3 – Macchinari e tecnologie per applicazioni ausiliarie

Nel presente capitolo vengono trattate i macchinari e le tecnologie inerenti le lavorazioni ausiliarie di un grande cantiere quali l’attività di cava, la realizzazione di pavimentazioni (sia in calcestruzzo che in conglomerato bituminoso) oltre all’applicazione di trattamenti superficiali.

3.1 – Macchinari di cava

Ogni intervento relativo alla costruzione di Grandi Opere, in misura ben più ampia che per le normali applicazioni civili o industriali, comporta l’attivazione di un cantiere che, accanto alla lavorazione principale della struttura di progetto, affianchi a questa la fondamentale attività ausiliaria di reperimento e fornitura materiali costruttivi così come, talora, di stoccaggio di quelli di risulta (riutilizzabili o meno).

L’attività di cava, infatti, rappresenta la base primaria in grado di consentire la realizzazione dei manufatti essendo questi in minima parte costituiti da elementi in muratura s.s. bensì formati da materiali lapidei opportunamente trattati (strade, rilevati ferroviari, piste aeroportuali canali, dighe in terra, moli, porti etc.) oppure da elementi composti in sito e/o prefabbricati (viadotti e ponti, dighe s.s) o, infine, necessitanti soprattutto di smarinamento materiali di risulta da stoccare opportunamente (gallerie, bacini e scavi in genere) oltre che eventualmente trattare per utilizzi successivi.

I macchinari di cava, sia nelle postazioni fisse che in quelle mobili, sono costituiti, essenzialmente da: nastri trasportatori, alimentatori, frantoi, vagli e macchine per il lavaggi.

3.1.1 – Nastri trasportatori (conveyors)

Sono macchine impiegate per il trasporto, il sollevamento e la distribuzione di materiale sciolto.

Trovano largo impiego nelle cave di aggregato per l’alimentazione dei frantoi e la distribuzione del materiale a seconda della pezzatura.

Consistono di un telaio metallico rigido, due pulegge (una di testa o motrice, la seconda di rinvio), dei rulli (portanti e di ritorno) e della cinghia o nastro. Quest’ultima è in tessuto gommato a più strati, 4÷5 comunemente, che ne definiscono come per i pneumatici, la robustezza e che influisce per ~50% sul costo di tutta l’apparecchiatura.

Speciali cinghie di acciaio flessibile sono usate per particolari condizioni di lavoro. Altri tipi meno comuni di trasportatori con compiti analoghi ai nastri sono quelli a vite senza fine per il sollevamento di materie fini e polverose quali il cemento e quelli a secchi (bucket elevators) per forti inclinazioni o movimenti verticali.

Il movimento del nastro è ottenuto per attrito sulla puleggia motrice; ne consegue che se la resistenza al movimento è maggiore della forza di attrito la puleggia scivola sul nastro, col risultato di una perdita di potenza e dell’usura delle parti in contatto.

Essendo l’attrito determinato oltre che dalla natura delle superfici, dalla tensione della cinghia e dall’area di contatto l’inconveniente è ridotto regolando la tensione della cinghia a mezzo di un peso applicato alla puleggia di rinvio che tende ad allontanarla dalla motrice oppure aumentando la superficie di contatto sulla puleggia di testa con l’interposizione di una terza puleggia.

La velocità del nastro non deve essere eccessiva ad evitare che si consumi rapidamente; quella più economica tenendo conto dei vari fattori varia entro 30÷50 m/minuto.

Nella Tab. 3.1 sono riportate velocità correnti per diversi materiali e per diverse lunghezze del nastro. La potenza richiesta dal motore si calcola con le relazioni:

Hp = CTL/103 (per nastri orizzontali)

Hp = CTL/103 + TH/103 (per nastri inclinati)

in cui C è una costante fornita dalla Tab. 3.1 (a per materiale pesante 800÷900 kg/m3b per materiale da 1600÷1700 kg/m3.), T il carico (t/h), H il dislivello (feet) tra carico e scarico, L la lunghezza (feet) del nastro tra i centri delle pulegge.

Tab. 3.1 – Caratteristiche dei nastri trasportatori.

I nastri trasportatori (Fig. 3.1) sono convenienti per il loro basso costo operativo quando si verifichino alcune delle condizioni seguenti:

–       la distanza di trasporto è limitata;

–       la quantità di materiale è rilevante ed il percorso è sempre il medesimo;

–       il terreno è accidentato;

–       lo spazio disponibile è ridotto;

–       la distanza verticale è notevole;

–       l’afflusso di materiale deve essere continuo.

I nastri trasportatori di tipo portatile sono impiegati per il caricamento di automezzi o per l’alimentazione di piccoli impianti di cava mentre quelli fissi, montati frequentemente su impalcature a tubi, trovano larga applicazione nei grandi impianti per l’alimentazione dei frantoi, dei vagli e lo scarico ai silos osservando che:

–       i nastri comuni vanno usati per pietrisco, sabbia, ghiaia e simili;

–       per ciottoli od altro materiale che tende a scivolare sono più adatte cinghie ad appigli;

–       materiali molto duri e grossolani, pietrame proveniente da rocce dure etc. richiedono nastri con tessitura in acciaio per la maggior resistenza che offrono;

–       la velocità del nastro è inversamente proporzionale alle dimensioni del materiale portato;

–       il carico del materiale deve essere effettuato in modo uniforme ad evitare strappi e sollecitazioni, con l’impiego di tramogge (hoppers) opportunamente dimensionate e piazzate.

   

          Fig. 3.1 – Nastro trasportatore.                   Tab. 3.2 – Inclinazione massima del nastro in rapporto alla qualità

del materiale da trasportare.

3.1.2 – Alimentatori a piastre snodate

Sostituiscono i nastri trasportatori data la maggiore robustezza, per portare il materiale grossolano alla frantumazione primaria.

Sono costituiti da un pesante nastro metallico simile ad un cingolo da escavatore, composto da piastre imperniate tra loro che scorre su due coppie di ruote montate agli estremi del telaio.

Formano normalmente un tutto unico con la tramoggia metallica (apron feeders) nella quale scaricano gli autocarri ribaltabili provenienti dalla cava (Fig. 3.2).

3.1.3 – Frantoi e Granulatori

Si distinguono in:

aFrantoi a mascelle:

– primari che riducono il materiale proveniente dalle cave e pertanto di grande pezzatura a dimensioni più adatte (sotto i 50 mm) per una ulteriore lavorazione;

– secondari per portare il materiale già ridotto ad una pezzatura media;

– terziari o Granulatori per pezzature fini (pietrischetti).

Fig. 3.2 – Tramoggia e Alimentatore.

b)Frantoi giratori o rotativi:

– primari (cogli stessi compiti di quelli a mascelle);

– secondari (c.s.);

– terziari o a cono corto (c.s.).

c)Frantoi a cilindri:

– ondulati per pezzature medie;

– misti per pezzature fini;

– lisci per sabbie;

d)Frantoi a martelli:

– fissi per pietrischi e sabbie;

– mobili per sabbie.

e)Frantoi a palle, a barre, a pestelli.

La scelta del tipo di frantoio dipende dalla produzione unitaria richiesta, dal tipo di roccia da frantumare e dalla pezzatura che si vuole ottenere.

3.1.3.1 – Frantoi a mascelle

Sono i più usati perché semplici, di costruzione economica, di lunga durata e richiedono inoltre poca forza motrice. I Granulatori in specie, forniscono un ottimo prodotto per la forma cubica del materiale frantumato per quanto la produzione unitaria non sia molto elevata e si logorino rapidamente le piastre.

Si distingue il frantoio dal granulatore per la bocca di alimentazione quadra e quindi in grado di accettare materiale di grossa pezzatura, in contrapposto a quella a rettangolo lungo e stretto del secondo.

L’azione del frantoio a mascelle si esplica attraverso una mascella fissa ed una mobile (Fig. 3.3), quest’ultima a distanza regolabile e mossa da un eccentrico, che frantumano la roccia protette da due piastre di acciaio al manganese la cui posizione può essere invertita (allo in basso) per una maggiore durata e che possono inoltre essere sostituite.

Fig. 3.3 – Schema di un Frantoio a mascelle.

Nel caso di rocce abrasive (graniti, basalti etc.) la sostituzione delle piastre è richiesta dopo qualche settimana di operazione mentre per i calcari esenti da silice le piastre possono durare molti mesi.

II cambio va comunque effettuato quando il prodotto accenna a peggiorare diventando scaglioso; la produzione unitaria in tal caso per di più diminuisce e la macchina è sollecitata da sforzi anormali.

La mascella mobile, come detto in precedenza, è mossa da un eccentrico attorno ad un fulcro la cui distanza è regolata da una barra (toggle-bar) che si allunga con l’interposizione di spessori e che è costruita in modo da rompersi prima di ogni altra parte della macchina nel caso di sforzi eccessivi.

La sagomatura a V dell’apertura lasciata dalle due mascelle fa sì che la roccia si frantumi in pezzature sempre più piccole man mano che essa scende ad ogni arretramento della mascella mobile fino ad uscire dal fondo la cui apertura è regolata in base alla pezzatura che si vuole ottenere.

I frantoi a mascelle si classificano in base alla apertura della bocca e alla larghezza delle mascelle così che un frantoio da 25×75 ha una apertura di 25 cm mentre i 75 cm rappresentano la larghezza delle piastre.

Si distinguono inoltre quelli ad eccentrico diretto o a semplice ginocchiera, più economici

e quelli ad eccentrico indiretto o a doppia ginocchiera usati quasi esclusivamente per la

frantumazione primaria di rocce particolarmente dure.

3.1.3.2 – Frantoi rotativi

Si distinguono dai frantoi a mascelle per la forma della bocca che si presenta circolare.

La carcassa è cilindrica e la mascella fissa o mantello (Fig. 3.4) è a forma di anello con una particolare sagomatura per contenere la mascella mobile a forma di cono più affusolato nei frantoi primari, più largo e schiacciato nei secondari.

Fig. 3.4 – Schema di un Frantoio rotativo (o conico).

L’azione frantumante è ottenuta per effetto della oscillazione del cono mentre l’apertura della bocca è regolabile mediante lo spostamento verticale dello stesso.

