3 – Strade ferrate

3.1 – Definizioni

La strada ferrata (ferrovia) è la struttura, opportunamente dimensionata, poggiante sul terreno per mezzo di particolari opere (rilevati, opere d’arte, strutture meccaniche etc.), costituite da due rotaie sostenute da traverse per ciascuna via di corsa, aventi la funzione di sostegno e di guida dei veicoli che su essa transitano.

Gli elementi essenziali costituenti la sede ferroviaria sono le rotaie, gli appoggi (che, insieme alle prime, costituiscono l’armamento), la massicciata, il sottoballast, l’eventuale scudatura e la piattaforma.

3.2 – Terminologia

Rotaie

Sono costituite da acciaio ternario (Fe-Mn-C) o quaternario (Fe-Mn-C-Cu): queste ultime, data l’elevata resistenza all’ossidazione e la maggior aderenza, si preferiscono in galleria dove normalmente persistono condizioni di umidità.

L’acciaio delle rotaie è caratterizzato innanzitutto da:

– coefficiente di qualità: (o di Tetmajer) viene dato dal rapporto del carico a rottura (kg/mm2) sull’allungamento %; il coefficiente non deve risultare < 900.

– peso per metro di lunghezza: essendo le rotaie più usate i tipi 50 e 60 F.S. che pesano, rispettivamente 49.850 kg/m e 59.548 kg/m.

Le rotaie presentano lunghezze di 18 m, 36 m (tipo 50 F.S.) e 48 m (tipo 60 F.S.); la sezione ormai unicamente utilizzata, è quella a suola o Vignole (Fig. 3.1). Tale configurazione, con la massa addensata alle estremità fornisce, a parità di sezione, un modulo di resistenza più elevato.

Fig. 3.1 – Sezione di rotaia Vignole con indicati i piani di staccatura e l’asse neutro xx.

Le rotaie poggiano sulle traverse per mezzo di piastre di fondo (al fine di allargarne l’appoggio) con l’asse inclinato di 1/20 verso l’interno (Fig. 3.2).

Fig. 3.2 – Sezione di un giunto di rotaia (attacchi indiretti).

Le piastre, a propria volta, vengono ancorate alle traversine con mezzi diversi; l’intero sistema, comunque, deve impedire qualsiasi scorrimento della rotaia.

II periodo di tempo durante il quale una rotaia può rimanere in opera dipende da vari fattori fra cui:

–       qualità dell’acciaio;

–       dimensioni della rotaia;

–       intensità del traffico;

–       velocità dei convogli;

–       natura del tracciato,

–       condizioni ambientali.

In galleria, di norma, si rivela necessario provvedere al ricambio ogni 8÷10 anni a motivo dell’elevato grado di umidità mentre all’aperto si provvede ogni 45÷50 anni (se non incorrono deformazioni).

Appoggi

Con questo termine vengono chiamati gli elementi (traverse) posti trasversalmente alle rotaie con funzione di distribuzione dei carichi sul ballast.

Possono essere costituite da diversi tipi di materiale (legno, cemento armato, cemento e amianto, etc.); in Italia vengono prevalentemente usate le traverse in legno di rovere o faggio (Fig. 3.3), trattate con creosoto o cloruro di Zinco, di lunghezza pari a 2.6 m.

Fig. 3.3 – Traverse in legno.

La durata di una traversa in legno trattato può superare i 15 anni; le traverse in cemento armato o in cemento armato precompresso sono lunghe 2.3 m, rendendo quindi possibile una minor larghezza della massicciata in confronto a quella usuale per le traverse in legno.

Ballast

Il ballast costituisce la massicciata ferroviaria: si dispone sopra la piattaforma ed è costituito da pietrisco che deve presentare ottimo coefficiente di qualità (Deval entro 10÷12), elevato attrito interno (φ = 45°) e pezzatura regolare. Le dimensioni variano entro 30÷60 mm con un minimo di tolleranza.

Alla massicciata si attribuisce la funzione di ripartire i carichi sulla piattaforma e di far filtrare le acque consentendo così la correzione d’imperfezioni di posa o di spostamenti di binario; per tali ragioni si è preferito che la struttura interposta tra binario e piattaforma fosse costituita da materiale incoerente.

Il ballast viene applicato in 2 momenti:

– sul primo, posto direttamente sulla piattaforma (o sul sottoballast) si sistemano i sostegni (traverse);

– il secondo si pone fra i sostegni ed eventualmente, anche sopra, in modo da coprirli parzialmente;

Lo spessore della massicciata (senza sottoballast) varia entro 50÷70 cm.

Sottoballast

Specifici controlli sperimentali hanno evidenziato come i vari livelli di velocità di marcia dei convogli sollecitino con modalità diverse il binario, soprattutto per effetto delle vibrazioni (lunghezze d’onda, accelerazioni) prodotte da difetti d’appoggio del binario stesso.

La trasformazione dell’energia di vibrazione in lavoro di deformazione determina scorrimenti reciproci fra i granuli della piattaforma che possono portare a nuove configurazioni di equilibrio anche prossime alle condizioni limite.

Di conseguenza, per il raggiungimento di velocità sempre più elevate, si è introdotto un nuovo elemento strutturale (sottoballast) idoneo a mantenere inalterata la geometria del binario in relazione alle elevate velocità previste tenendo presente che le accelerazioni delle traverse aumentano con il quadrato della velocità. In particolare tale strato deve garantire una miglior distribuzione delle sollecitazioni statiche e dinamiche nel sottofondo, adattarsi, senza fessurarsi, ad eventuali assestamenti del piano di posa, resistere alle sollecitazioni a fatica ed ai cicli di gelo-disgelo, impedire la contaminazione tra massicciata e terreno e fornire un permanente e regolare piano di scolamento.

