11 – Dighe e impianti collegati

Gli impianti di ritenuta sono le opere (in muratura, scogliera o terra) di maggior mole realizzabili sul territorio aventi lo scopo di sbarrare corsi d’acqua per creare a monte raccolte d’acqua, ossia veri e propri laghi artificiali. In genere l’acqua viene immagazzinata per essere poi distribuita e utilizzata con un regime diverso da quello con cui è direttamente fornita dalla natura, in relazione agli impieghi ai quali è destinata. I più comuni di tali impieghi sono le utilizzazioni industriali e potabili, le irrigazioni, l’alimentazione di canali navigabili, la produzione di energia elettrica. Altre volte, invece, il serbatoio ha lo scopo di attenuare la violenza delle piene immagazzinando la parte dell’acqua eccedente le portate normali per restituirla poi gradatamente al deflusso, ossia di laminare le piene. Sovente i serbatoi, espletano più d’una di tali funzioni.

Dal punto di vista costruttivo gli impianti di ritenuta possono venire realizzati mediante utilizzo di materiali sciolti oppure in muratura, mista o pura (calcestruzzi armati).

11.1 – Impianti in terra

Le rocce sciolte, selezionate e poste in opera in modo appropriato,sono state utilizzate fin dalle origini dell’attività costruttiva per realizzare manufatti o parti di questi, con criteri ancora oggi in evoluzione.

I rilevati, gli argini, le dighe di terra o di pietrame, gli accumuli di materiali sciolti di vario tipo hanno funzioni statiche e spesso anche di tenuta; in sostituzione delle costruzioni murarie raggiungono notevole diffusione poiché consentono di realizzare strutture dotate d’idonea permeabilità e resistenza, notevolmente deformabili e capaci di tollerare cedimenti differenziali, anche rilevanti; offrendo nel contempo soluzioni di minimo impatto sotto l’aspetto paesaggistico adattandosi a una morfologia anche accidentata; sono relativamente economici per il notevole sviluppo raggiunto dai mezzi di cantiere per i movimenti di terra.

Questi manufatti di materiali sciolti possono raggiungere altezze e volumi rilevanti, con forma e disposizione planimetrica assai varie secondo la finalità, i materiali disponibili, i terreni di fondazione e le azioni applicate.

Lo sviluppo delle grandi costruzioni di materiali sciolti trova i suoi limiti oggi solo nella difficoltà di valutare gli effetti delle azioni sismiche su opere di notevole altezza, specie in presenza di terreni di fondazione o materiali da costruzione particolarmente sensibili alle azioni dinamiche; i limiti di convenienza economica dipendono dall’esigenza di garantire la sicurezza del territorio con prelievi controllati di materiali da costruzione; sono anche da considerare con crescente attenzione le alterazioni del paesaggio, che possono derivare dall’apertura incontrollata di grandi cave di prestito.

Al proporzionamento dei manufatti di terra si procede principalmente in funzione delle proprietà dei terreni d’imposta e dei materiali disponibili per la costruzione, tenendo conto del peso proprio (sempre preponderante rispetto alle altre forze applicate) e delle azioni esterne (statiche o dinamiche) quali sovraccarichi, traffico, acque in quiete o in moto con livelli variabili, azioni sismiche e intensi eventi di pioggia.

Gli elementi strutturali poggianti sul manufatto o immersi in questo (pavimentazioni, rivestimenti, muri di sostegno, muri paraonde, manti di tenuta, diaframmi, membrane di vari tipi e per varie finalità vengono considerati, nel seguito della trattazione, per quanto si riferisce alla particolare funzione assunta e ai problemi d’interazione col manufatto di terra.

11.2 – Generalità sui manufatti di materiali sciolti

I manufatti di materiali sciolti sono strutture alle quali si assegnano dimensioni e forma opportune in relazione ai terreni di fondazione e ai materiali da costruzione e che si realizzano con modalità diverse, secondo le finalità, fra le quali: l’appoggio o il sostegno di sovrastrutture, la difesa idraulica, la ritenuta dei liquidi, la funzione di rinfianco o placcaggio per la stabilizzazione di pendii, l’applicazione di carichi provvisori per anticipare i cedimenti, la formazione di terrapieni o la bonifica per colmata di un territorio in sofferenza di scolo, l’accumulo di rifiuti solidi. È da considerare, inoltre, il diffuso impiego di materiali sciolti, particolarmente selezionati, con funzioni speciali di transizione, fondazione, drenaggio, tenuta e protezione.

I requisiti geotecnici fondamentali riguardano la deformabilità, la resistenza, la permeabilità del manufatto o di parti di questo, e sono alquanto diversi nei vari casi, in dipendenza delle finalità e delle azioni applicate.

Come s’è potuto osservare nei capitoli precedenti i rilevati per l’appoggio di sovrastrutture (strade, ferrovie, aeroporti, piazzali, canali) raggiungono raramente dimensioni cospicue. Oltre alla stabilità globale viene richiesta un’ottima portanza in prossimità della superficie per limitare le deformazioni dovute alle azioni (statiche, dinamiche) trasmesse dalla sovrastruttura. Le azioni idrauliche sono in genere limitate al ruscellamento sulle scarpate. Si usano materiali di buone caratteristiche meccaniche e drenanti, ben compattati; la sezione tipo del manufatto è generalmente omogenea. In associazione con vari elementi strutturali, i materiali sciolti si adoperano per la costruzione di opere di sostegno, di tura e strutture di terra rinforzata. I criteri di scelta dei materiali e le modalità di posa in opera sono in relazione alle funzioni (provvisoria, definitiva).

Anche gli argini di difesa idraulica, come visto, hanno in genere altezze modeste, ma possono avere grande sviluppo in planimetria e interessare terreni molto vari. Negli argini di difesa fluviale occorre assicurare principalmente la stabilità allo scorrimento in fondazione e al sifonamento lato campagna; la protezione nei riguardi di fenomeni di ritiro e di rigonfiamento; la difesa dall’erosione lato fiume per effetto della corrente idrica, che si muove in direzione tangenziale al manufatto. Le sollecitazioni idriche sono applicate per tempi brevi, per cui generalmente la tenuta è assicurata anche con materiali di permeabilità relativamente elevata.

Negli argini di difesa costiera, inoltre, occorre considerare le azioni del moto ondoso e della marea; assume, quindi, importanza il dimensionamento del rivestimento a protezione del paramento lato mare con scogliere di massi naturali o artificiali. In entrambi i casi il compattamente può essere limitato, se il manufatto è proporzionato con larghezza.

Gli sbarramenti marittimi di materiali sciolti possono assumere dimensioni rilevanti in fondali profondi laddove occorre assicurare principalmente la stabilità in quanto il manufatto poggia spesso su terreni di fondazione poco resistenti e molto comprimibili.

Si adoperano, di conseguenza, materiali grossolani posti in opera sott’acqua alla rinfusa. Robuste scogliere formate con grandi blocchi o massi si richiedono per fronteggiare le azioni dinamiche, spesso notevoli, dovute al moto ondoso in paraggi esposti.

Gli argini per il contenimento di liquidi o fango raggiungono in generale altezze modeste pur dovendo, in ogni caso, assicurare la stabilità e la tenuta tenendo conto nei calcoli delle possibili oscillazioni del livello liquido.

Gli sbarramenti per la creazione di serbatoi artificiali su corsi d’acqua sono i manufatti più impegnativi per la complessità dei problemi di tenuta e di stabilità che si pongono in fondazione e nel rilevato, per la presenza del serbatoio e per le gravi conseguenze di un crollo.

Fra le azioni idrauliche occorre considerare le oscillazioni del livello idrico, il moto ondoso e l’effetto delle acque meteoriche sul paramento a valle. Notevoli problemi geotecnici si pongono anche nell’ubicazione e nel proporzionamento degli organi idraulici di scarico, dei quali i serbatoi devono essere dotati. I materiali da costruzione sono selezionati; la posa in opera ed il compattamente devono essere particolarmente curati.

I materiali sciolti trovano un ottimo impiego anche per la formazione di rinfianchi, placcaggi, moli e banchinamenti con la finalità di stabilizzare pendici e versanti. I volumi di questi manufatti possono essere rilevanti.

Per anticipare il decorso dei cedimenti di terreni cedevoli si può ancora ricorrere ai materiali sciolti per la realizzazione di rilevati provvisori di pre-carico. ; in entrambi i casi l’effetto si può raggiungere con materiali non particolarmente selezionati; il compattamente è limitato al solo passaggio dei mezzi per i movimenti di terra; occorre proteggere il manufatto dall’azione erosiva delle acque meteoriche.

Le colmate per bonifiche o per acquisizione di nuove aree d’insediamento industriale, al servizio di porti, per la realizzazione di aeroporti in prossimità della costa, per il ripascimento di litorali, si eseguono spesso in presenza d’acqua con trasporto idraulico di materiali di mediocri caratteristiche su terreni recenti di origine lacuale o marina, spesso molli e cedevoli.

In combinazione con i materiali sciolti, nelle funzioni fondamentali di fondazione, drenaggio, tenuta, protezione e negli strati di transizione possono adoperarsi conglomerati cementizi (semplici, armati), bituminosi o altri materiali (bitume, metalli, geotessili) per la formazione di strutture composite.

11.3 – Impianti di ritenuta a mezzo materiali sciolti

I manufatti di materiali sciolti trasmettono ai terreni d’imposta sollecitazioni relativamente ridotte e sono capaci di tollerare deformazioni maggiori di quelle che possono imporsi alle strutture di conglomerato di cemento. Ne segue che le dighe di materiali sciolti hanno un campo d’impiego più ampio di quello delle dighe di altro tipo e possono realizzarsi anche su terreni di fondazione poco resistenti e molto comprimibili.

Secondo la tecnica costruttiva si distinguono i tipi indicati di seguito:

Dighe in pietrame                                       muratura a secco (conci squadrati a mano)

scogliera (grossa pezzatura alla rinfusa)

Dighe in terra                                              rullata (a strati compattati)

rifluita (per sedimentazione in acqua

Le dighe di muratura a secco e di terra rifluita sono oggi quasi abbandonate; le prime, perché richiedono una mano d’opera praticamente scomparsa; le seconde perché le caratteristiche in opera del materiale rifluito non sono affidabili, specie sotto l’aspetto, della resistenza.

Fig. 11.1 – Sezioni schematiche di dighe di ritenuta.

Limitando le considerazioni alle dighe di terra rullata e alle dighe a scogliera, si adottano soluzioni diverse, in dipendenza di fattori locali, fra i quali principalmente le caratteristiche dei terreni di fondazione e dei materiali disponibili per la costruzione, che condizionano le scelte progettuali. Possono riconoscersi, tuttavia, alcune soluzioni tipiche (Fig. 11.1), che si differenziano per i criteri di scelta dei materiali nella sezione tipo e per i dispositivi, che si adottano per realizzare la tenuta in fondazione e nel corpo diga, secondo la permeabilità e le caratteristiche di resistenza e deformabilità dei terreni d’imposta.

Secondo la disposizione dei materiali nella sezione tipo, le dighe si distinguono convenzionalmente in omogenee e zonate.

Nelle dighe omogenee la tenuta può essere affidata al materiale del rilevato, a un manto esterno appoggiato sul paramento a monte o a un diaframma di materiale diverso immerso nel corpo diga. Nelle prime (Fig. 11.1abc), oggi solo per manufatti di modesta importanza, si adoperano materiali di bassa permeabilità ai quali si affidano anche funzioni statiche.

Le soluzioni con manto (Fig. 11.1def), affidabili per rilevati di materiali di buone caratteristiche meccaniche e su terreni di fondazione relativamente poco deformabili, offrono vantaggi per la separazione della funzione di tenuta (manto) da quella statica (corpo diga) e per la possibilità d’ispezione diretta e riparazione del manto; inoltre, consentono agevolmente la sopraelevazione dell’opera.

Le soluzioni con diaframma centrale (Fig. 11.1gh), eventualmente integrato da cortine d’iniezioni (Fig. 11.1i) che possono spingersi in profondità nei terreni di fondazione, richiedono materiali speciali (conglomerato plastico, bitume) per la paratia, che deve poter tollerare deformazioni anche elevate senza perdere la continuità, e si applicano con successo anche su terreni relativamente cedevoli.

Nelle dighe zonate i materiali vengono disposti nella sezione tipo in dipendenza delle proprietà geotecniche fondamentali, principalmente permeabilità, resistenza, deformabilità. Per fronteggiare un rapido svaso, può essere opportuno disporre il materiale più drenante nel fianco a monte; in presenza di un manto è opportuno usare materiale poco deformabile, almeno nel fianco a monte; in altri casi, soprattutto in zona sismica, si dispongono i materiali con permeabilità crescente verso valle per un più sicuro controllo delle filtrazioni e delle pressioni neutre in caso d’improvvisa rottura del manto.

Quando si dispone di un materiale di bassa permeabilità si può affidare la tenuta a un nucleo centrale, mentre le funzioni resistenti sono assolte prevalentemente da due fianchi di materiali di elevata permeabilità e resistenza (Fig. 11.1l).

Un taglione (Fig. 11.1m) o un diaframma (Fig. 11.1n), eventualmente integrato da una cortina d’iniezioni, assicurano l’ammorsamento del nucleo in una formazione di bassa permeabilità. Il nucleo può essere inclinato, se questa disposizione è ritenuta opportuna per ragioni statiche (Fig. 11.1o) oppure per l’esigenza di realizzare la tenuta in fondazione in una sezione più favorevole (Fig. 11.1p)) o, infine, per estendere la struttura di tenuta con un tappeto verso monte (Fig. 11.1q). Al fine di garantire un graduale passaggio fra materiali di granulometria e proprietà molto diverse, il progetto della sezione può essere più articolato con l’introduzione di contro-nuclei di transizione costituiti di materiali di granulometria e proprietà intermedie (Fig. 11.1rst).

Si avverte che fra quelle indicate schematicamente in fig. 7.4 esistono sezioni miste realizzate con materiali e tecniche diverse (terre, scogliere) nelle varie parti; le denominazioni vengono attribuite secondo la disposizione prevalente nella sezione tipo.

In ogni caso assumono importanza fondamentale nelle dighe i dispositivi di drenaggio per il controllo delle pressioni neutre nel rilevato e in fondazione nelle fasi di costruzione, di esercizio e di svaso.

11.3.1 – Impianti di ritenuta marittima in materiali sciolti (Fig. 11.2)

Requisito fondamentale di una diga di difesa marittima è la stabilita del complesso manufatto-terreno nei riguardi del peso proprio, delle azioni del moto ondoso e di eventuali fenomeni di scalzamento per effetto della mobilità del fondo marino (→ cap. 12).

Il comportamento è condizionato dall’ambiente particolarmente difficile. La posa in opera del materiale, generalmente lapideo in grossa pezzatura, può effettuarsi a sezione completa con avanzamento da terra o per strati con versamento in acqua da mezzi di trasporto galleggianti, in fondali che talvolta raggiungono alcune decine di metri e ostacolata dal moto ondoso; i terreni di fondazione sono spesso di origine recente, molli e cedevoli.

In manufatti di dimensioni e importanza modeste la sezione è omogenea; n casi più importanti i materiali vengono disposti nella sezione in dipendenza di criteri costruttivi e dell’esigenza di fronteggiare le azioni del moto ondoso sul fianco esposto al mare aperto; laddove possibile, si inseriscono strati di transizione fra i materiali del rilevato e il fondo marino, spesso di composizione granulometrica e caratteristiche molto diverse. La sezione che ne risulta è caratterizzata dal cosiddetto scanno di sabbia disposto sul fondo, da un nucleo centrale di materiale tout-venant di cava, da una mantellata o scogliera di blocchi (naturali o artificiali) a protezione del manufatto sul lato esposto al moto ondoso; la sezione viene integrata da materiali di transizione di pezzatura intermedia. Nei riguardi della mobilità del fondo marino il manufatto viene protetto disponendo rinfianchi o materassi di materiali sciolti in prossimità del piede.

