.

È chiaro che a entrambi i modi di rottura potenziali corrisponde lo sviluppo della resistenza al taglio limite del terreno lungo la superficie di scorrimento, secondo la formula della resistenza al taglio:

s = c + σn tg φ

Questa relazione è stata data come equazione dell’inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura; in tale formula si utilizzano di solito i parametri di resistenza in termini di sforzi totali; per alcune condizioni di carico, tuttavia, può essere più indicato l’uso dei parametri in termini di sforzi efficaci, ad es. per carichi di lunga durata applicati lentamente.

Fig. 5.7 – Calcolo approssimato della capacità portante per un terreno con φ = 0.

Il problema della determinazione di un valore accettabile di qULT (corrispondente allo sviluppo della resistenza al taglio limite) è stato ampiamente trattato in letteratura e diversi sono i metodi di calcolo approssimati che hanno avuto una certa diffusione. La complessità del problema viene illustrata esaminando brevemente alcune di tali espressioni e studiando quindi, nel paragrafo successivo, alcuni dei metodi di calcolo più diffusi della capacità portante.

Dalla Fig. 5.7a è possibile ottenere una soluzione approssimata, in favore di sicurezza (limite inferiore della capacità portante), per una striscia di lunghezza unitaria di una fondazione B x L illimitata (con L →∞) su di un terreno con φ = 0 nel modo seguente: allorché la fondazione sprofonda nel terreno, nel blocco 1 (sinistra della linea verticale OY) gli sforzi principali sono quelli indicati; tuttavia, a causa dell’affondamento nel terreno, il terreno a destra della linea OY viene spostato lateralmente e, conseguentemente, lo sforzo principale massimo nel blocco 2 è quello orizzontale, come indicato. Agli sforzi principali nei due blocchi corrispondono i cerchi di Mohr mostrati in Fig. 5.7c (mostrati anche nel caso φ >0). Lungo la linea verticale di separazione dei due blocchi OY, deve risultare ovvia mentre σ3,1 = σ1,2 ma con una rotazione di 90° degli sforzi principali nel passaggio da un blocco all’altro.

Fig. 5.8 – Calcolo approssimato della capacità portante per un terreno con attrito e coesione.

Dal vol. 1° si ha:

Nel caso φ = 0 risulta: tg (45°+φ/2) = tg2 (45°+φ/2) = 1; inoltre nel punto O (spigolo della fondazione) si ha, per il blocco 2, σ3,2 = q. Sostituendo questi valori nella precedente relazione si ottiene che lo sforzo principale massimo vale

σ3,1 = σ1,2 = q(1) + 2c(1)

Utilizzando ancora la medesima relazione si ha che, immediatamente al di sotto delle fondazione nel blocco 1, lo sforzo principale massimo σ1,2 è:

σ1,1 = qULT = σ3,1(1) + 2c(1)

Sostituendo infine l’espressione di σ3,1 data nelle ultime applicazioni, si ricava:

qULT = q + 2c + 2c = 4c + q

In particolare, se la fondazione si trova sulla superficie del terreno, il sovraccarico q è nullo e si ha:

qULT = 4c

Per ottenere un limite superiore di qULT, si assume che la fondazione ruoti attorno al punto O. Si osservi che la rotazione potrebbe avvenire allo stesso modo attorno a O’ e che in alcuni casi, se il terreno nelle due possibili zone in rotazione presentasse esattamente la medesima resistenza, il cuneo ObO’ potrebbe affondare nel terreno. Statisticamente è molto improbabile che non si produca per prima una rotazione (come confermano, in generale, le rotture osservate nella realtà), per la presenza di gallerie di anellidi, radici e altre inclusioni che rendono disuniforme la resistenza. Sommando i momenti attorno al punto O si ottiene che la resistenza al taglio lungo il perimetro e il sovraccarico q, sommati, si oppongono alla pressione qULT sotto la fondazione; di conseguenza:

Risolvendo rispetto a qULT si ottiene:

qULT = 2πc + q

Ne deriva che, per q = 0, la capacità (o pressione) portante ultima è compresa tra 4c e 6.28c (la media di questi due valori è 5.14c che, casualmente, coincide col valore (π+2) fornito dalla teoria della plasticità). In effetti, cercando lungo la linea Oa ed alla sua destra il centro di rotazione cui corrisponda un minimo, si ottiene un valore pari a circa 5.5 < .

5.4.2 – Fondazioni su terreni dotati di attrito e coesione

In Fig. 5.8 è illustrato un possibile caso di fondazione su un terreno dotato sia di attrito che di coesione. In base a considerazioni di carattere sia teorico che sperimentale la zona di rottura, come mostrato, si presenta cuneiforme. Quando il cuneo affonda nel terreno, lungo la linea ag sì sviluppano pressioni laterali che tendono a far spostare il blocco agf orizzontalmente, contro il cuneo afe. Gli sforzi lungo la linea verticale af sono mostrati sul piccolo elemento disegnato a destra di tale linea. Facendo uso dei cerchi di Mohr é possibile mostrare che, se la base della fondazione è liscia per cui ab è un piano principale nel cuneo agb, le linee su cui agisce uno sforzo limite sono inclinate di α = 45°+φ/2 sull’orizzontale, come mostra il piccolo elemento disegnato. Analogamente, nel cuneo afe, le linee di rottura sono inclinate di β = 45°–β/2 e intersecano la linea ae (considerata anch’essa piano principale) secondo l’angolo β.

Sulla base dello sforzo agente nel blocco a destra della linea verticale af (di lunghezza H) è possibile calcolare, integrando l’espressione generale, la forza PP, che rappresenta la resistenza globalmente offerta dal terreno:

Usando la definizione di kp data in Fig. 5.8 e integrando (come necessario, dal momento che σ1 varia tra a e f in funzione della profondità z), si ricava:

Per ricavare qULT basta annullare la somma delle forze agenti in direzione verticale sulla metà adg del cuneo di lunghezza unitaria; usando le forze mostrate in figura si ottiene:

Sostituendo i valori di H e A mostrati in Fig. 5.8 si ricava:

Introducendo i fattori N, che rappresentano i moltiplicatori dei termini cq e γB, si può dare alla relazione ultima la forma comunemente usata (canonica):

Come è possibile osservare nel successivo paragrafo, la relazione sottostima qULT per più ragioni:

–       1 – E’ stata trascurata la zona afg;

–       2 – La superficie di contatto tra fondazione e terreno è, in genere, scabra ed esprime un contributo resistente dovuto all’attrito;

–       3 – La forma del blocco agfe indicata definisce solo vagamente la zona che si oppone al movimento del cuneo nel terreno. La superficie di scorrimento tra g ed f (e parzialmente tra f ed e) è approssimata con miglior precisione da una spirale logaritmica;

–       4 – La soluzione vale per una striscia di larghezza unitaria appartenente a una fondazione illimitatamente lunga, per cui deve essere modificata per fondazioni quadrate, circolari o di lunghezza finita (necessita, cioè, di un fattore di forma);

–       5 – Il contributo di resistenza al taglio del terreno compreso nella zona che va dal piano ae alla superficie è stato trascurato. Questo richiede una correzione (cioè un fattore di profondità);

–       6 – Se la pressione qULT è inclinata rispetto alla verticale, ovvero ha anche una componente orizzontale, sono necessari altri fattori correttivi (cioè fattori d’inclinazione).

Nel concludere, si ritiene opportuno comunque far notare che le relazioni fin qui ricavate servono solo ad illustrare i problemi riscontrabili nel definire la capacità portante ultima di un terreno, e come quindi le medesime non siano da usarsi in sede di progetto. Ai fini progettuali, infatti, vengono utilizzate le formule riportate nel paragrafo successivo

5.4.3 – Relazioni utilizzabili per definire la capacità portante

Non esiste attualmente alcun metodo per determinare, se non qualitativamente, la capacità portante di una fondazione.

Tutti i metodi hanno avuto una limitata validazione sperimentale, principalmente ricorrendo a modelli di fondazioni. E’ frequente l’uso di modelli di dimensioni B= 25÷75 mm x L = 25÷200 mm in quanto il carico ultimo può essere applicato in laboratorio su un elemento di terreno racchiuso in un opportuno contenitore utilizzando le apparecchiature di compressione comunemente disponibili, la cui capacità è dell’ordine dei 400 kN. Fondazioni in scala reale di dimensioni ridotte (anche solo di 1 m x 1 m) possono avere un carico ultimo di 3000÷4000 kN di modo che, per produrre e misurare carichi di tale intensità, si deve ricorrere a costose attrezzature di prova in situ.

È noto che le prove su tali modelli, in particolare per fondazioni su sabbia, non forniscono risultati affidabili in confronto ai prototipi in scala 1:1. Ciò è dovuto agli effetti di scala, in quanto la reazione del modello interessa solo un numero di grani di terreno statisticamente piccolo se confrontato con quello interessato dal modello in scala reale.

Si consideri, ad es., della sabbia che necessiti di un confinamento laterale per offrire resistenza. La zona confinata al di sotto di un modello 25 x 50 mm è praticamente nulla in confronto alla zona confinata al di sotto di una fondazione di dimensioni anche ridotte (ad es., 1 m x 2 m). È chiaro inoltre, dalle Figg. 5.7 e 5.8 che la profondità interessata dagli sforzi è decisamente diversa nei due casi. Nonostante questo notevole difetto, il ricorso a prove su modelli è molto diffuso e in letteratura compaiono regolarmente i risultati di nuovi programmi sperimentali.

5.4.3.1 – La formula di Terzaghi della capacità portante

Una delle prime famiglie di formule per il calcolo della capacità portante fu proposta da Terzaghi ed è riportata in Tab. 5.4. Si tratta di formule simili alla relazione canonica ottenuta nel paragrafo precedente, nelle quali compaiono però i fattori di forma di cui si è parlato discutendo delle limitazioni sull’uso di tale formula. Terzaghi ottenne le sue formule modificando leggermente la teoria per il calcolo della capacità portante sviluppata da Prandtl, che applicò la teoria della plasticità allo studio del puntamento di una base rigida in un materiale più tenero (terreno).

In modo analogo alla relazione canonica la formula fondamentale fa riferimento ad una striscia di larghezza unitaria appartenente ad una fondazione nastriforme che produce uno stato piano nelle deformazioni, nel qual caso tutti i fattori di forma si valgono 1 ma i fattori Ni sono calcolati diversamente.

Terzaghi, inoltre, assume α = φ nelle Figg. 5.7 e 5.8 mentre nella maggior parte delle altre teorie si considera α = 45°+φ/2, come mostrato. Dalla Tab. 5.4 si può osservare come Terzaghi introduca dei fattori di forma solo nei termini in cui compaiono la coesione (sc) e il peso del terreno (sγ). Analogamente alla relazione canonica la formula di Terzaghi della capacità portante si ottiene sommando le forze verticali agenti sul cuneo bac di Fig. 5.9. I fattori N sono diversi in quanto Terzaghi ipotizza che l’arco ad sia una spirale logaritmica e che il cuneo cde sia quello mostrato in Fig. 5.9. Da questo deriva una sostanziale differenza nel calcolo di Pp che a sua volta da luogo a valori di Ni diversi. Le linee di scorrimento mostrate in Fig. 5.9 danno un’idea dell’andamento degli sforzi nella zona plasticizzata al di sotto della fondazione al raggiungimento della pressione limite.

Tab. 5.4 – Formule per il calcolo della capacità portante proposte dai vari autori.

Le formule della capacità portante di Terzaghi valgono per fondazioni superficiali, per le quali:

D  B

di modo che la resistenza al taglio lungo il tratto cd di Fig. 5.9a possa essere trascurata; la Tab. 5.4 riporta la formula di Terzaghi nonché le formule per il calcolo dei vari fattori Ni e dei due fattori di forma si. La Tab. 5.5 riporta una breve lista di fattori N ottenuti attraverso un programma di calcolo, redatta a scopo illustrativo e di rapida consultazione.

Fig. 5.9 – (a) Fondazione superficiale con base scabra. Le formule di Terzaghi e di Hansen di Tab. 5.4 non tengono conto del taglio lungo cd; (b) Interazione suolo-fondazione per il calcolo della capacità portante di fondazioni nastriformi: la parte sinistra del disegno vale per le Formule di Terzaghi e di Hansen, quella di destra per la formula di Mayerhof.

Terzaghi, pur non avendo spiegato chiaramente come abbia ricavato il coefficiente K utilizzato per il calcolo di Nγ, ha tuttavia fornito un diagramma di Nγ in funzione di φ e 3 valori particolari di N per φ = 0°, 34° e 48°.

Tab. 5.5 – Coefficienti di portata che compaiono nella formula di Terzaghi. I valori di Nγ corrispondenti a φ = 0°, 34° e 48°, sono quelli originariamente calcolati e usati per risalire a K.

L’autore ha preso altri punti di tale curva ed è risalito a ritroso a K mediante un programma di calcolo, in modo da ottenere, per interpolazione, una tabella di valori da cui calcolare N nel modo indicato. Dall’esame della Tab. 5.7 si può osservare che i valori Nγ(M) ottenuti da Meyerhof sono abbastanza vicini a questi, tranne che per φ>40°. Tra le altre approssimazioni di Nγ si segnalano le seguenti:

Nγ = 2(Nq+1tg φ      (Vesic)

Nγ = 1.1(Nq-1) tg (1.3 φ)       (Spangler e Handy)

Tra tutti i coefficienti N, Nγ è quello caratterizzato dalla più ampia variabilità dei valori proposti; da un’indagine bibliografica si è ottenuto: 38 ≤  ≤ 192, per φ = 40°.

Nella presente trattazione l’intervallo di variabilità massimo oscilla entro 80 e 109 per φ = 40°. Fortunatamente questo termine non da un contributo significativo a qULT, per cui si rivela possibile utilizzare, praticamente, qualsiasi valore ragionevole.

Tab. 5.6 – Fattori di forma, profondità e inclinazione che compaiono nella formula di Meyerhof per il calcolo della capacità portante.

5.4.3.2 – Formula di Meyerhof per la capacità portante

Meyerhof propose una formula per il calcolo della capacità portante simile a quella di Terzaghi, introducendo tuttavia un fattore di forma sq nel termine che tiene conto della profondità Nq. Inoltre introdusse dei fattori di profondità di e di pendenza fi (di entrambi dei quali si è detto nella discussione sulla formula generale] per i casi in cui il carico trasmesso dalla fondazione è inclinato sulla verticale. Ne derivano formule la cui scrittura generale è riportata in Tab. 5.4, dove i valori dei coefficienti N sono elencati in Tab. 5.7.

Con riferimento alla Fig. 5.9b i valori dei coefficienti N furono ottenuti da Meyerhof ipotizzando vari archi di prova ad’ (ovvero varie zone abd’) e dando al taglio, lungo il tratto cd di Fig. 5.9a un’espressione approssimata. I fattori di forma, di profondità e di pendenza riportati in Tab. 5.6 sono tratti da Meyerhof e differiscono leggermente dai valori da egli stesso proposti in precedenza. I fattori di forma non differiscono molto da quelli di Terzaghi, se non per l’introduzione di sq.

Osservando che l’effetto del taglio lungo la linea cd di Fig. 5.9a era ancora parzialmente trascurato, Meyerhof introdusse dei fattori di profondità di.

Tab. 5.7 – Coefficienti di portata che compaiono nelle formule di Meyerhof, Hansen e Vesic per il calcolo della capacità portante. Si noti che Nc e Nq sono gli stessi per tutte e 3 le formule; l’autore è contraddistinto dal pedice di Nγ.

Egli propose inoltre di usare dei fattori d’inclinazione per ridurre la capacità portante nel caso in cui la risultante dei carichi è inclinata di un angolo θ sulla verticale.

Il valore di qULT ottenuto da Meyerhof non differisce sensibilmente da quello di Terzaghi fino a D=B mentre per rapporti D/B elevati la differenza è più pronunciata.

5.4.3.3 – Metodo di Hansen per la valutazione della capacità portante

Hansen propose una formula per la capacità portante nel caso generale, riportata in Tab. 5.4 assieme alle espressioni dei fattori N. È immediato constatare che si tratta di un’ulteriore estensione della prima formula di Meyerhof. I fattori di forma, profondità etc. che compaiono nella formula generale della capacità portante di Hansen sono riportati in Tab. 5.8. Le estensioni comprendono un fattore bi, che tiene conto dell’eventuale inclinazione del piano di posa della fondazione sull’orizzontale, ed un fattore gi per il caso in cui la fondazione poggi su un terreno in pendenza. Alcuni valori dei coefficienti N che compaiono nella formula di Hansen sono riportati in Tab. 5.7.

Si può utilizzare una qualsiasi delle formule di Tab. 5.8 senza l’indice (V); eventuali limitazioni e restrizioni sono segnalate in tabella. Se la componente orizzontale del carico H è parallela a B, ossia agisce nel senso della larghezza nel termine contenente Nγ nella formula della capacità portante si deve usare la quantità ridotta B‘ (Fig. 5.9) mentre, se H è parallela a L (cioè agisce nel senso della lunghezza), si deve usare L‘. Una misura d’ulteriore restrizione è ii > 0; infatti un valore ii  0 corrisponde ad una fondazione instabile per la quale si rende necessario un nuovo dimensionamento prima di procedere. Nel caso di fondazioni su argilla con φ = 0, si calcoli ic utilizzando a seconda dei casi H parallela a B e/o a L osservando che essa compare come costante negativa nella formula modificata della capacità portante.