Lo strato di sottoballast può essere realizzato in misto cementato (inerti a basso dosaggio di cemento) il cui basso modulo elastico consente una buona deformabilità, oppure in misto bitumato (conglomerato bituminoso). Un ulteriore vantaggio dell’inserimento di un sottoballast in misto cementato è costituito dall’eliminazione di brusche variazioni in rigidezza della piattaforma in corrispondenza dei passaggi a livello, dei passaggi fra rilevati e trincee e fra rilevati e ponti e viadotti. In Fig. 3.4 sono raffigurate delle sezioni tipiche per una linea ferroviaria ad alta velocità costituite da:

Fig. 3.4 – 1) ballast basaltico; 2) ballast bitumato; 3) sottostrato; 4) corpo del rilevato; 5) terreno in situ5’) strato trattato a calce; 5”) strato anticapillare.

 – ballast (in pietrisco basaltico accuratamente selezionato, granulometria entro 3÷6 cm, costipato meccanicamente);

– sottoballast (realizzato in misto bitumato o misto cementato impermeabilizzato superficialmente con emulsione bituminosa);

– sottostrato (terre dei gruppi A1A2-4A2-6LL ≤ 35 Ds 95% A.A.S.H.O. Mod.);

– corpo del rilevato;

– terreno in situ (compattato al 95% A.A.S.H.O. Mod.);

– strato trattato a calce (per terre tipo A6 – A7-5 – A7-6 con I.G. ≥ 12);

– strato anticapillare (trattenuto al setaccio 1 UNI 2332.

Scudatura

Quando le caratteristiche dei terreni sono tali da far supporre una diminuzione delle capacità portanti della piattaforma a seguito d‘infiltrazione di acque superficiali si provvede ad una scudatura della piattaforma medesima. L’applicazione, generalmente, si effettua scavando un cassonetto largo quanto la massicciata (di profondità variabile entro 20÷30 cm) successivamente riempito con sabbia, ciottoli e ghiaia oppure con strati di terreno stabilizzato a calce o a cemento unito ad un cunicolo centrale di drenaggio che, ad intervalli regolari, scarica le acque in tombini.

Piattaforma

Si definisce piattaforma il terreno su cui si stende il ballast, dotato di qualità idonea a sopportare i carichi transitanti sulle rotaie senza sensibili deformazioni.

La larghezza della piattaforma dipende da:

–       numero dei binari da sistemare;

–       scartamento dei binari;

–       sagoma d’ingombro dei veicoli;

–       spessore della massicciata;

–       esistenza di eventuali servizi accessori (passaggi pedonali, cunette di scolo, condutture varie, dispositivi di manovra e di segnalazione).

La dimensione inter-rotaie fissata per le ferrovie italiane è pari a 1435 mm per lo scartamento ordinario utilizzato in quasi tutte le ferrovie europee. Esiste anche uno scartamento ridotto (950 mm per le FS) adottato solo per basse velocità di esercizio e traffico limitato.

3.2 – Andamento planimetrico ed altimetrico delle strade ferrate

Come si può facilmente intuire, lo scorrimento obbligato su binari e la meccanica dei veicoli ferroviari pone problemi diversi da quelli riguardanti la circolazione su strade ordinarie.

I veicoli ferroviari presentano le ruote di un medesimo asse rigidamente collegate fra loro (l’unione delle due ruote e dell’asse prende il nome di sala montata) ossia non esiste differenziale (organo meccanico che consente ai veicoli circolanti su strada ordinaria di avere le ruote dello stesso asse indipendenti, per cui la ruota esterna in curva percorre uno spazio maggiore di quella interna senza strisciamenti).

In curva, di conseguenza, la rotaia esterna risulta più lunga di quella interna per cui, ad evitare strisciamenti, è necessario che le due ruote di una medesima sala (vincolate a compiere lo stesso numero di giri) si muovano su cerchi di rotolamento differenti. L’effetto si ottiene a mezzo della conicità dei cerchioni, accorgimento che assolve la funzione di differenziale: infatti, è sufficiente che la sala montata dalla posizione centrale si sposti verso il lato esterno della curva perché la ruota esterna giri su un cerchio di rotolamento di raggio maggiore e quella interna su un cerchio di raggio minore (Fig. 3.5).

Fig. 3.5 – Raggio di curvatura ed intervalli di spostamento.

Il raggio di curvatura, misurato in corrispondenza della rotaia interna, si può calcolare secondo la:

R ≥ d (r0 – Δtgγ)/2 Δtgγ

dove γ è l’angolo d’inclinazione dei cerchioni, d la distanza tra la mezzeria dei 2 cerchioni di una sala, Δ lo spostamento trasversale che può subire la sala all’interno del binario, r0 raggio relativo al cerchio di rotolamento (→ raggio della ruota).

Ponendo Δ = 15 mm, tgγ = 0.05, d = 1.5 m, e r0 = 0.9 m si ottiene R ≥ 900 m.

Tale valore minimo è di gran lunga maggiore di quello che si riscontra nelle strade ordinarie sebbene, in realtà, il valore di R sopra calcolato risulti puramente indicativo.