Fig. 11.2 – Sezioni schematiche di manufatti marittimi realizzati con materiali sciolti: a) rilevato sottomarino a sezione omogenea per lo smorzamento del moto ondoso; b) molo frangi-onde a sezione omogenea con mantellata di difesa; c) molo frangi-onde a sezione zonata; d) rilevato sottomarino a sezione zonata per appoggio di una sovrastruttura; e) manufatto frangi-onde su cassoni per la difesa di un’isola artificiale; f) arginatura provvisoria a sezione zonata con paratia di tenuta per la recinzione del cantiere di un’opera di presa a mare.

11.3.2 – Progetto generale

I principali requisiti di un’opera di sbarramento sono la tenuta e la stabilità: questi devono essere rispettati nel corpo diga e in fondazione. Il requisito della stabilità si intende esteso ai pendii naturali nell’area del serbatoio, con particolare riguardo alle pendici prossime alla sezione di sbarramento,

Gli organi di scarico assumono speciale rilievo nelle dighe di terra, per la limitata resistenza di questi manufatti agli effetti di un’eventuale tracimazione del rilevato.

Alle dighe si richiede sotto vari aspetti un elevato grado di affidabilità per ovvi motivi di sicurezza del territorio a valle; le .indagini idrologiche, idrauliche, geologiche  tecniche sono molto dettagliate e accurate; le verifiche di sicurezza devono essere impostate in situazioni limite di servizio e in condizioni ultime, particolarmente cautelative.

I temi dominanti della ricerca progettuale, sotto l’aspetto geologico-geotecnico, toccano i criteri di indagine, i problemi di fondazione, la stabilità dei pendii, le opere di sostegno, le gallerie e gli interventi di consolidamento dei terreni; per lo sviluppo delle conoscenze sulla risposta dei terreni alle azioni dinamiche i limiti di questi manufatti in zona sismica possono oggi ridursi con opportuni criteri di progettazione. La moderna strumentazione geotecnica di controllo, inoltre, offre buona affidabilità se la progettazione viene sviluppata con specifico riferimento alle questioni geotecniche e se l’installazione viene curata con riguardo alle particolari proprietà dei terreni di fondazione e dei materiali da costruzione.

I procedimenti per scavi, strutture di tenuta, interventi di consolidamento e drenaggi, esercitano influenza determinante sull’assetto e sulle proprietà dei terreni; analogamente la conoscenza dei metodi di coltivazione delle cave e di posa in opera dei materiali è essenziale per valutare il comportamento di questi ultimi nel manufatto, motivo per cui le questioni esecutive sono da considerare in progetto con la massima attenzione.

I controlli sulle fondazioni e sui materiali da costruzione, nonché le previsioni relative alla strumentazione geotecnica di misura delle principali grandezze, che influenzano il comportamento dell’opera, sono in ogni caso parte integrante del progetto.

Sulla scelta delle soluzioni progettuali influiscono numerosi fattori che possono ricondursi ai seguenti principali:

– ambiente fisico: per i caratteri geomorfologici e sismici del sito e per gli aspetti ideologici (regime del corso d’acqua, clima), che condizionano i programmi e lo svolgimento dei lavori;

– struttura del serbatoio: per la definizione delle azioni sul complesso manufatto-terreno di fondazione e delle possibili variazioni nel tempo di tali azioni in dipendenza della funzione e dell’esercizio;

– profilo e proprietà dei terreni: per la definizione delle condizioni d imposta dello sbarramento e delle opere di scarico, nonché dei provvedimenti di tenuta;

– caratteristiche dei materiali disponibili: per lo studio dei criteri di scelta in relazione alle proprietà, alla lavorabilità, al grado di eterogeneità e ai volumi accertati nonché alle distanze;

– programmi sull’andamento e sulle modalità esecutive dei lavori, dai quali il comportamento dei terreni e dei materiali dipende, e sulla vita futura dell’opera considerando, talvolta, l’eventualità di un sovralzo.

Si rivela buona regola che la progettazione di massima venga preceduta da uno studio di fattibilità, che richiede particolare impegno, competenza e intuito per la valutazione preliminare dei vari fattori ai quali si è accennato.

Col progetto di massima si richiede almeno la definizione della posizione più favorevole per l’asse diga e le opere di scarico in relazione ai problemi di tenuta e stabilità dei pendii, la precisazione dei criteri di scelta dei materiali e un proporzionamento geotecnico di massima.

Il progetto esecutivo comprende la definizione di tutti i particolari costruttivi e lo sviluppo dettagliato delle verifiche geotecniche di calcolo.

Il progetto viene di regola affinato e perfezionato nel corso dei lavori, sulla base di osservazioni, rilievi, misure, dati sperimentali, che possono raccogliersi solo all’apertura del cantiere con l’ausilio del laboratorio geotecnico.

Al termine delle indagini per l’identificazione dei terreni di fondazione e dei materiali disponibili per il rilevato diga si studia la posizione più conveniente dell’asse diga e delle opere di scarico in relazione ai terreni d’imposta e si fissano i criteri per assicurare la tenuta in fondazione e nel corpo diga.

Alle ricerche sperimentali fanno seguito la schematizzazione dei terreni e dei materiali e la relativa caratterizzazione con appropriati valori delle proprietà geotecniche, che tengano conto delle possibili modalità di applicazione delle azioni e dei previsti procedimenti costruttivi.

La previsione del comportamento meccanico del complesso diga-terreno, sotto l’azione del peso proprio e delle sollecitazioni indotte dalle azioni variabili trasmesse dal serbatoio, comporta, in linea di principio, la ricerca dei valori e dell’andamento nel tempo degli sforzi efficaci e degli spostamenti in un corpo di forma geometrica molto varia, composto da numerosi materiali di differenti caratteristiche meccaniche, sottoposto a sollecitazioni variabili in punti della superficie limite o interni. Il problema che, proposto in termini generali, presenti difficoltà ancora non superate, può essere scomposto, con opportune ipotesi semplificative e schematizzazioni, in problemi particolari riferiti alle prevedibili situazioni limite.

I corrispondenti calcoli geotecnici riguardano, in sintesi, i seguenti argomenti:

–       la previsione delle pressioni neutre nel rilevato e nei terreni di fondazione in regime permanente e in fase di consolidazione;

–       l’andamento degli spostamenti nel tempo e le deformazioni finali nel rilevato e in fondazione;

–       la sicurezza del complesso diga-terreno e dei pendii circostanti nei riguardi delle condizioni limite di rottura in varie ipotesi per l’esercizio del serbatoio;

–       la compatibilità fra materiali di differenti caratteristiche meccaniche e con diversa permeabilità, che vengono a trovarsi a contatto nel corpo del rilevato e con i terreni di imposta.

Spesso i calcoli convenzionali devono essere integrati da verifiche geotecniche speciali, come accade in zona sismica, dove si richiede la valutazione della risposta meccanica di materiali particolarmente sensibili alle azioni dinamiche ripetute; soprattutto, ai fini di una soddisfacente impostazione della ricerca progettuale, i problemi di tenuta e di stabilità del corpo diga, delle opere di scarico e delle relative fondazioni devono essere considerati unitariamente.

Specifica indagini geotecniche

Le ricerche e gli studi per la progettazione e la costruzione dei manufatti di materiali sciolti vertono su vari argomenti, fra i quali i temi di carattere geotecnico assumono particolare rilievo. Le indagini geotecniche sono parte integrante della progettazione e si sviluppano con i criteri generali indicati (1° vol.). Particolarmente impegnative sono le indagini che riguardano i terreni di fondazione e d’imposta delle dighe e delle opere di scarico e i materiali per il rilevato. Per i motivi accennati nel precedente paragrafo le indagini sui terreni di fondazione devono essere sviluppate unitariamente con le ricerche sui materiali. In relazione ai diversi livelli di progettazione, conviene distinguere:

– indagini di fattibilità: il programma è finalizzato ad una verifica della possibilità di realizzare l’opera a un costo accettabile: conviene, di conseguenza, sviluppare una campagna preliminare di indagini sui terreni di fondazione per lo studio di un tronco della valle sufficientemente ampio per comprendere le possibili posizioni della sezione di sbarramento; effettuare, inoltre, le prime ricognizioni per indicare le località da prendere in considerazione nella ricerca di materiali da costruzione, valutando caso per caso la convenienza di un successivo approfondimento;

– progetto di massima: occorre prevedere uno studio più dettagliato sui terreni di fondazione, allo scopo di definire la posizione dello sbarramento e delle opere di scarico; la ricerca sui materiali comprenderà l’esplorazione preliminare delle località idonee all’apertura di cave e la caratterizzazione meccanica di massima dei principali materiali disponibili, per un confronto tra le possibili soluzioni e per la scelta della soluzione da sottoporre a verifiche di massima;

– progetto esecutivo: le indagini si sviluppano in dettaglio su tutti i quesiti della progettazione; m particolare, per studiare compiutamente i terreni di fondazione, esplorare e delimitare le cave di prestito, valutare i volumi disponibili, caratterizzare i singoli materiali sotto i vari aspetti della permeabilità, resistenza, deformabilità, lavorabilità e per la stesura di appropriate prescrizioni di capitolato.

Le fasi schematicamente indicate costituiscono altrettante tappe della progettazione che, operativamente, si sviluppa come progettazione permanente e prosegue durante tutto il corso dei lavori per adattare le soluzioni previste alle modifiche che i criteri di progetto e i modelli di calcolo possono subire a seguito dell’acquisizione di nuovi dati e informazioni derivabili spesso dalla possibilità di sviluppare in cantiere indagini in precedenza non fattibili e, talora, anche per tener conto del progresso delle conoscenze, in rapido sviluppo.

Per lo studio dei terreni che costituiscono il sottosuolo della sezione di sbarramento e che sono interessati dalla diga, i metodi di esplorazione in situ e le indagini di laboratorio non differiscono sostanzialmente dai metodi generali illustrati in precedenza (vol. 1°)

Con riferimento ai materiali da costruzione, le ricerche in situ si sviluppano entro un raggio di vari km dalla zona d’impiego considerando materiali naturali, sciolti o lapidei, nonché materiali di risulta di scavi (in superficie o in sotterraneo) tenendo conto dell’esperienza acquisita con opere realizzate e concludendo con una carta geotecnica dei materiali disponibili.

Lo studio delle cave comprende:

– la stima del volume disponibile, che deve risultare convenientemente più elevato del fabbisogno teorico;

– l’accertamento della qualità e dell’omogeneità del materiale;

– la misura della composizione granulometricadella plasticità e del contenuto d’acqua;

– lo studio di quote, distanze di trasporto, piano di coltivazione, scoperture e scarti, circolazione idrica, opere di drenaggio, piste di accesso, sistemazione del terreno, espropri;

– la sperimentazione, in laboratorio e in situ, sulle caratteristiche meccaniche e di compattamento del materiale;

– i vincoli di carattere legislativo o amministrativo che impediscano o limitino la coltivazione della cava.

L’ampiezza delle indagini in sito per la ricerca dei materiali può essere rappresentata dal numero di saggi, in genere di modesta profondità (trincee, pozzi, più raramente sondaggi) in funzione della superficie esplorata. Una tendenza, emersa da un’indagine statistica su dighe costruite in Italia, indica che il numero di saggi varia da 25÷50 per superfici dell’ordine di 25 ha a 125÷150 se la superficie della cava si aggira ~100 ha.

Una stima di grande importanza, che richiede esperienza, riguarda la resa in blocchi di assegnate dimensioni da un ammasso lapideo, in dipendenza della spaziatura dei giunti e del tipo di esplosivo che si prevede d’impiegare: si tenga presente che la percentuale di blocchi, che e possibile ricavare da una formazione lapidea, raramente è > 20.

Frequente, ma non generalizzato, è il ricorso a manufatti sperimentali che, di regola, hanno cubatura 1000÷2000 m3 , eccezionalmente maggiore con materiali a grana grossa.

Il tipo e il numero delle prove di laboratorio vengono fissati in base al tipo di materiale.

L’identificazione ha sempre un’importanza notevole; nei terreni a grana fina l’indagine sulla plasticità ha dimensioni paragonabili a quella sulla composizione granulometrica.

Nei terreni a grana fina l’indagine comprende anche un’intensa sperimentazione sul compattamento, sulla deformabilità e sulla permeabilità; nei terreni a grana grossa si indaga sul compattamento, quasi sempre su frazioni ridotte, mentre lo studio delle altre proprietà meccaniche non è sistematico.

Escludono i fattori non tecnici, quali l’entità dei finanziamenti e i tempi disponibili, la dimensione dell’indagine va correlata al presumibile grado di omogeneità del deposito piuttosto che alla dimensione della cava.

11.3.3 – Terreni di fondazione

Le dighe di materiali sciolti sono fattibili su terreni appartenenti a formazioni di origine e storia geologica molto diverse. I fattori, che condizionano la progettazione, sono l’assetto geomorfologico delle sponde, i sistemi delle discontinuità, con particolare riguardo alle anomalie strutturali (che acquistano la massima importanza in zona sismica), la successione e le principali proprietà fisico-meccaniche, fra le quali la resistenza, la deformabilità e la permeabilità dei terreni.

Le opere realizzate in Italia poggiano su terreni alluvionali, su formazioni di argille più o meno fortemente preconsolidate, su formazioni lapidee variamente fratturate, o ancora su formazioni a struttura complessa. I terreni di fondazione di queste opere hanno assetto e proprietà diversi nelle varie località della penisola e delle isole maggiori.

Numerose dighe, specie in Italia meridionale, sono fondate su formazioni argillose che hanno spessori molto rilevanti, generalmente dell’ordine delle centinaia di metri. Caratteri geotecnici comuni di queste argille sono la grana molto fina, la plasticità spesso elevata, il contenuto naturale d’acqua quasi sempre inferiore al limite di plasticità, la porosità relativamente bassa: salvo eccezioni, il grado di saturazione è prossimo ali unita.

I valori medi delle citate proprietà indici, fino alla profondità significativa, possono considerarsi caratterizzanti ai fini progettuali in quanto, per l’elevato grado di pre-consolidazione, il contenuto d’acqua e la porosità (pur a volte molto dispersi) sono poco dipendenti dalla profondità. Queste formazioni argillose sono quasi sempre fortemente caratterizzate, nell’assetto strutturale, da discontinuità di vario tipo (giunti, fessure) facilmente riconoscibili (ma non sempre rilevabili) con la tecnica ben nota nel campo delle rocce lapidee, contenendo spesso intercalazioni di materiali diversi.

Una classificazione ai fini della caratterizzazione del comportamento dell’opera (per una valutazione del tipo e del grado di complessità) può fare riferimento al fattore più significativo. Ad es., in presenza di argille:

– in un primo gruppo (1) possono collocarsi le argille mediamente consistenti o consistenti, relativamente omogenee, intatte o poco fessurate secondo famiglie di discontinuità piuttosto regolari;

– in un secondo raggruppamento (2) possono farsi rientrare le argille consistenti o molto consistenti, con discontinuità generalmente irregolari, più raramente disposte secondo famiglie riconoscibili, con superfici opache o striate e contenenti talvolta banchi o livelli di sabbia;

– la caratteristica fondamentale del terzo gruppo (3) è la brecciatura, che si manifesta con la presenza nella massa argillosa di piccoli frammenti o noduli di materiali generalmente più resistenti;

– al quarto gruppo (4) appartengono le argille costituite da ammassi di vere e proprie piccole scaglie, e perciò scaglionate, con superfici spesso lucide e striate. Gli inclusi lapidei, laddove presenti, sono rari; ne segue che il comportamento meccanico dipende essenzialmente dalle caratteristiche dell’argilla;

– seguono le argille a scaglie (5), analoghe alle precedenti quanto alla struttura, ma caratterizzate da maggiore eterogeneità e nelle quali sono presenti banchi o frammenti lapidei, anche di grandi dimensioni, in assetto caotico, costituenti un’impalcatura che ha sensibili riflessi sul comportamento meccanico d’insieme;

– in un’altra classe, al limite con le rocce lapidee, possono collocarsi le argilliti (6) fessurate o minutamente fratturate, secondo famiglie di discontinuità talvolta riconoscibili e classificabili nei diagrammi polari di Schmidt;

– sono, infine, da considerare (7) i terreni di fondazione costituiti da formazioni argillose miste, composte da due o più termini delle classi precedenti, oppure da una delle argille precedenti e da altri terreni (7).