Nei frantoi terziari, ai quali si richiede un prodotto molto fine il cono è fortemente angolato e basso (frantoi Simmons) oppure è sostituito da una calotta sferica (Gyrasphere Telsmith). La particolare forma della bocca, che per la posizione del cono si presenta ad anello, e quindi in grado di ricevere pezzature più ridotte di quelle che può ricevere una bocca quadra, fa sì che solo macchine di grandi dimensioni possono essere utilizzate come frantoi primari e pertanto sono i frantoi secondari, per pezzature da 10÷30 mm i più diffusi.

E’ opportuno osservare come la velocità di rotazione del cono sia inversamente proporzionale alle dimensioni della macchina: dai 250÷300 giri nei primari, arriva ai 700 e più dei secondari. Tale velocità va regolata con la distanza del percorso del materiale del frantoio: in media una pietra riceve 4÷5 impatti dal cono prima di uscire frantumata; ciò non avviene se la velocità è troppo bassa mentre se troppo alta si ha una caduta nella produzione ed uno spreco di forza motrice.

I frantoi rotativi sono macchine a produzione molto elevata tuttavia sono molto più delicati di quelli a mascelle. Infatti sono muniti di sistema di lubrificazione dei vari ingranaggi ed in alcuni modelli di un impianto di raffreddamento dell’olio. Inoltre sono provvisti di una apparecchiatura di sicurezza per proteggerli dai sovraccarichi.

Appartengono alla categoria anche i Frantoi a coni paralleli, sempre secondari; tuttavia si diversificano per l’azione rotativa che sostituisce quella di schiacciamento nella frantumazione della roccia. Producono materiale fine (apertura di scarico ~6 mm) e produzione fino a 8÷10 t/h.

3.1.3.3 – Frantoi o molini a cilindri

Sono usati poco di frequente; sopratutto quando la roccia è abrasiva la manutenzione è troppo onerosa. La frantumazione è ottenuta facendo passare il materiale tra due pesanti cilindri paralleli, in acciaio al manganese, che sono tenuti vicini da un sistema di molle agenti sui loro supporti.

La superficie dei cilindri può essere ondulata o liscia; il loro diametro varia da 20 cm a 160 ed il numero di giri al minuto da 150 a 50. Ogni cilindro è mosso da un motore proprio da 5-12 Hp.

Sono i più adatti per granulare materiali con una % minima di fino. La produzione oraria varia da 2 t/h per i più piccoli a 6-7 t/h per i sistemi più grandi.

3.1.3.4 – Frantoi a martelli

Servono sopratutto per produrre sabbia nelle sue varie pezzature fino al pietrischetto.

Si compongono (Fig. 3.5) di una carcassa in acciaio che racchiude un rotore cui sono fissati i martelli (che sono rigidi o oscillanti a seconda del materiale che si vuole ottenere), una corazza (breaker) contro cui il pietrame percosso dai martelli va a sbattere, una griglia a barrotti sulla quale il materiale è ulteriormente frantumato fino a passare per i relativi fori.

Fig. 3.5 – Schema di Frantoio a martelli.

3.1.3.5 – Frantoi o molini a barre, palle, pestelli

molini a barre forniscono sabbia avente una curva granulometrica motto buona per i calcestruzzi. La macinazione avviene per effetto di barre d’acciaio contenute in un cilindro che ruotando le fa cadere una sull’altra, frantumando quindi il materiale che si trova tra esse.

molini a palle (sfere di acciaio contenute anch’esse in un tamburo rotante) ed a pestelli sono impiegati per la produzione del filler.

Tab. 3.3 – Caratteristiche dei Frantoi.

Tab. 3.4 – Caratteristiche dei Frantoi.

3.1.4 – Vagli

Si distinguono:

–       i vagli sgrossatori o scalpers;

–       i vagli vibranti;

–       i vagli rotanti;

–       i separatori a vento.

I primi sono normalmente usati davanti ai frantoi primari i secondari con lo scopo di sottrarre a questi quella parte di materiale che presenta già la granulometria desiderata e non necessita pertanto di essere ridotta.

Uno scalper, che può essere a due piani sovrapposti, è formato usualmente da barre d’acciaio disposte parallelamente (grizzly) oppure a griglia od ancora ricavato da lamiere forate in acciaio o plastica. II movimento o la vibrazione sono ottenuti da un motore elettrico da 5÷20 Hp.

Premesso che affinché in un vaglio la separazione tra il ritenuto ed il passante abbia luogo è necessario che il materiale sia mantenuto in movimento sulla sua superficie per un tempo tanto più lungo quanto più coesivo o umido è il materiale stesso e quanto più piccoli i fori. Questo movimento è ottenuto per vibrazione o scuotimento oppure per rotazione (è il caso dei vagli cilindrici) uniti alla gravità che agisce per l’inclinazione del vaglio.

A parità di materiale e di sezione dei fori, la quantità di materiale vagliato aumenta con la lunghezza del vaglio e con la sua minore inclinazione: un vaglio troppo inclinato rigetta materiale passante, se troppo piatto si ottura facilmente.

I vagli fissi, oggi raramente impiegati, richiedono per un materiale fine e secco un’inclinazione di 30÷40° e per ghiaia sporca ed umida 50° ed anche più mentre con lo scuotimento o la vibrazione (frequenze da 5 a 60 Hz) sia la pendenza che la lunghezza del vaglio sono notevolmente ridotte.

Per quanto riguarda i fori, quelli quadri permettono il passaggio di elementi più grossi che i tondi aventi il diametro pari al lato dei precedenti (Tab. 3.6)

Tab. 3.6 – Equivalenza tra i fori tondi e quadri nei vagli. E’ da notare come produca maggior effetto vagliante un foro quadro rispetto ad uno tondo di diametro pari al lato.

I fori rettangolari vengono adottati quando l’inclinazione del vaglio è molto accentuata. Il movimento o vibrazione è ottenuta nei seguenti modi:

– per oscillazione libera e movimento circolare (a): è il tipo di vaglio più comune dagli scalpers ai leggeri e il meccanismo è di norma posto al centro di gravita con uno o due alberi a pesi sbilanciati:

– per oscillazione libera e movimento ellittico (b): più complicato del precedente, il movimento è ottenuto in modi diversi, il più usuale (e macchinoso) è quello detto del sistema a 3 masse.

– per oscillazione libera e movimento lineare (c):o vaglio orizzontale, è usato per setacciare il fine. Il movimento è ottenuto da due alberi rotanti in senso opposto e sbilanciati nel meccanismo vibrante. Vantaggi: elevata qualità della produzione e bassa altezza di installazione;

– per movimento forzato su albero singolo (d): è un compromesso tra i tipi a e g; rispetto al primo il vaglio offre un movimento più stabile e meno sensibile ai sovraccarichi.

– a massa bilanciata e movimento lineare (e): è un tipo speciale non molto utilizzato;

– per risonanza con movimento lineare (f): molto usato per il materiale fine, applica il principio dell’effetto risonanza tra il telaio del vaglio e il basamento; di molto affidamento, richiede poca manutenzione;

– per movimento circolare forzato su due alberi (g): ha movimento stabile, poco sensibile al materiale grossolano è tuttavia una apparecchiatura costosa per i molti cuscinetti richiesti.

Il ripiano di scorrimento e vagliatura degli elementi, come detto, può essere costituito da barre d’acciaio, griglie di svariati tipi con fori quadrati (i più redditizi) e rettangolari, lamiere forate (più utilizzate quando si richiedono fori grandi).

La gomma e la plastica tendono oggi a sostituire l’acciaio nelle griglie e lamiere forate; gli elementi di gomma hanno durata maggiore anche se l’accuratezza della separazione è minore specie se i fori sono piccoli; quelli di plastica sono una migliore alternativa alla gomma per fori piccoli e medi.

I vagli rotanti, costituiti da uno o più cilindri sullo stesso asse inclinato di 5÷7°, agiscono per rotazione e gravità. Il movimento rotatorio, impresso da un motore elettrico, fa sì che il materiale immesso nel primo cilindro a fori più piccoli (dove perde il fine) passi in quelli successivi a fori sempre più grandi formando le diverse pezzature che si progetta di ottenere.

Oggi trovano applicazione quasi esclusivamente come vagli-lavatrici con l’aggiunta a monte di un’altra sezione di cilindro in cui l’aggregato, in presenza d’acqua perde per sfregamento l’eventuale pellicola argillosa.

separatori a vento sono impiegati nella produzione del filler per separare il fine, quella parte cioè che ha già raggiunto la granulometria richiesta, dal grosso che sarà poi rinviato al mulino per una ulteriore macinazione. Sono riconoscibili per la loro forma :un cono rovescio sormontato da un cilindro.

Tab. 3.7 – Caratteristiche dei Vagli.

 

                    Fig. 3.6 – Vaglio sgrossatore o scalper.                                          Fig. 3.7 – Vaglio vibrante.

3.1.5 – Macchine per il lavaggio degli inerti

3.1.5.1 – Sfangatori (scrubbers):

Servono a rimuovere il terriccio e le altre impurità che si trovano specialmente nell’aggregato proveniente da cave naturali. Il materiale muove dalla bocca di alimentazione all’uscita mentre i getti d’acqua sono orientali in senso opposto. Sono adatti sopratutto quando la quantità di argilla da rimuovere è notevole.

Nelle tabelle 3.8 e 3.9 sono mostrate le caratteristiche degli sfangatori rotanti a tamburo e di quelli a pale (Fig. 3.8); questi ultimi richiedono poca acqua (che ha il solo compito di lubrificare il materiale); inoltre, per buoni risultati, richiedono anche che la frazione di sabbia sia preventivamente rimossa attraverso il vaglio.

Tab. 3.8 e Tab. 3.9 – Caratteristiche degli Sfangatori a pale (in alto) e degli Sfangatori a tamburo.

Fig. 3.8 – Sfangatore a pale: il fango esce dall’apertura laterale (inclinazione 5-10%).

Fig. 3.9 – Sezione di Sfangatore rotante.

3.1.5.2 – Vaglio-lavatrici e Vagli vibranti a getto d’acqua

Come dicono i termini, hanno il doppio compito di vagliare e lavare materiale alluvionale purché poco argilloso.