Altro limite al raggio di curvatura deriva dalla condizione d’inscrivibilità al raggio di curvatura dei veicoli più ingombranti aventi un certo numero di sale montate accoppiate e, di conseguenza, un notevole passo rigido. Senza entrare nel dettaglio (Fig. 3.6) si ha:

Rmin = p12/

dove p1 = p + r → p = interasse tra le sale; r è il raggio delle ruote ed A lo spostamento trasversale che può subire la sala all’interno del binario;

Fig. 3.6 – Iscrizione in curva di 3 sale montate di una motrice ferroviaria: raggio minimo relativo.

II raggio minimo di curvatura (m) è funzione anche della velocità massima (espressa in Km/h) secondo la relazione :

Rmin = 0.0415 V2max

Quanto esposto rende ragione del fatto che un tracciato ferroviario è caratterizzato da un’insieme di tratti rettilinei raccordati da curve ad ampio raggio.

Per quanto attiene alla pendenza massima di un tracciato ferroviario questa, dipendendo direttamente dall’aderenza ruota-rotaia che risulta molto più bassa per le strade ferrate (fa ≈ 0.2) rispetto a quella delle strade ordinarie (mediamente fa ≈ 0.35 e fa ≈ 0.55 rispettivamente per pavimentazioni bagnate e asciutte), è sempre molto limitata. (è da rammentare che il fattore di aderenza, oltre a dipendere dalle superfici a contatto e, quindi, anche dalla presenza di acqua, è funzione anche della velocità del mezzo).

3.3 – Problemi geologici generali

I vincoli di un progetto per la costruzione di una strada ferrata sono pressoché i medesimi di quelli previsti per le grandi autostrade; le differenze consistono nel minor ingombro della sede ferroviaria, nella minor pendenza del sistema e nel fatto che non possono essere tollerate lungo la strada ferrata le minime irregolarità della sede d’appoggio, né tanto meno l’instaurarsi di fenomeni di alluvionamento, frane o cadute massi. Tali evenienze, data la velocità, la struttura del convoglio e il particolare servizio svolto, possono risolversi in gravose interruzioni del traffico come anche in gravi disastri.

Di conseguenza i problemi geologici sono identici a quelli già trattati in precedenza, salvo sottolineare la necessità di un approfondimento accurato delle condizioni di stabilità del pendio e, in particolare, della situazione geologico-strutturale in asse ai tratti in galleria, i quali, a motivo dei sopra citati vincoli di progetto, possono, specie in territori montuosi, rappresentare una percentuale non indifferente dello sviluppo totale del tracciato.

Una cura particolare dal punto di vista geologico deve essere posta nella scelta degli affioramenti destinati a fornire il materiale per il ballast cioè per il supporto a contatto diretto con le traverse. Tale supporto, infatti, deve essere dotato di una certa elasticità per assorbire senza danno (ossia senza deformazioni permanenti) le sollecitazioni periodiche indotte dal passaggio del convoglio; inoltre esso deve possedere alta capacità drenante in modo da favorire il rapido smaltimento delle acque.

Diviene pertanto indispensabile il ricorso a rocce atte a fornire frammenti angolosi, di peso specifico, compattezza e tenacità elevate, e che siano inoltre resistenti all’attrito e al gelo oltre che privi di potere autocementante.

E’ possibile ritrovare tali requisiti in varie rocce ignee intrusive (graniti, sieniti e dioriti non alterati), effusive a tessitura non bollosa o vacuolare o scoriacea (porfidi quarziferi, diabasi, basalti, leuciti, tefriti) e sedimentarie (calcari, dolomie, arenarie quarzose).

3.4 – Calcolo dell’armamento ferroviario

La rotaia viene considerata come una trave a sezione costante, poggiata su vincoli cedevoli (traverse) e sollecitata da forze normali e parallele all’asse geometrico.

Le forze normali all’asse sono costituite essenzialmente dai carichi trasmessi dagli assali, dalle reazioni delle traverse o traversine, nonché da quelle forze provocate dai moti di serpeggiamento e dalle oscillazioni trasversali del materiale rotabile.

Le forze parallele all’asse sono determinate dallo sforzo di trazione ai cerchioni, dalla frenatura, dalle variazioni termiche.

Le forze agiscono su un piano che non contiene ne uno degli assi principali d’inerzia della sezione trasversale, ne l’asse geometrico della rotaia e danno luogo a sforzo assiale, flessione deviata, taglio e torsione.

In realtà molte di queste sollecitazioni sono trascurabili rispetto alle altre. Così la torsione è piccolissima per la ridotta altezza della rotaia, la compressione è trascurabile per la presenza dei giunti, il taglio per la relativamente grande sezione, e tutte insieme queste sollecitazioni sono trascurabili rispetto a quella di flessione, dovuta al peso ed alle azioni orizzontali.

Generalmente, quindi, la rotaia si dovrebbe considerare come una trave soggetta a flessione deviata, ma tenuto conto del fatto che le forze orizzontali sono molto più piccole di quelle verticali, il calcolo delle sollecitazioni si può eseguire considerando la rotaia come una trave soggetta a carichi normali al suo asse, che danno luogo a flessione retta e taglio.

I metodi usati per il calcolo della rotaia sono diversi; si riporta, di seguito, quello più noto (metodo Zimmermann) che tiene conto dei cedimenti delle traverse sulla massicciata e, per conseguenza, dell’asse della rotaia supponendo che gli abbassamenti degli appoggi siano proporzionali alle pressioni agenti.