E’ da osservare come, quando la base è inclinata, V e H indichino rispettivamente le componenti del carico parallela e perpendicolare alla base, come nel caso in cui la base è orizzontale.

Per fondazioni in pendenza, si usano dei fattori gi per ridurre la capacità portante; tali fattori, tuttavia, vanno usati con cautela in quanto confortati da scarsi dati sperimentali, limitati in pratica a quelli ottenuti in laboratorio da Shields da modelli di fondazioni collocate su sabbia in pendenza. Nella realtà operativa, in ogni caso, è difficile immaginare il ricorso a un plinto su terreno incoerente in pendenza, a meno che la pendenza β non sia molto debole e che il plinto non sia collocato a una profondità D notevole. Comunque, dato che nel terreno in pendenza esistono già degli sforzi tangenziali (con funzione trattenitiva per il pendio) non si deve convertire φtr (triassiale) nel valore φps (superiore) valido in stati di deformazione piana mentre si deve, viceversa, usare un coefficiente di sicurezza maggiore.

La formula di Hansen vale per un rapporto D/B qualunque e può pertanto essere usata per fondazioni sia superficiali che profonde (pali e pozzi trivellati).

Tab. 5.8 – Fattori di forma, profondità e inclinazioni di carico, terreno e piano di posa nelle formule di calcolo della capacità portante di Hansen e Vesic. Le espressioni dei fattori valgono per entrambe le formule tranne per quelli contraddistinti dagli indici (H) e (V). Quando φ = 0 si usano i fattori contraddistinti da un apice.

Dall’esame del termine qNγ si vede che a una profondità elevata corrisponderebbe un forte aumento di qULT. Per ridurre tale aumento, Hansen ha introdotto i seguenti fattori:

In tal modo si ha una discontinuità per D/B = 1 (è da notare l’uso di  e >). Nel caso φ =  si ha:

Si può osservare che, usando tg-1 D/B per D/B > 1, si riduce l’aumento di dc e dq; questo concorda con le osservazioni sperimentali, in base alle quali qULTraggiunge un valore limite per un determinato rapporto D/B, corrispondente a un valore di D detto profondità critica.

5.4.3.4 – Formule di Vesic per la capacità portante

Vale la pena accennare brevemente al metodo di Vesic che coincide essenzialmente con quello di Hansen. Le principali differenze tra i due metodi consistono nell’uso di coefficienti Nγ leggermente diversi (Tab. 5.7) e in una modifica di alcuni tra i fattori di Hansen iibi e gi caratterizzati dall’indice (V) in Tab. 5.8. Nella formula di Vesic si può utilizzare uno qualsiasi dei fattori senza l’indice (H).

E’ comunque da osservare come alcuni dei coefficienti di Vesic siano meno conservativi di quelli di Hansen; inoltre, dal momento che nessuno dei due metodi è stato validato mediante un esteso numero di prove su fondazioni in grandezza reale, è consigliabile la loro applicazione con una certa cautela.

Tab. 5.9 – Confronto tra valori della capacità portante teorici e sperimentali.

5.4.3.5 – Formule per la progettazione

La letteratura, nella quale si cercano solitamente i dati che comprovino la validità di una formula, riporta solo poche prove su fondazioni in grandezza reale. Ciò deriva, come già detto, dall’entità del loro costo che è difficile da giustificare se non per scopi di ricerca pura oppure per una precisa finalità nell’ambito di un progetto particolare; i risultati si basano solitamente sul controllo dei cedimenti. Solo pochi committenti accettano di finanziare una prova di carico su una fondazione in grandezza reale quando la sua capacità portante può essere ottenuta empiricamente, con una approssimazione sufficiente per la maggior parte dei progetti, usando direttamente prove penetrometriche standard o statiche.

Nella Tab. 5.9 sono riassunti i dati di otto prove di carico su fondazioni aventi dimensioni leggermente superiori a quelle di un modello e per le quali i parametri del terreno sono stati determinati con la massima precisione possibile. I parametri del terreno e qULT (kg/cm2) sono riportati da Milovic. Le diverse formule presentate in tale contesto sono state impiegate modificando i parametri per tener conto delle condizioni di deformazioni piane per L/B > 1. Confrontando i valori di qULT calcolati con quelli sperimentali, si nota come nessuno dei metodi proposti si riveli significativamente vantaggioso rispetto agli altri in termini di precisione delle previsioni teoriche. In tutti i casi, salvo che col metodo di Balla, l’uso di φps al posto di φtr per L/B > 1 ha reso più preciso il calcolo di qULT. È consigliabile l’uso di φps al posto di φtr quando L/B > 2, ma non quando L/B  2 o per fondazioni circolari, casi nei quali il cuneo di terreno al di sotto della fondazione si trova in uno stato assimilabile molto meglio a uno stato di deformazione triassiale che non a uno stato piano nelle deformazioni.

In ogni caso, essendo state proposte per prime, le formule di Terzaghi sono state largamente utilizzate, venendo oggi, e spesso, ancora usate per la semplicità derivante dal non dover calcolare i fattori aggiuntivi di forma, profondità etc. Chiaramente sono valide solo per fondazioni orizzontali soggette a carico centrato (caso più comune.) mentre non sono applicabili a pilastri soggetti a momento o con base inclinata.

Secondo l’opinione di alcuni studiosi, le formule di Terzaghi sono eccessivamente conservative e valgono probabilmente per terreni debolmente coesivi e per Ddi un ordine compreso fra B/2 o 2B. Ciò è parzialmente confermato dalla Tab. 5.9 ma, più che altro, dai risultati sperimentali. E’ da sottolineare, tuttavia, che i valori teorici di qULT riportati in Tab. 5.9, ottenuti con uno qualsiasi dei metodi, sovrastimano i valori sperimentali per i terreni maggiormente coesivi.

La capacità portante della fondazione quadrata su sabbia, infatti, è stata abbondantemente sottostimata rispetto a quella delle fondazioni con L/B = 4; di conseguenza può essere conveniente utilizzare un angolo d’attrito basso (ad es. φ = 30°) e modificare il fattore di sicurezza, piuttosto che usare formule complicate che forniscono previsioni teoriche tanto scadenti. Ciò vale, in particolare, alla luce del fatto che la rottura per eccesso di carico è probabilmente di tipo progressivo (φ varia lungo la superficie di scorrimento) e che sono i cedimenti, piuttosto che la resistenza al taglio, a dover essere controllati in tutte le fondazioni, salvo in quelle nastriformi strette.

Rimane comunque da osservare come sia il metodo di Meyerhof che quello di Hansen vengano diffusamente impiegati mentre il metodo di Vesic, viceversa, non risulti, al momento, ancora molto utilizzato benché sia quello consigliato dall’API Handbook RP2A.

Sulla base di tali osservazioni si può proporre allora il seguente schema:

5.4.4 – Considerazioni sull’impiego delle formule della capacità portante

È’ opportuno, in ogni caso, evitare l’uso di tabelle quando la determinazione dei coefficienti N richiede un’interpolazione in un intervallo >~2°; si rivela, altresì, banale implementare le formule che forniscono i valori di N ogni 1° o, al massimo, ogni 2° (non riportati nella presente  trattazione) al fine di esprimere in qualche modo un’interpolazione altamente accurata. Per angoli > 30°, infatti, il valore dei coefficienti varia rapidamente e sensibilmente, motivo per cui l’interpolazione è comunque in grado di produrre errori (o differenze) considerevoli.

I metodi usati per giungere alle formule della capacità portante, inoltre, non soddisfano l’equilibrio dei momenti bensì le equazioni ΣFH = ΣFv = 0. Non si tratta di un errore grave, in quanto in corrispondenza del carico ultimo l’equilibrio è chiaramente garantito, ma naturalmente il modello d’interazione potrebbe non rivelarsi il medesimo.

Lo stato di sforzo nel terreno in corrispondenza del carico di progetto qa è indeterminato, analogamente allo stato di sforzo in una prova di taglio triassiale (o di altro tipo), tranne che a rottura.

Nella maggior parte dei casi le formule della capacità portante sono tendenzialmente conservative, in quanto è prassi comune utilizzare delle approssimazioni in favore della sicurezza dei parametri del terreno. Inoltre, una volta ottenuto un valore conservativo qULT , questo viene ulteriormente ridotto mediante un fattore di sicurezza e trasformato in qa. Ciò significa che esiste un’elevata probabilità che qa sia un valore sicuro.

Quando Terzaghi ottenne le formule della capacità portante suppose che si verificasse una rottura a taglio globale in un terreno denso ed una rottura a taglio localizzata in un terreno sciolto. Nel caso di rottura localizzata propose allora di ridurre la coesione e l’angolo d’attrito nel modo seguente:

Terzaghi (ma anche altri autori) considerano che la base di contatto col terreno possa essere liscia o scabra; appare tuttavia improbabile che una fondazione venga posta su un terreno sciolto: le fondazioni in calcestruzzo gettate direttamente sul terreno sono quindi sempre scabre. Anche la base dei serbatoi metallici non è mai liscia, in quanto viene sempre trattata con asfalto o vernici protettive per resistere alla corrosione.

Usando invece fondazioni piccole, caratterizzate al massimo da B = 1m, sembra abbastanza chiaro come il termine BNγ non aumenti indefinitamente la capacità portante; conseguentemente, per valori elevati di B, sia secondo Vesic che De Beer, il valore limite di qULT è prossimo a quello di una fondazione profonda. L’autore propone il seguente fattore di riduzione (rivisto rispetto all’edizione precedente):

Dove k = 2 se B è espresso in m. Ciò offre la serie:

E’ possibile utilizzare questo fattore di riduzione in una qualsiasi delle formule della capacità portante, ottenendo:

Tale relazione è di particolare utilità per fondazioni larghe con rapporto D/B basso, caso nel quale il termine BNγ è predominante.

Riguardo alle formule della capacità portante si possono esprimere le seguenti osservazioni di carattere generale:

–       1 – Il termine di coesione è predominante in terreni coesivi;

–       – l termine di profondità (qNq) è predominante in terreni incoerenti: anche una piccola profondità D produce un sensibile aumento di qULT.

–       3 – Il termine dipendente dalla larghezza della base 0.5γBNγ produce un determinato aumento della capacità portante in terreni sia coesivi che granulari. Nei casi in cui B < 3÷4m, questo termine può essere trascurato senza commettere errori apprezzabili;

–       4 – Appare improbabile che venga gettata una fondazione superficiale su un terreno granulare;

–       5 – Allo stesso modo risulta fortemente improbabile che una fondazione venga gettata su un terreno granulare con Dr < 0.5. In generale, se il terreno è sciolto, prima che vi venga posta in opera una fondazione lo stesso viene compattato a mezzo di opportuna tecnica, aumentandone la densità;

–       6 – Quando il terreno sottostante la fondazione non è omogeneo oppure è stratificato, la determinazione della capacità portante deve essere eseguita con una certa accortezza. Nei successivi paragrafi vengono trattati diversi casi di terreni stratificati;

–       7 – Quando si progetta la larghezza di una fondazione soggetta a un dato carico è necessario (tranne che con la formula di Terzaghi) usare un procedimento iterativo, in quanto i fattori di forma, di profondità e d’inclinazione dipendono da B. Gli incrementi delle dimensioni della base devono essere fissati a passi di 0.075 m, in quanto questo è un comune multiplo delle dimensioni della base.

–       8 – Dall’esame della Tab. 5.4 emerge come la formula di Terzaghi risulti molto più semplice da usare rispetto alle altre, ragion per cui la medesima è ancora di largo impiego da parte di molti progettisti (soprattutto nel caso di fondazioni soggette solamente a carichi verticali e con D/B  1). Viene anche impiegata diffusamente per fondazioni profonde apportando delle correzioni ai coefficienti N.

–       9 – Vesic, infine, suggerisce di non utilizzare i fattori di profondità di nel caso di fondazioni superficiali (D/B  1) per via dell’incerta qualità del sovraccarico.

5.4.5 – Fondazioni soggette a carico inclinato o non baricentrico

Un pilastro soggetto ad azione assiale e a momenti agenti intorno a 1 o 2 assi (Fig. 5.10) gravante sul baricentro di una fondazione, trasmette un carico eccentrico. L’eccentricità può anche essere dovuta al fatto che il pilastro non sia sin dall’inizio in posizione baricentrica oppure che esso venga a trovarsi in posizione non baricentrica a seguito della rimozione di parte della fondazione durante operazioni di ristrutturazione o d’installazione di nuovi impianti.

È chiaro che la fondazione non può essere parzialmente rimossa se i calcoli indicano che la nuova pressione agente sul terreno potrebbe superarne la capacità portante.

Fig. 5.10 Metodo di calcolo delle dimensioni equivalenti di una fondazione soggetta a carico non baricentrico; sono stati considerati sia un plinto rettangolare che uno circolare.

Sia per via teorica che per via sperimentale si è ottenuto che nei calcoli si debbano utilizzare come dimensioni equivalenti della fondazione:

L‘ = L-2ex          B’ = B- 2ey

(Fig. 5.10) per cui l’area equivalente della fondazione è:

Af = BL

Appare chiaro che, se l’eccentricità è nulla, B‘ e L‘ sono le dimensioni reali.

L’area efficace di una fondazione circolare può essere calcolata ponendo ex su un asse generico (l’asse X in figura) e individuando un’area abcd centrata sul punto d’ascissa ex come mostrato. L’area del segmento circolare abc è facilmente calcolabile e, moltiplicata per 2, riporta l’area della zona abcd soggetta a carico centrato. Di conseguenza:

BL‘ = area abcd

Assumendo ac ≥ L’ ≥ 0.85ac, si ricava B‘.

Usando le formule di Meyerhof o di Hansen, si può calcolare la capacità portante ultima utilizzando B‘ nel termine γBN e nel calcolo dei fattori di forma. Ne deriva una capacità portante ultima ridotta, nonché un carico ultimo della fondazione dato da PULT = qULT (BL’).

Un metodo alternativo per il calcolo della capacità portante ridotta per una fondazione soggetta a carico non baricentrico è stato proposto da Meyerhof: tale procedimento prevede il calcolo della capacità portante dalla fondazione soggetta a carico centrato mediante le formule di Tab. 5.6, e quindi una riduzione di questo valore mediante un fattore correttivo Re ottenendo:

qULT = qULT Re

In questa espressione, i fattori correttivi sono dati da

Re = 1-(2e/B)

per terreni coesivi e da:

Re = 1-(e/B)1/2

per terreni incoerenti, se 0 < e/B < 0.3 (formule ricavate dall’autore a partire da valori tabulati).

È chiaro che, se e/B = 0.5 (Fig. 5.10), il carico è di fatto applicato sul bordo della fondazione e la capacità portante limite è pressoché nulla. Nella realtà, solo di rado e/B > 0.2 e nella maggior parte dei casi e è minore di B/6 (e/B < 0.167).

In queste formule il ruolo di L e di B è interscambiabile; si ottengono i migliori risultati usando fondazioni rettangolari col lato maggiore parallelo all’eccentricità. Le medesime considerazioni valgono per fondazioni circolari, assumendo B come diametro della fondazione (o come diametro equivalente nel caso di plinti di forma ottagonale).

Se il pilastro trasmette alla fondazione una componente di carico verticale e una orizzontale, si ha un carico inclinato. Tale condizione si presenta frequentemente nelle fondazioni di numerosi capannoni industriali, nei quali il carico del vento agisce in combinazione col peso della struttura. Le fondazioni di laminatoi a rulli e di numerosi altri impianti industriali sono soggette a carichi orizzontali prodotti dal materiale che attraversa l’impianto montato sulla fondazione, da azioni di compressione o trazione applicate alla fondazione nel corso di operazioni di manutenzione, riparazione, sostituzione o anche in condizioni d’esercizio. In ogni caso, l’inclinazione del carico si traduce in una riduzione della capacità portante della fondazione rispetto al caso in cui il carico sia soltanto verticale. Nelle formule per il calcolo della capacità portante di Meyerhof, Hansen e Vesic si possono utilizzare i fattori d’inclinazione riportati rispettivamente nelle Tab. 5.7 e 5.8. La formula di Terzaghi non consente di tradurre direttamente l’inclinazione del carico in una riduzione di capacità portante.

5.4.6 – Influenza della falda sulla capacità portante

II calcolo della capacità portante ultima viene fatto utilizzando nelle relative formule il peso specifico efficace del terreno. Il peso specifico efficace compare sia nel termine di sovraccarico (nel coefficiente q) che nel termine dovuto al peso proprio 0.5γBNγ come si può comprendere osservando la Fig. 5.8.

Soltanto in rare occasioni la quota della falda si trova al di sopra della base della fondazione, dato che tale evento causerebbe quanto meno problemi nella fase di costruzione. Ad ogni modo, in tale caso, il termine q andrebbe modificato in modo da tenere in conto il valore efficace della pressione di sovraccarico. Questo valore viene calcolato semplicemente determinando lo sforzo alla quota della falda, ottenuto sommando all’altezza dello strato compreso fra la superficie libera e la falda stessa, moltiplicata per il peso specifico umido del terreno, l’altezza compresa tra la quota di falda e la base della fondazione, moltiplicata per il peso specifico efficace γ’. Se la superficie della falda coincide con quella del terreno, la pressione efficace è pari a circa la metà di quella che si avrebbe a parità di condizioni quando la falda si trova al di sotto della base della fondazione, in quanto il peso specifico efficace γ‘ è pari a circa la metà del peso specifico saturo.