Si distinguono dai vagli convenzionali per la presenza di ugelli, sovrastanti al ripiano scorrimento dell’aggregato, dai quali escono getti d’acqua a pressione.

3.1.5.3 – Lavatrici per sabbia

I modelli sono svariati per quanto il principio resti lo stesso: far passare acqua in contenitore in cui la sabbia è rimescolata nel suo passaggio dalla bocca di alimentazione alla discarica per rimuovere il limo e la parte più fine in genere.

Il tipo a coclea (screw-washer) è il più adottato nei lavori stradali dove le esigenze di classamento delle sabbie non sono tali da dover ricorrere ai classificatori.

Il separatore di Fig. 3.10 ha una resa di circa 6÷7 t/h di sabbia per un cilindro Ø 60 cm.

Tab. 3.10 – Caratteristiche delle Lavatrici-scolatrici a coclea.

Fig. 3.10 – Schema di Separatore a centrifuga per il recupero della sabbia del fine dopo il processo di lavaggio dell’aggregato.

3.1.6 – Alimentatori vibranti

Sono a funzionamento elettromagnetico, oppure elettromeccanico, e vengono utilizzati soprattutto nelle centrali per la produzione dei conglomerati.

Tab. 3.11 – Portata tipiche degli Alimentatori vibranti.

Fig. 3.11 – Schema d’impianto mobile.

3.2 – Macchine per la pavimentazione in calcestruzzo e la stabilizzazione

I macchinari descritti di seguito vengono utilizzati, principalmente, per la realizzazione di vie di comunicazione ma anche per l’esecuzione di piste aeroportuali, rivestimenti strutturali, piazzali operativi dei servizi portuali, banchine, pontili etc.

3.2.1 – Macchine per la preparazione, l’impasto e il trasporto del calcestruzzo

II calcestruzzo di cemento può essere preparato:

–       sul luogo d’impiego con le comuni betoniere a tamburo, oppure con le betoniere stradali od ancora con pavers a ciclo completo;

–       presso centrali fisse, generalmente in vicinanze di cave, per il dosaggio degli inerti e del cemento e per essere successivamente impastato e trasportato dalle auto-betoniere (truck-mixers);

–       presso centrali di betonaggio (mobili o fisse) e trasportato con ribaltabili oppure con cassoni a pale agitatrici (agitators);

3.2.1.1 – Betoniere a tamburo trainabili

Le comuni betoniere (Fig. 3.12) impiegate nell’edilizia, nelle svariate versioni, possono essere impiegate per piccoli lavori purché nei modelli da 1 m3 di capacità in su per garantire un buon mescolamento della miscela. Se, infatti, la preparazione dei calcestruzzi di cemento non è così complicata come per quelli bituminosi, il rapporto acqua/cemento deve essere tenuto molto basso e non tutte le betoniere in commercio, pur con una buona capacità di miscelazione sono all’altezza del compito. Le stesse, inoltre, debbono essere provviste di un apparato per la pesatura degli inerti. Si compongono, di norma, di:

–       tamburo cilindrico o conico, ruotabile da un ingranaggio a cremagliera e ruota dentata, sostenuto da una staffa che ne permette la rotazione anche sul piano verticale; la sua capacità può essere espressa o con 2 cifre (la prima riferita al volume d’inerti e cemento, la seconda alla cubatura fornita) oppure con una sola (quantità d’inerti e cemento che può mescolare);

–       benna di caricamento comandata da sistemi svariati di leve, pulegge, cavi;

–       serbatoio dell’acqua provvisto di un congegno di misura per il rifornimento del liquido al tamburo nella quantità desiderata;

–       motore, che può essere a benzina, diesel o elettrico, quest’ultimo non sempre raccomandabile per la frequente impossibilità di ottenere forza motrice nei luoghi di impiego; la trasmissione è quasi sempre a catena con una frizione per facilitare la messa in moto.

Tab. 3.12 – Caratteristiche delle Betoniere a tamburo trainabili.

3.2.1.2 – Betoniere stradali

Le betoniere stradali (Fig. 3.12) sono di norma cingolate e pertanto si compongono di:

–       carro su cingoli;

–       benna larga sollevabile che durante il carico s’abbassa a terra per rendersi accessibile ai ribaltabili;

–       tamburo miscelatore a palette a 1 o a 2 camere di miscela (nel secondo tipo, il mescolamento avviene a secco nel primo tamburo, col vantaggio che le cariche si attuano a tempi dimezzati rispetto al primo tipo); il tamburo scarica o per inversione di rotazione, per cui le speciali palette provocano l’uscita del calcestruzzo, oppure per apertura al centro;

–       gruppo motore a ciclo diesel;

–       serbatoio dell’acqua con apparecchiatura di dosaggio;

–       braccio orizzontale a brandeggio sul quale scorre una benna ad apertura di fondo; la benna raccoglie il calcestruzzo dal tamburo e lo scarica ove richiesto;

–       ruotismi e cavi per i movimenti delle benne e del braccio o trave;

Fig. 3.12 – Schema di Betoniera stradale.

Considerazioni sulle betoniere stradali

Prescindendo dalla possibilità d’impiego delle comuni betoniere, sempre presenti in cantiere per la costruzione delle opere d’arte, la tecnica della miscelazione in sito con le betoniere stradali può ritenersi oggi superata. Ad alcuni vantaggi, infatti, quali la loro elasticità d’impiego (‘ interrompono i lavori più facilmente che con altri sistemi), la minima mano d’opera (un solo operatore alla macchina) e la semplificazione dei trasporti (i materiali possono arrivare da punti di rifornimento diversi) si contrappongono:

–       l’impiego quasi esclusivo mentre il loro costo è elevato;

–       la poca versatilità: mentre sono utilizzati per la pavimentazione non permettono infatti la preparazione di altre miscele: ad es.. per opere d’arte;

–       la necessità di un ulteriore impiego di altro macchinario per completare le operazioni di getto (stendituravibraturafinitura);

–       la difficoltà di un preciso dosaggio degli inerti e del cemento : se l’operazione, come la pratica consiglierebbe, fosse fatta da una centrale di dosaggio cadrebbe la ragione di impiego di tali macchine.

Tab. 3.13 – Caratteristiche delle Betoniere stradali.

3.2.1.3 – Autobetoniere (truck-mixers) (Fig. 3.13)

Sono, come dice il termine, betoniere montate su autocarri e pertanto particolarmente concepite per ridurre al minimo gli ingombri ed il peso. Offrono diversi vantaggi quali:

–       dosatura degli inerti e del cemento effettuata in centrale e quindi uniforme e precisa;

–       ubicazione della centrale a qualunque distanza dal luogo di getto; il calcestruzzo è confezionato nell’automezzo in trasferimento al momento opportuno;

–       semplificazione dei compiti della centrale mentre i tempi di mescolamento vengono assorbiti da quelli di trasporto;

–       versatilità del mezzo dovuta alla grande mobilità.

Fig. 3.13 – Schema di Autobetoniera.

Per contro, la quantità di calcestruzzo trasportato è limitata in rapporto alla complessità ed al peso della macchina. I diversi organi che costituiscono il mezzo, a prescindere dal telaio a ruote, dalla cabina di guida e dal motore principale che lo rendono semovente, sono gli stessi delle comuni betoniere: sono azionati da un motore generalmente a benzina e più raramente da una presa di forza dal motore dell’autocarro.

Tab. 3.14 – Caratteristiche delle Autobetoniere.

Il tamburo, dotato all’interno di particolari pale mescolatrici che provvedono anche a far uscire il calcestruzzo quando il movimento di miscelazione vene invertito, offre 2 velocità di rotazione (una rapida per la miscelazione ed una lenta per mantenere fluido il prodotto già confezionato) e, mediante un invertitore, una terza in senso opposto per lo scarico.

Una pompa centrifuga trasferisce dal serbatoio al tamburo l’acqua precedentemente dosata mentre un secondo quantitativo d’acqua può essere utilizzato per il lavaggio delle parti che sono state a contatto del calcestruzzo.

L’automezzo pertanto carica alla centrale la miscela cemento-inerti nel tamburo e l’acqua nel serbatoio; qualche minuto prima dell’arrivo a destinazione l’autista mette in rotazione il tamburo immettendovi l’acqua; invertendo il senso di rotazione il calcestruzzo viene scaricato nella canala allungabile che lo deposita nell’area di stendimento; si procede quindi al lavaggio del sistema.

3.2.1.4 – Centrali di betonaggio

Non sono dissimili, quanto agli elementi che le compongono, da quelle utilizzate per la costruzione dei ponti e delle altre opere d’arte stradali anche se le loro dimensioni, e quindi la resa, sono generalmente maggiori.

Il tipo e la disposizione degli elementi che le compongono variano in funzione della quantità unitaria di calcestruzzo richiesta ma anche delle distanze di trasporto (e quindi dei relativi mezzi), della conformazione ed ampiezza dell’area a disposizione etc.

Per motivi di economia e di funzionalità si preferisce, ove realizzabile, la struttura verticale con le varie parti opportunamente disposte su un’incastellatura metallica per cui gli inerti ed il cemento, una volta portati in sommità, sono fatti scendere attraverso le tramogge, dosati, impastati con l’acqua nella betoniera e quindi caricati sul sottostante autocarro per il trasporto sul luogo di getto. I silos per gli inerti sovente in numero di 3e qualche volta quattro, devono rispondere a determinate caratteristiche (Fig. 3.14) ad evitare la formazione di volte, specie nelle sabbie, per cui il materiale non riesce a scendere.

Fig. 3.14 – Forme corrette (A) e non corrette (B e C) di silos per inerti.

Sono comunque muniti d’indicatori di livello con segnale luminoso che si accende quando il livello dell’inerte è sceso ad 1/3 della capacità del silo ed un segnale sonoro che scatta se l’erogazione si arresta; in tale evenienza si mette pure in moto un vibratore fissato alla parete del contenitore e qualora tale mezzo non elimini l’inconveniente si arresta automaticamente l’intero impianto.

Nelle grandi centrali automatizzate il dosaggio dell’inerte uscente dal silo è assicurato dal nastro che funziona per variazione di velocità ottenuta con il motore elettrico a corrente continua (più robusto) comandato da un variatore di velocità elettronico.