La breve rassegna proposta in Fig. 11.3 descrive alcune situazioni per le quali gli studi hanno avuto particolare sviluppo e interesse.

–       la diga Irminio è fondata interamente su una formazione lapidea di notevole potenza costituita di calcari stratificati (C) dell’Altopiano Ibleo.

–       nel sito della diga di Contrada Sabetta i calcari (C) sono parzialmente ricoperti da terreni sciolti alluvionali (AL) e argilloso-arenacei (CL).

–       la diga Castello, nella Sicilia Occidentale, interessa una formazione di argille (AT) molto consistenti, con discontinuità generalmente irregolari, su superfici striate con qualche livello di sabbia.

–       la diga dell’Arvo è impostata su graniti alterati (GA) della Calabria, sottostanti a un banco di alluvioni (AL) e detriti argille-arenacei (DA).

–       i terreni di fondazione della diga di Villarosa, in prossimità di Enna, sono costituiti da argille marnose (AT) e varicolori (AV), che in sinistra sono in contatto con una formazione di roccia calcareo-marnosa (CM).

–       la diga di Bomba, in Abruzzo, è fondata su terreni di copertura di origine alluvionale e detritica (CS) su argille scagliose varicolori (AV); in spalla sinistra affiorano calcari marnosi (CM).

–       i terreni di fondazione della diga di Castel S.Vincenzo, nel Molise, sono argille marnose (AM) ricoperte da una sottile coltre alterata; sulla destra, le argille sono in contatto con una formazione calcarea (C).

–       alla stretta di Poma le argille tortoniane (AT) passano a valle e in destra a terreni sabbiosi (S) più o meno cementati (CA).

–       la diga di Piana dei Greci, di pietrame sistemato a mano, è impostata su argille marnose (AM) che passano in sinistra a calcari (C).

–       la diga di Zoccolo è interamente impostata su terreni permeabili di origine fluvio-glaciale dell’arco alpino.

Fig. 11.3 – Profilo sintetico dei terreni di fondazione di alcune dighe in terra .

11.3.4 – Materiali da costruzione

Quasi tutte le rocce possono adoperarsi per la costruzione di manufatti di materiali sciolti. Sono, infatti, da escludere soltanto quei materiali che con il tempo possono alterarsi come, per esempio, quelli che contengono sostanze organiche in percentuale elevata o addirittura foglie, radici e simili, o sali solubili in quantitativi apprezzabili, come il gesso. Le limitazioni riguardano inoltre la lavorabilità, in relazione ai mezzi disponibili; ad es. le argille consistenti richiedono lavorazioni speciali, se occorre variarne il contenuto d’acqua; gli accumuli di grandi blocchi possono addensarsi solo con l’impiego di mezzi speciali.

I materiali da costruzione di dighe provengono in prevalenza da depositi naturali che possono avere differente origine:

– da acqua calma: sono a grana fina, in genere poco consolidati;

– da acqua in moto: secondo le dimensioni dei grani, costituiscono banchi con intercalazioni

e lenti di forma e dimensioni molto variabili;

– eolica: si rinvengono separati in classi di sabbie fini limose poco assortite e sabbie con

porosità molto variabile, generalmente piuttosto elevata;

– glaciale: sono costituiti da materiali generalmente non ripartiti in classi e ben assortiti;

– da trasporto: sono detriti di regola abbastanza ben assortiti nella frazione grossolana,

mentre la frazione sabbiosa è carente;

– da alterazione in posto (terreni residuali): dalle argille ai blocchi.

Tale classificazione lascia intravedere una correlazione fra l’origine e il grado di omogeneità,che assume la massima importanza in pratica. Ne segue che ogni approfondimento di scudi sulle vicende deposizionali e sulla storia geologica è di regola molto utile per indirizzare le ricerche geotecniche.

I materiali utilizzati possono raggrupparsi orientativamente in quattro grandi classi, secondo la funzione che esplicano, con prevalente riferimento alle dighe:

–       (A) a grana fina, di ridotta permeabilità per formazione di nuclei, taglioni, diaframmi;

–       (B) a grana media e grossa, di elevata permeabilità e resistenza per i fianchi;

–       (C)  di granulometria e permeabilità controllate per la formazione di filtri e drenaggi;

–       (D) di grossa pezzatura per rivestimenti, scogliere, zoccoli, muri a secco.

I materiali delle classi ABC sono in pratica caratterizzati essenzialmente dalla granulometria e dai limiti di consistenza; i blocchi D, di grandi dimensioni, per la formazione di scogliere marittime, vengono convenzionalmente classificati, in dipendenza del peso, in 4 categorie: 1a: 0.05÷1 t; 2a: 1÷3 t; 3a: 3÷7 t; 4a: 7÷10 t. Nella medesima classe possono farsi rientrare i grandi blocchi artificiali, confezionati con conglomerato di cemento, che si distinguono, per la forma e le dimensioni, in cubi, tetraedri, tetrapodi, dolosse (dette anche dolos), e antifer (Fig. 11.4).

Fig. 11.4 – Esempi di massi artificiali per la formazione di scogliere di materiali sciolti per la difesa dall’azione del moto ondoso. aantiferbtetrapodicdolossa.

In Fig. 11.5 sono rappresentati, a titolo di es., la composizione granulometrica e i limiti di consistenza dei materiali adoperati nella costruzione di una diga di terra; l’ampiezza delle bande é indicativa della tolleranza.

Fig. 11.5 – Materiali utilizzati per la realizzazione di una diga in terra zonataa) composizione granulometrica; b) limiti di consistenza: 1) nucleo con limi di fondovalle; 2) fianchi con alluvioni grossolane di fondovalle; 3) filtri con materiali prodotti da impianto; 4) scogliera di blocchi prodotti dall’abbattimento di rocce calcaree con esplosivi.

Significativo, per definire i criteri di utilizzazione di un materiale, è il comportamento nei riguardi delle azioni trasmesse dai mezzi di posa in opera: tale comportamento può essere misurato dai valori della porosità, oppure del peso secco dell’unità di volume, che il materiale assume dopo un compattamento con assegnate modalità. L’esperienza mostra che l’effetto del compattamento è molto vario, in dipendenza delle caratteristiche del materiale e secondo le modalità di applicazione degli sforzi. Fra i parametri, che definiscono lo stato iniziale, il contenuto d’acqua assume particolare importanza, specialmente nei materiali con apprezzabile frazione sottile. Lo studio può effettuarsi in laboratorio con prove di compattamento che riproducono con tecniche diverse le azioni statica o dinamica dei mezzi di cantiere.

L’energia di compattamento E viene definita convenzionalmente fissando le modalità del compattamento; ad es., nel compattamento dinamico: peso del pestello, altezza di caduta, numero dei colpi/strato, numero degli strati di materiale disposto in un cilindro di assegnate dimensioni.

Rappresentando nel piano (γd,w) i risultati di una prova di compattamento, si ottiene una curva dalla caratteristica forma a campana (Fig. 11.6).

Fig. 11.6 – Caratteristiche di compattamento e relazioni fondamentali: a) curve di compattamento corrispondenti ad assegnati valori dell’energia Eb) definizione delle grandezze elementari nell’elemento di volume di terreno; c) curve di compattamento ottenute con tecnica AASHO Mod. su campioni: 1, ghiaia sabbiosa; 2, sabbia; 3, limo; 4, argilla.

Il contenuto d’acqua wopt, al quale corrisponde il massimo peso secco dell’unità di volume γdmax (minima porosità), prende il nome di contenuto d’acqua ottimale di compattamento per l’assegnata tecnica ed energia E adottate. In Fig. 11.6 e si riportano alcuni esempi di curve ottenute con prove dinamiche, a parità di energia di compattamento: si osservino le cospicue differenze fra i risultati ottenuti con materiali di differente composizione granulometrica.

Fig. 11.7 – Composizione granulometrica e plasticità di materiali di uso frequente nella costruzione di dighe in terra: anucleo, a grana fina, sabbia, limo, argilla con d < 0.002 mm variabili dal 5 al 40%, media plasticità; bnucleo, a granulometria continua, ghiaia, sabbia, limo, argilla, plasticità da media ad elevata; cnucleo, miscele a granulometria continua di materiali a grana grossa, sabbia, argilla e spesso bentonite (2%); dfianchi a granulometria continua, ghiaia, sabbia, argilla, generalmente ≤ 20%, plasticità da media ad elevata; e) fianchi, a grana grossa in prevalenza ghiaia > 50% con piccole quantità di limo, plasticità da bassa a media.

Le proprietà meccaniche dei materiali compattati variano in misura considerevole col contenuto d’acqua nell’intorno dell’ottimale: nei materiali a grana fina le variazioni più cospicue si manifestano nei valori della coesione e del coefficiente di permeabilità; la coesione raggiunge un massimo per valori di w poco inferiori all’ottimale; la permeabilità si riduce generalmente di alcuni ordini di grandezza al crescere di w di qualche punto % nell’intorno del wopt la compressibilità presenta un minimo nelle condizioni di massimo addensamento. Al crescere del contenuto d’acqua di compattamento il materiale risulta più deformabile e la tendenza al lesionamento e la suscettibilità al sifonamento si attenuano; d’altro canto, per w > wopt le pressioni neutre si incrementano e i tempi di consolidazione si allungano.

Nei materiali a grana grossa l’influenza del contenuto d’acqua di compattamento sulla porosità e sulla resistenza è generalmente modesta.

La posa in opera con contenuto d’acqua prossimo all’ottimale (che spesso non si discosta dal limite di plasticità) rappresenta una valida soluzione anche nei riguardi della lavorabilità del materiale: vi sono casi, tuttavia, nei quali, per scopi speciali, può essere conveniente compattare il materiale con contenuto d’acqua diverso da quello ottimale.

11.3.5 – Modelli di calcolo

Per la verifica di un manufatto di materiali sciolti occorre ricercare gli stati di tensione efficace e di deformazione che si destano nel terreno e nel rilevato per dedurne il grado di sicurezza dell’opera nei confronti di vari possibili stati limite.

Il rilevato è in generale non omogeneo; la sezione, grossolanamente trapezia, è spesso variabile lungo l’asse longitudinale. L’applicazione dei carichi, nelle fasi di costruzione e di esercizio, avviene nel tempo con legge diversa nei singoli casi. Le grandezze, che intervengono nei calcoli, sono in genere funzioni del tempo, anche per l’effetto della consolidazione del rilevato e del terreno di fondazione sotto l’azione del peso proprio e m conseguenza delle sollecitazioni trasmesse dal serbatoio.

II problema può essere risolto con opportuni modelli di calcolo, introducendo ipotesi semplificative che concernono le dimensioni del rilevato, le proprietà dei materiali e dei terreni, le modalità di applicazione delle forze. Le corrispondenti soluzioni sono valide solo nelle ipotesi alle quali si fa riferimento; in pratica, perciò, esse possono applicarsi solo dopo averne valutato caso per caso e con cautela il grado di affidabilità.

Nei casi più comuni ci si limita al calcolo delle tensioni e delle deformazioni nel rilevato e nel terreno di fondazione, con particolare riguardo:

– agli spostamenti del piano di posa e della superficie limite esterna del manufatto;

– alla verifica del sistema drenante con il calcolo delle portate filtranti e al proporzionamento di dreni e filtri con la dovuta attenzione alla sicurezza nei confronti del sifonamento;

– alla verifica di stabilità del complesso rilevato-terreno di fondazione nelle ipotesi più cautelative per le pressioni neutre nelle fasi di costruzione e di esercizio del serbatoio, considerando (laddove necessario) le azioni sismiche.

Nei manufatti marittimi assume grande importanza la vantazione della risposta del manufatto all’azione dinamica ripetuta del moto ondoso, che nel tempo può indurre sensibili alterazioni nell’assetto strutturale degli scogli nella mantellata di protezione.

11.3.5.1 – Tensioni e deformazioni

Le tensioni e le deformazioni in un punto generico del rilevato dipendono dalle dimensioni e dalla forma del manufatto, dalle caratteristiche del materiale e del terreno di fondazione, dall’andamento del processo costruttivo; sono in generale, funzioni delle coordinate del punto e del tempo.

Calcoli semplificati si applicano per un rilevato di forma trapezio in stato di deformazione piana su semispazio omogeneo e isotropo, ammettendo l’ipotesi della risposta elastica lineare.

Possono considerarsi due casi limiti, ai quali conviene far riferimento.

Se si ammette che il rilevato sia privo di resistenza, le tensioni nel terreno di fondazione si calcolano con le formule relative a carichi agenti lungo una striscia indefinita (Fig. 11.8), applicando il principio di sovrapposizione degli effetti: a tal fine, la sezione tipo del rilevato si scompone in triangoli e rettangoli.

Fig. 11.8 – Schemi di carico relativi al calcolo delle tensioni indotte in un semispazio da carichi distribuiti su strisce indefinite del piano limite; le soluzioni relative alle condizioni di carico (e) possono ottenersi per sovrapposizione degli effetti da quelle indicate per i 4 casi fondamentali (abcd).

Per ognuno di tali schemi elementari si valutano le componenti normale p e tangenziale q del carico e le corrispondenti tensioni in un punto del terreno di fondazione mediante le relazioni:

Nei casi c), d) le tensioni indotte da carichi simmetrici rispetto a un asse verticale per il baricentro della striscia si ottengono da quelle indicate sostituendo θ’ con πθ” e θ” con πθ’.

Le tensioni relative al carico complessivo si ottengono sommando i valori calcolati nei casi elementari. Nella Fig. 11.8e sono illustrati alcuni casi nei quali è possibile procedere alla scomposizione in carichi elementari.

Quanto alle deformazioni, interessa, di regola, valutare gli spostamenti del piano di posa: lo spostamento verticale dovuto a uno strato comprimibile, compreso fra le profondità z1 = z1b e z2 = z2b di un punto x = xb della frontiera di un semispazio nell’ipotesi di mezzo omogeneo, isotropo, linearmente elastico, sollecitato da carichi p distribuiti su strisce indefinite di larghezza 2h, si calcola con le seguenti formule che si riferiscono, rispettivamente, al cedimento immediato w0 e al cedimento di consolidazione wc:

dove W0 e Wc sono grandezze adimensionali, che possono ricavarsi dai grafici di Fig. 11.9, con E e μ, rispettivamente, modulo di Young e coefficiente di Poisson dello scheletro solido.

Il cedimento totale si ottiene dalla relazione: wt = w0 + wc.

Fig. 11.9 – Calcolo dei cedimenti della frontiera di un semispazio dovuti a carichi distribuiti su strisce indefinite.

In Fig. 11.10 si riportano i risultati del calcolo dei cedimenti immediati e di consolidazione del piano di posa di una diga di terra, secondo il modello semplificato illustrato.

Fig. 11.10 – Tensioni nel terreno di fondazione e spostamenti del piano di posa per una diga in terra: a) sezione tipo; b) schema dei carichi γ1 = γ3 = 2.25 t/m3γ2 = 2.05 t/m3; il cedimento immediato w0 e il cedimento di consolidazione wc si ricavano dai grafici di Fig. 11.9 per assegnati valori di E e μ.

Fig. 11.11 – Tensioni e spostamenti in un rilevato su base ruvida indeformabile: a) tensioni verticali σz/γHb) tensioni orizzontali σx/γHc) tensioni tangenziali τxz/γHd) spostamenti verticali vE/γH2 per μ = 0.3; e) spostamenti orizzontali wE/γH2 per μ = 0.3.

Per il calcolo delle tensioni e degli spostamenti nel rilevato si rivela importante il modello del rilevato con base ruvida su terreno indeformabile; le tensioni possono ottenersi dai grafici delle Figg. 11.11abc dove si rappresentano le isobare delle tensioni σzσx e τxz in un rilevato con paramento inclinato di 30° sull’orizzontale. I grafici consentono di costruire le isobare per differenti altezze del rilevato. Le componenti dello spostamento di punti del rilevato si ricavano dalle Figg. 11.11de.