Quando la falda si trova al di sotto del cuneo bac di Fig. 5.8 [la cui altezza è approssimativamente 0.5 B tg (45°+φ/2)], la presenza della falda non influenza il calcolo della capacità portante e può essere trascurata. Quando il livello della falda cade all’interno del cuneo, il calcolo del peso specifico efficace da utilizzare nel termine 0.5γBNγ può risultare leggermente più complesso. In molti casi tale termine può essere trascurato ottenendo una soluzione in favore di sicurezza, dato che il suo contributo non è sostanziale. In ogni caso, se B è noto, si può calcolare il peso specifico medio efficace del terreno nel cuneo sotto la fondazione, γe, con la relazione:

dove H = 0.5 B tg (45°+φ/2); dw è il dislivello tra la base della fondazione e la falda; γwet è il peso specifico umido del terreno nel tratto dwγ’ è il peso specifico sommerso in falda γ’ = γsatw.

5.4.7 – Capacità portante di fondazioni su terreni stratificati

Talvolta può essere necessario realizzare una fondazione su un terreno stratificato nel quale l’altezza dello strato superiore (d1) calcolata a partire dalla base della fondazione, è minore dell’altezza H calcolata come in Fig. 5.5. In tal caso, la zona di rottura interessa uno o più strati inferiori e il calcolo di qULT necessita di alcune modifiche.

Fig. 5.11 – Fondazioni su terreni stratificati.

Per una fondazione su terreno stratificato può presentarsi uno dei 3 casi seguenti:

–       1 – Fondazione su argille stratificate (tutti i φ sono nulli), come in Fig. 5.11a:

a – Strato superiore più debole di quello inferiore (c1<c2);

b – Strato superiore più resistente di quello inferiore (c1>c2).

–       2 – Fondazione su terreno dotato di attrito e coesione:

a – Strato superiore più debole di quello inferiore (c1<c2);

b – Strato superiore più resistente di quello inferiore (c1>c2).

–       3 – Fondazione su terreni formati da strati di sabbia e argilla, come in Fig. 5.11b:

a – Sabbia sovrastante l’argilla;

b – Argilla sovrastante la sabbia.

La maggior parte degli studi volti a definire delle tecniche per il calcolo di qULT in questi 3 casi fa uso essenzialmente di modelli (spesso con B < 75 mm). Esistono nondimeno diversi metodi analitici, dei quali il primo è stato quello proposto da Button che, supponendo che la rottura avvenisse secondo un arco di cerchio, come visto in precedenza al § 5.4.1, ha cercato un minimo approssimato del carico di rottura (considerando cerchi interamente compresi nello strato superiore) e ha ottenuto Nc = 5.5 < .

Il calcolo basato sull’uso di cerchi di prova è facilmente programmabile al computer per 2 o 3 strati usando per ogni strato il proprio valore di su. E’ da osservare che, nella maggior parte dei casi, il valore di su per ciascuno strato viene determinato attraverso prove per la determinazione di qu, per cui il metodo basato sui cerchi di rottura da risultati sufficientemente affidabili.

E’ stato suggerito di limitare l’uso dei cerchi di rottura al caso in cui il rapporto tra le resistenze dei 2 strati superiori CR = c2/c1 soddisfi la limitazione 0.6 < CR ≤ 1.3. Se CR cade decisamente al di fuori di tale intervallo i 2 strati possiedono resistenze al taglio nettamente diverse ed N può essere ricavato utilizzando il seguente metodo proposto da Brown e Meyerhof sulla base di prove su modelli:

Quando CR>1, dopo aver calcolato entrambi i valori N1,i ed N2,i relativi al caso di fondazione rettangolare o circolare, si calcola un valore medio Nc,i dato dalla relazione:

Le formule precedenti forniscono la seguente tabella di valori tipici di Nc, da utilizzarsi nella formula della capacità portante di Tab. 5.4 in luogo di Nc.

Se lo strato superficiale è molto tenero e il rapporto d1/B è piccolo, si prende in considerazione la possibilità di realizzare la fondazione a maggior profondità, sull’argilla più dura, o di ricorrere a tecniche per migliorare le caratteristiche del terreno. Le prove su modelli indicano che, quando lo strato superficiale è molto tenero, questo tende a essere espulso fuori dalla zona sotto la fondazione mentre, quando è rigido, tende a puntare lo strato inferiore più tenero. Di conseguenza, in questi casi ci si deve cautelare usando il metodo descritto al § 5.4.1 per il calcolo di un limite inferiore della capacità portante, ossia di una soluzione in favore della sicurezza (se cioè qULT > 4c1 +q, il terreno può essere espulso fuori dalla zona sotto la fondazione).

Purushothamaraj et al. hanno proposto una soluzione per un sistema a 2 strati di terreno dotati di attrito e coesione, fornendo una serie di tabelle di valori di Nc. I valori da loro proposti non differiscono peraltro sensibilmente da quelli riportati in Tab. 5.6. Sulla base di questa osservazione, nel caso di terreni dotati di attrito e coesione, essi propongono di calcolare dei valori corretti di φ e c nel modo seguente:

–       1 – Determinare la profondità H = 0.55 tg (45°+φ/2), dove φ si riferisce allo strato superiore;

–       2 – Se H > di, determinare il valore di φ modificato, da utilizzarsi nei calcoli, dato dalla:

–       3 – Ricavare c’ usando una formula analoga;

–       4 – Usando a piacere una delle formule per il calcolo della capacità portante di Tab. 5.4 determinare qULT usando φ‘ e c‘.

Se lo strato superiore è tenero (bassi valori di c e φ), si potrebbe verificare un’espulsione laterale del terreno prevista dalla formula di cui al § 5.4.1.

Per plinti su sabbia sovrastante argilla o su argilla sovrastante sabbia, occorre controllare innanzitutto se lo strato inferiore si trova a una profondità > H. Se H > d1 (Fig. 5.11), qULT può essere valutato nel modo seguente:

–       1 – Calcolare qULT utilizzando i parametri dello strato di terreno superiore con una delle formule di Tab. 5.4;

–       2 – Supponendo che la rottura avvenga per puntamento, secondo una superficie di rottura limitata dal perimetro della base e tenendo conto del contributo aggiuntivo q dovuto allo strato di spessore d1 calcolare qULT per lo strato inferiore usando questi parametri. Volendo è possibile aumentare qULT di una frazione della resistenza al taglio che si sviluppa lungo la superficie di puntamento;

–       3 – Confrontare qULT e qULT e impiegare il valore più basso.

In forma analitica i punti precedenti si traducono nell’espressione:

dove qULT è la capacità portante dello strato superiore, calcolata mediante le formule della capacità portante di Tab. 5.4; qULT è la capacità portante dello strato inferiore, calcolata analogamente a qULT ma utilizzando la larghezza della fondazione B, il contributo del sovraccarico q = γd1, la coesione c e l’angolo d’attrito φ dello strato inferiore; p è il perimetro della superficie di puntamento; Pv è la spinta verticale totale (forza per unità di lunghezza) dalla base della fondazione allo strato inferiore calcolata dalla relazione (Fig. 5.11b):

KS è il coefficiente di spinta laterale del terreno, compreso tra tg2 (45°-φ/2) e tg2 (45°+φ/2), oppure preso pari a K0; tg φ è il coefficiente d’attrito lungo la superficie perimetrale della zona puntata; pd1c è la risultante degli sforzi legati alla coesione agente sulla superficie perimetrale della zona puntata; Af è l’area della fondazione (serve per trasformare in sforzi le risultanti delle azioni di taglio applicate lungo la superficie perimetrale). Questa formula è simile a quella proposta da Valsangkar & Meyerhof e vale per qualsiasi tipo di terreno.

E’ opportuno osservare come difficilmente si possa avere a che fare con terreni formati da 2 o 3 strati di terreni coesivi nettamente distinti. In genere, l’argilla passa gradualmente da uno strato superficiale duro e sovraconsolidato a uno più tenero; esistono tuttavia delle eccezioni, soprattutto nei depositi di origine glaciale. In questi casi, di solito, si tratta il terreno come un unico strato dotato del più basso valore di su. È’ viceversa più facile che si presenti il caso di uno strato di sabbia sovrastante argilla o di uno strato d’argilla sovrastante sabbia; in tal caso, la stratificazione è solitamente meglio definita che non nel caso dei 2 strati d’argilla.

In alternativa, per terreni dotati di attrito e coesione e formati da più strati sottili, si possono usare le formule di Tab. 5.4 per il calcolo della capacità portante assumendo dei valori medi di c e φ dati dalla relazione:

dove ci è la coesione dello strato di altezza Hi (eventualmente nulla); φi l’angolo d’attrito dello strato di altezza Hi (eventualmente nullo).

Volendo si possono pesare le altezze Hi moltiplicandole per opportuni coefficienti (assunti pari a 1 nelle precedenti espressioni). La massima profondità del tratto di terreno in gioco è pari a circa ~0.5 B tg (5°+φ/2). Per ottenere i migliori valori medi di φ e c possono essere necessario una o due iterazioni, in quanto di solito B non è fissato finché non è stata definita la capacità portante.

Per ottenere la capacità portante di fondazioni su terreni stratificati si può utilizzare un programma per la stabilità dei pendii quale quello riportato in Bowles. Tale programma è stato poi modificato per mettere in conto la pressione della fondazione come sovraccarico (Programma B.22).

Un aumento della resistenza al taglio con la profondità potrebbe essere messo in conto approssimativamente accostando terreni caratterizzati dai medesimi valori di φc e γ ma con una resistenza al taglio crescente. La capacità portante ultima è qual valore di q0 cui corrisponde un fattore di sicurezza FS = 1.

Fig. 5.12 – Fondazione collocata su un pendio o nelle sue immediate vicinanze.

5.4.8 – Capacità portanti di fondazioni su pendii

Un problema particolare che può presentarsi occasionalmente è quello di fondazioni situate su di un pendio o nelle sue immediate vicinanze (Fig. 5.12). Le sezioni della figura mostrano come l’assenza di terreno dal lato in pendenza della fondazione tenda a ridurne la stabilità.

Mediante elaborazioni al computer Bowles ha ricavato la Tab. 5.10 che consente di risolvere il problema di una fondazione situata su un pendio o in prossimità di un pendio nel modo seguente:

Tab. 5.10 – Elaborazioni al computer di Bowles per calcolo di capacità portanti di fondazioni su pendio o nelle immediate vicinanze.

1 – Per un’assegnata fondazione determinare il punto E come illustrato in Fig. 5.12. L’inclinazione del blocco in uscita è stata assunta pari a (45°-φ/2) dato che la linea di pendio rappresenta una direzione principale;

2 – Calcolare un coefficiente Nc ridotto, considerando come superficie di rottura la ade = L0 di Fig. 5.9 e la adE = L1 di Fig. 5.12a (o, in alternativa, Efgh = A1 di Fig. 5.12b) ottenendo:

Nc = Nc L1/L0

3 – Calcolare un coefficiente Nq ridotto mediante il rapporto tra le aree D(ce) = A0 di Fig. 5.9 e Efg di Fig. 5.12a (o, in alternativa, Efgh = A1 di Fig. 5.12b), ottenendo

Nq = qc A1/A0

Nel caso di pendio con A1  A0 si ha N’q = Nq.

4 – Accertare la stabilità globale del pendio sotto l’effetto del carico trasmesso dalla fondazione. Ciò può essere effettuato utilizzando un programma per la stabilità dei pendii.

La capacità portante viene quindi calcolata utilizzando le formule di Tab. 5.4 e i coefficienti di capacità portante ridotti:

Il coefficiente Nγ che dipende dal peso del terreno, non viene corretto per tener conto del pendio. Come è possibile notare, quando β = 0 i coefficienti N’c e N’qcoincidono con quelli di Tab. 5.7 per ogni valore di 0 indipendentemente dai rapporti D/B e b/B. Quando D/B > 0, essendo l’effetto della profondità già contenuto sia in Nc che in 5, non si devono più usare i coefficienti di. Nel caso in esame, un angolo d’attrito φtr non va convertito in un angolo φps in quanto la rottura avviene secondo un percorso alterato dalla presenza del pendio di modo che, salvo per rapporti b/B elevati, non si realizza in genere una condizione di deformazioni piane.

5.4.9 – Determinazione della capacità portante attraverso la prova SPT

La prova penetrometrica standard (SPT) viene ampiamente usata per determinare direttamente la capacità portante dei terreni. Tra le prime relazioni proposte al proposito si cita quella di Terzaghi e Peck (1967). Relazioni di questo tipo sono state ampiamente usate ma i dati sperimentali via via acquisiti hanno mostrato che si tratta di leggi eccessivamente conservative.

Meyerhof ha pubblicato formule per il calcolo della capacità portante accettando un cedimento di 25 mm. Queste formule potrebbero essere usate per ottenere curve simili a quelle di Terzaghi e Peck e sono pertanto, a loro volta, molto conservative. Tuttavia, grazie alla mole di dati acquisiti mediante osservazioni in situnonché al parere espresso da vari autori, le formule di Meyerhof sono state modificate per aumentare ~50% la capacità portante ammissibile, ottenendo le seguenti formule:

dove qa è la pressione ammissibile per un cedimento S0 = 25 mm, espressa in kPa, e:

Fi sono i coefficienti riportati nella seguente tabella:

Queste formule esistono da diverso tempo e si basano essenzialmente su valori di N antecedenti gli anni ‘60; pertanto Er si aggira, probabilmente, intorno a 50÷55 e non a 70 (e oltre, valore proposto da Terzaghi e Peck). Poiché il numero di colpi N è inversamente proporzionale a Er se le precedenti formule vengono normalizzate rispetto a N70 i valori corretti dei coefficienti F1 ed F2 da usarsi diventano quelli riportati nella tabella dei coefficienti F. In conclusione si usino i valori delle colonne di sinistra in corrispondenza di N55, oppure si converta N in N’70 e si usino nelle formule i valori dei coefficienti riportati nelle colonne di destra. I diagrammi corrispondenti alle formule viste, utilizzando grosso modo un valore N55, sono riportati in Fig. 5.13 (→vol. 1°).

Fig. 5.13 – Capacità portante ammissibile per fondazioni superficiali (cedimento max = 25 mm).

In queste formule N è il valor medio corrispondente alla zona d’influenza della fondazione, da ~0.5 sopra la base della fondazione fino ad almeno 2B sotto di essa.

Se al di sotto di tale zona dovessero aversi valori di N bassi, potrebbero nascere dei problemi dovuti ai cedimenti se N non viene ridotto in qualche maniera per riprodurre tale situazione. La Fig. 5.13 è un modo di rappresentare i valori di qa in funzione di N ai fini progettuali.

E’ da sottolineare come, in queste formule, la larghezza della fondazione figuri come parametro importante: è chiaro, infatti, che, essendo la zona d’influenza profonda ~2B, quanto più larga è la fondazione tanto maggiore è la profondità del terreno interessato; integrando le deformazioni lungo una profondità maggiore si ottengono cedimenti maggiori. Di questo si tiene conto in qualche modo nella formula per le piastre di fondazione (platee), dovuta anch’essa a Meyerhof (modificata da Bowles che ha aumentato del 50% la capacità portante) espressa con la:

qa = N Kd/F2

In queste formule la pressione ammissibile sul terreno corrisponde a un cedimento di 25 mm. In generale, la pressione ammissibile corrispondente a un cedimento generico è data dalla:

qa(Sj) = Sjqa/S0

dove S0 = 25 mm e Sj è il cedimento ammissibile, espresso in mm. Considerando una serie di numerosi plinti su sabbia, D’Appolonia et al. hanno osservato che i cedimenti calcolati utilizzando le formule di Meyerhof con N corretto mediante il coefficiente CN (vol 1°) risultano in ottimo accordo con quelli misurati. Peraltro, la sabbia in esame era o sovraconsolidata, o resa fortemente compattata, circostanza che si deve essere in qualche modo riflessa sul numero di colpi N.

Parry ha proposto di calcolare la capacità portante ultima di terreni incoerenti con la:

qULT = 30 N           (kPa)            (D ≤ B)

dove N è la media dei valori ottenuti con SPT a una profondità pari a circa 0.75B al di sotto della prevista base della fondazione. Questa formula è stata ottenuta ricalcolando Nq e Nγ, considerando un angolo d’attrito interno φ legato a N dalla relazione

φ = 25+28(N/q)1/2

dove N è approssimativamente un valore N55 e q è la pressione geostatica efficace alla profondità a cui N medio è stato ottenuto. La fondazione deve trovarsi a una profondità D tale che esista un termine di sovraccarico (qNq).