Il dosaggio dei materiali può essere di tipo:

–       volumetrico;

–       volumetrico con controllo ponderale continuo e registrazione dell’erogazione di ogni silo.

Quest’ultimo è il più usato essendo preciso entro il 3÷5%; una precisione maggiore sarebbe inutile se si tiene conto delle variazioni del contenuto di umidità del materiale tenuto all’aperto.

L’erogazione del nastro trasportatore in t/h è eguale al peso rilevato dalla bilancia moltiplicato per la velocità di avanzamento del nastro (m/h).

La velocità è registrata da una dinamo tachimetrica posta all’estremità dell’albero motore mentre la bilancia può essere meccanica o del tipo elettro-meccanico; dei dispositivi elettronici amplificano i segnali per la registrazione.

I silos per il cemento (o per la calce, nel caso d’impianto per la stabilizzazione) hanno un contenuto totale pari alla quantità di consumo di 2 giornate di lavoro. Il loro riempimento si effettua per via pneumatica mentre gli estrattori sono a coclea; un inconveniente frequente è la mancanza di ermeticità del silo specie con qualità di calci macinate molto fini.

Fig. 3.15 – Schema di centrale di dosaggio.

Il dosaggio può avvenire secondo due diversi principi:

–       la polvere è estratta con la coclea o un distributore alveolare (azionati da un motore telecomandato a velocità variabile) e deposta sul nastro pesatore a velocità fissa; la conoscenza del peso sul nastro permette di aggiustare l’erogazione della vite;

–       col secondo dispositivo, l’estrattore fornisce il materiale in quantità costante sul nastro pesatore a velocità variabile.

L’apparecchiatura per il dosaggio dell’acqua comprende:

–       un serbatoio;

–       una pompa centrifuga a velocità fissa;

–       un misuratore a lettura istantanea;

–       una valvola di regolazione (riducendone l’apertura la pressione aumenta a valle della centrifuga e l’erogazione diminuisce);

–       un distributore nella betoniera o nel miscelatore.

L’apparato miscelatore può essere a tamburo oppure biconico (Fig. 3.16); le betoniere biconiche, a forma di pera con il fondo chiuso, ruotano con l’asse quasi orizzontale ribaltandosi quasi completamente per lo scarico ad evitare la segregazione.

Fig. 3.16 – Betoniera biconica con dettaglio del congegno A per il controllo della consistenza del cls.

Altri modelli presentano un tamburo apribile. I miscelatori impiegati nella stabilizzazione sono quasi sempre del tipo a truogolo con due alberi a pale che si muovono in senso opposto; si preferisce tenerli a terra, sollevando quindi il prodotto con un nastro fino alla tramoggia di carico, per un più facile controllo delle sua omogeneità ed una più efficace manutenzione delle varie parti della macchina che, oltre ad assorbire molta energia, è facile all’usura.

Fig. 3.17 – Scarico del calcestruzzo dalla betoniera alla tramoggia.

3.2.2 – Macchine per lo spandimento, il costipamento e la finitura del calcestruzzo

Due sono oggi le tecniche usate nella stesa del calcestruzzo o del suolo stabilizzato: a mezzo guide-rotaie fisse (aventi il duplice compito di contenere il getto e fornire appoggio e guida alle macchine) oppure a mezzo guide mobili portate dalle stesse macchine su cingoli e guidate da congegni elettronici.

Le guide-rotaie, in acciaio a forma di L (lati da 20÷30 cm) portano sul lato verticale la rotaia di scorrimento, si uniscono tra loro con uno speciale incastro e si fissano al terreno mediante punte di ferro; hanno una lunghezza standard di 3 m per una maggiore maneggevolezza e per consentire di seguire il tracciato in curva. Pesano dai 20 ai 30 kg/m.

Le macchine distributrici sono costituite da un massiccio telaio poggiante su due carrelli che scorrono sulle rispettive rotaie e mosso da un motore Diesel da 10÷15 CV con trasmissione a catena. Il telaio può portare alternativamente:

–       un cassone apribile al fondo che, caricato su un lato del telaio dai mezzi di trasporto, può distribuire il calcestruzzo nel modo voluto per i movimenti trasversali e longitudinali che gli sono consentiti (distributori a cassone);

–       una vite senza fine o coclea che montata trasversalmente all’asse stradale distribuisce con la sua rotazione i cumuli di calcestruzzo depositati sulla sede stradale dai ribaltabili o dai truck-mixers; alcuni modelli sostituisco alla coclea un’elica con le stesse funzioni (distributori a coclea o ad elica).

Nei distributori è possibile modificare lo scartamento per adeguarsi alla larghezza richiesta della carreggiata o per movimenti telescopici del telaio oppure modificando il numero di speciali elementi (da cm 25) che ne fanno parte; normalmente lo scartamento da un minimo di 3 m può essere portato a m 7.6 ed i alcuni modelli a m 9,15.

La velocità di lavoro è dell’ordine di 3÷6 m/min mentre quella di traslazione di 20÷40 m/min. Il peso complessivo varia da 4 a 8 t.

Le macchine finitrici servono a costipare per vibrazione il calcestruzzo e ad uniformarne la superficie a un livello stabilito.

modelli su rotaie presentano un telaio sostanzialmente simile a quello dei distributori; i due carrelli portano due ruote a doppio bordino per scorrere sui binari e due ruote piane che servono quando una metà della carreggiata è già stata eseguita.

Sul telaio è disposto il motore diesel (10÷15 Hp) con il cambio-riduttore ed il differenziale; sulla parte anteriore è applicata la trave oscillante per lo spianamento del calcestruzzo (regolabile in altezza mediante volantini), al centro la trave vibrante (i cui movimenti sono provocati da eccentrici: 50÷70 Hz) ed infine la sagoma oscillante finitrice anch’essa regolabile a livello prefissato.

Le caratteristiche di velocità, scartamento e peso sono le medesime dei distributori.

Per quanto riguarda i pavers a guide mobili, asserviti o meno a sistemi automatici di marcia, è da sottolineare, ancor più che per le altre macchine, come sia essenziale, prima d’iniziare il lavoro, il controllo del loro stato di manutenzione oltre alla regolazione dei vari organi (guide-casseforme, spianatore, trave vibrante etc.).

pervibratori (elementi attivi) non devono essere spaziati tra loro più di 75 cm ed i 2 estremi devono trovarsi a ~ 15 cm dalle guide-casseforme; vanno tuttavia aumentati di numero se lo spessore di getto è forte oppure se la miscela è asciutta: una cattiva regolazione degli automatismi e dei captori quando la macchina è asservita alterano i tempi di risposta provocando il cosiddetto pompaggio assai pregiudizievole per il profilo.

La fondazione, nel caso di macchine su cingoli non asservite, deve risultare in buone condizioni di portanza e di profilo ad evitare che le irregolarità siano riprodotte alla superficie del getto.

Durante l’avanzamento, l’operatore, deve opportunamente sincronizzare la marcia della macchina e quella degli organi di vibrazione e di spianamento; soprattutto in caso di arresto della prima anche tali organi dovranno fermarsi simultaneamente ad evitare delle impronte sulla superficie di getto.

E’ da ricordare, infine, come un arresto di un pervibratore provochi una scia longitudinale, dovuta al mancato costipamento, rilevabile soltanto dopo che la macchina è passata di qualche metro; di qui l’utilità di testimoni (a segnalazione elettronica) di cui i moderni pavers sono provvisti, che segnalino in anticipo le irregolarità di funzionamento.

3.2.3 – Le pompe per calcestruzzo

Servono a trasferire grandi quantità di calcestruzzo dalla betoniera all’area di getto quando questa si trova ad un diverso livello oppure risulta poco accessibile ai mezzi. Si elimina così l’uso di carriole, vagonetti, benne, montacarichi etc. oltre a ridurre i tempi e il personale addetto.

L’apparecchiatura consiste essenzialmente di una pompa e di una tubazione che, nella maggioranza dei modelli in commercio, fanno parte di un mezzo semovente il quale, provvisto di braccio articolato su cui è fissato il tubo erogatore, consente di portare il calcestruzzo fino a 30 m ed oltre di altezza.

Si distinguono 3 tipi di pompe: a pistone e cilindro (Fig. 3.18), a rulli prementi (Fig. 3.19) e ad aria compressa (usate oggi raramente). Quasi tutte le pompe ad alta pressione sono del tipo a pistone e le differenze tra i vari modelli vertono sul tipo di valvola (ad aletta, rotante etc.) essendo questa la parte più soggetta ad usura.

Fig. 3.18 – Pompa a pistoni.

Nelle pompe a rulli prementi, il calcestruzzo non entra a contatto con le parti metalliche; per contro è il tubo flessibile che, continuamente compresso, è soggetto all’usura maggiore.

La tubazione può essere del tipo rigido (acciaio, alluminio o plastica) oppure in parte rigida ed in parte flessibile (gomma rinforzata con fili metallici o di nylon) con Ø varianti da 75 a 200 mm.

La parte flessibile non deve, comunque, superare i 15 m.

Per quanto concerne il corretto impiego dei dispositivi occorre siano evitate, laddove possibile, deviazioni a 90°; queste, infatti, equivalgono a 3 m di tubo mentre 1 m di tubo verticale equivale a 2 m di tubo orizzontale; è consigliabile inoltre evitare miscele di calcestruzzo troppo fluide che facilitino la segregazione assieme a miscele troppo asciutte che possano inceppare i meccanismi.

Fig. 3.19 – Pompa a rulli prementi.

E’ consigliabile, ancora, evitare cambiamenti di diametro, fermate e riprese improvvise e pompaggi a vuoto in quanto la presenza d’aria nella tubazione pregiudica il funzionamento della pompa.

Infine, prima d’iniziare il pompaggio, è buona norma accertarsi dell’assenza di ostruzioni nelle tubazioni, del buon funzionamento dell’agitatore nonché della tenuta dei giunti. A questo proposito è consigliabile pompare, all’inizio della giornata lavorativa 80÷100 l d’acqua per accertarsi del corretto funzionamento dell’apparato.

Ad inizio lavori è altresì conveniente avviare il pompaggio con 2 carichi di malta di cemento per lubrificare la tubazione inserendo prima l’apposito tampone al primo giunto del tubo per evitare un flusso incontrollato della malta.