Se quindi si chiama con R la reazione di un appoggio, con y l’abbassamento, con b la larghezza della traversa e con l la sua semilunghezza, in base a questa ipotesi dovrà risultare:

R/bl = ky

senza tener conto della deformazione della traversa.

k, le cui dimensioni sono kg cm-3 si chiama coefficiente di piattaforma, ed il suo valore varia con il tipo di massicciata e con la natura del sottofondo; è più basso per i terreni cattivi (~ 5), mentre raggiunge il valore di 25 per massicciate di pietrisco su terreni rocciosi o compatti.

Zimmermann ha considerato 3 casi di sollecitazione con 2, 4 e 3 campate, con carichi posti sugli appoggi (1° e 2° caso) oppure nella mezzeria di una campata (3° caso), sempre nella ipotesi fondamentale di vincoli e traverse deformabili.

 caso – si presume la trave continua a 2 sole campate uguali (lunghezza a) con un solo carico G concentrato sull’appoggio centrale (Fig. 3.7). Il momento massimo si rileva sull’appoggio centrale dove risulta:

Mmax = y G a/(3y + 2)

in cui si è posto:

y = B/D = 6 ERIR/a3 : kblt/ηζ

y si dice caratteristica elastica del binario e si definisce come rapporto fra B (modulo di rigidità della rotaiaER modulo di elasticità, IR momento d’inerzia della rotaia) e D (modulo di cedevolezza della traversa).

Fig. 3.7 – Ipotesi di Zimmermann del 1° caso.

Il modulo di cedevolezza della traversa si ricava conoscendo k, coefficiente di piattaforma, b larghezza della traversa, lt lunghezza caratteristica della traversa, dove:

lt = 44 ETIT/kb

(ET ed IT sono rispettivamente modulo di elasticità e momento d’inerzia della traversa).

Indicando quindi l semilunghezza della traversa, r distanza dei carichi dalla mezzeria della traversa (nel caso di linea a scartamento ordinario r ≈ 75 cm);

ηζ si ricava conoscendo ζ = r/lt e λ = l/lt

Per i valori più in uso, nella Tab. 3.1 si è riportato ηζ in funzione di ζ e di λ.

Tab. 3.1 – Valori di ηζ in funzione di ζ e di λ.

II° caso – si presume che la rotaia sia una trave continua a 4 campate con i carichi G in corrispondenza del 2° e del 4° appoggio (Fig. 3.8).

Fig. 3.8 – Ipotesi di Zimmermann del 2° caso.

Il momento massimo flettente risulta:

Mmax = y G a/(8y + 1)

III° caso – si ammette che la trave sia formata da 3 campate, di cui l’intermedia sia sollecitata in mezzeria dal carico G (Fig. 3.9). Risulta:

Mmax = (8y + 7)G a/4(4y +10)

II terzo caso conduce ai valori più elevati di sollecitazione, per cui normalmente è quello applicato.

Fig. 3.9 – Ipotesi di Zimmermann del 3° caso.

3.5 – Stabilità dinamica del binario

Molto importanti, per i risultati cui pervengono, sono le indagini teoriche sulla stabilità dinamica dei binari, il cui scopo principale è di valutare il coefficiente di maggiorazione dinamica e la determinazione della velocità critica; questa si definisce come la velocità alla quale corrispondono valori teoricamente infiniti della deformazione, oppure per la quale si stabiliscono condizioni di risonanza in rapporto agli effetti periodici connessi al progredire del carico.

Secondo Timoshenko si ha:

vcr = 44Eiβ/μ2

dove μ è la massa unitaria della rotaia, E il modulo di Young, I il momento di inerzia della rotaia rispetto all’asse baricentrico orizzontale e β la reazione elastica del ballast per cedimento unitario e per lunghezza unitaria della rotaia.

Nei casi ordinar! si trova, in base a tale formula, una velocità critica molto elevata (1500-2000 km/h), certamente superiore ai valori critici che si è soliti considerare in termini operativi.

Krall, riprendendo l’argomento ma considerando un carico dotato di massa, ricava un valore critico della velocità che non supera i 200 km/h mentre, partendo dall’ipotesi di un carico semimolleggiato in moto uniforme, si ottiene un valore critico di velocità superiore a quello di Krall ma molto più basso di quello indicato dal Timoshenko.

Sandonnini perviene a risultati più generali studiando le condizioni di instabilità della rotaia soggetta ad un carico semimolleggiato in moto uniforme, cui siano connessi un effetto pulsante ed una spinta assiale costante; nel caso particolare di carico totalmente molleggiato e spinta assiale nulla, chiamata p la pulsazione della vibrazione libera e con i simboli di cui sopra, si ottiene l’espressione:

vcr = 44Ei (β – μp2)/μ2

Tale valore di velocità critica, come è facile notare, risulta molto vicino a quello corrispondente all’instabilità dinamica del binario percorso da un carico privo d’inerzia; per p = 0 si ritrova l’espressione del Timoshenko.

In funzione dell’aumento della velocità dei convogli ferroviari (TAV) è risultato opportuno estendere la ricerca ad altre ipotesi di carico e di vincolo più vicine alle reali condizioni in cui viene sollecitato l’armamento ferroviario.

Si può ammettere che la risposta del supporto ai carichi dinamici sia costituita da una forza elastica proporzionale allo spostamento e da una forza di tipo viscoso proporzionale alla velocità di spostamento.

Assumendo un carico mobile di intensità e velocità costante, nell’ipotesi di stazionarietà del moto, la equazione differenziale che regge il fenomeno si può scrivere, nei noti simboli e chiamando K1 la costante di viscosità, nella forma:

L’integrale generale, in termini reali, si traduce nella relazione:

nella quale a e b sono rispettivamente la parte reale ed il coefficiente dell’immaginario delle radici complesse dell’equazione caratteristica:

Per valori di K1 ≠ 0 la quantità a non risulta mai nulla per qualsiasi valore della velocità. Non si hanno cioè valori critici e pertanto si deve concludere che la presenza nel terreno di una reazione con componente viscosa impedisce che si destino onde di ampiezza infinitamente grande nelle condizioni previste dal problema.