In condizioni più generali l’analisi delle tensioni e degli spostamenti nel corpo diga e nei terreni di fondazione può effettuarsi con il metodo degli elementi finiti secondo diverse ipotesi per le forze applicate e per le leggi costitutive del materiale e del terreno.

11.3.5.2 – Pressioni neutre

La pressione neutra in un generico punto del manufatto si desta all’atto della posa in opera e assume valori diversi secondo le caratteristiche del materiale e le modalità di compattamento; questi si modificano, nel tempo, secondo il ma di costruzione; la pressione neutra subisce ulteriori variazioni durante l’esercizio per ottetto delle variabili azioni idriche esterne e per l’evoluzione del processo di consolidazione, in dipendenza delle condizioni al contorno per il moto di filtrazione.

Nei calcoli conviene riferirsi a 3 momenti critici della vita dell’opera quali le situazioni di: fine costruzioneesercizio normale e rapido svaso. In ciascuno dei 3 casi i calcoli possono svilupparsi con riferimento a schemi semplificati.

Fig. 11.12 – Calcolo del grado di consolidamento U del nucleo di una diga in funzione del fattore tempo T e del parametro λ per 2 valori del rapporto r =H/2b; sono indicate le condizioni al contorno per l’equazione differenziale.

Fine costruzione

Per la pressione neutra u0 nel punto generico del rilevato al termine dei lavori si fa riferimento, comunemente, al coefficiente ru=u0/σ dove σ è la sollecitazione totale agente sul piano orizzontale, valutata in base al peso della colonna di materiale sovrastante.

Il valore del coefficiente ru dipende dalla natura e dal grado di saturazione del materiale all’atto della posa in opera e dal ritmo della costruzione; per fissarne il valore é necessario far riferimento a dati sperimentali dedotti da misure su dighe realizzate in condizioni simili: i valori più elevati di ru si misurano nelle zone centrali della diga e nei materiali a grana fina; i valori massimi si aggirano, eccezionalmente, intorno all’unità.

Per il calcolo dell’andamento nel tempo della pressione neutra nel nucleo dopo una costruzione istantanea, possono valere i grafici di Fig. 11.12, dove il grado di consolidazione U di un nucleo di forma rettangolare con rapporto r fra altezza H e base 2b viene espresso m funzione del fattore tempo T = cv1t/H2 e del fattore λ = k2H/k1d che tiene conto dell’efficienza del drenaggio laterale (λ = 0, drenaggio impedito; λ = ∞). La trattazione teorica è basata sull’ipotesi di materiale saturo contenuto da fianchi incomprimibili, anch’essi di forma rettangolare.

Esercizio normale

Per il calcolo della pressione neutra nel corpo di un argine o diga di terra in condizioni di normale esercizio conviene far riferimento alla situazione di moto permanente corrispondente al massimo livello del serbatoio, nell’ipotesi che il processo di consolidazione, di cui al punto precedente, sia esaurito.

Fig. 11.13 – Costruzione della linea relativa al moto di filtrazione permanente in una diga in terra omogenea: a) parabola di base di Kozeny; b) linea libera per dreno orizzontale (α = 180°); c), d), e) linea libera per differenti posizioni del dreno.

Per il calcolo della pressione neutra in un punto generico del rilevato in tale situazione, occorre tracciare preliminarmente la superficie libera del moto di filtrazione. Nell’ipotesi di moto piano in un mezzo omogeneo con scheletro solido incomprimibile delimitato inferiormente da un semipiano orizzontale e per il resto indefinito ci si può avvalere della soluzione di Kozeny, secondo la quale la linea libera è una parabola con asse orizzontale x, con fuoco nel punto Ftraccia dell’origine del semipiano (Fig. 11.13a) e di equazione x = (z2z02)/2z0 con xz coordinate rispetto a F; z0 è l’ordinata corrispondente a x = 0. Note le coordinate (dh) di un qualsiasi punto A della parabola, risulta per la distanza focale a0 = z0/2 = 1/2[(√d2+h2) – d)]; quindi, la parabola può costruirsi con metodo grafico, noti i due punti AB, la tangente in B e la direzione dell’asse. E’ anche da osservare come nel punto (x = 0z0)) la tangente alla parabola sia inclinata di 45°.

Per costruire la linea libera del moto di filtrazione nel corpo della diga secondo Casagrande, conviene posizionare il punto A(d, h) come in Fig. 11.13b e tracciare innanzitutto una parabola base, alla quale si apporta poi una leggera correzione in prossimità del paramento a monte. A questa soluzione si può fare riferimento in pratica nei casi in cui il fianco a valle sia disposto su un tappeto drenante orizzontale (α = 180°).

Se, invece, l’angolo d’inclinazione della linea di drenaggio è diverso da 180°, la linea libera si discosta dalla parabola base anche in prossimità dello sbocco: in tal caso, Casagrande suggerisce di tracciare la parabola base come sopra e trovare l’intersezione ap di tale parabola con il dreno. Il valore della lunghezza a < c ap del segmento che la linea libera stacca sulla linea di drenaggio, si ottiene dalla a = c ap dove al coefficiente correttivo c possono attribuirsi i valori seguenti in funzione di α:

La linea si raccorda (a occhio) con la parabola, come nelle Figg. 11.13cde. Nota la linea libera, la pressione neutra può dedursi dal reticolo idrodinamico (→ vol. 1°). La portata filtrante per unità di lunghezza nella direzione dell’asse longitudinale della diga è praticamente indipendente da a e può calcolarsi approssimativamente con la formula valida per la parabola base:

q = k [(√d2+h2) – d)] = 2ka0 = kz0

Rapido svaso

Per il calcolo delle pressioni neutre in fase di svaso occorre tracciare prima l’andamento della linea libera in funzione del tempo. Nell’ipotesi di moto vario piano di filtrazione in un mezzo incomprimibile, a seguito di vuotamente istantaneo del serbatoio dal livello iniziale hi al livello h0, se si ammette per la linea libera un andamento parabolico, valgono i grafici di Fig. 11.14, nelle due ipotesi (hi/H = 1.0h1/H = 0.8).

Per assegnati valori del rapporto h0/H nel primo caso e h0/hi, nel secondo, i grafici consentono di fissare le ordinate (ha), rispettivamente, dei punti (AB) in funzione del parametro adimensionale T. Noti A e B nell’istante t la corrispondente ordinata hp della generica linea libera parabolica si ottiene dalla formula indicata in didascalia.

Nota la linea libera, si traccia il corrispondente reticolo idrodinamico e si calcola la pressione neutra in ogni punto della sezione nel generico istante tconsiderato.

11.3.6 – Stabilità del manufatto

Le verifiche di sicurezza riguardano il complesso rilevato-terreno di fondazione e si sviluppano secondo i principi e con i metodi di verifica della stabilità dei pendii esposti nel vol. 2°, ricercando la superficie di scivolamento alla quale corrisponde il valore minimo del rapporto η, che si assume come coefficiente di sicurezza, fra la resistenza a rottura del materiale e la resistenza mobilitata.

Il metodo di calcolo deve essere opportunamente scelto, secondo il tipo di opera e con riferimento ai terreni di fondazione. Frequentemente usato per le dighe di terra è il metodo di Bishop semplificato, che si riferisce a superfici di scivolamento cilindriche a direttrice circolare.

I dati d’ingresso concernono la configurazione geometrica del pendio, la posizione della prima superficie di scivolamento che ci si propone di esaminare e le corrispondenti pressioni neutre, i valori dei pesi dell’unità di volume e delle caratteristiche della resistenza a rottura dei vari materiali compresi fra la superficie di scivolamento e il pendio; si considerano, inoltre, le eventuali forze esterne e le azioni sismiche.

Per l’applicazione del metodo si procede alla suddivisione in blocchi della porzione di terreno delimitata dal profilo del pendio e dalla superficie di scivolamento e si calcolano, per ciascun blocco, le dimensioni, il peso e i carichi agenti.

Fig. 11.14 – Grafici per il tracciamento della linea libera nel fianco a monte in fase di moto vario di filtrazione per svuotamento istantaneo del serbatoio: k coefficiente di permeabilità; ηe porosità effettiva; hp = h – (ha) (x/D)2D = (Hacotg α.

II coefficiente di sicurezza η, corrispondente alla superficie di scivolamento in esame, può dapprima calcolarsi col più semplice metodo di Fellenius; il valore ricavato s’introduce come primo tentativo per il calcolo del coefficiente con il metodo di Bishop.

Per la ricerca della superficie cui compete il minimo coefficiente di sicurezza, si utilizzano procedimenti di ottimizzazione coi quali la posizione del centro e il raggio della superficie vengono modificati in funzione del valore di η precedentemente calcolato.

Per le dighe di ritenuta le verifiche si riferiscono alla sezione maestra e vengono ripetute su altre sezioni trasversali opportunamente scelte. Le ipotesi di calcolo, in particolare le pressioni neutre, sono riferite generalmente alle 3 condizioni tipiche per le si attribuisce il significato di coefficiente di sicurezza nei riguardi della stabilità allo scivolamento:

– termine costruzione      1.2

– massimo invaso            1.4

– rapido svaso                 1.2

Quest’ultima condizione si realizza per vuotamente dal massimo al minimo invaso o a livelli intermedi.

Per le caratteristiche dei materiali e dei terreni di fondazione si adottano valori ragionevolmente cautelativi, che si deducono dall’elaborazione di dati sperimentali.

I risultati di un calcolo automatico di verifica di sicurezza di una diga con il metodo di Bishop semplificato sono riportati in forma schematica in fig. 11.15.

Fig. 11.15 – Risultati delle verifiche di sicurezza di una diga zonata col metodo di Bishop semplificato: a) schema della sezione e caratterizzazione dei materiali; b) superfici di scivolamento e coefficienti di sicurezza nelle 3 ipotesi: (η0 senza sima e ηs con sisma) b1 termine costruzione, b2 massimo invaso, b3 rapido svaso.

Nello schema a) i vari materiali del corpo diga e i terreni di fondazione sono caratterizzati ai fini del calcolo; in b) sono rappresentate le superfici di scivolamento, alle quali corrisponde il minimo valore del coefficiente η0 (senza sisma), ηs (con sisma α = 0.10), che assume il significato di coefficiente di sicurezza nelle 3 ipotesi b1b2b3 alle quali si è accennato. I valori di η sono accettabili, ma si osservi l’ampiezza dell’intervallo nel quale ricadono i valori numerici nelle 3 ipotesi.

In zone sismiche le verifiche si eseguono coi metodi della Dinamica dei Terreni, con riferimento al terremoto di progetto o, più comunemente, col metodo pseudo-dinamico, che si giustifica in presenza di materiali particolari assumendo, per coefficiente sismico, i valori 0.07 oppure 0.10, secondo la categoria della zona sismica.

11.3.7 – Compatibilità tra materiali

Per la verifica di compatibilita di due materiali posti a contatto lungo una superficie attraversata da acqua in moto di filtrazione, si può procedere con modelli di calcolo che si basano sull’analisi degli spostamenti di una generica particella attraverso i vuoti del sistema fino all’incontro di un poro di dimensioni inferiori a quella della particella considerata.

L’analisi viene condotta mediante l’utilizzo di metodi geometrico-probabilistici che, dopo un’opportuna schematizzazione della distribuzione percentuale dei pori di un filtro di adeguata composizione granulometrica, consentono la determinazione del valore della probabile lunghezza del percorso, all’interno del filtro, di una particella di materiale base di assegnata dimensione.

Il procedimento comporta la determinazione del numero di confronti necessari per individuare un poro del filtro con dimensione inferiore a quella della particella; il calcolo del percorso elementare compiuto dalla particella di materiale base per ogni confronto; infine, la valutazione del percorso totale compiuto dalla particella al termine di tutti i possibili confronti.

Il modello di calcolo è basato sul l’ipotesi che:

–       il filtro sia costituito da particelle sferiche disposte casualmente;

–       i pori siano sfere inscritte fra le particelle;

–       l’analisi del processo stocastico venga condotta su un mezzo poroso costantemente pulito;

–       il percorso delle particelle trascinate all’interno del filtro sia quello al quale compete la lunghezza minima.

Nella pratica operativa, la verifica di compatibilita di due materiali a contatto può anche svilupparsi, più semplicemente, coi metodi semiempirici descritti nel seguito.

11.4 – La progettazione operativa

I temi della ricerca progettuale, coi relativi condizionamenti, sono stati illustrati in precedenza: in sede successiva sono state proposte alcune semplici soluzioni teoriche disponibili per lo sviluppo dei principali calcoli di progetto e di verifica.

Si rivela tuttavia opportuno avvertire che i modelli in questione sono strumenti per tenere sotto controllo gli errori derivanti da un’imperfetta conoscenza dei fenomeni che hanno sede nei terreni e nelle rocce: per una valida scelta fra soluzioni diverse i risultati che possono ottenersi coi modelli devono, per conseguenza, essere attentamente interpretati alla luce del comportamento di opere simili e in base all’esperienza.

Una soluzione convincente alla domanda di sicurezza può ricercarsi impostando la progettazione geotecnica con la filosofia degli stati limite. Secondo questo criterio, che sempre più ispira le norme, i requisiti del comportamento di un’opera devono essere chiaramente definiti sia nel periodo di costruzione, sia in esercizio: se i requisiti non sono soddisfatti si dice che il manufatto, o una parte di questo, ha raggiunto un stato limite.

L’operatore progettista, quindi, deve attentamente identificare ogni situazione indesiderabile che possa dar luogo a stati limite e dimostrare come questi non possano manifestarsi, o, almeno, che la probabilità dell’evento venga contenuta entro limiti accettabili.

L’approccio basato sugli stati limite comporta la definizione di stati limite ultimi, nei quali si formano meccanismi nel terreno o nel rilevato; di stati limite di servizio, indotti da deformazioni, alle quali corrisponde la perdita dei requisiti di servizio. Una soluzione progettuale è accettabile se può dimostrarsi che uno stato limite ultimo in un organo, anche fondamentale, dà luogo solo a uno stato limite di servizio per l’opera nel suo complesso.

Più spesso, anziché uno stato limite, è necessario considerare una catena di stati limite: ad es., se si pone mente alla vulnerabilità delle dighe di materiali sciolti agli effetti di una tracimazione, le considerazioni sulla sicurezza di queste opere devono essere estese ai pendii a monte della sezione di sbarramento. Con riferimento a una possibile frana a monte dello sbarramento, lo stato limite della tracimazione può presentarsi attraverso una catena di stati limite che corrispondono a scenari diversi. L’ipotesi più semplice è che la tracimazione della diga si verifichi a seguito dell’innalzamento del livello del serbatoio conseguente alla caduta della frana; in uno scenario più articolato, si può immaginare un ostacolo nel serbatoio o lungo l’asta fluviale e la formazione di un meccanismo nel medesimo ammasso; a questa rottura può far seguito la più o meno rapida distruzione dell’ammasso; infine, la tracimazione della diga.

Per rispondere alla domanda di sicurezza, quindi, si deve configurare l’evento che può determinare uno stato limite e dimostrare che, anche in tale evenienza, il manufatto è in grado di assolvere, almeno temporaneamente, alla sua funzione; per fronteggiare l’evento che si è immaginato, il manufatto deve essere munito di una seconda linea di difesa ed, eventualmente, di una terza.

La sicurezza del sistema nei riguardi del sifonamento e del lesionamento può incrementarsi assegnando al nucleo grandi dimensioni, curando il contatto con la fondazione, specie se questa sia a sua volta fessurata, e con un’opportuna scelta e posa in opera del materiale.

Tuttavia, il pericolo non può rimuoversi del tutto: si spiega, perciò, la moderna tendenza a dare sempre più peso alla seconda linea di difesa; nella fattispecie, questa è rappresentata dai dreni e dai corrispondenti filtri che vengono disposti a valle della struttura di tenuta in strati di spessore adeguato formati di materiali speciali. Se opportunamente proporzionato, il sistema filtrante è in grado di bloccare la migrazione di particelle attraverso la lesione e di ristabilire accettabili, sia pure temporanee, condizioni di sicurezza.