Fig. 3.20 – Abaco Pompe per calcestruzzo: caratteristiche di relazione.

Si ricorda, a conclusione del paragrafo, che gli arresti della pompa sono usualmente causati da tasche d’aria formatesi per l’interruzione del rifornimento del calcestruzzo; oppure da calcestruzzo troppo asciutto o troppo bagnato; oppure da una miscela inadatta carente di sabbia; oppure ancora per un’eccessiva lentezza nelle operazioni; o, infine, causa perdite nei giunti.

3.3 – Macchine per i trattamenti superficiali

I macchinari di seguito descritti vengono utilizzati per la finitura di gran parte dei manufatti realizzati nei cantieri di costruzione delle Grandi Opere.

Si possono suddividere in 3 gruppi:

–       macchine per la preparazione della superficie da bitumare;

–       macchine per la preparazione del legante e per il suo spandimento;

–       macchine per lo spandimento del pietrischetto di copertura.

3.3.1 – Macchine per la preparazione della superficie

3.3.1.1 – Motopompe lavatrici

L’eliminazione della polvere e dei detriti dalla superficie da bitumare si ottiene nel modo più efficace con le motopompe che tuttavia vanno usate su superfici dure, quali vecchi manti bitumati, massicciate di pietrisco ecc. ad evitare di rompere la compattezza dello strato con l’azione combinata dell’urto del getto d’acqua e della saturazione del fine.

Inoltre si richiede un clima adatto per non dover attendere troppo tempo prima che la superficie asciughi e si possa applicare il legante.

Una motopompa è costituita da un motore a benzina da 2÷6 Hp montato su un telaio a ruote e collegato coassialmente ad una pompa centrifuga ad una o più giranti.

Completano l’apparecchiatura il tubo di aspirazione lungo 4÷6 m in gomma rinforzata con all’estremità la valvola di tenuta con filtro, il gruppo a T con saracinesche fissato alla flangia di mandata cui sono collegati due tubi di varia lunghezza che portano le lance a getto regolabile.

L’innesco si ottiene riempiendo pompa e tubo di aspirazione attraverso un apposito imbuto collocato nella parte più alta della centrifuga.

Il prelievo dell’acqua, quando non sia disponibile nei fossi laterali, avviene da carri-botte o autocisterne che possono ovviamente essere riempiti precedentemente dalla motopompa stessa.

Portate comuni :300÷500 l/min. Consumo :30÷40 l/m2 corrispondenti a 4.000÷5.000 l/h.

3.3.1.2 – Spazzatrici meccaniche

Possono essere usate sia per pulire la massicciata prima del trattamento che per rimuovere il rigetto del pietrischino. Si usano 3 tipi di spazzatrici: trainate, portate o semoventi ed aspiratrici, queste ultime utilizzate sopratutto negli aeroporti.

Le spazzatrici trainate, pur avendo i requisiti per assolvere il loro compito, oltre a formare un treno troppo lungo assieme al trattore e quindi ingombrante hanno l’inconveniente di non funzionare se non quando tutto l’apparato è in moto; il rullo o i rulli portanti le spazzole, infatti, ruotano mediante una trasmissione a coppia conica che li collega all’albero delle ruote.

Le spazzatrici semoventi sono costruite in vari modelli, dai più piccoli o azionati a mano con un motore a benzina da 6÷7 Hp (Fig. 3.21) a quelli di grandi dimensioni con motori da 50÷60 Hp pur restando sostanzialmente uguali nei loro componenti.

Il cilindro rotante a spazzole è posto trasversalmente alla direzione di marcia ed è regolabile sia in altezza, per modificare la pressione sul pavimento che sul piano orizzontale per poterla angolare a sinistra o a destra; un cambio consente di variarne la velocità di rotazione.

La larghezza della striscia spazzata varia con le dimensioni della macchina da un minimo di m 0.8 fino a m 3.70 (corrispondenti ad una corsia) mentre la velocità massima è ~20 km/h.

3.3.1.3 – Motosoffiatori

Sono molto efficaci ed evitano gli inconvenienti imputabili alle motopompe lavatrici. Consistono di un telaio a 2 o 3 ruote pneumatiche sul quale è montato un motore a benzina da 3÷6 Hp che muove una ventola a doppia aspirazione orientata verso il basso per cui il getto d’aria da essa provocato rimuove facilmente la polvere e le impurità annidate sulla superficie della massicciata.

Fig. 3.21 – Schema di Spazzatrice.

La macchina è molto maneggevole e richiede un solo operatore. La superficie pulita in un’ora varia da 200 a 1500 m2 a seconda della potenza del motosoffiatore ed allo stato della massicciata (la pulizia è molto più rapida se la superficie è già stata bitumata.

3.3.2 – Macchine per il riscaldamento, trasporto e spandimento del legante

Per il riscaldamento si usano caldaie fisse e mobili di capacità varianti tra i 9.000 e 20.000 l.

Le prime sono vasche in lamiera a fondo curvo protette esternamente da materiale refrattario; sotto di esse è collocato il focolare contenente il bruciatore a nafta o a metano ed un sistema di comparti sui fianchi della caldaia permette di sfruttare al massimo il calore erogato.

Quando il legante è fornito in fusti, sopra la caldaia è sistemato un binario sul quale i fusti preriscaldati in un’apposita camera, sono sollevati per essere quindi svuotati nella caldaia e fatti discendere dall’altra estremità. Oggi, tuttavia, si ricorre più frequentemente alle autocisterne dalle quali il legante è travasato più rapidamente che dai fusti.

Ogni caldaia è equipaggiata con termometri ed indicatori di livello. I modelli mobili, trainabili oppure portati da un autocarro sono provvisti di un piccolo argano per il sollevamento dei fusti.

Alcuni tipi di caldaie riscaldano il legante per via indiretta con un fluido intermedio, quale il vapore d’acqua oppure olio diatermico che, riscaldato in una propria caldaia viene poi fatto circolare entro serpentine disposte nella caldaia del legante; oggi viene preferito l’olio per la maggior praticità e per la possibilità di portarlo ad oltre 300°C mentre il vapore d’acqua, a 12 atm di pressione non arriva a 200°C. Per il trasporto e lo spandimento del legante si distinguono:

a) I piccoli modelli trainabili di capacità variabili fino a 1.200 l nei quali il riscaldamento è fornito da un bruciatore a nafta e la spruzzatura del legante viene eseguita a mano con una lancia ad uno o più ugelli. La pressione (4÷5 atm) è fornita da un piccolo motocompressore ed un serbatoio dell’aria munito di manometro e valvola di sicurezza.

Quando il legante ha raggiunto la temperatura richiesta nella caldaia, è travasato nel serbatoio a pressione, si chiude il collegamento e si immette l’aria compressa iniziando quindi la spruzzatura. E’ conveniente, nel contempo, mantenere rifornita la caldaia per utilizzare al massimo il calore fornito dal bruciatore. Alla fine dello spandimento tubazione ed ugelli sono puliti con aria compressa.

b) Nelle spanditrici semoventi o trasportate su rimorchi l’apparecchiatura è la stessa descritta in precedenza anche se più sofisticata dove la caldaia presenta capacità molto maggiori (da 2.000 a 13.000 l). Le semoventi, per la bassa velocità consentita dal motore principale (15÷20 km/h) non si prestano al contemporaneo trasporto del legante.

La spruzzatura può effettuarsi a mano con una o due lance (ed altrettanti operai spanditori) oppure meccanicamente; in quest’ultimo caso la macchina porta posteriormente un tubo orizzontale (rampa) sul quale sono riportati dei fori, oppure dei diffusori, eroganti ciascuno una lama di legante o ancora degli ugelli che spandono il liquido a cono; questi diversi dispositivi sono adatti rispettivamente per spruzzature a bassa pressione (emulsioni), media ed alta (3÷7 atm).

Nelle spanditrici a bassa pressione l’erogazione del legante è comandata da una pompa rotativa asservita alla velocità di avanzamento del veicolo per cui la precisione del dosaggio longitudinale è legata al mantenimento di una velocità costante mentre per il dosaggio trasversale è necessario correggere l’erogazione della pompa ogni qualvolta è variata la larghezza di spandimento.

Le rampe di spandimento infatti sono larghe normalmente m 2.4 ma possono essere estese con l’aggiunta di prolunghe anche fino a 7 m.

Nelle spanditrici a media pressione (~2,5 atm) la pressione costante è assicurata da una pompa che fornisce il legante in quantità maggiore del necessario e l’eccesso è fatto tornare nella cisterna tramite un by-pass regolato da valvole in ragione della viscosità del liquido; pertanto con questo sistema una limitata variazione della larghezza della rampa non incide sul dosaggio però non è più possibile asservire la velocità della pompa alla marcia del veicolo che deve esser costante.

E’ inoltre indispensabile mantenere costante la temperatura del bitume durante lo spandimento per mantenere inalterata la viscosità e quindi il dosaggio.

La pompa rotativa è congegnata in modo da aspirare il liquido dalla cisterna, immetterlo (volendo) nella rampa e anche di aspirare mediante un tubo di presa legante dall’esterno per riempire la cisterna. Nelle spanditrici ad alta pressione, questa è esercitata mediante un gas neutro il cui vapore è ottenuto in una caldaia a parte; queste macchine sono insensibili alle variazioni di larghezza della rampa e l’erogazione varia con la velocità dell’automezzo controllata dal contagiri del motore. L’operatore è fornito di una tabella utilizzata nello stabilire la dose da spruzzare sulla base di 3 elementi:

–       fori degli ugelli;

–       velocità d’avanzamento del veicolo;

–       velocità della pompa.

Nelle spanditrici portate dove è più difficile regolare la marcia si utilizza un tachimetro collegato ad una ruota che appoggia sulla massicciata. La produzione oraria di una spanditrice semovente di tipo medio ammonta a 1.500÷2.000 kg di legante spruzzato alla rampa; la produzione delle spanditrici portate è mediamente la metà.

3.3.3 – Macchine per lo spandimento dell’aggregato

Si tratta in genere di apparecchi applicati sul retro di un autocarro ribaltabile per quanto non manchino in commercio i modelli semoventi. Si distinguono 3 tipi:

–       spanditrici a caduta libera;

–       a rullo distributore od a coclea;

–       a 2 rulli: uno ripartitore ed uno distributore a velocità variabile.