5.4.10 – Determinazione della capacità portante attraverso la prova penetrometrica statica

I coefficienti per il calcolo della capacità portante da utilizzare nella formula di Terzaghi di Tab. 5.4 possono essere valutati approssimativamente con la relazione:

0.8 Nq  0.8 Nγ  qc

dove qc è la media dei valori ottenuti a profondità comprese tra B/2 sopra la base della fondazione fino a 1.1B sotto di essa. Tale approssimazione è accettabile per D/B ≤ 1.5. Per terreni incoerenti si possono invece utilizzare:

Nelle relazioni riportate le pressioni vengono espresse in kPa. Tali formule sono state ottenute sulla base di diagrammi riportati da Schmertmann e tratti da un articolo non pubblicato di Awakti. Secondo Meyerhof, la capacità portante ammissibile di sabbie può essere determinata mediante le relazioni del precedente §, ponendovi:

N = qc/4

dove qc va espresso in kg/cm2. Se qc è espresso in altre unità di misura deve essere convertito in kg/cm2 prima di essere sostituito nella relazione. E’ da osservare inoltre come, usando nelle formule del precedente §il precedente valore di qc convertito in termini di N55, la capacità portante ammissibile viene aumentata del 50% rispetto a quella originariamente proposta da Meyerhof, analogamente a quanto fatto per i valori di N ottenuti direttamente da prove SPT.

È evidente che, usando le relazioni ricavate dai risultati di prove penetrometriche statiche (CPT) (→ vol. 1°) si possono ottenere φ e su che possono quindi essere utilizzati direttamente nelle formule per il calcolo della capacità portante di Tab. 5.4.

5.4.11 – Determinazione della capacità portante attraverso prove di carico in situ

Al di là delle prove multi-parametro viste in precedenza, è indubbio che il metodo più affidabile per la determinazione della capacità portante ultima consista nell’esecuzione di prove di carico nel sito in esame. Se la prova di carico, infatti, fosse effettuata su una fondazione in grandezza reale, si otterrebbe direttamente la capacità portante richiesta; d’altra parte, visti i carichi elevatissimi in gioco e i costi relativi il sistema, peraltro obbligatoriamente utilizzabile per ognuna delle infinite prospettive costruttive in essere, si rende applicabile solo grazie ad accorgimenti di calcolo.

La prassi operativa comune, infatti, consiste nel caricare piccole piastre d’acciaio sia circolari (di diametro compreso tra 30 e 75 cm) che quadrate (di lato 30 e talora 60 cm). Si tratta, in generale, di dimensioni troppo piccole per estrapolare i risultati alle fondazioni reali, la cui area di base è compresa tra 1.5 e 4 o 5 m2; l’estrapolazione, inoltre si presta a discussione per diversi motivi:

a – La profondità dell’area d’influenza (4B) è sensibilmente diversa per il modello e per la fondazione reale. L’influenza di uno strato situato al di sotto della profondità H delle diverse figure viste in precedenza è minima nel caso del modello, mentre può essere notevole per la fondazione reale.

b – Il terreno in profondità è soggetto a una maggiore pressione geostatica di confinamento ed è pertanto effettivamente più rigido del terreno in prossimità della superficie. Tale circostanza influisce notevolmente sulla curva carico-cedimento, sulla base della quale si determina qULT.

c – Quanto detto in precedenza mostra che, all’aumentare di BqULT aumenta con legge tendenzialmente non lineare. Il diagramma BqULT ottenibile con modelli in scala ridotta, ad es. di 30, 45 e 90 cm, risulta praticamente lineare (come pure usando 2 sole dimensioni, ad es. 2 m e 2.5 m). Per riprodurre la curva non lineare per il deposito di terreno in esame, viceversa, è necessario utilizzare una gamma più ampia di dimensioni.

Talvolta, nonostante gli inconvenienti fondamentali ora elencati, vengono ugualmente effettuate le prove di carico. Le modalità di prova, standardizzate nelle norme sono essenzialmente le seguenti:

–       1 – Scegliere il tipo di carico da applicare. Se si tratta di una reazione di contrasto su dei pali, questi vanno infissi nel terreno preliminarmente per evitare vibrazioni eccessive e una diminuzione di densità del terreno nello scavo in cui la prova deve essere eseguita.

–       2 – Scavare un pozzo fino alla quota alla quale deve essere eseguita la prova. Il pozzo di prova deve essere largo almeno 4 volte la piastra e deve arrivare alla profondità cui verrà gettata la fondazione. Se la prova prevede l’impiego di 3 piastre di dimensioni differenti le dimensioni del pozzo devono essere tali che le piastre siano distanziate tra loro di almeno 3 volte la dimensione della piastra più grande.

–       3 – Applicare il carico sulla piastra e registrare i cedimenti con uno strumento preciso (± 0.25 mm). Gli effetti di un incremento di carico vanno registrati fintantoché il cedimento incrementale cade entro i limiti di sensibilità dello strumento. Gli incrementi di carico dovrebbero essere pari a ~1/5 della presunta capacità portante del terreno. La durata di un intervallo di carico non deve risultare < 1 h dovrebbe essere più o meno la stessa per tutti gli incrementi di carico.

–       4 – La prova deve essere protratta fino a quando non si raggiunge o un cedimento di 25 mm o la capacità dell’attrezzatura di prova. Dopo la rimozione del carico, si deve registrare il rigonfiamento elastico del terreno per un periodo di tempo approssimativamente pari alla durata di un incremento di carico.

La Fig. 5.14 mostra gli aspetti essenziali della prova di carico. In Fig. 5.15a è riportato un tipico diagramma cedimento-tempo in scala semilogaritmica (come per le prove di consolidazione) dal quale, quando la curva è praticamente orizzontale, si ricava il massimo cedimento corrispondente al dato carico e quindi un punto della curva carico-cedimento di Fig. 5.15b.

Quando la tangente alla curva carico-cedimento è quasi verticale, si ricava qULT. A volte, peraltro, si prende come qULT il valore che corrisponde a un assegnato cedimento (ad es., 25 mm).

L’estrapolazione dei risultati della curva a fondazioni in grandezza reale non è standardizzata. In generale, nel caso dei terreni puramente coesivi si osserva che il termine B Nγ è nullo, per cui si potrebbe affermare che qULT non dipende dalle dimensioni della fondazione e quindi che:

qULT,fondazione = qULT,prova di carico

Nel caso dei terreni incoerenti (e dei terreni dotati di attrito e coesione), tutti e 3 i termini della formula della capacità portante sono diversi da zero; osservando che nel termine in Nγ compare la larghezza della fondazione, si potrebbe dire che:

qULT,fondazione = M + N (Bfondazione/Bprova di carico)

dove M congloba i termini Nc e Nq, mentre N è il termine Nγ. Provando piastre di varie dimensioni, si può risolvere graficamente questa equazione. Nella pratica, per estrapolare le prove alla piastra di carico, eseguite di solito in condizioni tali per cui il termine Nq è trascurabile e su sabbia, si usa la formula:

qULT = qpiastra (Bfondazione/Bpiastra)

L’uso di questa formula è sconsigliabile, a meno che il rapporto Bfondazione/Bpiastra non sia molto superiore a ~3. Se tale rapporto è compreso tra 6 e 15 o più, l’estrapolazione dei risultati della prova alla piastra di carico fornisce poco più di una stima, con lo stesso grado di attendibilità di una basata su correlazioni con i risultati di prove penetrometriche.

Fig. 5.14 – Prova alla piastra di carico. Le modalità esecutive sono descritte nel vol. 1°.

5.4.12 – Capacità portante di fondazioni soggette a forze di sollevamento o trazione

Le fondazioni di impianti industriali, come quelle dei montanti di serbatoi d’acqua in elevazione, gli ancoraggi per i cavi delle antenne per telecomunicazioni, le basi dei tralicci per elettrodotti, nonché quelle di numerosi altri impianti sono soggette a sollevamento o a forze di trazione.

Il sollevamento può essere la principale causa sollecitante o può essere uno dei possibili casi di carico. Nella maggior parte dei casi, per resistere al sollevamento si usano pali trivellati, con o senza base allargata, essendo questa la soluzione più economica da realizzare.

Fig. 5.15 – Risultati di una prova alla piastra di carico.

Una fondazione in grado di resistere a trazione è schematizzata in Fig. 5.16. Il problema è stato affrontato da Balla che è giunto a complesse formule matematiche considerando una superficie di rottura circolare (la cui traccia è la linea tratteggiata ab in Fig. 5.16); tali formule sono state verificate dallo stesso ricercatore mediante prove su modelli in piccoli contenitori di vetro e mediante simulazioni su modelli in scala più grande da altri autori: sono state considerate unicamente fondazioni circolari.

Fig. 5.16 – Fondazioni soggette a carico di trazione.

Il problema è stato successivamente affrontato anche da Meyerhof & Adams, che proposero la distinzione mostrata in Fig. 5.16 tra fondazioni superficiali e profonde, basata sul fatto che le fondazioni profonde possono resistere al massimo a una forza di trazione limite.

Gli autori hanno considerato fondazioni sia circolari che quadrate, su terreni sia coesivi che incoerenti, confrontando i risultati teorici con quelli ottenuti da prove su modelli e su fondazioni in grandezza reale in entrambi i casi di forma circolare, rilevando un notevole scarto.

In ogni caso, impiegando un fattore di sicurezza pari a 2÷2.5 queste formule risultano sufficientemente affidabili.

Le formule a seguire sono state ottenute non considerando la reale zona di rottura osservata sperimentalmente (come la ab di Fig. 5.16) ma usando un’espressione approssimata della resistenza al taglio lungo la linea ab’. Per ottenere le espressioni in una veste semplificata e adeguata ai fini progettuali vengono impiegati dei fattori di forma unitamente ad un rapporto di profondità limite D/B o H/B. Nel caso generale, la trazione ultima è data da

Tu = (s x perimetro x D) + W

con fattori correttivi di profondità e forma (per distinguere tra perimetro circolare e rettangolare). Si ottiene così:

Nel caso di fondazioni quadrate, L = Bsf e m possono essere ricavati in funzione di φ dalla seguente tabella:

Il coefficiente di spinta laterale del terreno Ku è dato da una delle seguenti espressioni:

La scelta dell’espressione di Ku è lasciata al giudizio dell’operatore. Si può ragionevolmente usare K0 oppure una media di Ka e Kp.

Le formule per fondazioni rettangolari soggette a trazione sono basate sull’ipotesi dovuta a Meyerhof che il fattore di forma sf si applichi alle zone terminali nel senso della lunghezza L, per un tratto di ampiezza (L-B). Le fondazioni soggette a trazione sono comunque per la maggior parte circolari (caso più comune) o quadrate. Per fondazioni gettate su terreni molto scadenti, Robinson & Taylor hanno stabilito che la resistenza di progetto per ancoraggi di tralicci per elettrodotti può essere ottenuta con buona approssimazione considerando solo il termine dovuto al peso W nelle formule utilizzando un fattore di sicurezza leggermente maggiore di 1. Di norma, la resistenza a trazione ultima viene trasformata nel valore di progetto 1, secondo la formula:

Ta = Tu/FS

dove il fattore di sicurezza può variare orientativamente da 1.2 a 4 o 5 a seconda dell’importanza della fondazione, dell’attendibilità dei parametri del terreno e dalla probabilità che sulla fondazione insista un terreno di riporto di buona qualità che produca un termine W affidabile e sviluppi un’opportuna resistenza al taglio lungo la linea ab’.

5.4.13 – Calcolo della capacità portante basato sulla normativa edilizia (pressione presunta)

In molte nazioni la normativa edilizia prescrive valori della pressione ammissibile sul terreno da utilizzarsi nel progetto di fondazioni. Di solito tali valori sono dettati da un’esperienza pluriennale, anche se in alcuni casi si tratta semplicemente di valori presi a prestito dalla normativa di altri paesi. Simili valori sono anche riportati nei manuali dell’ingegnere e del costruttore edile.

Tali valori assoluti della pressione sul terreno vanno spesso sotto il nome di pressioni presunte. La normativa di molti stati  consente oggi di utilizzare in alternativa valori differenti delle pressioni, purché il loro uso sia giustificato da prove di laboratorio e da considerazioni geotecniche.

Le pressioni presunte richiedono una classificazione visiva del terreno.

In Tab. 5.11 sono elencati i valori delle pressioni riportati da alcuni regolamenti edilizi. Questi valori hanno essenzialmente un valore illustrativo, poiché per qualunque progetto, salvo che per opere minori, deve essere svolto un minimo d’indagine del terreno I principali inconvenienti dell’uso di pressioni presunte risiedono nel fatto che queste non tengono conto della profondità e delle dimensioni della fondazione, del livello della falda freatica e di potenziali cedimenti.

Tab. 5.11 – Capacità portante presunta dettata da alcune normative edilizie (kPa).

5.4.14 – Fattori di scurezza da usare nella progettazione

II progetto di una struttura viene eseguito determinando i carichi di servizio e definendo un opportuno rapporto tra la resistenza del materiale e tali carichi, detto fattore (o coefficiente) di sicurezza (FS). Nessuna delle grandezze che compaiono in tale rapporto è nota con precisione, motivo per cui risulta necessario fare affidamento su regolamenti o sull’esperienza per far sì che il medesimo verta in favore della sicurezza.

I materiali da costruzione, come l’acciaio o il calcestruzzo, sono soggetti a rigorosi controlli di qualità in fase di produzione; ciononostante, la resistenza del calcestruzzo nel progetto agli stati limite viene presa pari all’85% della resistenza a compressione semplice. Il limite di snervamento dell’acciaio e di altri metalli è un valore in favore di sicurezza: nel caso dell’acciaio, è < 10÷20% del valore del limite di snervamento generalmente misurato.

Di conseguenza una sorta di fattore di sicurezza viene già applicata a monte.

I valori di regolamento impiegati nel calcolo dei carichi accidentali e di altri sovraccarichi sono praticamente dei limiti superiori. Il peso proprio della struttura, o carico permanente, è definibile con buona approssimazione (almeno a progetto ultimato).

Per la verifica di sicurezza, o i carichi di servizio vengono amplificati mediante un opportuno insieme di fattori di sicurezza e quindi confrontati con la resistenza ultima del materiale, oppure la resistenza del materiale o la tensione di snervamento vengono ridotte mediante un fattore di sicurezza opportuno e quindi confrontate con i carichi. E’ interessante notare che nel progetto agli stati limite di elementi in cemento armato i moltiplicatori dei carichi permanenti e accidentali traducono, entro certi limiti, il diverso grado di variabilità posseduto da ciascun tipo di carico.

Esistono più incertezze legate alla determinazione della resistenza ammissibile del terreno che non a quella degli elementi della sovrastruttura. Numerosi fonti d’incertezza sono deducibili da quanto affermato in precedenza e possono essere così riassunti:

–       Complessità del comportamento del terreno;

–       Impossibilità di controllare le modifiche ambientali a opera ultimata;

–       Conoscenza solo parziale delle condizioni del sottosuolo;

–       Difficoltà a sviluppare un modello matematico adatto per la fondazione;

–       Difficoltà a determinare accuratamente i parametri del terreno.

Per ogni sito, vanno considerate tali fonti d’incertezza e le approssimazioni che ne conseguono, definendo per via diretta (o indiretta) un opportuno fattore di sicurezza che, senza essere eccessivamente conservativo, tenga conto dei seguenti elementi:

–       1 – Entità dei danni (perdita di vite umane, danni a proprietà e conseguenze penali) derivanti da un crollo;

–       2 – Costo connesso a un aumento o a una diminuzione del fattore di sicurezza FS;

–       3 – Variazione della probabilità di crollo connessa ad una variazione del fattore di sicurezza FS;

–       4 – Affidabilità dei parametri del terreno;

–       5 – Alterazione delle proprietà del terreno derivante dalle operazioni di costruzione e da qualsiasi altra causa successiva;

–       6 – Accuratezza delle tecniche di progettazione e analisi correntemente in uso.

È’ norma diffusa utilizzare fattori di sicurezza globali dell’ordine di quelli riportati in Tab. 5.12.

Il taglio va interpretato come capacità portante di una fondazione. Mentre i valori dei fattori di sicurezza riportati in Tab. 5.12 non sono maggiori di quelli impiegati, ad es., per l’acciaio, le fonti d’incertezza legate alla determinazione dello sforzo di taglio ammissibile producono (nella maggior parte dei casi) fattori di sicurezza reali maggiori di quelli riportati.

Inoltre, se i cedimenti devono essere controllati, la capacità portante ammissibile risulta ulteriormente ridotta (e, di conseguenza, il vero fattore di sicurezza risulta ancora maggiore).

Alcuni autori propendono per l’uso di fattori di sicurezza parziali per i parametri del terreno, pari, ad es., a 1.2÷1.3 per φ e a 1.5÷2.5 per la coesione. Questi ultimi fattori sono più alti, in quanto la dipendenza della coesione dalle condizioni del terreno è relativamente maggiore.

Tab. 5.12 – Valori abituali dei Coefficienti di sicurezza.

Il carico di progetto si ottiene considerando il più critico fra vari possibili casi di carico. Si possono prendere in esame i seguenti casi, utilizzando le abbreviazioni riportate in Tab. 5.13 e i fattori di amplificazione Ri dettati dalla normativa:

Tab. 5.13 – Carichi di fondazione.

5.4.15 – Capacità portante delle rocce

Fatta eccezione per alcune rocce porose calcaree o di origine vulcanica e alcuni scisti, la resistenza del substrato roccioso in situ risulta maggiore della resistenza a compressione del calcestruzzo della fondazione. Ciò può non valere per rocce molto fratturate o sciolte, nelle quali possono aver luogo notevoli scorrimenti relativi fra i frammenti di roccia.