Con riferimento a un dispositivo sottile di tenuta, converrà affrontare il tema della sicurezza ammettendo, per esempio, che in conseguenza di un sisma o di un qualsiasi movimento del terreno, la membrana perda la sua continuità strutturale e dimostrare che la portata filtrante, le pressioni neutre e il gradiente piezometrico (associati al moto vario di filtrazione attraverso il corpo diga e in fondazione) siano contenuti rispetto ai corrispondenti valori critici. In questa ipotesi il sistema drenante deve essere progettato in modo che la portata filtrante attraverso il rilevato sia inferiore al valore critico, che da luogo al trascinamento della frazione sottile.

Per la dimostrazione è necessario immaginare un adeguato modo di rottura della membrana ed eventualmente un meccanismo nel fianco a monte: se si introducono le opportune difese nei riguardi di questi fenomeni, uno stato limite strutturale ultimo in un organo im-

portante (come la membrana di tenuta) può accettarsi come temporaneo stato limite geotecnico

di servizio riferito all’intero sistema.

Con la medesima filosofia progettuale uno stato limite idraulico ultimo nello scarico di superficie, che dia luogo all’innalzamento del livello al di sopra del coronamento, potrebbe ammettersi, purché si dimostri che il manufatto di terra sia sufficientemente protetto nei riguardi della tracimazione. Lo stato limite idraulico ultimo, che si è immaginato, darebbe luogo allora a uno stato limite di servizio per l’opera e come tale potrebbe ancora accettarsi.

La strategia progettuale mira, dunque, a una distribuzione del rischio e quindi della riserva di sicurezza. Alla luce di questo indirizzo la ricerca progettuale assume un ruolo che si discosta alquanto dal ruolo tradizionale. Occorre, quindi, definire con la massima chiarezza:

–       il quadro dei fattori critici dai quali il comportamento dell’opera dipende;

–       prevedere le discontinuità del comportamento, specie se queste possano manifestarsi improvvisamente, con riferimento al livello del danno che ne può conseguire;

–       riconoscere in modo esauriente il quadro degli stati limite oppure della perdita di funzionalità del manufatto, in rapporto ai possibili fattori critici;

–       identificare i nuovi meccanismi che possono innescarsi durante l’evoluzione di ogni fenomeno;

–       studiare le caratteristiche dei nuovi materiali artificiali, che tendenzialmente vengono adottati in luogo dei tradizionali materiali sciolti per risolvere problemi di contatto, con particolare riguardo alla durevolezza e ai nuovi stati limite che in presenza di questi materiali possono destarsi.

Nel definire la sicurezza dell’opera, le semplici verifiche finora basate sui coefficienti globali possono essere opportunamente e gradualmente integrate da più articolati criteri che facciano riferimento anche a coefficienti di sicurezza parziali; con questi ultimi si rivela più agevole introdurre livelli di sicurezza differenziati sui vari fattori che esercitano la loro influenza sul comportamento dell’opera, adottando la massima cautela nel controllo di quei fenomeni, tipici dei contatti, che possono dar luogo a un’esaltazione del danno nel tempo. È evidente, infatti, che un eventuale intervento di riparazione può risultare efficace solo se Io stato limite viene definito in corrispondenza ad un livello di danno contenuto, e se questo viene rilevato e valutato con largo anticipo rispetto alla situazione limite.

La corrispondente ricerca progettuale può svilupparsi oggi con il supporto di soluzioni pienamente affidabili:

–       per il controllo delle pressioni neutre e delle portate filtranti si ricorre a rilevati zonati con permeabilità crescente nella direzione del moto;

–       per le verifiche di calcolo sono disponibili soluzioni analitiche e numeriche per le più frequenti classi di valori dei parametri;

–       al contatto fra materiali diversi si fa largo uso di dreni, filtri e transizioni con materiali naturali o artificiali;

–       i criteri di progetto e verifica di filtri (naturali e sintetici) sono stati sufficientemente studiati;

–       sull’evoluzione del processo di diffusione di particelle all’interno del filtro è possibile valutare l’influenza della composizione granulometrica, della porosità e dello spessore.

Per la difesa del rilevato da eventuali lesioni, effetto delle deformazioni imposte da movimenti del terreno di fondazione, possono adottarsi nuclei di materiale non coesivo autocicatrizzante e autoprotetto, in grado di regolare il moto di filtrazione attraverso il rilevato anche nell’ipotesi di un contemporaneo sisma. Anche per la difesa del paramento a valle di una diga di materiali sciolti dall’azione dell’acqua tracimante sono ormai disponibili tecniche affidabili con dispositivi e materiali speciali.

Gli argomenti che richiedono particolare capacità di giudizio e vasta esperienza sotto il profilo geotecnico sono le questioni relative alle fondazioni del rilevato sui terreni del fondo valle e sulle sponde, l’impostazione delle opere di scarico e la scelta del tracciato delle gallerie nei rapporti con le spalle e con la diga, i criteri di scelta dei materiali disponibili, il proporzionamento dei dispositivi per il controllo delle filtrazioni e delle pressioni neutre.

Un cenno richiedono inoltre le questioni sismiche, alle quali viene prestata attenzione via via crescente con le dimensioni dello sbarramento e con la tendenza all’uso di materiali di non elevate caratteristiche.

Le considerazioni di progetto si concludono con la definizione di una pianta e di una sezione maestra che descrivono la configurazione geometrica del manufatto (Fig. 11.16) e i particolari per quanto attiene ai rapporti dell’opera con i terreni d’imposta e ai criteri di selezione dei materiali disponibili. Nella sezione tipo si pongono in evidenza:

–       il piano di posa dei fianchi e del nucleo, la disposizione dei materiali nelle varie parti dell’opera, i dispositivi di tenuta, il sistema drenante coi relativi recapiti;

–       si riportano sintetiche indicazioni sui terreni di fondazione e sui materiali da costruzione, nonché i valori dei principali coefficienti geotecnici, che si assumono nelle verifiche di calcolo;

–       tali verifiche si estendono, se necessario, a sezioni di minore altezza tracciate in corrispondenza delle sponde dove, spesso, i terreni di fondazione hanno caratteristiche diverse da quelle del fondovalle.

Fig. 11.16 – Sezione tipo di una diga in terra: 1) nucleo: miscela terreno-bentonite; 2) fianchi: materiale detritico; 3) filtri a valle; 4) filtri a monte; 5) detrito d < 50 mm; 6) muratura a secco; 7) vespaio; 8) materiali di risulta dagli scavi.

11.4.1 – Fondazioni

I quesiti principali nel progetto delle fondazioni di un rilevato riguardano la scelta della posizione e dell’andamento dulia superficie d’imposta dell’opera: questa deve garantire il rispetto della stabilità generale e locale del complesso terreno-struttura; inoltre, i cedimenti devono essere contenuti entro limiti tollerabili dal manufatto.

Con riferimento al profilo e alle proprietà dei terreni di fondazione, per i quali si rimanda a quanto esposto in precedenza un approfondimento della superficie d’imposta migliora in linea generale le condizioni di stabilità del complesso terreno-rilevato: esso produce anche l’effetto di ridurre mediamente i cedimenti del piano di posa. Questo risultato può ottenersi con un attento studio del piano di scavi e di bonifiche in relazione alle fasi costruttive del manufatto. Per apprezzare il beneficio di un incremento della profondità della superficie di appoggio del rilevato occorre valutare, tuttavia, a parità di grado di sicurezza , la capacità del manufatto a tollerare i cedimenti e confrontare i cedimenti prevedibili con quelli ammissibili.

I cedimenti ammissibili dipendono dalle caratteristiche della sezione tipo, ma principalmente dal tipo di dispositivo al quale viene affidata la tenuta in fondazione e nel rilevato: questo dispositivo, infatti, come l’esperienza dimostra, è particolarmente sensibile ai cedimenti, che occorre limitare, proprio in relazione al tipo di dispositivo prescelto.

Sotto questo aspetto le soluzioni basate su un buon materiale da nucleo richiedono minori cautele e possono considerarsi idonee anche con fondazioni poco profonde; qualora, invece, la carenza di materiale da nucleo o altri motivi facciano propendere per l’adozione di organi di tenuta costituiti da paratie immerse (setti) nel rilevato o di manti sul paramento a monte, si rende opportuno, a parità di altri fattori, ricercare per il rilevato condizioni di appoggio più favorevoli, proprio per limitare le deformazioni della struttura di tenuta. Nei riguardi dei terreni di fondazione, il problema si pone spesso in termini diversi sul fondo alveo e sulle sponde; in ogni caso, la scelta di un piano di posa, anche solo localmente, più profondo, è favorevole sotto l’aspetto al quale si è accennato, e può essere conveniente, specie nei casi in cui la formazione di base è a profondità relativamente modesta, anche a prezzo di estesi scavi e bonifiche, che si rendono necessari per asportare i terreni superficiali.

Si osservi, tuttavia, che un approfondimento della superficie d’imposta della diga trova i suoi limiti, specie sulle spalle, nelle considerazioni sulla stabilità a breve termine delle scarpate, che occorre assicurare nelle varie fasi di scavo, e nella stabilità a lungo termine dei pendii che formano le sponde della vallata a quote superiori al coronamento.

Quest’ultimo aspetto condiziona notevolmente le scelte progettuali. La soluzione del problema richiede talvolta il disegno di rilevati di forma particolare per adattare l’opera alla morfologia dei luoghi con allarghi, risvolti, mantellate e largo impiego di paratie e di tiranti di sostegno; lo studio dell’andamento planimetrico dell’asse diga con il fine di limitare le incisioni o addirittura di aggirare i pendii meno stabili; la previsione di adeguati interventi di stabilizzazione e di sistemazione delle zone prossime all’imposta della diga.

Le soluzioni che si adottano derivano da un attento confronto fra i fattori ai quali si è accennato, per soddisfare con il minimo costo i requisiti di stabilità e tenuta dello sbarramento.

11.4.2 – Utilizzo ottimale dei materiali

La definizione dei criteri di utilizzazione dei materiali nella sezione tipo costituisce l’atto principale della progettazione geotecnica: questa riguarda la disposizione dei materiali nelle varie parti della sezione e la precisazione delle modalità di posa in opera.

Per quanto attiene alla disposizione dei materiali, si verifica una tendenza ultima diffusa verso le dighe zonate anche per l’esigenza di utilizzare materiali con caratteristiche diverse mentre il volume di materiali per dreni e filtri risulta sempre elevato rispetto all’intero volume del rilevato.

Le dimensioni del nucleo risultano da un compromesso fra l’esigenza di garantire la tenuta (anche in presenza di inevitabili eterogeneità del materiale e difetti di lavorazione) e la tendenza opposta di ottenere una rapida consolidazione. La prima comporta, infatti, una struttura relativamente ampia; per accelerare la consolidazione, viceversa, risulta conveniente fissare per il nucleo dimensioni ridotte.

Sempre con riferimento al nucleo la tendenza all’uso di materiali di bassa permeabilità ed elevata deformabilità trova i suoi limiti nella scarsa lavorabilità e, più precisamente, nelle difficoltà che si incontrano con materiali a grana molto fina (argille) ad apportare variazioni al contenuto naturale d’acqua se quest’ultimo non corrisponde alle condizioni ottimali di posa in opera.

Nel fissare le modalità di posa in opera si deve tenere presente che i materiali a grana grossa si addensano ottimamente per vibrazione. Nei materiali a grana fina conviene, invece, in generale, ricorrere a mezzi di posa in opera e di compattamento, gommati o simili, in grado di applicare sforzi unitari elevati e di esercitare una certa azione di rimaneggiamento. Particolare cura deve essere adottata nella scelta dei mezzi di compattamento del materiale del nucleo per rispettare l’esigenza di un buon collegamento fra gli strati.

Il contenuto d’acqua di posa in opera deve essere fissato in dipendenza delle finalità del progetto e della funzione prevalente che il materiale assume nel corpo diga. Per i materiali a grana fina conviene ricordare che un elevato contenuto d’acqua di posa in opera può risultare opportuno in alcune parti del manufatto, per esempio per favorire gli spostamenti relativi al contatto del rilevato con strutture rigide.

Anche il grado di addensamento del materiale deve essere scelto con giudizio avendo presente: da un lato, che a un’elevata compattezza corrispondono una resistenza elevata e una ridotta deformabilità; dall’altro, la circostanza che in un materiale compatto si esalta la tendenza al lesionamento per effetto di possibili cedimenti differenziali e distorsioni della superficie di appoggio del manufatto. Nella scelta della soluzione più conveniente è opportuno tener presente, in ogni caso, l’esigenza di limitare le differenze di deformabilità fra il nucleo e i fianchi.

Criteri diversi di posa in opera possono fissarsi per utilizzare in condizioni ottimali un medesimo materiale in differenti parti del corpo diga. Con alcuni materiali a granulometria continua può accadere, ad es., che ad un contenuto d’acqua di posa in opera superiore all’ottimo corrisponda una permeabilità tanto ridotta da rendere possibile l’uso del materiale in esame nel nucleo; con contenuto d’acqua più ridotto le caratteristiche possono variare, e, precisamente, la permeabilità e la resistenza possono crescere fino a rendere conveniente l’uso del medesimo materiale nel fianco a valle; fra le due parti del manufatto si interporrà un’adeguata zona di transizione.

11.4.3 – Controllo delle filtrazioni e delle pressioni neutre

Particolare importanza assumono nelle dighe e negli argini di terra i criteri e i dispositivi che si adottano per la limitazione delle portate filtranti e delle pressioni neutre nel rilevato e nel terreno di fondazione.

Fig. 11.17 – Provvedimenti per limitare le pressioni neutre nel rilevato o nel terreno di fondazione in fase di costruzione: a) pressioni neutre in fase di costruzione ; b) tappeti drenanti nel rilevato; c) dreni verticali in fondazione; d) nucleo centrale drenante; e) rallentamento del ritmo di costruzione; f) uso di materiale drenante nei fianchi.

Per chiarezza espositiva conviene distinguere i provvedimenti che hanno la finalità di limitare le pressioni neutre in fase di costruzione, da quelli, più complessi e articolati, che si introducono per tenere sotto controllo il moto di filtrazione durante l’esercizio del serbatoio. In quest’ultimo caso conviene ancora distinguere gli organi di drenaggio delle acque filtranti e gli organi di tenuta del serbatoio dai dispositivi con i quali si fronteggia un rapido svaso.

I vari aspetti del problema possono assumere importanza diversa, secondo le proprietà dei materiali disponibili, ma devono essere risolti con criteri unitari. La pressione neutra, che si desta durante la costruzione in un punto generico del rilevato o del terreno di fondazione, assume valori e andamento nel tempo che dipendono dalle caratteristiche del materiale e dalle condizioni al contorno. Nei materiali a grana fina le pressioni neutre di costruzione possono raggiungere inizialmente valori elevati, che si riducono lentamente nel tempo, specie quando la sezione ha dimensioni rilevanti (Fig. 11.17a).

Per contenere le pressioni neutre, che influenzano sfavorevolmente i risultati delle verifiche di stabilità, e per accelerare il decorso della consolidazione, possono adottarsi, secondo i casi, i provvedimenti che sono schematicamente illustrati (Fig. 11.17bcdef): questi possono essere fra loro variamente combinati, in modo da ricercare la soluzione ottimale anche sotto l’aspetto economico.

A serbatoio pieno, il rilevato e il terreno di fondazione sono sede di un processo di filtrazione a superficie libera, che trova il suo sbocco a valle (Fig. 11.18a).

Fig. 11.18 – Dispositivi di drenaggio per la regolazione delle pressioni neutre e delle portate filtranti a serbatoio pieno: a) moto di filtrazione in un rilevato omogeneo; b) unghia drenante al piede a valle; c) tappeto drenante sotto il fianco a valle; d) tappeto e dreno sub-verticale; e ) paratia drenante in fondazione; f) materiale drenante nel fianco a valle.

In questa situazione gli stati limite, ai quali si fa riferimento nelle verifiche, riguardano le portate filtranti, che potrebbero assumere valori non compatibili con la funzionalità dell’opera (stato limite di servizio), ma soprattutto la cadente piezometrica e il regime delle pressioni neutre in prossimità dello sbocco, dove il moto potrebbe assumere caratteristiche tali da indurre nel materiale del rilevato o nel terreno di fondazione uno stato limite ultimo, che si manifesta con il ben noto fenomeno del sifonamento.