Gli spandigraniglia applicabili sul retro dei ribaltabili sono costituiti da una tramoggia sulla quale il materiale scende per gravità man mano che l’autista. avanzando, solleva sempre più il cassone. Il dispositivo è provvisto di un’apertura di scarico unito ad un cilindro distributore orizzontale la cui rotazione è trasmessa da due piccole ruote che poggiano automaticamente sul pavimento appena il cassone comincia ad alzarsi.

L’apparecchio è largo ~2.5 m mentre l’apertura, larga poco meno, è suddivisa in settori comandati da un’unica leva. Alcuni modelli sono provvisti di una spalliera inclinata che consente lo spandimento anche quando il cassone del ribaltabile non può essere mantenuto sollevato causa la presenza di un cavalcavia o lungo una curva stretta quale il tornante di una strada di montagna.

La costanza del dosaggio longitudinale è, come per il legante, dipendente dalla regolarità di marcia del veicolo.

I migliori risultati si ottengono con autocarri ribaltabili pesanti (18÷20 t o più) con sospensioni relativamente rigide in quanto quelle elastiche sono infatti più sensibili alle ondulazioni della strada ed alle variazioni di carico che hanno luogo man mano si spande l’aggregato.

Gli spandigraniglia trainabili sono del tutto simili ai precedenti con il vantaggio che possono essere rapidamente sganciati dal ribaltabile rendendolo indipendente. Appoggiano su 4 o 6 ruote coassiali che nel loro movimento mettono in azione una coclea che distribuisce a tutta larghezza il materiale scaricato al centro della tramoggia. La produzione è pari a 10÷15 m3/h.

modelli semoventi sono montati su un telaio a 4 ruote di cui due motrici; un motore da 10÷15 Hp assicura l’avanzamento del veicolo azionando inoltre un elevatore a tazze per il riempimento della tramoggia che può essere effettuato in 6÷7 minuti dai cumuli opportunamente disposti tenendo conto del tempo di spandimento (8÷10 m3 orari pari a 600÷1.400 m2) e della produzione richiesta. La velocità del veicolo si aggira tra i 400 m/h e i 12 km/ora. La capacità della tramoggia è pari a 3÷4 m3.

Fig. 3.22 – Schema d’avanzamento di cantiere stradale per trattamenti superficiali.

3.4 – Le macchine per le pavimentazioni in conglomerato bituminoso

Analogamente a quanto detto per i calcestruzzi di cemento si distinguono:

–       gli impianti per la preparazione del conglomerato;

–       i veicoli per il trasporto dalla centrale al luogo d’impiego (quando non si usi il metodo road-mix);

–       i dispositivi per la stesa ed il costipamento del conglomerato.

3.4.1 – Le centrali di produzione

Ricordando che concorrono alla formazione del conglomerato bituminoso: l’aggregato (grosso e fine con limite di separazione il setaccio n. 10 ASTM con maglia da 2 mm), l’additivo ed il legante, il processo di lavorazione di questi elementi è pressoché uguale qualunque sia il tipo di centrale: mobile, semifissa o fissa.

Si distingue infatti (Fig. 3.23) un ciclo a freddo in cui l’aggregato, nelle diverse pezzature, è portato al predosatore e di qui, attraverso l’elevatore a freddo, è introdotto nell’essiccatore, cui segue il ciclo a caldo attraverso l’essiccatore-ciclone, l’elevatore a caldo, il selezionatore (vagli), i dosatori, il miscelatore ed infine il silo di carico sotto al quale staziona l’automezzo da trasporto.

E’ nell’apparato di dosatura e miscelazione che si diversifica la produzione continua da quella discontinua. Nella progettazione dell’impianto a freddo, ed in particolare nella scelta dei mezzi di trasporto degli inerti, si deve tener conto:

–       della produzione (t/h) richiesta: la massima capacità operativa del macchinario e le relative proporzioni delle varie taglie dell’aggregato determinano i requisiti delle apparecchiature a freddo;

–       del numero di separazioni richieste che a sua volta determina il numero dei depositi ed i metodi più idonei d’alimentazione dell’essiccatore;

–       il tipo dei materiali (abrasivi, coesivi etc.) e la loro disponibilità;

–       le tolleranze consentite nella miscela (o flessibilità dell’impianto);

–       il tipo d’impianto (mobile o fisso) e la morfologia del terreno d’impianto.

Fig. 3.23 – Schema tipico di una Centrale per Conglomerati Bituminosi coi propri elementi di base.

Ed inoltre, qualunque sia il mezzo usato: nastro trasportatore, gru con benna mordente, pala etc. è necessario caricare in modo omogeneo per evitare la segregazione e non facendo mai cadere il materiale da grande altezza. E’ importante disporre i cumuli d’inerti in luoghi ventilati: una diminuzione del tenore di umidità dell’1%, infatti, significa una economia di 1,5 kg di combustibile per tonnellata d’inerte all’essiccatore (Fig. 3.24); per la medesima ragione non è economico raccogliere con la pala gli ultimi 30 cm della base del cumulo specie dopo che ha piovuto per l’eccesso di acqua ivi esistente.

Fig. 3.24 – Relazione tra umidità rimossa dall’inerte e produzione dell’essiccatore.

3.4.1.1 – Predosatore – Alimentatore

Raramente la miscela richiede 1 sola pezzatura o 2 d’inerte; più frequente è l’utilizzazione di 3, 4 o più pezzature nel qual caso risulta necessaria l’interposizione del predosatore, a monte dell’essiccatore, così come nelle centrali di betonaggio, col compito di rifornire l’apparecchiatura a caldo con materiale già dosato. Sia pure con precisione relativa, si assicura così una regolare alimentazione che evita rallentamenti del processo per difetto di una determinata pezzatura o sperperi d’energia (Fig. 3.25) riscaldando pezzature in eccedenza.

Fig. 3.25 – Consumo medio di combustibile negli Essiccatori.

Le tramogge dei predosatori devono rispondere a determinate caratteristiche, come visto in precedenza, e sono provviste di vibratori che vengono azionati per evitare l’arresto della caduta dell’inerte per la formazione di volte, tanto più frequenti quanto più il materiale è umido e fine.

I vibratori vanno collocati il più vicino possibile all’orificio di uscita. Risulta inoltre che una vibrazione continua è meno efficace di una irregolare e sincopata ottenuta con arresti intervallati dell’attrezzo.

Tab. 3.15 – Capacità dei Vagli.

II predosaggio può essere volumetricoponderale e a controllo ponderale asservito. Nel primo caso ogni tramoggia (capacità 1÷5 m3) è munita di apertura di scarico regolabile mediante una leva bloccabile entro un arco graduato oltre ad un dispositivo a moto alterno che porta a cadere l’inerte sul sottostante nastro.

Il sistema ha i suoi vantaggi in una erogazione costante e nella semplicità dei congegni; per contro non è adatto per grandi produzioni e per la pezzatura fine richiede inoltre un controllo ponderale saltuario per il quale è sovente necessario interrompere il ciclo di fabbricazione.

I predosatori a controllo ponderale, descritti in precedenza, agiscono mediante il nastro pesatore che fornisce costantemente i dati di peso su un quadrante posto a lato e nel contempo alla cabina di controllo mentre quelli a controllo asservito aggiungono ai precedenti la facoltà di correggere automaticamente le variazioni di peso rallentando od accelerando la velocità del nastro.

 

                         Fig. 3.26 – Schema del ciclone.             Fig. 3.27 – Schema di Depolverizzatore idraulico (secondario).

Le sabbie, nella loro totalità, passano attraverso il vaglio più fine a valle dell’essiccatore e cadono nel silo n.1 (Fig. 3.28); di conseguenza il proporzionamento delle varie frazioni deve avvenire a freddo con un predosatore separato a nastri metallici mentre le tramogge hanno le pareti più inclinate di quelle del grosso.

Fig. 3.28 – Disposizione usuale dei Vagli per 4 tramogge (Barber-Greene).

Concludendo sui predosatori è da tenere presente la loro imprecisione causata dall’umidità dell’aggregato il cui tenore può variare notevolmente sfuggendo al controllo sia volumetrico che ponderale.

Fig. 3.29 – Scelta dei Vagli negli impianti a 2 o 3 tramogge in base alla curva granulometrica totale.

3.4.1.2 – L’elevatore a freddo

L’elevatore a freddo é una macchina semplice posta tra predosatore ed essiccatore per l’alimentazione di quest’ultimo; è costituita da una catena a tazze con due pulegge azionate da un motore elettrico, in cui normalmente l’inconveniente più serio è l’intasamento della bocca dell’essiccatore quando la sabbia è molto umida od è presente un poco di argilla.

Nei grandi impianti alla catena è preferito un nastro a grande velocità che proietta il materiale all’interno dell’essiccatore evitando l’inconveniente citato; il nastro è di gomma appositamente progettata per resistere oltre che all’abrasione, all’eccessivo calore presente al passaggio davanti alla bocca dell’essiccatore.

3.4.1.3 – L’essiccatore (Fig. 3.30)

L’adesione dei bitumi è sempre cattiva se l’inerte è umido e, soprattutto, se porta una pellicola di argilla in superficie. Di qui la necessità dell’essiccatore col triplice compito di togliere l’acqua, riscaldare l’inerte e mescolare le varie pezzature nella rotazione del tamburo in modo da eliminare la segregazione.

E’ costituito da un tamburo in lamiera di acciaio di forma cilindrica con l’asse leggermente inclinato (~ 8÷10°) per facilitare lo scorrimento dei granuli verso la discarica. Due anelli poggiano ciascuno su due rulli appartenenti al telaio di sostegno della macchina sui quali ruotano e con essi il cilindro (8÷10 giri/min). Il materiale, introdotto dall’elevatore a freddo , viene continuamente sollevato e fatto cadere dalle pale longitudinali fissate alle pareti interne del tamburo durante la rotazione, nella corrente di gas caldi prodotta da un bruciatore.

Fig. 3.30 – Schema di Essiccatore.