3.6 – L’applicazione del metodo di Zimmermann

Nell’applicazione del metodo di Zimmermann si è ritenuto che la pressione esercitata in un punto del suolo sia direttamente proporzionale all’abbassamento nel punto stesso, scelta che corrisponde a schematizzare il terreno come un insieme di prismi elastici (o di molle) deformabili l’uno indipendentemente dall’altro. Tale ipotesi porta a considerare l’equazione della linea elastica della trave:

Nelle espressioni q è il carico per unità di lunghezza della trave di larghezza b.

È possibile tener conto della resistenza tangenziale del terreno considerando un’azione mutua tra due prismi affiancati di terreno direttamente proporzionale alla differenza di abbassamento dei prismi stessi.

Il prisma centrale (ordinata y2) è soggetto oltre che alla pressione direttamente proporzionale a y2, (p = ky), a 2 forze, l’una diretta verso l’alto uguale a k1(y1 – y2) e l’altra, diretta verso il basso, k1(y2 – y3), dove k1 è il coefficiente di proporzionalità tra sforzi di taglio e deformazioni nel terreno.

Essendo (Fig. 3.10):

si ha che la forza applicata al prisma centrale è k1y” dx2, e quindi:

Fig. 3.10 – Modello a prismi elastici di Zimmermann.

3.7 – Stabilità trasversale della rotaia

Talvolta si verifica, limitatamente a brevi tratti, che il binario perda la propria configurazione normale per assumerne una, deformata rispetto alla precedente, per instabilità del suo equilibrio elastico.

Questa circostanza può essere determinata da vari fattori legati ad azioni orizzontali trasmesse dai convogli alle rotaie, da cause riguardanti cedimenti differenziali del piano di appoggio in concomitanza ad un salto termico consistente che fa sì che la rotaia risulti compressa assialmente e prossima allo stato di equilibrio indifferente.

Da questo momento in poi, a causa delle azioni trasmesse alla rotaia nel piano orizzontale, la deformazione si accentua e si incrementa finché le resistenze che si oppongono consentono un nuovo stato di equilibrio nella configurazione di binario disallineato.

Il problema della instabilità trasversale si pone con maggiore gravità nelle lunghe rotaie saldate, ragione per cui le amministrazioni ferroviarie di tutto il mondo, per consentire ai convogli le velocità elevate per cui sono stati predisposti, cercando, altresì, di allontanare il pericolo del dissesto, si sono orientate verso l’approfondimento di tali fenomeni, adottando nel frattempo particolari accorgimenti costruttivi suggeriti dalle prime indagini svolte in questo campo (rafforzamento della struttura di appoggio del sistema binario-traversa, impiego di traverse pesanti, irrobustimento degli attacchi rotaia-traversa e talvolta la controventatura delle rotaie).

Si è riscontrato, infatti, che i fenomeni d’instabilità si esaltano in presenza di difetti del binario e della piattaforma; e, ancora, s’è osservata una modificazione più o meno accentuata del manifestarsi del fenomeno in relazione alla particolare configurazione del binario stesso (in curva, in orizzontale oppure in corrispondenza di dossi).

L’impostazione generale del problema relativo all’instabilità dell’equilibrio del binario, nella sua formulazione classica, è fornita dalla teoria euleriana (problema del carico di punta); i valori di carico critico così ottenuti risultano tuttavia molto bassi in quanto si trascura, tra l’altro, l’effetto della resistenza offerta dal mezzo in cui il binario si trova quasi immerso.

Si è fatto ricorso, allora, ad altri metodi, basati, ad es., sull’equivalenza del lavoro delle forze esterne con il potenziale elastico del sistema (metodo energetico) oppure considerando la condizione di equilibrio di un elemento di rotaia ponendo in conto tutte le azioni cui esso è sottoposto (sforzi assiali risultanti da dilatazione impedita, coppia di incastro agli attacchi, resistenza trasversale del ballast, influenza delle azioni dinamiche dei carichi, etc.).

L’applicazione del metodo energetico, in ogni caso, richiede venga fissata la forma della linea elastica, la quale può essere ipotizzata a partire dalle osservazioni fatte su binari in cui si è verificato il disallineamento; i risultati, tuttavia, risultano tanto meno approssimati quanto più la deformata teorica si discosta da quella effettiva.

Da diversi autori il binario viene considerato, da un punto di vista strutturale, come una trave continua su appoggi discreti attraverso i quali si esercita la reazione orizzontale del ballast, mentre altri ricercatori, ammettendo con una certa d’approssimazione, la continuità della reazione offerta dal ballast, assimilano il sistema rotaie-traverse ad una trave (Vierendel) a nodi cedevoli oppure ad una trave reticolare piatta.