I provvedimenti ai quali si ricorre per garantire la funzionalità e la sicurezza del manufatto sotto questi aspetti, consistono essenzialmente in dispositivi di drenaggio, con i quali si deprime la superficie libera, allontanandola dal paramento a valle (Fig. 11.18bcdef) o, al limite, organi di tenuta che possono disporsi in vario modo nel rilevato e in fondazione (Fig. 11.19).

Gli organi di tenuta sono le parti più delicate della diga; la loro efficienza dipende da numerosi fattori, fra i quali le modalità esecutive e lo stato di deformazione che consegue alle sollecitazioni, alle quali questi organi sono sottoposti durante la costruzione e in fase di esercizio. Speciale attenzione richiede la progettazione del collegamento della struttura di tenuta del rilevato con la formazione impermeabile di base. Il problema si pone, .per esempio, al piede di una diga con manto e alla base del nucleo per l’innesto della struttura di tenuta in fondazione.

Fig. 11.19 – Organi di tenuta per il controllo delle pressioni neutre e delle portate filtranti: a) tappeto e taglione; b) nucleo; c) diaframma o setto; d) manto con dreno e cunicolo; e) manto con tappeto drenante; f) manto su rilevato zonato con permeabilità crescente verso valle. I dreni a valle dei dispositivi di tenuta nel rilevato e in fondazione assumono disposizioni diverse, secondo le caratteristiche dei terreni o l’importanza dell’opera.

Il collegamento del manto con la formazione di base si realizza generalmente con un blocco di conglomerato, che spesso è sede di un cunicolo con funzioni d’ispezione e raccolta drenaggi. Per i motivi accennati la fondazione del blocco assume particolare importanza; alcune soluzioni relative ai casi più frequenti sono illustrate nella Fig. 11.20abcd. Si osservi che dal cunicolo è possibile intervenire, se necessario, anche in fase di esercizio per sottoporre il terreno circostante a ulteriori trattamenti.

Anche per l’appoggio del nucleo e per il collegamento fra questa struttura e la formazione di base sono state studiate varie soluzioni, che corrispondono a diversi schemi di comporta-

mento meccanico della paratia e più precisamente nei riguardi degli spostamenti relativi, che possono manifestarsi fra la paratia medesima e il terreno circostante (Fig. 11.20ef).

Sebbene l’esperienza abbia dimostrato che in molti casi i diaframmi sono in grado di esplicare la loro funzione anche dopo deformazioni notevoli, queste possono raggiungere valori limite di servizio che riducono l’efficienza del dispositivo di tenuta, o addirittura valori limite ultimi nei quali si manifesta il sifonamento. I motivi per i quali i dispositivi di tenuta sono imperfetti e il relativo grado d’imperfezione possono essere assai diversi da caso a caso, secondo il tipo costruttivo, le caratteristiche dei materiali, la tecnica esecutiva.

Si osservi, inoltre, che l’introduzione di un organo di tenuta nel rilevato o nel terreno di fondazione modifica profondamente il regime del moto di filtrazione; la modifica si traduce, in generale, in una riduzione delle portate filtranti rispetto alla situazione che si avrebbe in assenza dell’organo, ma in un locale incremento, spesso cospicuo, della cadente piezometrica.

Fig. 11.20 – Schemi di soluzione per il collegamento della struttura di tenuta con la formazione impermeabile; abcd) al piede del manto di tenuta per l’appoggio del blocco del cunicolo d’ispezione; e) alla base del nucleo con diaframma incastrato nella formazione di base; f) idem, con diaframma sospeso.

Ne discende, in pratica, l’opportunità di orientare il progetto dell’opera sull’introduzione di una seconda linea di difesa: il problema può essere risolto in due modi. Una prima tendenza, che si riscontra è quella di adoperare materiali molto deformabili, nel prevedere particolari trattamenti superficiali sui contatti (v. par. 7.8.4) o addirittura nel disporre un secondo organo di tenuta a valle del primo. Soluzioni di questo tipo sono state attuate, ad es., nei manti di tenuta con l’introduzione di due manti in serie; sono state anche realizzate doppie paratie.

Secondo una diversa concezione, la ricerca progettuale offre la possibilità di ridurre il rischio del sifonamento, introducendo a valle dell’organo di tenuta un dispositivo di drenaggio capace di ridurre le pressioni neutre e di raccogliere le filtrazioni attraverso la struttura di tenuta e nell’intorno di questa, per convogliare l’acqua fino a un sicuro ed efficiente recapito.

I dispositivi per il controllo delle portate filtranti e delle pressioni neutre possono assumere, in questi casi, configurazione articolata, come illustrato negli esempi di Fig. 11.18, e importanza particolare, specie se nelle verifiche si ammette (come talvolta in zona sismica) l’ipotesi estrema che la struttura di tenuta si lesioni, perdendo del tutto la sua efficienza.

Gli organi di drenaggio, ai quali si è fatto cenno, richiedono spesso, a loro volta, specie a contatto di materiali diversi per composizione granulometrica e sotto l’azione di gradienti piezometrici elevati, l’interposizione di filtri di protezione e strati di transizione, che si proporzionano con i criteri esposti.

In fase di svaso le quote piezometriche nel fianco a monte del rilevato possono essere più elevate delle quote piezometriche sul paramento; ne segue un processo di moto vario, il cui andamento nel tempo dipende essenzialmente dalla velocità di abbassamento del livello nel serbatoio e dalla permeabilità del materiale. Durante la prima fase del processo la resistenza mobilitata si incrementa; una situazione limite ultima può manifestarsi con lo scivolamento di una parte del fianco a monte, se ivi si raggiunge l’equilibrio limite; il fenomeno può verificarsi se la permeabilità del materiale non è elevata o se lo svaso è rapido.

Per accrescere la sicurezza nei riguardi di una rottura per rapido svaso possono adottarsi vari schemi progettuali, con i quali si tende a migliorare la capacità di drenaggio del fianco a monte (Fig. 11.21). Anche in questo caso si pongono quesiti in merito allo stato limite di servizio dei dreni; il problema può risolversi progettando i filtri secondo i criteri illustrati.

Fig. 11.21 – Provvedimenti per il controllo delle pressioni neutre nel fianco a monte durante un rapido svaso: a) linea libera durante un rapido svaso; b) tappeto drenante e dreno sub-verticale; c) tappeti drenanti nel fianco; d) abbassamento della linea libera in presenza di materiale molto drenante nel fianco a monte.

Appare il caso di osservare che alcuni fra i dispositivi di drenaggio illustrati assolvono spesso funzioni diverse nelle fasi di costruzione e di esercizio del manufatto: da ciò consegue che i calcoli delle portate drenate e le verifiche di compatibilità per i filtri vanno sviluppate per le varie condizioni di funzionamento.

11.4.4 – Trattamenti di contatto e transizioni

Nei manufatti di terra, materiali molto diversi per composizione granulometrica, deformabilità o permeabilità si trovano spesso a contatto fra loro, con il terreno di fondazione, o con adiacenti opere di conglomerato.

Attraverso le superfici di contatto, per motivi diversi, alcune grandezze, che si riferiscono agli stati di sollecitazione e deformazione ovvero al moto dell’acqua, subiscono brusche variazioni o modifiche, che possono dar luogo a particolari situazioni fisiche, da considerare con attenzione sia in fase di progetto che durante il corso dei lavori.

A titolo di es., si osservi che il contatto di un materiale a grana grossa con un materiale a grana fina, molle e cedevole (specie se in presenza di sollecitazioni di una certa entità) può favorire, attraverso successivi meccanismi locali di rottura, l’affondamento di grani del materiale grossolano nel materiale fino con conseguenti cedimenti del manufatto. Il fenomeno può essere bloccato con l’interposizione di una membrana artificiale resistente a trazione e, se necessario, permeabile (Fig. 11.22), con funzione di separazione.

Un fenomeno d’intasamento può aver luogo al contatto fra due materiali di composizione granulometrica diversa, allorché attraverso la superficie di separazione si esplichi un moto di filtrazione con cadente particolarmente elevata; in queste condizioni, i granelli del materiale fino possono essere trascinati nel senso della corrente filtrante verso i pori del materiale più grossolano, che si occludono progressivamente. Il processo che ne consegue può porre rapidamente fuori servizio i dreni.

Fig. 11.22 – Dispositivi di contatto e transizione nelle costruzioni di materiali sciolti: a) membrana per bloccare l’affondamento di pietrame nel limo molle; b) filtri di protezione di un dreno; c) bentonite per migliorare la tenuta al contatto con  una formazione di base fratturata; d) collante al contatto terra-conglomerato; e) membrana resistente a trazione sul piano di posa di un rilevato; f) contatto reso liscio con mastice bituminoso per favorire gli spostamenti relativi fra nucleo e spalla di conglomerato cementizio.

La verifica di compatibilita dei due materiali, sotto questo aspetto, può effettuarsi, in linea di principio, col modello teorico visto o, più semplicemente, con metodi semiempirici basati sul confronto fra alcune dimensioni caratteristiche deducibili dalle curve granulometriche. In particolare, indicando con B il materiale sede del processo di filtrazione che sbocca nel materiale F, di permeabilità più elevata, valgono le seguenti regole.

a) per materiali F di composizione granulometrica uniforme (Fig. 11.23a). I 2 materiali sono compatibili se sono rispettate le condizioni:

F15/B85 < 4 < F15/B15

in cui F15B85 e B15 rappresentano, rispettivamente, le dimensioni dei grani dei materiali F e B in corrispondenza delle % indicate. Inoltre, la curva granulometrica di F deve essere compresa in 2÷3 campi definiti dagli stacci della serie Tyler; tale condizione assicura come F abbia una permeabilità più elevata di quella di B.

b) per materiali F di composizione granulometrica ben assortita (Fig. 11.23b)). In corrispondenza delle % 15 e 50 vengono stabiliti i limiti entro i quali deve restare compresa la curva granulometrica di F:

12 < F50/B50 < 58                   12 < F15/B15 < 40

E’ raccomandabile evitare la presenza in F di materiale fino con d < 0,074 mm in misura superiore al 5% e di eliminare i grani con d > 65 mm.

Se le relazioni citate non sono rispettate, il problema può risolversi introducendo un filtro di transizione di adeguato spessore e di granulometria intermedia fra quelle dei due materiali precedenti. Il filtro ha la funzione di proteggere il materiale più grossolano dall’occlusione (Fig. 11.22b).

Fig. 11.23 – Applicazione di metodi semi-empirici per le verifiche di compatibilità ai contatti fra materiale base B, filtro F e dreno D (Terzaghi e USBR).

In presenza di un filtro, la verifica di compatibilita viene ricondotta al confronto fra le caratteristiche granulometriche del materiale di base e quelle del filtro; se le regole non sono ancora rispettate, si può introdurre un secondo filtro e così di seguito, fino a risolvere il problema con sufficiente sicurezza. Occorre sempre controllare, inoltre, che il materiale del dreno sia più permeabile del materiale che lo protegge.

Si ha cura di verificare, infine, che il dreno sia in grado di smaltire l’intera portata filtrante senza andare in pressione e che l’acqua sia convogliata all’esterno del manufatto fino a un sicuro recapito, tenuto distinto dal recapito delle acque superficiali.

Problemi di altro tipo si pongono in alcune parti delle dighe per realizzare la tenuta lungo superfici di contatto fra materiali di caratteristiche diverse; è nota, sotto tale riguardo, l’attenzione che viene posta nel realizzare i collegamenti fra il materiale da nucleo e un terreno di fondazione più rigido o molto fratturato, come accade in presenza di argille fortemente preconsolidate e fessurate. In questi casi si prevede spesso un trattamento della superficie di contatto con materiali speciali, fra i quali la bentonite, con varie tecniche (Fig. 11.22c).

Notevole interesse presentano anche quei trattamenti superficiali che si applicano per rispettare alcune particolari condizioni di carattere meccanico, relative agli stati di sollecitazione o di deformazione: per esempio, con opportuni collanti è possibile imporre che lungo una determinata superficie di contatto di un materiale sciolto con un’opera di conglomerato sia impedito lo spostamento relativo in direzione tangenziale (Fig. 11.22d).

Per limitare le componenti dello spostamento lungo un’assegnata superficie interna o al contorno del manufatto, è stata anche sperimentata con successo l’introduzione di membrane resistenti a trazione (Fig. 11.22e); con altri provvedimenti, al contrario, si possono ridurre gli sforzi di taglio e favorire gli spostamenti relativi lungo la superficie di contatto per limitare i cedimenti differenziali della diga rispetto al manufatto più rigido (Fig. 11.22f).

Per la soluzione dei problemi menzionati hanno trovato recentemente ottima applicazione alcuni materiali artificiali, fra i quali spiccano i tessili di fibra sintetica che nell’Ingegneria geotecnica hanno assunto la denominazione di geotessili o, più in generale, di geosintetici. Questi materiali (in unico strato o in multistrati) sono dotati di resistenza e permeabilità di valori assegnati secondo la qualità delle fibre e i processi di fabbricazione, che sono molto diversificati: rispetto ai materiali sciolti presentano il vantaggio di resistere a trazione, come si richiede per alcune applicazioni, di cui alla Fig. 11.22.

11.4.5 – Problematiche sismiche

Per quanto concerne il comportamento delle dighe in terra e, più in generale, di grandi rilevati in zona sismica, è disponibile una vasta esperienza, dalla quale studiosi della materia hanno tratto raccomandazioni che risulta conveniente seguire nell’impostare qualunque livello di progettazione nel merito.

Le indagini geotecniche, in questo ambito, vengono sviluppate con maggiore ampiezza che altrove e sono indirizzate al riconoscimento di terreni o materiali di nota, particolare suscettibilità alle azioni dinamiche, quali sabbie poco addensate e sature d’acqua, procedendo, inoltre, a un accurato rilievo delle superfici di discontinuità con riguardo ai rapporti fra queste e la superficie topografica in prossimità del manufatto.

Il piano degli esperimenti di laboratorio viene integrato con prove di compressione con applicazione ripetuta dei carichi.

Nel proporzionamento geotecnico si adottano criteri cautelativi per la scelta dei materiali e per le dimensioni delle varie parti dell’opera, che si assegnano con larghezza. Si raccomanda di assegnare ampie dimensioni alle zone di transizione e alla capacità del sistema drenante, introducendo tappeti per limitare le sovrappressioni neutre indotte nel rilevato da un sisma.

Il nucleo si dispone in posizione preferibilmente centrale e si raccomanda di dare la preferenza ai materiali a grana fina, in generale poco suscettibili alle azioni dinamiche. Il compattamento viene curato per ottenere materiali molto addensati.

Il franco viene convenientemente incrementato, in dipendenza del grado di sismicità, per fronteggiare eventuali cedimenti improvvisi del manufatto o di una parte di questo. Le gallerie, che attraversano faglie, vengono munite di speciali giunti trasversali a tenuta che consentono spostamenti relativi.

In previsione di azioni sismiche intense può essere opportuno ricorrere a una strategia progettuale che consiste nell’immaginare stati limite eccezionalmente gravosi e nel dimostrare che, anche in- tali ipotesi estreme, il manufatto continua- ad assolvere, almeno temporaneamente, la sua funzione. Con riferimento alla struttura di tenuta, si può, ammettere che questa perda la sua continuità, ad es. per l’improvvisa rottura del manto sul paramento di monte: la corrispondente verifica consiste nella dimostrazione, che l’intera portata filtrante può essere convogliata a valle con sicurezza attraverso il corpo diga e il sistema drenante. A tal fine conviene adottare un rilevato zonato con permeabilità crescente verso valle, verificare la compatibilita dei materiali che sono a contatto e adeguare il sistema drenante alla corrispondente portata del moto di filtrazione, che nell’ipotesi ammessa interessa il corpo diga.

I calcoli di stabilità vengono talvolta sviluppati con metodi dinamici per la valutazione del coefficiente di sicurezza in presenza di forze di massa inerziali o per la previsione degli spostamenti permanenti che il manufatto potrebbe subire in occasione di un sisma.