L’essiccazione è facilitata da un compressore rotativo e da un aspiratore collegato ai cicloni per la raccolta del pulviscolo. L’inclinazione dell’asse del tamburo gioca un ruolo determinante nel tempo di ritenuta del materiale nel tamburo ed anche una variazione ~0.5% può mutare in maniera considerevole la quantità erogata alla discarica.

Esistono 2 tipi base di bruciatori utilizzati negli essiccatori : a bassa e ad alta pressione (fino ad 8÷10 kg/cm2) mentre il combustibile può essere il gas naturale o l’olio pesante. L’aria necessaria alla combustione è fornita nei tipi a bassa pressione da un soffiatore o ventola mentre nei secondi il getto d’aria è prodotto dal compressore rotativo.

Risulta comunque essenziale produrre una fiamma lunga e stretta per ottenere il massimo effetto radiante dalle particelle dell’aggregato; una combustione imperfetta sporca le stesse con fuliggine rendendo più difficile l’adesione del legante mentre, ad es., un imperfetto funzionamento del compressore o dell’aspiratore può fondere la sabbia (constatabile con l’apparizione del vetro).

L’essiccatore è senza dubbio la macchina chiave dell’intera centrale sia perché dalla sua capacità dipende la produzione unitaria che per l’elevato costo dell’energia spesa per il riscaldamento.

Di qui la necessità di una scelta ragionata del tipo e dimensioni e di una messa a punto ottimale.

A riguardo occorre sottolineare come, a parità di velocità dei gas e di lunghezza del tamburo, la produzione sia direttamente proporzionale alla sezione trasversale del tamburo stesso, così come  a parità di velocità dei gas e del diametro del tamburo, un aumento della sua lunghezza del 50% (ad es.da 6 a 9 m) porti ad aumentare la produzione del 20%; e ancora come, a parità di volume del tamburo, renda maggiormente quello più corto (e quindi di maggior diametro), e come un aumento della velocità dei gas, ad es. da 200 a 300 m/min, aumenti la produzione del 25-30%; e infine come l’inclinazione dell’asse del tamburo che regola l’uscita alla discarica vada fissata, una volta definite le altre componenti, in base alla temperatura ed al tenore massimo di umidità specificati per quella miscela.

Fig. 3.31 – Essiccatore mobile per aggregati.

Il consumo di olio combustibile è in funzione del quantitativo di umidità che deve essere rimosso e da altre variabili minori, non ultima la qualità dell’olio. In condizioni normali (temperatura esterna dell’aggregato umido 15°C e dell’ aggregato essiccato 150°C e del gas d’uscita 175°C) i consumi medi sono quelli forniti dal diagramma di Fig. 3.25.

Ogni conglomerato è caratterizzato da una propria temperatura di miscelazione e da un residuo di umidità, consentito nell’inerte, che raramente scende al disotto dell’1%. Tale residuo, d’altra parte, risulterebbe estremamente costoso portarlo a rimozione nell’essiccatore ed inoltre, per ciò che più conta, conviene mantenere costante la temperatura dell’inerte una volta uscito dal tamburo.

Questa temperatura è misurata da un termometro oppure da una termocoppia collegata ad un pirometro; si preferisce quest’ultimo metodo per la più rapida reazione ai cambiamenti di calore.

Esistono poi dei dispositivi che automaticamente variano la fiamma del bruciatore quando appunto la temperatura esce dai limiti prefissati.

3.4.1.4 – Il ciclone

Ad evitare l’inquinamento dell’aria dovuto al pulviscolo che esce dal camino dell’essiccatore, la corrente d’aria calda è convogliata in un ciclone o in una batteria di cicloni coadiuvati da un depolverizzatore idraulico o a filtro. I cicloni possono essere montati direttamente sul telaio dell’essiccatore oppure, nei grandi impianti, su telaio a ruote indipendente.

Consistono (Fig. 3.26) in un cilindro rastremato al fondo e chiuso superiormente da un camino dal quale esce soltanto l’aria calda, i fumi e le particelle più leggere; le particelle di polvere infatti, trasportate dal flusso d’aria calda provocato dall’aspiratore entrano nel cilindro dove girano vorticosamente fino a depositarsi al fondo del cono e quindi espulse mediante una coclea.

Per un flusso d’aria calda di 4 m3/s è sufficiente una batteria di 2 cicloni; ne occorrono da 10 a 12 con flussi di 25 m3/s.

Frequente è comunque l’aggiunta di un depolverizzatore idraulico (Fig. 3.27 ), che raccoglie i fumi provenienti dai cicloni convogliandoli in una torre a spruzzatori d’acqua dove lasciano il restante pulviscolo che andrà a depositarsi in forma di melma in un’ apposita vasca.

3.4.1.5 – Elevatore a caldo

Serve a portare l’aggregato uscito dall’essiccatore (normalmente sistemato al piano di campagna) sopra ai vagli ed è del tutto simile a quello a freddo con l’unica differenza di essere contenuto in un cofano metallico che riduce la perdita di calore del materiale.

Usando bitumi flussati, la temperatura deve essere abbassata a 70÷80°C; in questo caso a monte dell’elevatore viene interposta una apparecchiatura di raffreddamento a getto d’aria fredda.

Fig. 3.31 – Schema tipico di Dispositivo a caldo per impianto di tipo discontinuo (Barber-Greene).

3.4.1.6 – Vagli e Tramogge di raccolta

II selezionatore a 3÷4 vagli dovrebbe rappresentare nell’impianto soltanto un mezzo di controllo indicando le correzioni da apportare alla selezione che avviene a freddo. Tuttavia la vagliatura e il dosaggio nel ciclo a freddo non possono essere precisi in quanto il contenuto d’acqua dell’aggregato varia nella giornata (precipitazioni a parte), varia ancora se si preleva il materiale alla sommità od alla base del cumulo e l’acqua fa variare notevolmente la velocità di scivolamento sulle lamiere; per di più un vaglio a freddo offre risultati mediocri se non è aiutato da getti d’acqua ed infine corpi estranei possono alterare le erogazioni.

E’ anche da sottolineare, a riguardo dei vagli, che se l’essiccatore rappresenta il bottle-neck numero uno della centrale, questi rappresentano il secondo importante fattore di limitazione delle sue capacità in quanto assorbono il materiale in quantità limitata e, qualora sovraccarichi, ne inviano una parte nella tramoggia sbagliata.

I vagli possono essere del tipo vibrante o rotativo; più comuni i primi mentre una disposizione frequente, per 4 vagli e 4 tramogge è quella indicata in Fig. 3.28.

La selezione dei vagli per quanto riguarda l’apertura delle maglie viene eseguita in base alla curva granulometrica stabilita per tutto l’aggregato tenendo presente che ogni tramoggia deve contenerne, grosso modo, la medesima quantità.

Nella Fig. 3.29, infatti, si può osservare che utilizzando 3 tramogge il vaglio più piccolo è il 4 mm (è il minimo che si possa usare ed infatti le sabbie come, già si è detto, non sono frazionabili a caldo) ed il grosso è diviso dal 18 mm tenendo conto , come indicato in figura, che per questi impianti si sceglie sempre l’apertura della maglia leggermente superiore al n° del setaccio.

La capacità dei vagli, influenzata da molti fattori tra i quali la gradazione del materiale, il carico e il diametro dei fili della maglia, è mediamente fornita nella tab. 3.15.

Fig. 3.32 – Schema dell’alimentazione nel miscelatore in un impianto di tipo continuo.

3.4.1.7 – Dosaggio e miscelazione negli impianti di tipo discontinuo (Batch type)

Uno schema dell’apparecchiatura a caldo è rappresentato nella Fig. 3.31. Il dosaggio dei vari componenti avviene a peso mediante bilance separate per gli aggregati, per l’additivo ed il legante e del tipo automatico con indice a quadrante. I congegni di pesatura delle singole pezzature dell’aggregato sono vari: oltre a quello illustrato in figura, infatti, è frequente l’interposizione di una tramoggia sotto i portelli delle tramogge calde collegata alla bilancia, anch’essa provvista di termometro, nella quale sono man mano riversate le varie pezzature iniziando dalla maggiore.

Lo scarico nel miscelatore avviene su tutta la sua lunghezza per evitare la segregazione.

L’additivo o filler (che può essere recuperato dalla coclea di scarico dei cicloni) è aggiunto, ben asciutto e comunemente a freddo, da un proprio silos di deposito dal quale è fatto passare in una tramoggia di pesatura, lunga quanto il miscelatore dalla quale, aprendo il portello di fondo, l’additivo è distribuito uniformemente.

Fig. 3.33 – Schema d’impianto di miscelazione continua (Barber-Greene).

Il legante, mantenuto alla temperatura richiesta nella propria cisterna, è immesso nel miscelatore, a peso, mediante molteplici dispositivi.

II miscelatore, a vasca con fondo apribile per lo scarico, porta due alberi a pale sfalsate che ruotano in senso contrario; a ridurre la forte usura delle parti in movimento queste, assieme al rivestimento interno della vasca, sono costruite in acciaio al manganese.

La velocità di rotazione degli alberi è pari a 40÷80 giri/min. Negli impianti operati a mano, l’operatore apre successivamente i portelli delle tramogge calde osservando la bilancia e li richiude man mano che sono raggiunti i pesi prescritti; il totale è quindi riversato nel miscelatore.

Dopo analoga operazione per l’additivo ha inizio la miscelazione a secco, sempre breve (mentre l’operatore procede alla pesatura della carica successiva) cui segue la spruzzatura del legante la cui dose viene regolata sull’apposita bilancia.

Il tempo di miscelazione (nel quale si deve ottenere una miscela omogenea di particelle interamente ricoperte dal legante e che per ovvi motivi di costi va ridotto al minimo necessario) si aggira normalmente ~50” ed è influenzato da molte variabili: tipo d’aggregato, granulometria, viscosità del bitume, tipo di miscelatore etc.; corrisponde ai secondi trascorsi dal momento della chiusura della tramoggia dell’inerte all’apertura della discarica del miscelatore.

In alcuni impianti questa lascia cadere il conglomerato direttamente sul cassone dell’automezzo che dovrà trasportarlo sul luogo di impiego; ciò richiede naturalmente una organizzazione dei trasporti tale che l’autocarro che ha completato il carico sia seguito immediatamente da un altro per non alterare il ritmo della produzione.