In particolare, applicando il metodo energetico e nelle seguenti ipotesi:

–       che la resistenza ra allo spostamento longitudinale (per unità di lunghezza) sia costante;

–       che la resistenza allo spostamento trasversale risulti variabile secondo la legge di Winkler (che considera la rotaia come una trave infinita sostenuta da appoggi isolati, non cedevoli e con una serie di carichi G uguali disposti in modo che in un intervallo tra 2 traverse non se ne trovi più d’uno;

–       che la deformazione della rotaia avvenga secondo una prefissata funzione sinusoidale con numero d’onda pari o dispari;

può ricavarsi l’espressione della lunghezza critica della rotaia, lunghezza a partire dalla quale, per effetto della variazione termica si presenta il pericolo della sua inflessione laterale:

Lcr = 16 (√KEI)/3ra

nella quale K é il modulo di cedimento trasversale del binario per unità di lunghezza (kg/cm2), E il modulo di elasticità longitudinale ed I il momento di inerzia del binario con asse neutro verticale (si assume pari a 2 volte il momento di inerzia della singola rotaia).

Secondo questa teoria l’instabilità trasversale si verifica a causa di una variazione termica (aumento di temperatura rispetto a quella all’atto della posa) maggiore di un determinato valore fornito dalla relazione:

ΔT ≥ ra Lcr/2E A α

dove a è il coefficiente di dilatazione lineare ed A è pari a 2 volte l’area della sezione di una rotaia. Nell’ipotesi, poi, che la resistenza longitudinale allo spostamento ra si ammetta proporzionale allo spostamento stesso, la lunghezza critica risulta diversa da quella indicata ed il suo valore, in genere, è minore di quello ricavato nelle ipotesi precedenti.

3.8 – Calcolo delle traverse

Per il calcolo di stabilità delle traverse (o traversine) si ammette, d’accordo con Zimmermann, che le reazioni del ballast siano proporzionali agli abbassamenti dei vari punti e perciò alle deformazioni della traversa stessa.

La traversa, quindi, si considera ai fini statici come una trave appoggiata alle due rotaie e caricata con un carico variabile con una determinata legge fornita dalla deformata della traversa stessa e rappresentato dalla reazione del ballast.

Detti M e T il momento flettente e lo sforzo di taglio nella sezione di ascissa xE il modulo di elasticità ed I il momento d’inerzia (supposto costante) della traversa, l’equazione differenziale della linea elastica risulta:

d2y/dx2 =  M/EI

ma è noto che:

dM/dx = T

ed inoltre:

dT/dx = p

dove p è l’intensità del carico distribuito.

Per l’ipotesi di Zimmermann deve essere:

p = ky

Se si considera la traversa di larghezza b risulta:

e per la relazione iniziale:

Ponendo α = 4√(Kb/4EI) l’equazione differenziale della linea elastica può scriversi:

L’integrale generale di tale equazione differenziale del quarto ordine, lineare ed omogenea, a coefficienti costanti, come è noto, fornisce l’espressione della linea elastica:

 

in cui Z1Z2Z3Z4 sono costanti determinabili ponendo le condizioni ai limiti.

Determinando successivamente l’equazione della linea elastica si ricavano le espressioni che forniscono le rotazioni (derivata prima), i momenti flettenti (derivata seconda), gli sforzi di taglio (derivata terza) in ogni punto:

considerando la Fig. 3.11, in cui è indicata la probabile linea elastica di una traversa sottoposta a due carichi P in corrispondenza delle rotaie, x sia la distanza della sezione generica dal carico P e si ponga ζ = αr, essendo r la distanza del carico dalla mezzeria della traversa.

Fig. 3.11 – Schema della deformata di una traversa per carico agente sulle rotaie.

Le condizioni ai limiti sono, per x = r (sezione in asse traversa):

dy/dx = 0        T = 0

per x =(l – r) (sezione estremità traversa):

M = 0          T = 0

L’equazione differenziale della linea elastica, sotto tali ipotesi, ammette l’integrale:

in cui si è posto:

dove Ση è la somma dei due valori di r corrispondenti ai 2 carichi P e z è la distanza del punto generico dell’asse della traversa.

Inoltre uζ e vζ, sono funzioni iperboliche di λ essendo (λ = l/lt) e ζ:

Come visto, una volta conosciuta l’espressione di y, é possibile determinare mediante derivazioni successive le rotazioni, i momenti e gli sforzi di taglio. In generale, quindi, risulta:

avendo posto η uguale all’espressione entro parentesi quadra dell’integrale.

Il valore η dell’ultima equazione è facilmente determinabile, per una data sezione della traversa, in funzione di ζ e λ servendosi di tabelle (cfr. la Tab. 3.1, che si riferisce alla sezione sotto il carico, cioè in corrispondenza dell’asse della rotaia), per cui il calcolo della linea elastica y(x) risulta notevolmente facilitato.

Allo stesso modo i valori delle rotazioni, dei momenti e degli sforzi di taglio sono ricavabili dalle espressioni:

una volta determinati rispettivamente i valori di ημ e μ funzioni di ζ e λ mediante opportune tabelle per prefissate sezioni della traversa .

Svolgendo, ad es., il calcolo di verifica di una traversa di tipo normale in legno di quercia (cm 260 x 24 x 14) con modulo E = 120.000 kg/cm2 e carico P = 10t, ossia ponendo b = 24 cm, l = 130 cm, r = 75 cm, e calcolando le frecce per 3 diversi valori del coefficiente di piattaforma (K = 5, 10, 15 kg/cm2), sono ricavati i valori riportati nella Tab. 3.2, in cui sono indicati gli abbassamenti ed i momenti nelle sezioni di mezzeria, sotto il carico ed alle estremità.

Fig. 3.12 – Cedimenti e momenti flettenti nella traversa.

Tab. 3.2 – Abbassamenti e momenti flettenti in una traversa di legno nell’ipotesi di uguale carico agente sulle 2 rotaie.