Il problema principale risiede nello stabilire il grado di solidità della roccia, eseguendo eventualmente dei carotaggi per sottoporre a prove a espansione laterale libera i frammenti integri. Per opere di notevole importanza, e quando l’opzione risulti economicamente sostenibile, si possono eseguire prove di resistenza in situ.

Spesso l’attenzione è concentrata sui cedimenti piuttosto che sulla capacità portante, per cui lo scopo principale delle prove è quello di determinare il modulo elastico E ed il coefficiente di Poisson μ in situ per poter effettuare un’analisi dei cedimenti.

Tab. 5.14 – Limiti di variabilità delle proprietà meccaniche di alcuni tipi di rocce.

Questa osservazione è legata al fatto che i carichi agenti su rocce sono trasmessi per la maggior

parte da pali infissi o trivellati, le cui punte sono affondate per un certo tratto nell’ammasso roccioso; il caso da analizzare è quindi quello di un carico applicato all’interno di un semispazio elastico. Per far questo, si ricorre a volte al metodo degli elementi finiti; se però la roccia è fessurata, i risultati hanno un valore puramente speculativo, a meno che non si disponga di dati sperimentali che consentano di rivedere il modello.

Anche se la roccia non è fessurata, i risultati forniti dal metodo degli elementi finiti sono raramente attendibili, per via della variabilità con la quale si conoscono le caratteristiche elastiche utilizzate per il calcolo.

Di solito, i valori della capacità portante ammissibile delle rocce vengono presi dalla normativa edilizia; tuttavia, assieme ai valori prescritti dalla normativa, si deve tener conto di altri parametri significativi, quali le caratteristiche geologiche, il tipo di roccia e una misura della sua qualità (come RQD).

Nella capacità portante delle rocce si utilizzano normalmente fattori di sicurezza elevati.

Il fattore di sicurezza FS deve essere in qualche modo legato al coefficiente RQD (definito nel vol. 1°); in altre parole, una roccia con RQD = 0.8 non necessita di un fattore di sicurezza elevato quanto quella con RQD = 0.4.

Di solito FS è compreso tra 6 e 10 per rocce con RQD  ~ 0.75, a meno che RQD non venga utilizzato per ridurre la capacità portante ultima (come mostrato successivamente).

La Tab. 5.14.può servire da guida per la valutazione della capacità portante partendo dai valori della normativa oppure per ricavare parametri elastici di tentativo da utilizzare in analisi a elementi finiti preliminari.

Per ricavare la capacità portante di rocce, si possono usare le formule di Terzaghi in Tab. 5.4, utilizzando l’angolo d’attrito interno e la coesione della roccia, ottenuti mediante prove triassiali ad alta pressione. Secondo Stagg & Zienkiewicz per una roccia solida i coefficienti che compaiono nella formula della capacità portante valgono approssimativamente:

Assieme a tali coefficienti, vanno usati i fattori di forma di Terzaghi riportati in Tab. 5.4. L’angolo di attrito interno di una roccia è raramente < 40° (spesso è compreso tra 45° e 55°), mentre la coesione varia, approssimativamente, da 3.5 a 35 MPa.

Dalle formule precedenti è chiaro che si possono ottenere valori della capacità portante ultima molto elevati. Come osservato in precedenza, il limite superiore della capacità portante ammissibile è assunto pari alla resistenza fc del calcestruzzo della base oppure non superiore alla resistenza ammissibile di pali metallici, pari a ~ 60 MPa.

L’angolo di attrito interno delle rocce dipende dalla pressione, analogamente a quanto avviene per i terreni. Inoltre, esaminando i parametri riportati in numerose fonti bibliografiche, si ricava che per la maggior parte delle rocce risulta φ = 45°, come per le sabbie, tranne che per le rocce calcaree e scistose per le quali andrebbe utilizzato un valore compreso tra 38° e 45°. Analogamente, come valore in favore di sicurezza, si può considerare in generale c = 5 MPa. Infine, la capacità portante ultima può essere espressa in funzione di RQD secondo la formula:

In molti casi, si ritiene che la resistenza ammissibile della roccia sia compresa tra 1/3 e 1/10 della resistenza a compressione semplice ottenuta su campioni di roccia intatti, basandosi sul valore di RQD (ad es., prendendo 1/10 per bassi RQD).

Taluni progettisti si limita semplicemente a utilizzare la resistenza ammissibile riportata dalla normativa locale a seconda del tipo di roccia riscontrato mediante un esame visivo delle carote prelevate.

Solo di rado, nel caso di plinti o di platee, le fondazioni di strutture poggiano direttamente sulla roccia. La maggior parte dei casi in cui entra in gioco la capacità portante della roccia comporta l’adozione di pali trivellati di grande diametro incastrati nella roccia per un tratto pari a 2 o 3 diametri. Recenti prove di carico eseguite su fondazioni di questo tipo mostrano che la capacità portante ammissibile, qa, è compresa tra qu e 2.5qu, essendo qu la resistenza a compressione semplice misurata su campioni di roccia intatti. Tale valore è notevolmente maggiore di quello citato in precedenza (1/31/10). Questo sensibile aumento della pressione ammissibile è attribuibile almeno in parte all’effetto di confinamento triassiale che si realizza alla base del palo nel tratto incastrato. I valori più bassi precedentemente consigliati valgono per fondazioni che poggiano sulla superficie della roccia.

Se il carotaggio in roccia non fornisce pezzi intatti (per cui RQD → 0), la roccia va trattata come un terreno, determinandone la capacità portante attraverso le formule di Tab. 5.4 e stimando convenientemente i parametri del terreno c e φ.

5.5 – Cedimenti

I cedimenti delle fondazioni devono essere valutati con grande cura per edifici, dighe, viadotti, centrali energetiche ed altre analoghe strutture di costo elevato, mentre possono essere stimati con più largo margine di errore per strutture quali terrapieni, rilevati, argini, paratie e muri di sostegno.

I calcoli dei cedimenti del suolo consistono solamente, a parte fortuite coincidenze, nella migliore stima delle deformazioni da attendersi quando i carichi vengono applicati. Durante la fase di cedimento il suolo subisce una transizione dallo stato di sforzo corrente (dovuto alle forze di volume, ossia al peso proprio) a un nuovo stato, sotto il carico addizionale applicato.

La variazione Δq dello stato di sforzo dovuto a tale sovraccarico produce un’accumulazione, che è funzione del tempo, di movimenti di rotolamento e scorrimento relativo fra i granuli, di rottura di particelle e di deformazioni elastiche (in senso proprio) localizzate entro una limitata zona di influenza al di sotto dell’area caricata. L’accumulazione statistica di questi movimenti elementari nella direzione di’interesse costituisce il cedimento. In direzione verticale il cedimento vviene definito ΔH.

Le principali componenti di ΔH sono costituite dall’effetto di rotolamento e scorrimento fra le particelle, che fa variare l’indice dei vuoti, e dalla rottura dei granuliche modifica la struttura del materiale; solo una piccolissima frazione di ΔH proviene dalla deformazione elastica dei granuli del terreno. Come conseguenza, soltanto una minima parte del cedimento ΔH verrebbe recuperata se il carico applicato venisse rimosso. In ogni caso, sebbene ΔH abbia solamente una componente molto piccola di natura elastica, è conveniente trattare il suolo come un materiale pseudoelastico, caratterizzato dai parametri elastici EsG‘, μ, e ks per il calcolo dei cedimenti. Tale scelta appare ragionevole in quanto è una variazione dello stato di sforzo a causare il cedimento così come si osserva che all’aumentare di tale variazione cresce l’entità del cedimento.

L’esperienza indica inoltre che questa metodologia fornisce soluzioni soddisfacenti. 2 sono i problemi maggiori che si presentano nelle analisi dei cedimenti del terreno:

–       1 – Ottenere valori attendibili per i parametri elastici. I problemi di recupero di campioni indisturbati del suolo comportano che i valori misurati in laboratorio risultino sovente in errore per il 50% e oltre. Per quanto esista ora una tendenza più diffusa a utilizzare prove in situ, infatti, il principale svantaggio è che esse tendono a fornire valori validi in direzione orizzontale. Poiché l’anisotropia è ricorrente i valori dei parametri validi in direzione verticale (solitamente richiesti) risultano spesso sostanzialmente diversi. A causa di questi problemi sono comunemente impiegate delle correlazioni, in particolare per studi preliminari di progetto.

–       2 – Ottenere un profilo degli sforzi prodotti dal carico applicato che risulti attendibile. Si presenta tanto il problema dei valori numerici che quello dell’effettiva profondità della zona d’influenza. Le equazioni della teoria dell’elasticità vengono solitamente impiegate per il calcolo degli sforzi, prendendo come profondità H della zona d’influenza al di sotto dell’area caricata valori che vanno da circa 2B fino a H → ∞.

I valori definiti da questi 2 problemi vengono poi usati sotto la forma di:

dove ε è la deformazione pari a Δq/Es; tuttavia Δq è funzione sia di H che del carico mentre H é, come precedentemente notato, la profondità della zona di influenza. L’attenzione principale, nel presente paragrafo,viene dedicata a questi 2 aspetti del problema.

Non è raro che il rapporto fra il valore misurato di H e quello calcolato vari fra meno di 0.5 2 e oltre; tuttavia i valori si collocano per lo più in un intervallo compreso fra 0.8 e 1.2.

Si può altresì notare che se si calcola un valore di cedimento ΔV piccolo, ossia dell’ordine dei 10 mm, e si misura poi un valore di 5 mm oppure di 20 mm, si commette un errore notevole; tuttavia la maggior parte delle strutture è in grado di sopportare senza danni sia il cedimento calcolato che quello misurato. Operativamente, infatti, ciò che si vuole evitare è stimare un cedimento di 25 mm e trovarsi, a struttura terminata, un cedimento di 100 mm.

In ogni caso nel calcolo preventivo dei cedimenti è preferibile sbagliare per eccesso (rispetto ai valori effettivi o misurati); si deve tuttavia fare attenzione a evitare che stime troppo a favore di sicurezza inducano a prendere provvedimenti correttivi pleonastici e costosi.

cedimenti vengono solitamente classificati come:

a – immediati, cioè quelli che si sviluppano non appena il sovraccarico viene applicato o, comunque, nel lasso di tempo di ~1 settimana;

b – di consolidazione, cioè quelli che si sviluppano nel tempo e richiedono un periodo dell’ordine di mesi o di anni per esaurirsi. La Torre Pendente di Pisa, ad es., ha subito un cedimento non uniforme (di qui l’origine dell’effetto) per un periodo di oltre 700 anni; si tratta, tuttavia, di un caso estremo in quanto nella maggior parte delle strutture il cedimento si esaurisce nel giro di 1÷5 anni.

Analisi dei cedimenti immediati sono impiegate per tutti i terreni a gradazione fine, compresi limo e argille con grado di saturazione S < ~90%, e per quelli a gradazione grossa con elevato coefficiente di permeabilità.

Analisi dei cedimenti di consolidazione vengono impiegate per tutti i terreni a gradazione fine, saturi o quasi saturi, ai quali si applica la teoria della consolidazione trattata nel paragrafo 5.3.

La ragione di questa scelta è che per suoli di questo tipo interessa valutare non solo l’entità del cedimento ΔH ma anche il tempo necessario perché esso si stabilizzi.

In entrambi i casi si utilizza per il calcolo un’espressione del tipo:

5.5.1 – Sforzi nel terreno prodotti dalla pressione delle fondazioni

Come deducibile dalla relazione precedente è necessaria una stima dell’incremento di pressione Δq prodotto dal carico applicato. Esistono diversi metodi correntemente usati per valutare l’incremento di pressione ad una certa profondità nello strato sottostante l’area caricata.

Un primo semplice metodo (attualmente non molto usato) consiste nel diffondere il carico in profondità secondo linee di pendenza 2:1, come mostrato in Fig, 5.17. Altri studiosi hanno proposto che l’angolo di diffusione sia compreso fra 30° e 45° (e dunque che la pendenza vari fra 1.73:1 e 1:1). Se la zona di diffusione risulta definita da una pendenza di 2:1, ossia da un angolo di ~ 26°, l’incremento di pressione qv = Δq a profondità z sotto l’area caricata dovuto al carico Q vale:

che per una fondazione quadrata si semplifica in:

dove i termini sono evidenziati in Figura 5.17. Questo metodo fornisce risultati confrontabili in modo soddisfacente con metodi teorici per profondità comprese fra B ≤ z ≤ 4B, ma non deve essere impiegato per il calcolo di qv nella zona fra 0 ≤ z < B.

Fig. 5.17 – Metodi approssimati per ottenere l’incremento di sforzo qv nel terreno a profondità z al di sotto di una fondazione.

5.5.2 – Il metodo di Boussinesq per il calcolo di qv

Uno dei metodi più comunemente usati per il calcolo di qv è quello di Boussinesq, basato sulla teoria dell’elasticità. L’equazione di Boussinesq considera un carico puntiforme agente sulla superficie di un semispazio elastico, omogeneo, isotropo, illimitato e privo di peso per ottenere:

dove i simboli sono individuati in Figura 5.18a. In base a questa figura si può scrivere tg θ = r/z, definire un nuovo termine R2 = r2+z2 e porre cos5 θ = (z/R)5. Sostituendo questi termini nella relazione precedente si ottiene:

che viene comunemente scritta con l’espressione:

Poiché il termine Ab è funzione del solo rapporto r/z se ne possono tabulare diversi valori, ad es.:

r/z      0.000    0.100    0.200    0.300    0.400    0.500    0.750    1.000    1.500    2.000

Ab       0.477    0.466    0.433    0.385    0.329    0.273    0.156    0.084    0.025    0.008

Lo scopo delle fondazioni è quello di diffondere i carichi così da evitare carichi puntiformi con conseguenti concentrazioni di sforzo nel punto di contatto. Ciò rende in qualche misura poco pratico l’impiego dell’equazione di Boussinesq finché la profondità z non è tale che gli sforzi calcolati prodotti da carichi puntiformi e da carichi distribuiti (a questi equivalenti) convergano.

Fig. 5.19 – (a) Intensità della pressione q in base al metodo di Boussinesq; (b) Pressione in un punto a profondità z al di sotto del centro di un’area circolare soggetta a una distribuzione di pressione d’intensità q0.

Si può superare questo inconveniente assumendo che la pressione di contatto q0 sia applicata a un’area circolare finita, come è mostrato in Figura 5.18b, così che il carico Q possa essere definito dalla relazione:

Lo sforzo prodotto nel terreno dalla pressione di contatto q0 agente sull’areola dA posta sulla superficie (Fig. 5.18b) vale:

ma dA =  dr, e la relazione diviene:

Integrando e introducendo i limiti d’integrazione:

 (*)

Questa equazione può essere utilizzata per ottenere direttamente lo sforzo q a una profondità z per una fondazione circolare di raggio r (a questo punto r/z è un rapporto di profondità misurato rispetto al centro della fondazione). Se si riordinano i termini, si risolve rispetto a r/z prendendo la radice positiva:

II significato della relazione è che il rapporto r/z fornisce anche la dimensione relativa di un’area circolare che, se caricata, produce lo stesso rapporto fra le pressioni q/q0 in un elemento di suolo collocato nello strato a una profondità z. Introducendo nella relazione i valori del rapporto q/q0 si ottengono i corrispondenti valori di r/z:

q/q0 = 0.0   0.100   0.200   0.300   0.400   0.500   0.600   0.700   0.800   0.900   1.000

r/z   = 0.0   0.270   0.400   0.518   0.637   0.766   0.918   1.110   1.387   1.908         ∞

Questi valori possono essere utilizzati per disegnare l’abaco di Newmark mostrato in Fig. 5.19. L’uso dell’abaco si basa su un fattore definito coefficiente d’influenza (I) determinato dal numero di porzioni o elementi in cui l’abaco risulta suddiviso.

Ad es., se la serie degli anelli concentrici viene suddivisa in modo da formare 400 elementi, spesso costruiti in modo da risultare approssimativamente quadrati, il coefficiente di influenza vale 1/400 = 0.0025. Nel costruire un abaco è necessario che la somma degli elementi compresi fra 2 circonferenze concentriche, moltiplicata per il coefficiente d’influenza, sia uguale alla variazione del rapporto q/q0 che si ha passando da una circonferenza all’altra (ossia se la variazione è di 0.1 q/q0, allora il prodotto del coefficiente d’influenza I per il numero M di porzioni deve valere 0.1). Questo concetto consente di costruire un abaco per un valore qualsiasi del coefficiente d’influenza. La Fig. 5.19 riporta un abaco suddiviso in 200 elementi; pertanto il coefficiente d’influenza è 1/200 = 0.005. Valori più piccoli del coefficiente d’influenza comportano un aumento del numero di quadrati e pertanto un più lungo lavoro di costruzione, dal momento che la somma delle porzioni impiegate in un problema rappresenta semplicemente l’integrale, calcolato per via grafica, della relazione iniziale. È dubbio che si guadagni molto in accuratezza impiegando coefficienti d’influenza molto piccoli, benché il lavoro di costruzione si accresca notevolmente.

Fig. 5.19 – Abaco di Newmark.