E’ di conseguenza più conveniente l’interposizione di una tramoggia d’attesa di capacità adatta (almeno il carico di uno degli automezzi di trasporto) che consenta una certa elasticità di operazione.

Fig. 3.34 – Impianto mobile a miscelazione continua (Barber-Greene). Dispositivo a caldo escluso l’Essiccatore.

Negli impianti automatici e semi-automatici, dove le operazioni accennate sono affidate in tutto o in parte a congegni elettronici, i vantaggi sono svariati: una maggior regolarità e sicurezza e la possibilità per l’operatore di assolvere contemporaneamente vari incarichi (controllo dei predosatori, del bruciatore etc.).

3.4.1.8 – Impianti per conglomerati a miscelazione continua (Continuous type)

In questi impianti il dosaggio degli aggregati è a volume. I portelli delle tramogge sono ad apertura regolabile: ogni pezzatura scende nella misura voluta sui nastri trasportatori (uno ogni coppia di tramogge e quindi normalmente 2) e da qui verso un elevatore a tazze che solleva l’aggregato al miscelatore. Data la quasi assenza di umidità i granuli scorrono con flusso regolare attraverso le saracinesche.

Allo stesso modo l’additivo, proveniente da apposito silo, è erogato attraverso un alimentatore a coclea ed una saracinesca di regolazione mentre il legante giunge dal serbatoio a mezzo di una pompa volumetrica che ne assicura un getto costante e regolabile.

Gli apparati di alimentazione dell’aggregato, del filler e del bitume fanno parte di un unico sistema controllato dall’albero motore dei nastri (provvisto di contagiri) per cui ad ogni giro dell’albero corrisponde l’afflusso della voluta quantità di ogni componente la miscela ( Fig. 3.32).

L’aggiunta del filler può essere regolata in modo che questo sia immesso nel miscelatore anche ad impasto parzialmente iniziato qualora si venisse a constatare che, diversamente, assorbirebbe troppo legante a scapito dell’aggregato.

Il miscelatore ha la forma di una vasca allungata in cui ruotano in senso contrario 2 alberi, disposti longitudinalmente, portanti delle pale che, data l’usura, possono essere facilmente sostituite.

La velocità degli alberi è regolabile e la disposizione delle pale è tale da convogliare la miscela, man mano si completa, verso lo scarico posto all’estremità della vasca.

Una volta calibrate le saracinesche degli aggregati, dell’additivo e la pompa del legante, l’alimentazione del miscelatore diventa così automatica mentre dei dispositivi d’allarme e d’arresto entrano in azione quando i livelli dei materiali, nei rispettivi contenitori, scendono al disotto del consentito oppure se si altera l’erogazione di uno di essi.

Un vantaggio del tipo continuo sul discontinuo è che risulta possibile variare il tempo di miscelazione senza modificare la produzione unitaria; la vasca di miscelazione è infatti provvista, dalla parte della discarica, di una barriera ad altezza regolabile che, se abbassata, riduce lo spessore dello strato mescolato abbreviando tale tempo e viceversa.

A riguardo, quasi sempre viene richiesto che il tempo di miscelazione venga ricavato dalla formula:

Tempomiscelazione (s) = Capacitàmiscelatore (kg)/Produzionemiscelatore (kg/s)

che può essere rapidamente risolta dall’operatore mediante una tabella in cui sono riportati i volumi (e quindi i pesi) della miscela contenuta nella vasca per ogni cm di spessore dello strato (definito dall’altezza della barriera).

Si è descritto un impianto di tipo continuo a dosaggio volumetrico essendo questo il metodo più diffuso nel quale, peraltro, per assicurarsi che i nastri alimentatori lavorino a carico costante, la regolazione peso/volume viene effettuata attraverso prelievi saltuari di controllo.

Negli impianti a dosaggio ponderale continuo è interposto, sotto le tramogge calde, un nastro pesatore con un dispositivo di lettura diretto o a distanza che permette d’intervenire per mantenere il peso desiderato variando la velocità del nastro. La capacità degli impianti per la produzione dei conglomerati varia moltissimo per la grande varietà di modelli esistenti; la stessa, come s’è detto, è legata alla capacità dell’essiccatore il cui diametro può variare da m 0,7 a 2,8 e la lunghezza da m 3,0 ad 8,0 ed oltre con potenze d’impianto varianti da 10 a 300 Hp.

Valori indicativi sono comunque dell’ordine di 60÷1000 t/h.

3.4.2 – Le macchine finitrici

Una finitrice è una apparecchiatura mobile autolivellante che permette la stesa del conglomerato a velocità e larghezze variabili. I requisiti richiesti ad una macchina moderna sono:

–       capacità di operare con qualsiasi tipo di conglomerato;

–       finitura regolare della superficie e sufficiente costipamento così da facilitare il compito dei rulli;

–       compensazione automatica delle irregolarità della superficie d’appoggio e possibilità di adeguarsi alla sagomatura trasversale della strada in rettifilo e in curva;

–       possibilità di operare su tutte le superfici, dalle vecchie pavimentazioni alle sotto-basi di nuova costruzione;

–       potenza sufficiente da spingere i pesanti mezzi da trasporto che scaricano il conglomerato.

Il dispositivo si compone di 2 parti: (Fig. 3.35)

1) Un telaio su cingoli oppure su ruote (oggi preferite per la maggior mobilità della macchina) sul quale è montato un motore Diesel da 30÷60 Hp con cambio a più velocità così da poter regolare la operatività in modo da evitare rallentamenti del ritmo di produzione della centrale o, tanto meno, di arrestare la macchina tra due rifornimenti. Una larga tramoggia a pareti abbassabili permette lo scarico del conglomerato dall’autocarro ribaltabile al quale, tramite appositi rulli, viene trasmesso il moto della finitrice così che quest’ultima non debba arrestarsi durante il rifornimento.

Al fondo della tramoggia due nastri trasportatori a barre piatte portano il conglomerato fino alle due coclee (o viti senza fine) trasversali, poste a circa 12 cm da terra, che hanno il compito di ripartire il conglomerato su tutta la larghezza di spandimento. Questa può essere modificata togliendo o aggiungendo speciali elementi.

Dei portelli regolabili determinano la quantità di materiale che i trasportatori rovesciano sulle coclee. I comandi possono essere idraulici, elettrici o elettronici.

Fig. 3.35 – Schema di una macchina Finitrice convenzionale.

2) La seconda parte della macchina detta unità livellatrice (floating screed unit ) è trainata dalla prima mediante due longheroni imperniati molto avanti sulla slitta portacingoli oppure su di un bilanciere se la finitrice è del tipo gommato.

Ne fanno parte un deflettore radente che lascia passare il materiale in modo da mantenere sempre sommerso il costipatore a lama vibrante che lo segue (tamper) ed una piastra finitrice (screed) riscaldata elettricamente o con bruciatori a nafta.

Questo equipaggiamento rappresenta la parte più importante della finitrice ed è in equilibrio sul materiale caldo sul quale appoggia tramite la piastra che si stabilizza ad una altezza che dipende dalla natura del materiale, temperatura e velocità della macchina, scivolando con un’inclinazione predeterminata (~3 mm) ed agendo come un ferro da stiro.

Nelle macchine più moderne, alla piastra è sostituita una tavola vibrante.

L’altezza dello strato (che, dopo il costipamento finale dei rulli, si ridurrà del 20%) è regolata da un dispositivo. E’ da notare come la piastra finitrice sia composta da 2 elementi snodati che consentono di seguire la baulatura in rettifilo o la sopraelevazione in curva.

Completano l’equipaggiamento della finitrice 2 guide laterali che poggiano sulla pavimentazione e servono a contenere lo strato nella larghezza desiderata lasciando un bordo, inclinato a 45°, così da formare con lo strato adiacente un giunto obliquo più efficace e più resistente all’acqua.

Per le loro caratteristiche costruttive le Finitrici eliminano automaticamente le piccole irregolarità della superficie sulla quale avanzano; infatti, quando la parte semovente, ad es., s’innalza su una asperità la lunghezza dei bracci che la collegano all’unità finitrice fa sì che i cingoli o le ruote la superino senza che la piastra ne risenta.

Tuttavia, quando la irregolarità superano in quota e in lunghezza certi limiti o, ancora, è necessario sposare il profilo del tappeto adiacente o, infine, si richieda di seguire un determinato profilo longitudinale, la macchina deve essere dotata di apparecchiature manuali o semi-automatiche o interamente automatiche tanto più sofisticate e costose quanto più esigenti sono le richieste.

Quando si deve sostituire un tappeto logoro in strade urbane o di medio traffico in genere l’obbiettivo è di ottenere una superficie scorrevole, in breve tempo e col minimo di ingombro; in questi casi sono sufficienti delle apparecchiature relativamente semplici quali dei sistemi a bilanciere su ruotine che forniscono continuamente una quota media alla quale il controllo automatico della piastra si adegua oppure la trave a sci (long ski).

Quest’ultima consiste in una trave semirigida che scivola sopra i punti alti della vecchia superficie eccitando il meccanismo di controllo mentre il suo punto centrale avanza davanti alla piastra.

La lunghezza dello ski è tanto maggiore quanto più accentuate le irregolarità; vengono così riempiti gli avvallamenti posti tra le punte sulle quali la trave scorre provvedendo inoltre una copertura minima (regolabile) anche su queste punte col risultato di una realizzare una superficie uniforme.

Nel caso si debba stendere un tappeto bituminoso adiacente ad un altro già completato, fatto abbastanza frequente quando si opera su di una corsia alla volta, si utilizza un piccolo congegno (joint matching shoe) applicato al fianco della unità finitrice che scorre sul bordo del tappeto finito e che è collegato al controllo automatico della piastra.

I metodi più precisi tuttavia, da utilizzare ogni qualvolta si debba seguire un profilo di progetto, sono quelli dei riferimenti laterali che possono essere dei fili tesi longitudinalmente su dei supporti quotati (oppure delle aste rigide che eliminano il pericolo dell’accidentale allentamento del filo) o meglio ancora una linea ottica luminosa (o raggio laser) emessa da uno strumento in stazione a 100÷200 m dalla finitrice che sensibilizza l’apparecchio di ricezione e regola quindi la piastra.

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