Inoltre, nella Fig. 3.12 sono rappresentati l’andamento della linea elastica ed il diagramma dei momenti flettenti.

Osservando l’esempio riportato in Tab. 3.2 è facilmente rilevabile come risultino abbastanza contenute le variazioni delle pressioni che la traversa esercita sul ballast; é altresì da notare che le pressioni si trasmettono dalle traverse al piano di posa del ballast secondo delle superfici di uguale pressione.

Si rivela, di conseguenza, notevole l’influenza dell’altezza del ballast sulla ripartizione di tali pressioni sulla piattaforma, tanto più che, per una determinata zona, le pressioni dovute ad una traversa si sommano a quelle della traversa contigua.

Tali concetti servono a guidare sulla scelta del numero degli appoggi e sull’altezza da dare alla massicciata. Appare infatti evidente come, in tutto ciò, abbia una grande influenza, a parità di carico ammissibile, sia la natura della piattaforma che la qualità del pietrisco adoperato e la larghezza della traversa.

Appare inoltre necessario usare pietrisco con elevato attrito interno (φ ≈ 40°) al fine di contrastare lo slittamento laterale del binario per le azioni orizzontali che la ruota trasmette alla rotaia.

Poiché il cedimento laterale della massicciata è in grado di provocare quella particolare condizione di vincolo, detta di supporto al centro, cui le traverse, in genere, non sono in grado di resistere, le amministrazioni ferroviarie, almeno nel passato, usavano non far rincalzare il pietrisco della massicciata sotto la zona centrale delle traverse. In tal caso, infatti, queste non si vengono a trovare nelle condizioni teoriche di trave su suolo elastico continuo bensì di trave poggiante su due zone di appoggio elastico.

Intendendo utilizzare più completamente le capacità di resistenza della traversa è possibile condurre il calcolo imponendo la condizione che il momento in mezzeria sia nullo o molto piccolo; tuttavia, è stato dimostrato come, sotto tale condizione, le traverse risultino molto lunghe, ossia molto pesanti e poco maneggevoli, ed inoltre vengano ad essere eccessivamente sollecitate.

Le considerazioni svolte si riferiscono al caso che il peso gravante su ogni asse del convoglio ferroviario si ripartisca egualmente sulle due ruote. Questa condizione, tuttavia, non si verifica, in generale, neppure nei rettifili a causa del moto di serpeggiamento e delle anomalie planimetriche ed altimetriche nell’assetto del binario; nelle curve, inoltre, per l’ulteriore intervento della forza centrifuga non bilanciata, essa non può ammettersi neanche come ipotesi grossolanamente approssimata.

Il calcolo delle traverse sotto tale aspetto, di conseguenza, viene condotto ricercando le caratteristiche di sollecitazione di una trave di lunghezza finita su suolo elastico e sottoposta ad un carico unitario avente, rispetto ad essa, la medesima posizione di una delle due rotaie rispetto alla traversa; alla situazione reale del carico si perviene per sovrapposizione degli effetti, tenendo conto della disposizione simmetrica delle rotaie sulla traversa e dell’entità dei pesi su questa realmente trasmessi.

La questione ha assunto una rinnovata importanza a seguito della scelta tecnica, ormai condivisa ovunque, di impostare linee nuove e/o alternative ad alta velocità, motivo per cui da tempo sono allo studio (e in corso di realizzazione) nuovi tipi di sovrastruttura ferroviaria con sottoballast costituiti da uno strato di conglomerato bituminoso o di misto cementato in grado di consentire alte velocità con maggiore sicurezza e minori oneri di manutenzione.

3.9 – Tipi di murature utilizzati nelle costruzioni ferroviarie

Volendo dare un’indicazione del proporzionamento dei muri di sostegno si riportano alcuni tipi di muri adottati dalle FS. La Tab. 3.3 si riferisce alla determinazione dello spessore di muri di sostegno propriamente detti: la lettura è derivabile dalla Fig. 3.13.

Tab. 3.3 – Calcolo dello spessore dei muri di sostegno.

Fig. 3.13 – Muro di sostegno standard usato da FS.

Ad es., fissando i valori: scarpa esterna e = 0.1, scarpa interna i = 0.0 e altezza h = 3.8, poiché dalla tabella si rileva che l’altezza cui corrisponde lo spessore sminimo è h1 = 2.4, lo spessore s si ottiene in base a: s = 0.27 h = 0.27 3.8 = 1.03 m.

I valori proposti sono, chiaramente, orientativi, in quanto devono variare secondo la natura del terreno e dei materiali costituenti il muro.

Per i muri di controripa viene adoperata la Tab. 3.4 con le medesime osservazioni già esposte.

Tab. 3.4 – Calcolo dello spessore dei muri di controripa.

Si aggiunge, infine, la Tab. 3.5 per mezzo della quale. per gli 8 tipi normali di muri di sostegno, si ottiene lo spessore in sommità come prodotto dell’altezza hper un coefficiente riportato nella tabella medesima. Gli otto tipi di muro previsti sono i seguenti:

–       1) scarpa esterna: verticale;           scarpa interna verticale

–       2) scarpa esterna: verticale;           scarpa interna 0.10

–       3) scarpa esterna: verticale;           scarpa interna 0.20

–       4) scarpa esterna: 0.10                  scarpa interna verticale

–       5) scarpa esterna: 0.10                  scarpa interna 0.10

–       6) scarpa esterna: 0.20                  scarpa interna 0.10 (a strapiombo)

–       7) scarpa esterna: 0.20                  scarpa interna verticale

–       8) scarpa esterna: 0.20                  scarpa interna 0.10

Inoltre la tabella è calcolata per gli angoli di attrito di 35° (terre vegetali ed argille medie) e per y = 25° (sabbie finissime o argille sabbiose). Si sono indicate con h l’altezza del muro dalla sommità alla risega poco al disotto del piano di campagna e con h‘ l’altezza del sovraccarico ridotto in terra.