Il diagramma d’influenza (abaco) può essere impiegato per calcolare lo sforzo in un elemento di suolo al di sotto di una fondazione o un complesso di fondazioni, a qualsiasi profondità dal piano di posa. È necessario soltanto disegnare sull’abaco la pianta delle fondazioni a una scala z = AB. In questo modo, se z = 5 m, AB rappresenta sul diagramma 5 m; se z = 10 m, AB rappresenta 10 m etc. Ora, se AB = 20 mm, significa che le piante delle fondazioni devono venire disegnate in scala 1:250 e 1:500, rispettivamente. Nel tracciare le piante occorre che il punto nel quale si vuole calcolare l’incremento di sforzo Δq sia collocato nel centro comune a tutte le circonferenze.

Le porzioni, complete o parziali, racchiuse dal contorno della fondazione (o delle fondazioni) vengono conteggiate e l’incremento di sforzo a profondità z è calcolato dalla:

Δq = q0 M I

dove Δq è l’incremento di sforzo nel terreno dovuto al carico di fondazione valutato a profondità z ed espresso come frazione di q0, ossia la pressione di contatto della fondazione; M rappresenta il numero di elementi (compresi quelli solo parzialmente interessati) messi in conto; I è il fattore d’influenza proprio del diagramma utilizzato.

Il diagramma d’influenza è di uso complesso, principalmente perché il valore della profondità z dà luogo a un fattore di scala scomodo, basato sulla lunghezza del segmento AB di Fig. 5.19; è tuttavia di qualche utilità nei casi in cui risulti poco pratico ricorrere a un computer e si abbiano o un certo numero di fondazioni caratterizzate da pressioni di contatto differenti o una fondazione di forma irregolare per la quale si voglia calcolare in alcuni punti il valore di Δq (o di q0).

Per fondazioni circolari isolate, un profilo della pressione lungo l’asse verticale passante per il centro può essere ottenuto in modo efficiente impiegando la relazione (*) con una calcolatrice programmabile. Per fondazioni quadrate o rettangolari è utile il concetto di bulbo di pressione mostrato in Fig. 5.20. I bulbi di pressione sono delle isobare (linee di uguale pressione) ottenute costruendo profili verticali della pressione per vari punti scelti nel senso della larghezza Bdella fondazione e interpolando poi i punti caratterizzati da uguali valori di pressione.

Fig. 5.20 – Linee isostatiche della pressione verticale ottenute sulla base dell’equazione di Boussinesq per fondazioni quadrate e nastriformi (illimitate). I risultati sono applicabili solo lungo la linea ab che va dal centro al bordo della fondazione.

5.5.2.1 – Metodi Numerici per risolvere l’equazione di Boussinesq

Vi sono vari metodi disponibili per ottenere un profilo verticale di pressione utilizzando l’equazione di Boussinesq e un elaboratore.

Un metodo semplice, speditivi, applicabile a fondazioni quadrate o rettangolari (e a quelle circolari convertite in fondazioni quadrate equivalenti) consiste nell’utilizzare l’equazione di Boussinesq già integrata su un rettangolo di dimensioni B x L. L’espressione venne ricavata da numerosi autori europei negli anni ‘20 ma la forma più facilmente disponibile è quella dovuta a Newmark.

L’equazione di Newmark, applicabile al di sotto di uno spigolo dell’area B x L è:

Quando V1 > V, il termine tg-1 è negativo ed è necessario aggiungere π.

Si può notare che, a volte, la relazione viene scritta in forma diversa con il termine tg-1 sostituito da sin-1 e con una diversa espressione per V. Risulta possibile calcolare lo sforzo verticale a qualsiasi profondità z per qualsiasi punto collocato a ragionevole distanza dalla fondazione o al di sotto di essa, come illustrato in Fig. 5.21. Nella pratica è conveniente riscrivere la relazione con l’espressione:

Δq = q0 Iσ

dove Iσ congloba tutti i termini che compaiono a destra di q0 nella relazione iniziale ed è tabulato per valori stabiliti di M e N in Tab. 5.15.

Fig. 5.21 – Modalità d’applicazione dell’equazione di Newmark per ottenere lo sforzo verticale nei punti indicati.

Il metodo di Boussinesq per il calcolo dell’incremento dello stato di sforzo prodotto dai carichi di fondazione è diffusamente usato per ogni tipo di suolo (anche per terreni stratificati), nonostante sia stato specificamente sviluppato per un semispazio omogeneo, isotropo, illimitato. Si è scoperto che i valori degli sforzi calcolati con questo metodo si rivelano in buon accordo coi pochi valori misurati finora ottenuti.

5.5.3 – Condizioni di carico particolari per il metodo di Boussinesq

A volte la pressione di contatto trasmessa dalla base della fondazione può non essere uniforme ma avere distribuzione triangolare o di altro tipo. In letteratura esistono diverse soluzioni per queste condizioni di carico ma, in generale, dovrebbero essere impiegate con cautela, specie se la distribuzione genera degli integrali complicati. L’integrazione è sostanziale per ottenere la relazione ultima; ad ogni modo tale equazione è stata adeguatamente verificata (anche impiegando tecniche numeriche per la valutazione degli integrali) e si può ritenerla corretta.

Le equazioni per il calcolo degli sforzi prodotti da distribuzioni di carico triangolari (tanto verticali che laterali) presentano comunemente degli errori, cosicché solitamente si raccomanda l’impiego di tecniche numeriche e l’applicazione della sovrapposizione degli effetti laddove sia possibile.

Le equazioni per i casi illustrati in Fig. 5.22 sono state proposte da Vitone & Valsangkar e risultano corrette dal momento che forniscono i medesimi risultati ottenuti con metodi numerici. Per il caso di Fig. 5.22a, in A:

e in C:

Per il caso di Fig. 5.22b (è da notare la limitazione per cui ai vertici intermedi la pressione di contatto debba valere q0 = q0/2) in A:

e in C:

Queste equazioni possono essere verificate calcolando gli sforzi in A e in C e sommando: per ogni valore della profondità z si deve trovare il medesimo valore ottenibile per una fondazione rettangolare con una pressione di contatto uniforme.

Fig. 5.22 – Condizioni di carico particolari per il metodo di Boussinesq: occorre sempre orientare i lati B ed L della fondazione come indicato (è da notare che possono presentarsi sia il caso B > Lche il caso B < L.

Tab. 5.15 – Valori del Coefficiente d’influenza degli sforzi che compare nella relazione da utilizzare per calcolare gli sforzi per valori adimensionalizzati della profondità M = B/zN = L/z al di sotto dello spigolo di una fondazione di lati BxL.

5.5.4 – Il metodo di Westergaard per il calcolo degli sforzi nel terreno

Quando il terreno è costituito da strati sovrapposti di materiali fini e materiali a granulometria grossa, come accade al di sotto di una pavimentazione stradale, o strati alternati di argilla e sabbia, alcuni autori sono del parere che l’equazione di Westergaard fornisca una migliore stima dello sforzo qv. L’equazione di Westergaard, diversamente da quella di Boussinesq, contiene il coefficiente di Poisson μ, e per un carico puntiforme Q una delle forme in cui viene scritta è:

dove a = (1-2μ)/(2-2μ) e gli altri termini sono i medesimi dell’equazione di Boussinesq. Analogamente a questa, si può riscrivere la relazione con l’espressione

qv = Q Aw/z2

Per μ = 0.30 si ottengono i valori seguenti:

r/z       0.000    0.100    0.200    0.300    0.400    0.500    0.750    1.000    1.500    2.000

Aw       0.557    0.529    0.458    0.369    0.286    0.217    0.109    0.058    0.021    0.010

Confrontando con i valori dei coefficienti di Boussinesq Ab che compaiono nella relazione omonima si può osservare come, in generale, gli sforzi calcolati con l’equazione di Westergaard risultino maggiori. Ciò, tuttavia, dipende in qualche misura dal coefficiente di Poisson poiché μ = 0 fornisce lungo l’asse verticale (passante per il punto d’applicazione del carico) valori dello sforzo pari a 0.318/z2 mentre per μ = 0.30 si ottiene che lo sforzo vale 0.577/z2 contro 0.477/z2della formula di Boussinesq.

In analogia con l’equazione di Boussinesq, utilizzando la relazione e la Fig. 5.18b, si può scrivere:

Dopo l’integrazione si ottiene la soluzione diretta per fondazioni circolari analoga:

Riordinando i termini e prendendo la radice positiva si ha

Se si risolve questa equazione per prefissati valori del coefficiente di Poisson e valori di q/q0 via via crescenti, come si è fatto per l’equazione di Boussinesq, si possono calcolare i valori necessari a costruire un diagramma d’influenza (abaco) di Westergaard.

Poiché l’equazione di Westergaard è scarsamente utilizzata, la costruzione di tale abaco (realizzato esattamente come quello di Boussinesq ma per un prefissato valore di μ) viene di solito costruita quale esercizio.

5.5.5 – Calcolo dei cedimenti immediati

II cedimento dello spigolo di una fondazione rettangolare avente dimensioni B‘ x L‘ posta sulla superficie di un semispazio elastico si può calcolare in base a un’equazione della teoria dell’elasticità come segue:

dove q0 è l’intensità della pressione di contatto, espressa nelle stesse unità di misura di EsB‘ è la minima dimensione laterale dell’area reagente della base, espressa nelle medesime unità di misura di ΔH; gli Ii sono coefficienti d’influenza dipendenti dal rapporto L‘/B‘, dallo spessore dello strato H, dal coefficiente di Poisson μ e dalla profondità del piano di posa DEs, e μ sono i parametri elastici del terreno.

coefficienti d’influenza I1 e I2; si possono calcolare utilizzando le equazioni fornite da Steinbrenner e cioè:

dove M = L‘/B‘;N = H/B‘; B‘ = B/2 per Ii relativi al centro, B‘ = B per Ii relativi allo spigolo; L‘ = L/2 per Ii relativi al centro, L‘ = L per Ii relativi allo spigolo.

Il coefficiente d’influenza IF deriva dalle equazioni di Fox, che stabiliscono come il cedimento venga ridotto quando ci si ponga ad una determinata profondità, nel terreno, in dipendenza dal valore del coefficiente di Poisson e del rapporto L/B. La Fig. 5.23 può essere utilizzata per approssimare IF; con sufficiente accuratezza; in alternativa si possono implementare le equazioni di Fox, come è stato fatto dall’autore per costruire la figura.

Fig. 5.23 – Coefficiente d’influenza IF per una fondazione collocata a profondità D. Impiegare i valori effettivi di larghezza e profondità per calcolare il rapporto D/B.

La Tab. 5.16 elenca un insieme di valori di I1 e I2 per calcolare un coefficiente d’influenza:

in modo da potere scrivere la relazione nella forma più compatta:

L’equazione è applicabile a fondazioni flessibili poste su un semispazio. Nella pratica, infatti, la maggior parte delle fondazioni risulta flessibile: anche quelle di grande spessore s’inflettono quando vengono caricate dalla struttura sovrastante. Alcune teorie indicano che se la fondazione è rigida il cedimento risulta tale che, a deformazione avvenuta, l’originale piano di posa si conserva piano (ma la fondazione si può inclinare) e il cedimento si rivela < ~7%. Su questa base, se la fondazione è rigida, si deve ridurre il valore del coefficiente Is di ~7% (cioè assumere Isr = 0.93 Is).

L’equazione è usata in modo molto diffuso per calcolare i cedimenti immediati. Non ha fornito, tuttavia, buone stime quando si sono confrontati i risultati con valori misurati dei cedimenti. L’autore, dopo avere analizzato un certo numero di casi, ha concluso che l’equazione è adeguata ma che è il modo di utilizzarla che costituisce il problema. L’equazione deve essere applicata secondo la seguente procedura:

1 – Effettuare la migliore stima di q0;

2 – Convertire la fondazione, se circolare, in una fondazione quadrata equivalente;

3 – Determinare il punto dove calcolare il cedimento e suddividere la base d’appoggio (come si fa nel metodo di Newmark per il calcolo dello sforzo) in modo che il punto si trovi in corrispondenza di uno spigolo esterno ovvero di uno spigolo (interno) comune a più rettangoli;

4 – Osservare che lo spessore dello strato effettivamente responsabile del cedimento non sia definito da un rapporto H/B →∞ ma vada preso come il minimo dei seguenti 2 valori:

–       a – profondità z = 5B (dove B è la minima dimensione complessiva della base della fondazione).

–       b – profondità alla quale s’incontra uno strato duro. Il termine duro va inteso nel senso che il valore di Es dello strato risulta pari a ~10 volte il valore di Esdello strato adiacente.

5 – Calcolare il rapporto H/B‘. Per uno spessore dello strato H = z = 5B si trova per il centro della fondazione H/B‘ = 5B/0.5B = 10; per uno spigolo 5B/B = 5;

6 – Utilizzare la Tab. 5.16 per ottenere I1 e I2 e, con la migliore stima di μ, calcolare Is;

7 – Ricavare una stima di IF con l’ausilio della Fig. 5.23.

8 – Ottenere la media pesata di Es nello spessore dello strato z = H. La media pesata può essere calcolata con la relazione:

La Tab. 5.17 riporta una casistica analizzata utilizzando il procedimento riportato su elementi progettati in termini differenti; è possibile osservare come si sia in grado di effettuare stime preventive dei cedimenti piuttosto attendibili.

Il motivo per cui le stime precedenti risultavano poco accurate è dovuta principalmente a 2 cause: una è l’impiego di un valore di Es calcolato appena al di sotto della fondazione, l’altra l’adozione dello schema di semispazio illimitato (I1 = 0.56; I2 trascurato).

5.5.6 – Rotazione delle fondazioni

A volte è necessario stimare la rotazione di una fondazione. Questo è un problema oltremodo notevole per fondazioni soggette a momenti di segno alternato che producano vibrazioni e viene affrontato con maggior dettaglio in un § successivo; tuttavia anche per rotazioni statiche, come quelle che si hanno quando una colonna trasmette alla fondazione un momento ribaltante, può essere necessario effettuare una valutazione preventiva della rotazione.

La ricerca bibliografica ha evidenziato 5 differenti soluzioni, nessuna delle quali è risultata particolarmente soddisfacente, per la rotazione di fondazioni flessibili soggette a momento. Sotto questo aspetto, poiché le soluzioni teoriche richiedono che vi sia contatto completo fra la base della fondazione e il suolo, mentre con momento ribaltante sovente non si ha contatto con il terreno sull’intera area della base, la migliore stima si deve ottenere utilizzando una soluzione a differenze finite. La soluzione a differenze finite è raccomandabile poiché il momento ribaltante può venire modellato, con considerazioni statiche, in modo da incrementare le forze nodali sulla parte compressa e da ridurle sulla parte tesa. Il profilo dello spostamento medio lungo la base della fondazione nella direzione dell’azione ribaltante può essere impiegato per ottenere l’angolo di rotazione.

Tab. 5.16 – Valori dei coefficienti I1 e I2 impiegati per il calcolo del coefficiente d’influenza di Steinbrenner Is, da utilizzare nell’equazione per diversi valori dei rapporti H/B’ e L/B.

Fig. 5.24 – Rotazione di una fondazione posta su un mezzo elastico.

In alternativa la rotazione della fondazione si può esprimere (Fig. 5.24) con la relazione:

dove M è il momento ribaltante agente sul lato B della fondazione.

Tab. 5.17 – Confronto tra i valori calcolati e misurati di cedimenti per un certo numero di casi tratti da fonti bibliografiche.

5.5.7 – Considerazioni sui cedimenti immediati

Si può interpretare la relazione ultima come un’equazione della meccanica delle strutture:

come precedentemente ottenuto, dove:

I principali problemi consistono, naturalmente, nella determinazione di valori corretti per Es e H; si è notato in precedenza, con riferimento alla Tab. 5.17, che si dovrebbe usare un valore medio di Es pesato sullo spessore dello strato d’influenza H. Ovviamente, se H risulta abbastanza esteso e si ottiene in qualche modo un solo valore di Es il calcolo di ΔH che ne risulta può non essere molto attendibile a meno che quell’unico valore di Es coincida, casualmente, con la media pesata.

È altresì evidente che, per l’usuale intervallo di valori (compresi fra 0.2 e 0.4) del coefficiente di Poisson, questo parametro abbia poca influenza sul valore del cedimento ΔH; utilizzando, viceversa, l’intervallo di massima ampiezza che va da 0 a 0.5 si ha solamente una differenza massima del 25%.

La profondità H che influenza il fenomeno del cedimento può essere stimata ragionevolmente bene, come notato a proposito della Tab. 5.17, prendendo il valore più piccolo fra 5B e la profondità dello strato duro, inteso come quello in cui il modulo elastico Es risulta 10 volte e più maggiore che nello strato immediatamente vicino. Occorre usare molta accortezza se il terreno subisce una transizione graduale di rigidezza che non consenta di definire chiaramente tale fattore di 10. E’ da notare, infine, come il fattore di profondità IF possa ridurre sostanzialmente i cedimenti calcolati per D/B → ∞.

5.5.7.1 – Determinazione del modulo Sforzi-Deformazioni Es

Sono disponibili diversi metodi per determinare il modulo elastico:

1 – Prove di compressione non confinata (laboratorio);

2 – Prove di compressione triassiale (laboratorio);

3 – Prove in situ:

–       a – prova penetrometrica standard (SPT);

–       b – prova penetrometrica statica (CPT);

–       c – prova pressiometrica;

–       d – prova con piastra di carico.