Questi calcoli richiedono, tuttavia, l’introduzione di dati sulle caratteristiche geotecniche dinamiche, ancora oggi d’incerto significato e di difficile determinazione sperimentale: la validità dei risultati di tali calcoli è, per conseguenza, strettamente legata alle caratteristiche del materiale e dei terreni interessati. Spesso, perciò, specie in presenza di terreni e materiali a grana fina (come le argille, che sono poco sensibili alle azioni cicliche), le verifiche si effettuano ancora con i descritti metodi della statica, simulando l’azione dinamica del terremoto con una forza, generalmente orizzontale, proporzionale al peso del volume in potenziale movimento, secondo un coefficiente adimensionale denominato d’intensità sismica, e adottando valori cautelativi dei coefficienti geotecnici e del coefficiente di sicurezza,

L’introduzione di un coefficiente d’intensità sismica pari a 0.1, per terremoti di Magnitudo ≤ 6.5, conduce a risultati accettabili nel caso in cui la resistenza del materiale non si riduca in misura significativa sotto l’azione dei carichi ciclici; fra i terreni, nei quali tali condizioni sono generalmente verificate, si citano le argille e le sabbie addensate.

11.5 – Tecniche costruttive

Le tecniche costruttive assumono fondamentale importanza per assicurare il buon funzionamento dell’opera, specie per quanto riguarda gli organi di tenuta coi relativi collegamenti e i dispositivi di drenaggio.

11.5.1 – Organi sottili di tenuta

Come accennato in precedenza per soddisfare il requisito della tenuta, alla soluzione tradizionale con nucleo (centrale o inclinato) di terra esistono alternative che hanno avuto interessanti sviluppi grazie soprattutto ai progressi nella conoscenza di nuovi materiali e del relativo comportamento meccanico.

Le soluzioni che fanno ricorso a questi nuovi materiali sono basate sull’impiego di sottili membrane: queste possono disporsi sul paramento a monte per costituire un rivestimento a tenuta che prende il nome di manto; in altri casi le membrane sottili sono inserite nel corpo stesso del rilevato, generalmente in posizione centrale, simmetrica e sono denominate setti. In entrambi i casi la struttura di tenuta si estende sotto varie forme nel terreno fino a una profondità tale da garantire la tenuta anche in fondazione.

I manti impermeabili appoggiati sul paramento a monte del rilevato sono sistemi multistrato o compositi nei quali è compreso un elemento di bassa permeabilità al quale é affidata la funzione della tenuta; gli altri componenti del sistema svolgono funzioni (cosiddette) secondarie ma egualmente importanti per garantire l’efficienza e la durabilità del manto.

Le funzioni dei componenti del sistema e le proprietà dei relativi materiali discendono dai seguenti requisiti:

–       le filtrazioni attraverso il manto devono essere contenute entro limiti accettabili per un buon esercizio del serbatoio;

–       il manto deve essere sufficientemente deformabile per poter tollerare gli spostamenti imposti dal sottostante rilevato sotto le sollecitazioni ripetute trasmesse dal serbatoio;

–       alla temperatura ambiente il manto deve essere stabile sulla superficie del paramento, con l’inclinazione assegnata in progetto;

–       il manto deve tollerare le deformazioni e le sollecitazioni che si destano per effetto di variazioni termiche;

–       il manto deve essere difeso dall’azione del moto ondoso, e da altre possibili azioni meccaniche;

–       il manto deve essere protetto nei riguardi dell’ambiente (clima, sole, pioggia, vento, raggi ultravioletti etc.) e nei riguardi degli effetti del fenomeno ciclico d’imbibizione ed essiccamento; la riparazione o sigillatura di possibili lesioni deve essere agevole.

I manti di tenuta possono suddividersi in 2 categorie (A e B) posti in Fig. 11.24 su un rilevato (R) che evidenzia la funzione principale di tenuta (I) e le funzioni secondarie di dreno (D), fondazione oppure sostegno (F), transizione (T), collegamento oppure ancoraggio (C), protezione e sigillo (P) sulla superficie esterna.

Fig. 11.24 – Profilo schematico di un dispositivo di tenuta con manto sul paramento a monte: P, protezione; II1, tenuta; D, dreno; F, fondazione; T, transizione; C, collegamento; R, rilevato.

La composizione del sistema e lo spessore dei componenti dipendono dai materiali adoperati e da questioni costruttive di posa in opera: talvolta due o più funzioni sono affidate al medesimo materiale. La funzione T si particolarizza secondo il tipo di manto.

Il manto è collegato a un plinto disposto al piede del fianco a monte; il plinto è a sua volta collegato alla formazione di base con idonei dispositivi (taglioni, diaframmi, cortine d’iniezioni) atti ad assicurare la tenuta in fondazione. Sono anche importanti i particolari del collegamento del manto con i terreni di fondazione lungo le spalle e al coronamento della diga, nonché con le strutture murarie degli organi di scarico.

In entrambe le categorie di manti, la tenuta I è affidata alla membrana; nel tipo A, tuttavia, una seconda membrana, anch’essa a tenuta (I1), è disposta a valle della prima; fra le due membrane è compreso un dreno D: il complesso prende il nome di manto doppio o a sandwich.

In un manto del tipo A le acque che filtrano o percolano attraverso la I, scorrono sulla I1 e vengono convogliate dal dreno D nel cunicolo accessibile ricavato nel plinto al piede del manto dove le perdite vengono localizzate e misurate.

Nei più semplici manti del tipo B la seconda membrana manca: in questo caso le acque che eventualmente attraversano la membrana si disperdono nel rilevato R e possono misurarsi solo complessivamente al piede a valle di quest’ultimo.

Nei manti del tipo A un dreno D efficiente non è sede di pressione neutra e trasmette solo sollecitazioni efficaci; esso ha, perciò, una duplice funzione: a serbatoio pieno, la presenza di D garantisce che eventuali perdite attraverso l’elemento di tenuta I siano convogliate nel sistema di raccolta drenaggi predisposto nel cunicolo; in fase di vuotamente D garantisce analogamente che eventuali perdite dal rilevato verso il serbatoio attraverso il sottostante organo ausiliario di tenuta I1 siano convogliate nel medesimo cunicolo.

La scelta fra il tipo semplice B e quello a sandwich A dipende dall’entità delle deformazioni che possono prevedersi e dalle conseguenze di un’eventuale rottura del manto. I progressi nei materiali e nella posa in opera orientano verso il tipo B ma non mancano ancora esempi del tipo A, specie per dighe alte e comunque quando si richiede un’elevata sicurezza, ad es., perché il territorio a valle è intensamente popolato. La preferenza per il meno semplice tipo A, dotato di una doppia difesa, si giustifica anche in zona sismica.

II progetto di un manto richiede un’approfondita riflessione sulle funzioni primarie e secondarie innanzi definite e sui corrispondenti requisiti dei materiali. Per una ragionevole scelta e per un soddisfacente proporzionamento è necessario considerare attentamente vari fattori, fra i quali la deformabilità del sistema rilevato-fondazione, le conseguenze di eventuali difetti costruttivi, la sismicità della zona, la forma e la pendenza della superficie, le caratteristiche dei materiali disponibili, gli oneri relativi alla manutenzione, alla luce di precedenti esperienze.

Le verifiche di calcolo riguardano le deformazioni, la stabilità, le filtrazioni.

Rispetto agli schemi tradizionali, la soluzione con manto di tenuta offre la possibilità di realizzare l’opera anche in carenza d’idonei materiali da nucleo, limitando il volume del corpo diga; consente di separare nettamente la costruzione del rilevato da quella della struttura di tenuta, che può essere differita per limitare la residua aliquota di cedimenti dovuti all’effetto del peso proprio; la zonazione del rilevato può essere meno accentuata, con vantaggi per la posa in opera; un eventuale sovralzo della diga non offre le difficoltà che si incontrano con il nucleo Per contro, la soluzione con organi sottili di tenuta non è raccomandabile, quando si prevedono rilevanti cedimenti di fondazione.

Con un’attenta ricerca progettuale sulla disposizione dei materiali nel corpo diga (Fig. 11.25) si possono tenere sotto controllo i principali fattori che influiscono sul comportamento dell’opera, specie per quanto riguarda gli spostamenti della membrana e la sicurezza dello sbarramento nell’ipotesi di rottura di quest’ultima.

Fig. 11.25 – Analisi progettuale sulla disposizione dei materiali nelle dighe in terra con manto di tenuta: a) rilevato omogeneo; b) la permeabilità k cresce verso valle; c) la deformabilità Ddecresce verso l’unghia a monte; d) la sezione è formata con un nucleo centrale N autocicatrizzante; e) le soluzioni precedenti sono combinate in una sezione composita.

Secondo il materiale, al quale è affidata la funzione fondamentale della tenuta, si distinguono i manti di terra, metallici, di conglomerato di cemento, di conglomerato bituminoso; infine, i più recenti, nei quali si adoperano anche le geomembrane.

11.5.2 – Manti di terra

I limi e le argille si prestano bene per la costruzione di dispositivi di tenuta sul paramento a monte di opere di modesta altezza (Fig. 11.26a).

I manti di terra richiedono una robusta protezione (P) dello strato di tenuta (I); questa si ottiene con rivestimenti di materiali grossolani o di lastre di conglomerato per la difesa dagli agenti atmosferici, in particolare per la difesa dal ruscellamento, dall’azione del moto ondoso e per contrastare con opportuno sovraccarico la possibile tendenza al rigonfiamento delle argille con le quali la struttura è formata.

Fra la struttura con funzioni P e il materiale a grana fine con funzioni I è necessario disporre un idoneo materiale di transizione T. Lo spessore complessivo del manto di terra, tradizionalmente elevato, è dell’ordine di alcuni metri al coronamento; alla base esso può assegnarsi, in funzione dell’affondamento rispetto al pelo libero, col grafico di Fig. 11.26b ricavato dall’esperienza di casi concreti. Nelle recenti applicazioni lo spessore del manto è più ridotto, grazie anche all’introduzione di geotessili con funzione di transizione, che nella fattispecie si specializza come filtro e separazione. Pregi dei manti di terra sono la facilità di posa in opera, la durata e l’economia.

Fig. 11.26 – Manti di terra: a) profilo schematico; b) dimensioni tipiche.

11.5.3 – Manti metallici

I manti metallici sono formati con lastre saldate e fissate a profilati con bulloni ammorsati (C) nel pietrame su un sottofondo (F) di conglomerato o di muratura a secco (Fig. 11.27).

Fig. 11.27 – Manti metallici: a) profilo schematico: b), c) particolari del manto con giunti a espansione di due dighe in pietrame.

Lo spessore di 4÷6 mm cresce leggermente con l’affondamento rispetto al pelo libero; il metallo (generalmente acciaio al carbonio) viene scelto anche in dipendenza della più idonea protezione (P) nei riguardi dell’ambiente: questa si ottiene con vernici vinil-acriliche o con l’applicazione di sottili strati di elastomeri; la protezione dal gelo può migliorarsi con un impianto di aerazione. In ogni caso, in progetto si tiene conto della possibile diminuzione dello spessore nel tempo per effetto della corrosione.

I giunti di dilatazione in verticale e orizzontale sono frequenti (4, 6, 8, 16 m) e sfalsati. La scelta del tipo di giunto (Fig. 11.27b) dipende dalle caratteristiche della superficie d’appoggio.

Pregi notevoli dei manti metallici sono: la flessibilità, la resistenza agli urti, la possibilità di effettuare riparazioni anche a serbatoio pieno, la durata. Le sollecitazioni più rilevanti si destano per effetto dei cedimenti differenziali del corpo diga e si localizzano spesso in prossimità delle saldature e dei giunti. Il manto metallico, la cui diffusione è ancora limitata dal costo elevato, trova ottima applicazione su manti di conglomerato ammalorati.

11.5.4 – Manti di conglomerato cementizio

Nei manti di conglomerato cementizio la struttura di tenuta (I) è formata di lastre accostate o sovrapposte delle dimensioni di 10÷20 m, di conglomerato armato con semplice o doppia rete, gettato in opera (Fig. 11.28).

Fig. 11.28 – Manto di conglomerato: a) profilo schematico; b) particolare del manto.

Lo spessore d del manto è dell’ordine di 0.3÷1.0 m e decresce con l’affondamento h rispetto al pelo libero all’incirca con la d = 0.3 + αh (m) con α = 0.006÷0.007.

La tenuta può essere migliorata con getti curati e con additivi. Per i giunti (che hanno spaziatura assai variabile e sono quasi sempre verticali) si adottano varie tecniche; i waterstops sono di rame o, più recentemente, di polimeri; sulle superfici piane a contatto si spalma bitume, eventualmente con l’interposizione di materiali deformabili. Il drenaggio (D) è assicurato da tubazioni installate sotto i giunti; le eventuali perdite sono raccolte in un cunicolo perimetrale.

La fondazione (F) del manto è formata da muratura di pietrame legata con malta o di conglomerato magro; il sottofondo può essere stabilizzato (S) intasando con malta il pietrame del rilevato (R). Il manto viene protetto (P) in superficie con un paramento di blocchi legati con malta di cemento o bitume.

Per la costruzione delle lastre di conglomerato si adotta la collaudata tecnica del conglomerato armato che, nella fattispecie, ha subito notevoli perfezionamenti nel getto allo scopo di limitare, per quanto possibile, il numero dei giunti.

Rispetto agli altri materiali il conglomerato consente di adottare paramenti più ripidi. Inoltre, il conglomerato armato è molto resistente agli urti di corpi galleggianti e all’azione del moto ondoso; è meno sensibile di altri materiali all’aggressione degli agenti atmosferici. Peraltro, il manto di conglomerato non tollera bene i cedimenti; a lungo termine, infatti, esso può lesionarsi, specie se la diga poggia su terreni molto comprimibili. Le lesioni vengono riparate per intasamento; sono anche frequenti gli interventi di ripristino dei giunti; talvolta, si è resa necessaria l’applicazione di un nuovo manto, ad es. metallico, che ha trovato ottima sede sulle preesistenti lastre di conglomerato.

11.5.5 – Geomembrane

Nei manti di materiali polimerici la tenuta è affidata a una geomembrana rinforzata con geotessili (I) e ben protetta da lastre di conglomerato (P) contro possibili danneggiamenti. Il drenaggio (D) è assicurato da uno spesso strato di ghiaia; il sottofondo (F) è formato di ghiaia e sabbia compattata con rulli (Fig. 11.29).

Fig. 11.29 – Schema di manto con geomembrana.

L’uso delle geomembrane nei manti di tenuta è ancora limitato, ma le prospettive di diffusione sono notevoli, anche perché l’esperienza sul comportamento in opera si è rapidamente accresciuta.

11.5.6 – Manti di conglomerato bituminoso

I principali componenti del sistema multistrato sono realizzati con materiali confezionati introducendo come legante fondamentale il bitume, ovvero con conglomerati bituminosi preparati in impianti automatici, stesi a caldo con vibrofinitrici e compattati con rulli vibranti.

Tab. 11.1 – Caratteristiche dei conglomerati in opera.

La composizione del conglomerato (inerti,  di bitume) e la tecnica di posa in opera differiscono, secondo il risultato che si vuole raggiungere in termini di deformabilità, resistenza e permeabilità. Si distinguono cosi orientativamente i seguenti conglomerati:

II conglomerato bituminoso viene spesso preferito ad altri materiali per le sue proprietà reologiche di tipo visco-elastico, che sono diverse secondo la temperatura. Alle temperature elevate e sotto l’azione di carichi applicati lentamente prevale il comportamento viscoso (η), mentre alle basse temperature predomina la componente elastica (E), specie quando le sollecitazioni sono applicate rapidamente. Queste proprietà consentono un’agevole posa in opera a caldo e conferiscono al materiale la capacità di tollerare elevate deformazioni senza fessurazioni. Gli interventi di manutenzione e ripristino sono relativamente agevoli.

II conglomerato bituminoso viene steso con macchine che operano secondo strisce della larghezza di 2÷3 m.