Tab. 3.5 – Determinazione dello spessore in sommità dei muri di sostegno tenuto conto della coesione.

3.10 – Ferrovie a scartamento ridotto

Alcune linee ferroviarie, in cui il traffico è limitato, sono state costruite a scartamento ridotto (0.95 m) soprattutto per ragioni di costo.

In realtà, benché il costo di queste linee risulti pari ai 2/3 di quello occorrente per una linea a scartamento normale, il costo d’esercizio si rivela praticamente il medesimo; per tale motivo queste reti sono risultate, sin dal loro nascere, fortemente passive. Si tratta quasi sempre, comunque, di linee di montagna, con pendenze massime che arrivano al 3.5÷4% e raggi minimi che talvolta scendono a 80÷100 m, dotate d’armamento leggero e percorribili a velocità ≤ 30 km/h (velocità commerciale ~20 km/h).

Da tempo, lungo queste linee, si cerca di migliorare la velocità dei convogli viaggiatori adottando particolari automotrici leggere (peso in ordine di marcia 25÷30 t, velocità massima 70 km/h) con cui vengono notevolmente aumentate le prestazioni.

Col costante incremento del traffico automobilistico, tuttavia, e con gli attuali vincoli territoriali è prevedibile che tali linee, a parte alcuni casi significativi dal punto di vista turistico e logistico, siano completamente abbandonate o sostituite da alternative meno impattanti.

3.11 – Ferrovie a cremagliera

Anche queste ferrovie, che si sviluppano solo per tratti limitati molto acclivi, sono ormai sorpassate, oppure si utilizzano per impianti speciali di trasporto merci, o in zone turistiche di alta montagna.

Le condizioni limite della trazione ad aderenza sono facilmente determinabili. È noto infatti che, al limite, la resistenza deve risultare eguale all’aderenza, ossia:

(L + Q) (r0 ± i) = 1000 fa Pa

dove L è il peso della locomotiva in tonnellate, Q il peso trainato in t, Pa il peso aderente della locomotiva in tr0 le resistenze ordinarie (in kg/t), i la pendenza  ed fa il coefficiente di aderenza. Nella predetta espressione si ammette che le resistenze ordinarie siano costanti e le stesse sia per il trattore che per il carico trainato; ciò è possibile data la bassa velocità che dovrà supporsi in queste condizioni di moto.

Se la locomotiva ha tutti gli assi aderenti sarà Pa = L e, nel caso di livelletta in salita (+ i) la relazione ultima diviene:

da cui si ricava i:

Per 5 kg/t, Q = 0 e fa = 1/7 si ricava i ≈ 138‰ mentre per fa = 1/5 si ha i ≈ 195 ‰.

Per pendenze maggiori non risulta possibile, di conseguenza, neanche l’avanzamento della sola motrice.

Per tale motivo, ove le condizioni orografiche non permettano la riduzione della livelletta e sempre che il traffico sia limitato, si deve ricorrere a sistemi ad aderenza artificiale.

Le prime applicazioni di tali ferrovie si basarono su due diversi criteri:

–       ingranamento di una ruota dentata del trattore su una cremagliera posta in asse col binario;

–       aumento di aderenza con l’aggiunta nel trattore di ruote sussidiarie orizzontali premute contro una terza rotaia mediante robuste molle.

Nel caso d’ingranamento fra rocchetto e dentiera il pericolo di scalettamento si verifica per un valore limite della pendenza > 100% che non è mai raggiunta; in pratica si arriva a pendenze del 230‰.

Nelle discese l’arresto dei treni è ottenuto applicando dei ceppi che si possono premere contro corone circolari solidali con la ruota dentata; in tal modo si ottiene il bloccaggio delle ruote con fortissime sollecitazioni fra i denti a contatto.

Le cremagliere presentano denti profilati ad evolvente di cerchio, di conseguenza, nel tratto utilizzato per l’ingranamento, questi risultano trapezoidali; inoltre i profili dei denti del rocchetto e della dentiera restano coniugati (per la nota proprietà dell’evolvente) per piccole variazioni della loro posizione relativa, causate dal molleggio della motrice.

Si hanno vari tipi di cremagliera; quello usato ancora in qualche tronco italiano ed in Svizzera è il sistema Strub ed è costituito da una terza rotaia posta lungo l’asse del binario sulle medesime traverse che sostengono le rotaie di guida. Tali rotaie hanno, generalmente, lunghezza di m 5, si accoppiano mediante ganasce e chiavarde e si ancorano alle traverse con piastre di fondo di forma rettangolare (Fig. 3.14).

Fig. 3.14 – La rotaia Strub e binario a cremagliera.

Spesso i tratti a cremagliera sono intercalati a tratti ad aderenza naturale, per cui ad ogni imbocco di cremagliera è necessario provvedere con raccordo altimetrico a grande raggio. Inoltre perché l’ingranamento avvenga senza pericolosi urti, l’inizio di ogni tratto di dentiera è sostenuto da appoggi elastici su speciali molle a bovolo.

Nelle stazioni, ove la pendenza è piccola, si sopprime la cremagliera, la cui presenza potrebbe complicare i meccanismi per gli scambi e le comunicazioni fra i vari binari.

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