Le prove di compressione non confinata tendono a fornire valori a favore di sicurezza di Es ciò significa che il valore calcolato (solitamente il modulo tangente iniziale) risulta piccolo e produce una stima di ΔH maggiore di quello che sarà il cedimento effettivo in situ.

Se il valore previsto di ΔH è troppo grande, può essere negativamente influenzata la scelta del tipo di fondazione: in altre parole si può verificare che venga suggerito l’impiego di pali infissi o trivellati quando l’adozione di fondazioni su plinto darebbe egualmente risultati soddisfacenti.

Le prove triassiali tendono a migliorare il valore di Es poiché qualsiasi pressione di confinamento irrigidisce il terreno cosicché si ottiene un valore più elevato del modulo tangente iniziale. Anche altri fattori, come il fatto che la prova sia realizzata in condizioni U (non consolidate, non drenate) o CU (consolidate, non drenate) oppure CK0U (consolidate fino allo stato di sforzo a riposo, non drenate) hanno influenza sul valore di Es ottenuto.

In generale le prove triassiali forniscono ancora risultati a favore di sicurezza ma in misura minore rispetto a prove di compressione non confinata. Ciò è stato in qualche modo confermato da Crawford: i valori di Es in situ, infatti, sono risultati da 4 a 13 volte superiori a quelli ottenuti in laboratorio sulla base di qu e da 1 a 1.5 volte a quelli ottenuti da prove U triassiali.

Anche il pressiometro può essere impiegato per valutare il modulo sforzi-deformazioni in situ; se tuttavia viene posto, come comunemente avviene, in un foro verticale quello che si ottiene è, però, il valore di Es in direzione orizzontale; a meno che il suolo sia isotropo questo non è lo stesso modulo che si ha in direzione verticale.

Anisotropia, storia di carico e cementazione naturale sembrano essere fattori molto significativi per la determinazione di Es in particolar modo per terreni non coesivi.

Poiché i valori di laboratorio di Es non sono molto attendibili e risultano, peraltro, costosi da ottenere, sono state molto impiegate per la determinazione di Es le prove in situ con penetrometro standard (SPT) e con penetrometro statico (CPT). La Tab. 5.18 fornisce un certo numero di equazioni per l’impiego dei diversi metodi di prova.

L’espressione e i coefficienti da utilizzare devono comunque essere basati sull’esperienza locale che porta ad individuare, per una data zona, quale equazione fornisca la stima migliore.

Con riferimento alla Tab. 5.18 si vede che una buona stima del modulo elastico per una prova penetrometrica standard (SPT) è:

Es = C1 (N+C2)

dove il coefficiente C2 vale 15 o 6, mentre i valori di C1 variano da 500 a 1200. Per quanto si debba cercare dì determinare i valori più adeguati per il luogo che si considera, in generale, i valori C1 = 500 e C2 = 15 risultano ben applicabili a sabbie normalmente consolidate. Analogamente si rivela ragionevolmente valido incrementare Es(OCR) per effetto della sovraconsolidazione adottando il coefficiente (OCR)1/2 anche se, ancora una volta, la pratica o la conoscenza del materiale locale possono fornire un coefficiente leggermente migliore.

Tab. 5.18 – Equazioni per ricavare il modulo sforzi-deformazioni Es dai risultati di prove in situ. Le relazioni seguenti forniscono Es in kPa partendo da risultati SPT e nelle stesse unità di qcpartendo da risultati di CPT. I valori di N dovrebbero essere considerati come N55 e non come N70.

Per una prova penetrometrica statica (CPT) il modulo sforzi-deformazioni ha come forma generale:

Es = C3 qc

dove il coefficiente C3 assume valori variabili da 1 a 30. Per sabbie normalmente consolidate risultano adatti valori di C3 compresi fra 2.5 e 3. Anche il coefficiente correttivo per tener conto del grado di sovraconsolidazione (OCR) mostrato in tabella appare ragionevole. Tuttavia, con riferimento a qc (valore direttamente misurato con CPT) un aspetto da non trascurare è che si può presentare un certo valore critico di profondità al di sotto del quale il valore di qc si mantiene pressoché costante. Vi è una spiegazione teorica a questo fenomeno: al di sotto di tale profondità critica si sviluppa, infatti, una rottura localizzata nella piccola zona attorno alla punta del penetrometro (che ha forma conica) e pertanto la capacità portante, cioè qc, cessa di aumentare.  D’altra parte è immediatamente evidente che il terreno debba diventare più rigido al crescere della profondità, sia pure non illimitatamente, e tale rigidezza (cioè il modulo elastico) risulti in qualche modo misurata in maniera più accurata con una prova penetrometrica standard (SPT) che con una (CPT) effettuata con penetrometro statico; quest’ultimo, infatti, è essenzialmente un dispositivo per misurare la capacità portante ultima in corrispondenza della punta (che presenta una area trasversale di soli 10 cm2).

Ciò significa che non si possono ottenere stime particolarmente buone di Es a profondità maggiori di quella critica del penetrometro (solitamente assunta come una certa frazione di D/B) a meno che non si tenga in qualche modo conto nell’espressione di Es della profondità attraverso la pressione prodotta dal sovraccarico alla profondità considerata. Ciò si può fare introducendo un nuovo coefficiente C3 variabile fra 1 e 100 e definito con le relazioni:

dove q’0 è la pressione (efficace) prodotta dal sovraccarico, definita in precedenza e n è un esponente compreso fra 0.4 e 0.7.

5.5.8 – Effetti delle dimensioni su cedimenti e capacità portante

Uno dei principali problemi nel progetto di fondazioni è quello di dimensionare le fondazioni e/o stabilire le pressioni di contatto in modo che per fondazioni vicine i cedimenti risultino pressoché eguali. La Fig. 5.25 illustra il problema (ed i motivi per i quali le prove con piastra di carico hanno scarso interesse pratico).

Fig. 5.25 – Influenza delle dimensioni di una fondazioni sulla profondità.

È evidente che se la profondità della zona d’influenza è pari a H = 5B, allora una piastra quadrata di lato 0.3 m ha una profondità d’influenza di 5 x 0.3 = 1.5 m mentre per un prototipo di fondazione avente lato di 2 m tale profondità vale 5×2 = 10 m. Si possono avere considerevoli cambiamenti nelle proprietà del suolo con un simile aumento di profondità della zona interessata dai cedimenti. Per impostare questo problema da un punto di vista teorico si riscrive la relazione base ponendo Es = [(1-μ2)/Es] tramite le relazioni:

dove l’indice i vale 1 per i termini della prima relazione e 2 per i termini della seconda; q0i, rappresenta la pressione di contatto trasmessa dalla base della fondazione (solitamente assunta pari alla capacità portante ammissibile qa); Bi’ la larghezza della base come definita dalla relazione di partenza; Isi il coefficiente d’influenza dei cedimenti basato sui rapporti Hi/Bi‘e Li’/Bi‘e IFi il coefficiente basato sul rapporto D/BiEsi’ il valore medio del modulo elastico valutato sullo spessore efficace H, (preso come il minimo fra il valore 5Bi e l’effettiva distanza del piano di posa dallo strato duro). In generale si ha Es2’ < Es1’ per B2’ > B1’, ma la relazione non è solamente lineare. Dividendo la prima per la seconda relazione si ottiene:

Questa equazione è corretta, da un punto di vista teorico, quanto lo sono le equazioni fondamentali usate per il calcolo dei cedimenti (vale a dire che fornisce risultati del medesimo ordine di approssimazione). Non è stata molto usata in passato in quanto risultava difficoltoso dovere calcolare Esi per i 2 casi. Il problema, infatti, veniva affrontato sotto questa procedura:

1 – Per suoli argillosi assumere costanti Esi’, IFi e Isi così da ottenere:

che per pressioni di contatto costanti e pari a qa si riduce a:

Questa espressione è stata largamente impiegata per terreni argillosi; stabilisce semplicemente che il cedimento di una fondazione di larghezza B2 è pari al cedimento ΔH1 di una fondazione di lato B1 moltiplicato per il rapporto fra le dimensioni B2/B1. L’esperienza indica che l’impiego di questa approssimazione si è rivelato ragionevolmente soddisfacente.

2 – Per terreni sabbiosi venne imposta la medesima ipotesi che tutti i termini di ambedue le relazioni fossero uguali, eccettuati i soli Bi‘, ma si rilevò che le previsioni non erano soddisfacenti. Uno dei coefficienti correttivi più diffusi fu:

Solitamente si prendeva come B1’ la larghezza di una piastra quadrata per prove di carico di lato 0.3 m e come B2’ la larghezza B del prototipo di fondazione. Si può vedere un’affinità tra questa equazione e quella relativa alla capacità portante. Quest’ultima non forniva tuttavia stime molto precise cosicché un’altra proposta prese come moltiplicatore di ΔH1 e cioè la:

dove Ai è l’area della base della fondazione i (i = 1, 2) mentre l’esponente n assume comunemente valori compresi fra 0.4 e 0.7 (il valore solitamente più usato è 0.5).

Deve risultare chiaro come esistano poche possibilità di definire un moltiplicatore esatto per il termine ΔH, particolarmente se il rapporto B2/B1 è molto grande come quando si usano i risultati di una piastra quadrata di 0.3 m per estrapolare quelli di una fondazione quadrata di 2 o 3 m di lato (o addirittura quelli di una platea di fondazione da 20 o 30 m). La ragione è che la sabbia necessita di confinamento per sviluppare resistenza (e quindi Es). Se si assume che una fascia larga 75 mm lungo tutto il perimetro fornisca per una piastra di qualsiasi dimensione il confinamento necessario alla sabbia all’interno, si ha che la dimensione efficace di una piastra quadrata di lato 0.3 m è solo 1/4 di quella reale cosicché il valore apparente di Es risulta troppo piccolo alla superficie, in confronto a quello di un prototipo di dimensioni (ad es.) 2×2 che, tolti i bordi, ha dimensione efficace ~ 93%. Questo renderebbe errata la valutazione del rapporto Es2/Es1ed errata per eccesso (ma a favore della sicurezza) la stima del cedimento della piastra di maggiore dimensione B2’. Un’indagine bibliografica indica che per valori grandi del rapporto B2/B1 il cedimento incrementato ΔH2 non deve eccedere 1.6ΔH, mentre la capacità portante ridotta qa2 non deve risultare inferiore a 0.4ΔH.

Per rapporti dimensionali piccoli (compresi fra 1.1 e 3) il rapporto fra cedimenti deve essere compreso fra 1.1 e 1.2 e quello fra pressioni ammissibili fra 0.9 e 0.8.

Al posto di queste espressioni, in larga misura approssimate, si raccomanda l’uso della relazione iniziale per le ragioni sopra evidenziate e per il fatto che essa è teoricamente esatta.

5.5.8.1 – Effetti delle dimensioni sulla capacità portante

La relazione può essere utilizzata anche per il calcolo della capacità portante. In questo caso si prende ΔH1 = ΔH2 così da avere eguali cedimenti e si sostituisce q01 con qa1 e q02 con qa2. Riordinando i termini si ottiene:

Assumendo che i cedimenti siano direttamente proporzionali a qa fornisce la relazione:

L’effetto della larghezza della base d’appoggio è stato già incluso. L’autore raccomanda di utilizzare comunque la prima relazione, che è teoricamente esatta; la presenza di un maggior numero di parametri raramente comporta difficoltà, in particolare poiché qa viene solitamente ottenuta mediante prove penetrometriche (CPT o SPT) così che ottenere come risultato aggiuntivo il modulo elastico è un esercizio banale che richiede solo la disponibilità di una Tabella come la 5.18.

5.5.9 – Metodi alternativi per il calcolo elastico dei cedimenti

Poiché il cedimento elastico è semplicemente:

ogni metodo che fornisca accuratamente le deformazioni nella zona di profondità H identificata come zona d’influenza dovrebbe anche fornire una valutazione accurata del cedimento ΔH.

Come si può osservare in Tab. 5.17 non esiste attualmente alcun procedimento migliorabile di quello proposto e che fa uso della relazione di base; tuttavia nell’ambito della tecnica delle fondazioni a volte gli utilizzi speditivi d’esperienza prevalgono su altri metodi. Per tale motivo vengono presentati due approcci alternativi al problema.

Un metodo è quello proposto da Schmertmann, nel quale la variazione nel bulbo di pressione di Boussinesq veniva interpretata come correlata alla deformazione. Poiché il bulbo di pressione cambia più rapidamente da circa 0.4B a 0.6B si ritiene che a questa profondità si abbiano le deformazioni massime. Schmertmann ha quindi proposto di utilizzare un diagramma di deformazione relativa di forma triangolare per modellare questa distribuzione di deformazione: i vertici del triangolo si trovano nei punti (0,0B), (0.6,0.5B) e (0,2B) rispettivamente (le ascisse rappresentano la deformazione relativa, le ordinate la profondità). L’area del diagramma è correlata al cedimento e per Es costante (la stessa ipotesi usata per sviluppare il profilo della deformazione) si può calcolare direttamente il cedimento come l’area del triangolo moltiplicata per la deformazione, per ottenere:

Schmertmann ha incorporato anche due fattori correttivi per tener conto della profondità del piano di posa (interramento) e del tempo, come segue:

Per l’interramento:

Per il tempo:

dove q e q0 sono già stati definiti e t rappresenta il tempo, espresso in anni (si assume t > 0.1). Con questi coefficienti correttivi la relazione viene riscritta come:

ΔH = C1 C2 (0.6 Bε

Se Es non è costante, si è proposto di tracciare il profilo di deformazione e di ricavare dei coefficienti d’influenza Iz calcolando il valor medio di Es per ogni incremento di profondità Δz ottenendo:

ΔH = C1 C2 Δq (Iz Δz)/Es

Tutto questo deve fornire un valore a favore di sicurezza del cedimento ΔH se Es è costante o cresce con la profondità; se gli strati inferiori presentano tuttavia un valore molto più basso del modulo elastico Es il metodo può fornire valori sottostimati di ΔH.

Con i due coefficienti correttivi indicati e assumendo Es = 2qc (sulla base dei risultati di CPT) Schmertmann ha calcolato i cedimenti per un certo numero di casi tratti dalla letteratura (alcuni dei quali sono riportati in Tab. 5.17) ottenendo un discreto accordo fra valori stimati e misurati di ΔH.

Un altro procedimento è quello di utilizzare il metodo del percorso degli sforzi (stress path) visto nel 1° vol. Con tale metodo si realizzano una serie di prove triassiali nelle condizioni CK0UC esistenti in situ diagrammando successivamente 2q = σ13 in funzione della deformazione e per punti giacenti sull’asse verticale passante per il centro della fondazione a profondità indicativamente pari a B/4, B/2, B, 1.5B, 2B, 3B, 4B o simili.

E’ possibile effettuare un numero minore di prove ma la pressione di sconfinamento K0 σ1 è un parametro significativo che ha un effetto sostanziale sulla deformazione ε e richiede venga eseguito un numero sufficiente di prove nello strato iniziale (per profondità da 0 ≤ z ≤ 4B) per fornire un profilo di deformazione attendibile cosicché si possa utilizzare l’espressione:

Questo metodo richiede un’attenta ricostruzione dei campioni di sabbia o per le argille l’uso di campioni indisturbati di buona qualità. Può fornire buoni risultati per sabbie normalmente consolidate ma non per sabbie sovraconsolidate e/o cementate perché in tal caso risulterà impossibile la ricostruzione dei campioni. Secondo Lambe & Whitman si può stimare il cedimento con un livello di accuratezza piuttosto buono ma l’esempio da loro analizzato fa uso di 8 prove triassiali su sabbia di gradazione da media a fine, apparentemente non preconsolidata (K0 = 0.4), per valutare il cedimento al di sotto di un serbatoio circolare.

D’Appolonia et al., per una duna di sabbia sovraconsolidata, hanno utilizzato questo procedimento per 2 serie di fondazioni con 7 prove triassiali per ciascuna con il massimo e il minimo grado di sovraconsolidazione stimato per il sito; il risultato presenta una correlazione solamente discreta.

Poiché si iniziano le prove triassiali dalle condizioni K0 di consolidazione esistenti in situ, è evidente che lo sforzo Δq della prova triassiale risulta in perfetta corrispondenza con lo sforzo Δσ1 prodotto dal carico di fondazione alla stessa profondità.

Il metodo di Boussinesq è comunemente impiegato per stimare Δq. A meno che (in particolari situazioni) non ci si renda conto che il metodo dello stress pathfornisce stime dei cedimenti sostanzialmente migliori, il suo costo risulterà di gran lunga sproporzionato ai risultati a causa del grande numero di prove triassiali necessarie.

5.5.10 – Sforzi e cedimenti in terreni stratificati e anisotropi

Esistono molteplici soluzioni elastiche per casi speciali, relativi al calcolo di sforzi e spostamenti in suoli stratificati o anisotropi. Casi speciali sono a volte utili per ottenere un’indicazione della probabile entità dell’errore che deriva dall’adottare un modello di suolo ideale (omogeneo, isotropo etc.). In generale i casi speciali trattati riassumono un gran numero di diagrammi, abachi, tabelle etc. non trovando corrispondenza in situazioni reali, oppure il tempo necessario a realizzare interpolazioni da diagrammi e tabelle è superiore a quello che occorre per trovare in altro modo una soluzione al problema.

Una delle applicazioni più promettenti del metodo degli elementi finiti é la risoluzione di questo tipo di problemi. L’applicazione si rende con la seguente procedura:

–       1 – Modellare una ragionevole porzione (finita) del semispazio, facendo uso di un generatore automatico di dati per definire le coordinate x e y dei nodi, la numerazione dei nodi e le caratteristiche meccaniche del suolo nell’ambito di ciascun elemento. Il modello dovrebbe mettere a disposizione ~5 differenti strati di terreno (se si vuole impiegarne un numero inferiore è sufficiente attribuire le stesse proprietà al terreno appartenente a strati diversi).

–       2 – Risolvere il problema applicando un carico puntiforme a un nodo collocato sul piano di posa della fondazione e omogeneizzando”il terreno (trattandolo ,cioè, come se fosse costituito da un unico”materiale); le proprietà possono essere quelle di uno strato interno o quelle di uno strato prossimo alla superficie oppure dei valori medi, in dipendenza del fatto che si vogliano o meno valutare effetti di profondità.

–       3 – Risolvere nuovamente il problema con la medesima configurazione geometrica e di carico, ma con la corretta stratificazione del suolo.

–       4 – Si ottiene il valore dello sforzo, utilizzando i bulbi di pressione della soluzione di Boussinesq, nel punto desiderato al di sotto della fondazione (si mettono in conto in questo modo gli effetti legati alla forma della fondazione e alla natura tridimensionale del problema).

–       5 – Si ricava il valore dello sforzo, nello stesso punto indicato nel punto 4, per le soluzioni con carico puntiforme ottenute ai passi 2 e 3.

–       6 – Si calcola a qualunque profondità z lo sforzo dovuto alla presenza di stratificazione nel terreno con una proporzione, così da ottenere:

qfL = qb(q3/q2)

dove qb è il valore dello sforzo calcolato col metodo di Boussinesq alla profondità desiderata in un ammasso di terreno omogeneo, per una fondazione avente le stesse dimensioni, tenuto conto dei coefficienti correttivi applicabili per la profondità di posa etc., qfL lo sforzo dovuto alla fondazione alla medesima profondità in presenza di suolo stratificato mentre q3 e q2 rappresentano i valori dello sforzo, sempre alla profondità considerata, ottenuti col metodo degli elementi finiti rispettivamente per il caso stratificato (punto 3) e omogeneo (punto 2).

La qualità della soluzione ottenuta è almeno pari a quella dei parametri del terreno Es e μ utilizzati come dati d’ingresso nel metodo degli elementi finiti. Il procedimento presentato consente di ridursi alla soluzione di problemi bidimensionali per strati piani di sforzo o di deformazione, evitando la soluzione di un problema tridimensionale che necessita di una disponibilità di memoria molto maggiore per l’elaborazione. In modo analogo risulta possibile definire un procedimento per calcolare i cedimenti.

5.5.11 – Cedimenti di consolidazione

I cedimenti di terreni coesivi saturi a gradazione fine risulteranno dipendere dal tempo; pertanto viene comunemente impiegata la teoria della consolidazione, benché si possano usare (e a volte si usino) metodi di calcolo elastico. Per i cedimenti di consolidazione s’impiegano, solitamente, le relazioni teoriche relative; tuttavia viene anche utilizzata una forma alternativa scritta come:

ΔH = mv Δp H = ε H

Alcuni autori usano correntemente questa espressione per il calcolo di cedimenti di consolidazione, tanto per argille quanto per sabbie di gradazione da fine a media, poiché il modulo di compressibilità volumetrica mv  viene determinato con una prova di consolidazione e vale mv = 1/Es (dove Es è il modulo di elasticità longitudinale a espansione laterale impedita). Avendo però i campioni uno spessore dell’ordine di 20÷25 mm, la prova edometrica può dare risultati poco significativi e, per le sabbie, risulta preferibile impiegare prove penetrometriche (CPT o SPT) in quanto si possono ottenere a un costo relativamente basso un gran numero di valori a confronto con l’impegno richiesto da prove di consolidazione, anche se eseguite in condizioni di carico rapidamente variabile.

Nell’applicare la teoria della consolidazione al calcolo di cedimenti nell’argilla occorre innanzitutto:

–       a – Valutare se il terreno è normalmente consolidato o se ha subito preconsolidazione (cioè se il grado di sovraconsolidazione risulta OCR > 1);

–       b – Stimare l’indice dei vuoti e0 in situ e ottenere un numero sufficiente di indici di compressione da poter schematizzare adeguatamente lo strato (o gli strati) di argilla;

–       c – Stimare l’incremento medio di sforzo Δq nello strato di spessore H.

Mentre nel § relativo alla teoria della consolidazione è stato esaminato ciò che occorre valutare nel caso di strati sovraconsolidati e si sono forniti dettagli sul modo di ottenere e0 e gli indici di compressione, in questa sede s’intende affrontare principalmente l’applicazione della teoria a casi pratici.

L’indice dei vuoti in situ e0 si può solitamente determinare in modo ragionevole utilizzando il contenuto d’acqua naturale (in situwN e il peso specifico riferito all’acqua Gs e/o i dati volumetrici-gravimetrici ottenuti dal campione cilindrico di terreno impiegato per la prova di consolidazione.

È norma utilizzare i valori determinati a metà altezza dello strato che consolida; pertanto se il campione sottoposto a prova edometrica proviene da una diversa posizione si può calcolare l’indice dei vuoti a metà dello strato riordinando la relazione iniziale per ottenere:

e = e0 – Cc log [(p0+Δp0)/p0]

dove e0 è l’indice dei vuoti del campione di terreno a profondità zpo = γz la pressione geostatica efficace a profondità zΔp0 = γ‘(dz) l’incremento o decremento della pressione p0 valutato a partire da profondità zdz è la distanza (verticale) dalla profondità z di prelievo del campione di terreno alla quota corrispondente alla metà dello strato (può essere una grandezza positiva o negativa a seconda che il punto di prelievo stia rispettivamente al di sopra o al di sotto di tale quota).

Si può osservare come la relazione sia non lineare (e probabilmente neppure l’indice di compressione vari linearmente) cosicché non si devono adottare strati di spessore H eccessivo sui quali mediare a metà altezza i valori di Δqe0 e Cc.

L’incremento medio di pressione prodotto dal carico di fondazione nello strato di altezza H si può ottenere semplicemente mediando i valori alla sommità e al fondo dello strato stesso in base alla teoria di Boussinesq per spessori H fino a 1 m. Per spessori maggiori si deve ricorrere a tecniche di integrazione numerica. La regola dei trapezi (insieme ad altri metodi d’integrazione numerica) si presta allo scopo quando si adotta un incremento di profondità (o, più in generale, di lunghezza) Δh costante, con valori estremi p1 e pn e punti interni equispaziati di Δh. Ciò fornisce l’area A di un profilo di pressione come:

da cui l’incremento medio di pressione Δp vale:

Risulta poi necessario calcolare anche p0 a metà altezza dello strato. Dove lo strato (o gli strati) abbiano spessore > 2 m, si deve considerare l’esigenza di ricavare più valori di Cc e e0, di modo che lo strato possa venire suddiviso in straterelli di spessore H, e il cedimento totale calcolato con la relazione:

Questo può dare luogo ad una gran quantità di calcoli, motivo per cui può essere utile programmare questi passi in modo da rendere il lavoro semiautomatico.

Si può porre in discussione la validità di applicare il metodo di Boussinesq quando il caso reale presenti uno o più strati di terreno argilloso caratterizzati da valori di Cc diversi oppure strati di terreno soggetti a cedimenti immediati sovrastanti uno o più strati di terreno argilloso che consolidano. Benché il metodo non si riveli esatto, a meno che non si abbiano significative differenze (ossia per un fattore di 5 e oltre) dei moduli elastici dei due materiali, calcoli più raffinati migliorano in modo solo molto marginale i valori calcolati degli sforzi.

5.5.12 – Affidabilità dei calcoli

I cedimenti risultano generalmente costituiti dai contributi dovuti a fenomeni immediati, alla consolidazione e alla compressione secondaria (o viscosità) ai sensi dell’espressione:

ΔH = ΔHi + ΔHc + ΔHs

In terreni non coesivi e nelle argille non sature è prevalente il contributo del cedimento immediato, eventualmente accompagnato da una piccola componente viscosa ΔHs. Cedimenti di consolidazione prevalgono invece nei suoli coesivi saturi, eccettuati i terreni molto organici, nei quali può essere prevalente il termine viscoso. L’affidabilità della stima dei cedimenti immediati può variare entro margini ampi ma, come mostra la Tab. 5.17, è possibile con alcune precauzioni fornire valori del cedimento ΔHi piuttosto soddisfacenti.

La teoria della consolidazione tende a stimare con accuratezza l’entità del cedimento ΔHc ponendo cura nel ricavare i parametri rappresentativi del suolo. Nella maggior parte dei casi la previsione del cedimento risulta a favore  della sicurezza (ossia lo si sovrastima), ma entro limiti accettabili. Le previsioni risultano migliori per argille inorganiche a bassa sensitività che per altri tipi di terreno. La stima richiede molta attenzione se il diagramma e-logp presenta ovunque un andamento curvo o se l’argilla possiede elevata sensitività. Molta attenzione è altresì necessaria nel caso di argilla altamente organica in quanto il contributo viscoso (dovuto a compressione secondaria) risulta essenziale.

La durata dei cedimenti di consolidazione (cioè la velocità con la quale il fenomeno si sviluppa) non viene, viceversa, stimata in modo soddisfacente; la ragione risiede nel fatto che il coefficiente di permeabilità costituisce un fattore significativo. In laboratorio, inoltre, un campione sottile sottoposto a compressione di qualsiasi entità subisce una grande variazione dell’indice dei vuoti al confronto con quanto avviene in situ. Poiché il coefficiente di consolidazione Cc risulta funzione dell’indice dei vuoti e0 esso viene stimato in modo insoddisfacente attraverso prove di laboratorio; l’effetto si presenta quando si confrontano i valori di velocità di cedimento previsti con quelli misurati in situ.

5.5.13 – Strutture su terreni di riporto

È spesso conveniente, e a volte necessario, costruire strutture o parti di strutture in zone costituite da terreno riportato. Queste possono essere discariche di rifiuti, depositi di macerie provenienti da edifici abbattuti oppure riporti costruiti secondo criteri urbanistici. Nel caso di discariche e depositi di macerie è dubbio che una struttura possa venire costruita sopra un materiale di questo genere senza subire cedimenti pregiudizievoli (della sua integrità e/o funzionalità) a meno che il riporto abbia avuto tempo sufficiente a decomporsi e a consolidare completamente. Per la maggior parte delle fondazioni su tali riporti i carichi devono essere trasmessi attraverso lo strato di riporto facendo uso di pali infissi o trivellati di materiale esente da corrosione (solitamente si utilizzano calcestruzzo o legno trattato).

Un rinterro ben costruito, facendo uso del controllo di qualità relativo sia al materiale che al costipamento, produce spesso una base su cui porre le fondazioni migliori del terreno originale sottostante. Molti tecnici, tuttavia, si sono dimostrati riluttanti a porre fondazioni su riporti (o all’interno di strati di riporto) per 2 motivi:

–       a – Ottenimento di risultati spiacevoli conseguenti all’avere collocato le fondazioni su riporti mal costruiti. In assenza di controllo di qualità, infatti, non è raro ottenere dei rinterri costituiti da una crosta dura sovrastante uno strato di qualche metro di materiale di riporto sciolto, come conseguenza dall’aver praticato il costipamento solo sull’ultimo livello di riporto o dall’aver costruito un livello troppo spesso per poterlo costipare con l’attrezzatura disponibile.

–       b – Ottenimento di risultati spiacevoli conseguenti all’avere posto le fondazioni sul riporto non a causa del cedimento del medesimo ma di quello del terreno sottostante, prodotto dal peso del riporto e da quello della struttura.

Per i rinterri vi sono da prendere delle precauzioni, oltre ad applicare il controllo del costipamento, come l’eliminazione dei materiali a elevata compressibilità, la disposizione di drenaggi adeguati e la garanzia di aver tenuto conto dei cedimenti di consolidazione se la struttura deve essere realizzata a poco tempo di distanza dalla conclusione dei lavori di costruzione del riporto.

Durante il fenomeno della consolidazione la struttura e il riporto cedono proprio a causa del peso del riporto stesso e ciò si verifica sia che le fondazioni vengano poste sul terreno naturale sia che vengano poste sullo strato riportato. Eccessivi cedimenti differenziali possono essere prodotti da fenomeni di consolidazione degli strati soffici sottostanti se il riporto presenta spessore variabile in misura considerevole o se parte della struttura viene costruita su terreno originale e parte su terreno di riporto. Un rinterro mal costruito continua nel tempo a subire cedimenti e non vi esistono teorie applicabili per valutare la durata del cedimento o la quantità di tempo necessaria a far sì che il fenomeno cessi.

La determinazione della capacità portante (e dei cedimenti) procede come per il caso del terreno vergine. Se il riporto è stato posto in opera prima che venga iniziata la fase,di indagine esplorativa del sito, si applicano gli usuali metodi di indagine presentati (prove penetrometriche standard e prove sul materiale campionato). Qualora invece l’indagine esplorativa in situ sia già stata realizzata la capacità portante del riporto può essere determinata sulla base di prove di laboratorio su campioni costipati fino alla densità proposta per il riporto. I valori dedotti da regolamenti edilizi accoppiati ad esperienze di successo su suoli caratterizzati da proprietà e densità simili possono essere utilizzati come linee guida.

5.5.14 – Tolleranze strutturali a cedimenti e cedimenti differenziali

Valori teorici dei cedimenti si possono calcolare per vari punti come lo spigolo e il centro di una fondazione oppure al di sotto della fondazione più caricata e di quella meno caricata per ottenere il cedimento totale e quello differenziale tra punti vicini.

Se l’intera struttura cede in direzione verticale di una certa quantità oppure subisce una rotazione come un corpo rigido piano ciò non deve, in generale, produrre pericoli strutturali o danni architettonici. Ad es. se una struttura cede di 20 mm da un lato e di 100 mm dall’altro, con una variazione lineare del cedimento fra i 2 punti, fatta eccezione per considerazioni estetiche e di pubblica sicurezza, è improbabile che si sviluppino danni alla struttura. L’edificio risulta avere ceduto di 20 mm e avere subito una rotazione di valore ζ = (100-20)/L.

Sono i cedimenti localizzati che si sovrappongono alla rotazione rigida della struttura a produrre danni all’edificio. Questi cedimenti localizzati, sovrapposti al cedimento uniforme e/o alla rotazione rigida sono i cedimenti differenziali che il progettista delle fondazioni deve controllare, poiché essi determineranno l’accettabilità o meno della struttura. Il cedimento totale (ossia della struttura intesa come corpo rigido), parte del quale si verifica durante la fase di costruzione, può essere mascherato adattando opportunamente l’ambiente circostante l’edificio, a costruzione finita o anche in un secondo tempo, mentre crepe nei muri o distorsioni della copertura sono molto più difficili da occultare.

Il cedimento differenziale può essere calcolato come differenza fra cedimenti di 2 punti vicini. Indicativamente può essere stimato pari a 3/4 del massimo cedimento totale calcolato; pertanto, se il massimo cedimento complessivo risulta pari a 40 mm, ci si può attendere un cedimento differenziale Δh = 3/4(40) = 30 mm.

MacDonaId & Skempton hanno condotto uno studio su 98 edifici, per lo più costruiti col vecchio schema a muratura portante ma anche in acciaio e in cemento armato, per fornire i dati della Tab. 5.19. Questo studio è stato confermato dai risultati di Grant et al. che hanno preso in esame altri 95 edifici di più recente costruzione. Feld, infine, riporta un numero piuttosto elevato di strutture particolari fornendo informazioni sull’entità dei cedimenti e la risposta strutturale che possono risultare d’interesse nel considerare uno specifico problema.

Tab. 5.19 – Cedimenti differenziali tollerabili da edifici (mm) e fra parentesi valori massimali raccomandabili.

Tab. 5.20 – Inclinazioni differenziali ammissibili in base alla normativa russa per edifici costruiti su terreni gelati e non.

Combinando tutte queste fonti è stato possibile concludere che:

1 – I valori riportati in Tab. 5.19 devono essere adeguati per la maggior parte delle occasioni. I valori fra parentesi costituiscono valori di progetto consigliati; gli altri rappresentano degli intervalli di valori dei cedimenti trovati sulla base di prestazioni strutturali soddisfacenti;

2 – Per poter stabilire quale sia una inclinazione accettabile sii deve guardare attentamente la differenza fra cedimenti di punti vicini;

3 –  Gli sforzi residui presenti in una struttura possono essere importanti, in quanto si è osservato che esiste uno scarto, per edifici simili, fra i valori dei cedimenti differenziali tollerabili;

4 – Una costruzione realizzata in acciaio, che è un materiale più duttile, può sopportare cedimenti maggiori che una realizzata in cemento armato o a muratura portante;

5 – L’intervallo di tempo durante il quale si sviluppa il cedimento va tenuto in conto: lunghi intervalli di tempo consentono alla struttura di adattarsi e di resistere meglio a cedimenti differenziali.

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