Due importanti questioni di carattere costruttivo relative alle membrane con funzione (i) hanno attirato l’attenzione dei tecnici:Il primo argomento riguarda il confronto fra il comportamento di membrane realizzate con macchine che avanzano lungo la linea di massima pendenza, oppure nella direzione delle curve di livello (quest’ultima soluzione viene adottata quando la pendenza è dolce, specie nei serbatoi con argine perimetrale. Nel primo caso i giunti sono orientali secondo la sezione trasversale dello sbarramento mentre nel secondo sono disposti secondo la direzione longitudinale. La seconda questione riguarda il processo costruttivo di formazione della membrana dello spessore desiderato. La membrana può costruirsi in un singolo strato di spessore pari allo spessore finale, oppure può essere multistrato, cioè formata dalla sovrapposizione di più strati di spessore ridotto con giunti sfalsati.

La tendenza moderna (grazie anche ai progressi nella tecnica di posa in opera, che richiede l’intervento di ditte altamente specializzate) è-orientata alla formazione di membrane di conglomerato bituminoso in un singolo strato, che sembra offrire migliori garanzie di buon comportamento, specie in condizioni climatiche sfavorevoli. La membrana formata in un singolo strato è molto resistente e affidabile e non è soggetta ai difetti tipici che si manifestano al contatto fra i vari strati; richiede però l’uso di mezzi pesanti; è spesso preferita nelle grandi vasche degli impianti di ripompaggio, che sono esposte ad ampie e frequenti oscil-lazioni di livello.

Nei manti di tipo B i giunti fra strisce contigue possono realizzarsi con il metodo del ricompattamento dopo riscaldamento con apparecchi a raggi infrarossi.

La membrana multistrato pone meno problemi esecutivi, ma i difetti di lavorazione possono comportare non indifferenti oneri di manutenzione durante l’esercizio; offre il vantaggio di poter sfalsare i giunti fra le strisce contigue.

Qualunque sia la soluzione, la membrana (II1) poggerà su un robusto letto di fondazione (F) disposto sul rilevato (R). Talvolta, la parte più esterna del rilevato richiede un trattamento di stabilizzazione (S) per saturazione dei vuoti con bitume o malta, allo scopo di preparare una superficie di lavoro in grado di sostenere le attrezzature di posa in opera e compattamento.

Ogni qualvolta la composizione di due materiali a contatto è molto diversa, può essere opportuno inserire una transizione (T) d’idonea granulometria, con legante bituminoso, per realizzare un graduale passaggio. I collegamenti (binder) (C) sono opportuni per incrementare la resistenza al taglio in corrispondenza dei contatti, dove si dispone a volte anche un’armatura metallica di ancoraggio.

La fondazione (F), i collegamenti (C), le transizioni (T) assumono la massima importanza quando il paramento è ripido, o quando le sollecitazioni sono elevate e sono applicate su rilevati (R) particolarmente deformabili su terreni comprimibili. Di regola il dreno (D) è formato anch’esso di conglomerato bituminoso, ma aperto, in modo da ottenere elevata permeabilità; talvolta il legante bituminoso manca.

La presenza del dreno (D) è essenziale nei manti del tipo A e nei manti del tipo B quando il rilevato (R) è formato con materiale non francamente drenante. La funzione di protezione (P) è assolta da uno strato detto sigillo (questo è in genere di mastice bituminoso con eventuali additivi, che saturano i pori del sottostante strato (I) e ne limitano l’ossidazione) e da vernici di resine sintetiche che difendono la superficie esterna del manto dagli agenti atmosferici, in particolare i raggi ultravioletti. La pratica di proteggere il manto con un rivestimento di lastre di conglomerato poroso armato per la difesa dagli agenti atmosferici e dai massi cadenti è ormai abbandonata dopo l’insoddisfacente comportamento di strutture di questo tipo applicate su paramenti molto ripidi.

Nell’opinione corrente l’associazione del conglomerato bituminoso con conglomerato

ordinario armato non viene raccomandata per la difficoltà di assicurare l’adesione reciproca, specie per il differente comportamento termico dei due materiali. La protezione assume importanza in sfavorevoli condizioni ambientali, quando il livello è soggetto a frequenti e rapide oscillazioni, specialmente se l’acqua è destinata a uso potabile.

Il piano dei controlli in corso d’opera comprende; controlli di qualità sui vari materiali, prove di permeabilità in sito, prove di stabilità su piano inclinato, misura della resistenza al taglio sui piani di contatto, con particolare riguardo al conglomerato bituminoso. In confronto ad altre soluzioni, il manto di conglomerato bituminoso offre il vantaggio dell’elevata flessibilità; i giunti non sono necessari; le riparazioni sono relativamente agevoli.

Le applicazioni sono state notevoli, anche in Italia, specie per la realizzazione di grandi superfici di tenuta sul fondo e sulle sponde di serbatoi d’impianti di ripompaggio soggetti a cicliche, rapide oscillazioni del livello idrico.

11.5.7 – Collegamenti

I collegamenti del manto con i terreni di fondazione e d’imposta devono garantire la tenuta anche dopo gli spostamenti e le rotazioni, spesso notevoli, che possono manifestarsi per effetto del peso proprio e delle azioni del serbatoio: ogni collegamento richiede, perciò, un disegno particolare, che garantisca il buon funzionamento del sistema di tenuta, anche dopo gli inevitabili spostamenti relativi. Il collegamento riguarda la continuità della tenuta in profondità con il terreno di fondazione al piede del manto. Ai requisiti di tenuta e della stabilità si soddisfa realizzando al piede del manto un blocco di conglomerato cementizio armato (denominato plinto) opportunamente fondato e a sua volta eventualmente collegato con la formazione impermeabile di base. Nel plinto può ricavarsi un cunicolo ispezionabile nel quale affluiscono le perdite attraverso il manto. Notevole importanza assume anche il raccordo fra il manto e le strutture di conglomerato cementizio dello scarico di superficie, se questo o attiguo (Fig. 11.30). Altri particolari, questa volta senza necessariamente il requisito della tenuta, riguardano il raccordo del manto con il coronamento della diga.

Fig. 11.30 – Collegamento a tenuta tra manto di conglomerato bituminoso e struttura di conglomerato cementizio.

11.5.8 – Dreni e filtri

Allo stesso modo che per i dispositivi di tenuta, i dreni sono essenziali per la sicurezza di un’opera di sbarramento; ai dreni protetti da filtri, se occorre, é affidato il compito di mantenere bassi i livelli delle pressioni neutre a valle degli organi di tenuta e di raccogliere le acque filtranti per convogliarle a valle a un sicuro recapito.

I particolari costruttivi di dreni e filtri sono diversi, a seconda che questi siano immersi in un unico materiale, oppure se siano disposti al contatto dell’opera con altri materiali; in quest’ultimo caso il contatto può riguardare parti diverse del corpo diga o il rapporto fra quest’ultimo e il terreno di fondazione.

Quando le portate da edurre sono relativamente elevate risulta conveniente incrementare la capacità degli organi di drenaggio, secondo i casi, con tubazioni o, al limite, cunicoli muniti di fori protetti da idonei filtri. In casi particolari, tappeti drenanti e simili possono suddividersi in campi mediante murette impermeabili intersecanti il flusso e delimitanti la provenienza delle acque, la cui portata può essere misurata a valle.

11.6 – Prescrizioni progettuali e controlli

Le prescrizioni possono riguardare sia le caratteristiche che i materiali devono presentare in opera sia i procedimenti costruttivi.

Nel primo caso, il corrispondente controllo si riferisce al prodotto finito, motivo per cui; se la prescrizione non è rispettata, il materiale deve essere asportato. Le prescrizioni del secondo tipo (che richiedono, tuttavia, largo impiego di uomini e mezzi) consentono di correggere il processo di lavorazione prima della posa in opera.

Nella fase progettuale vengono definiti i criteri e i limiti di accettazione dei valori di alcune proprietà indici elementari, che sono in stretto rapporto con le proprietà meccaniche fondamentali, come la resistenza, la deformabilità, la permeabilità dei vari materiali.

Di norma si fissa la composizione granulometrica mediante un fuso o precisando la % ammissibile di determinate frazioni o ancora, semplicemente, prescrivendo le pezzature massime. Per i materiali a grana fina sono previsti, in alcuni casi, anche gli intervalli ammissibili per i limiti di consistenza. Per scopi particolari si introducono prescrizioni speciali; per esempio, per i dreni si prescrivono inerti con grani resistenti e durevoli, privi di frazioni argillose o di sostanze organiche.

Le prescrizioni di qualità per il materiale in opera concernono in primo luogo il peso dell’unità di volume e il contenuto d’acqua; quest’ultimo viene fissato in rapporto al contenuto d’acqua ottimale. Le prescrizioni si ispirano a un modello di tipo probabilistico, che può essere messo a punto con le teorie e le tecniche del controllo di qualità: tali teorie prendono le mosse, come è noto, dalla constatazione che nel processo di produzione si verificano variazioni casuali, che possono rappresentarsi con leggi di distribuzione esprimibili con formule matematiche.

La legge fondamentale è la distribuzione normale o di Gauss, rappresentata da una curva a campana, simmetrica rispetto all’asse delle ordinate. La distribuzione normale è applicabile a funzioni che presentino equiprobabilità di scarti, positivi o negativi, dalla media: in assenza di fattori persistenti, tale distribuzione può rappresentare ogni processo di variazione casuale per mezzo dei due parametri, la media x e lo scarto quadratico medio σ. Il corrispondente modello probabilistico può essere applicato per stabilire le tolleranze nel processo di costruzione del rilevato.

Nelle applicazioni è da tener presente che il prodotto può essere fortemente influenzato da fattori non casuali, derivanti dall’eterogeneità del materiale di cava o dal clima.

Le prescrizioni fissate in progetto per l’accettazione del materiale vengono solitamente integrate e precisate in corso d’opera con riferimento ai risultati di prove su rilevati sperimentali (1÷2 103 m3), con i proposti mezzi di coltivazione, trasporto, spandimento, umidificazione e compattamento. In questa fase vengono precisati importanti parametri di lavorazione (fra i quali lo spessore degli strati, il numero dei passaggi) e i criteri d’impiego dei rulli (come i valori della frequenza di vibrazione e della velocità di avanzamento). In corso d’opera, le prescrizioni di progetto vengono ulteriormente rettificate, in relazione a un affinamento delle indagini o a imprevisti.

I controlli che si eseguono durante la costruzione derivano dalle prescrizioni di progetto, eventualmente adeguate dopo la sperimentazione in sito: essi riguardano alcune fondamentali proprietà indici (come la granulometria e la plasticità) e le caratteristiche in sito (come il peso dell’unità di volume, il contenuto d’acqua e la permeabilità). Misure indirette della resistenza e della deformabilità, per esempio con prove di carico su piastra e penetrometriche, vengono eseguite raramente.

Sui materiali grossolani i controlli riguardano specialmente la composizione granulometrica e la permeabilità; sui materiali fini prevale la tendenza alla misura dei limiti di consistenza, del peso di volume e del contenuto d’acqua.

Le verifiche e i controlli in situ e in laboratorio che occorre eseguire durante la costruzione di una diga di terra sono elencati nella Tab. 11.2, dove le operazioni e i controlli sono indicati per memoria; la corrispondenza fra le voci dei due elenchi si stabilisce caso per caso. Si osservi che alcune operazioni (ad es. la miscelazione) possono, mancare o effettuarsi in modo. semplificato: alcuni controlli sono sistematici, altri saltuari.

Tab. 11.2 – Principali operazioni costruttive e controlli sui materiali.

La frequenza dei controlli, di regola riferita al volume posto in opera, varia in relazione alle caratteristiche e alla destinazione del materiale: la massima frequenza viene riservata al materiale da nucleo e ai dreni. La frequenza dei controlli è anche condizionata dall’impegno occorrente per l’esecuzione di particolari misure, come, ad es., la granulometria e il peso per unità di volume su materiali a grana grossa. Allo scopo di ottenere risposte rapide si rende spesso necessario introdurre tecniche sperimentali semplificate o misure indirette, rinunziando, eventualmente, a un’aliquota della precisione dei risultati.

Le prove o misure di frequente applicazione per il controllo diretto e indiretto di importanti proprietà meccaniche e per giudicare sull’accettabilità del materiale in opera sono:

a) misura del contenuto d’acqua col metodo rapido della doppia pesata;

b) misura del peso dell’unità di volume col metodo della sabbia calibrata;

c) misura della deformabilità con la prova di carico su piastra;

d) misura della resistenza alla penetrazione di una punta;

e) prova di taglio per la verifica del contatto fra strati successivi;

f) misura della permeabilità col tubo di Glover o col pozzetto Matsuo.

Fra le misure indirette sono anche da citare i controlli sismici con le attrezzature recentemente introdotte su alcune macchine per il compattamento.

I controlli sui manti di conglomerato bituminoso, viceversa, concernono principalmente la composizione del materiale e la verifica della tenuta.

Da un’elaborazione statistica dei risultati dei controlli su diverse dighe sono stati dedotti per il peso dell’unità di volume valori di 1.7÷1,9 t/m3 per i materiali a grana fina; 2.0÷2.2 t/m3 per i materiali a granulometria continua e a grana grossa.

Anche la distribuzione dei valori è abbastanza regolare; gli scarti quadratici medi σ sono sempre contenuti entro il massimo dell’8% nei materiali a grana fina e nelle miscele; raggiungono il 10% nei materiali a granulometria continua e a grana grossa. Il coefficiente di variabilità è di norma compreso fra il 3 e il 7%.

Per il contenuto d’acqua lo scarto quadratico medio è dell’ordine di 1÷2% nei materiali a grana grossa e a granulometria continua; il coefficiente di variabilità è compreso fra il 5 e il 25% nei materiali a grana fina, a granulometria continua e nelle miscele; raggiunge valori più elevati nei materiali a grana grossa e nel pietrame.

I controlli in opera non si esauriscono con le prove e misure alle quali si e accennato; esistono, infatti, requisiti di qualità del prodotto finito che non sono valutabili solo m termini di peso dell’unità di volume o contenuto d’acqua. Ci si riferisce a difetti di costruzione, che spesso possono attribuirsi a un’errata scelta del rullo o ad uso improprio di quest ultimo.

Per porre in evidenza i difetti di lavorazione (come per esempio nel collegamento tra gli strati nel nucleo) si rende necessaria la continua ispezione di personale competente; si osservi, inoltre, che per tenere sotto controllo il processo occorre adeguare le modalità di lavorazione e i programmi alle variabili condizioni climatiche.

11.7 – Strumentazione geotecnica applicabile a rilevati di dighe in terra

Nel rilevato e nei terreni di fondazione delle dighe di materiali sciolti si installano strumenti di misura allo scopo di:

–       controllare la validità delle ipotesi di progetto per adeguare, se occorre, il progetto medesimo o i criteri di lavorazione in corso d’opera; per esempio lì continuo controllo delle pressioni neutre può essere utile per stabilire un limite al ritmo delle operazioni di posa in opera,

–       verificare in fase d’esercizio il regolare funzionamento della struttura e sorvegliarne il comportamento per porre in evidenza e tenere sotto controllo eventuali fenomeni che tendano a modificare il grado di sicurezza; ad es. improvvisi incrementi delle portate filtranti possono indicare il lesionamento della struttura di tenuta;

–       ricavare dati sperimentali utili per indirizzare il progetto di future opere, specie se di notevole altezza; ad es. ai fini delle previsioni delle deformazioni, delle pressioni neutre, della suscettibilità al lesionamento e degli effetti delle scosse sismiche.

I criteri per la formulazione del piano delle misure nel rilevato e nei terreni di fondazione dipendono dall’importanza dell’opera, dalle condizioni d’imposta e dal tipo di materiali adoperati per la costruzione, nonché dal tipo di dati che si ritiene opportuno raccogliere per raggiungere gli scopi indicati.

Il piano delle misure comprende:

– la scelta delle grandezze da misurare In relazione alle finalità del progetto;

– la scelta degli strumenti in relazione alla natura dei terreni e dei materiali;

– l’ubicazione degli strumenti nelle varie parti della diga e nei terreni d imposta;

– le prescrizioni sulla frequenza di lettura nelle fasi di costruzione, collaudo, esercizio.

Il piano delle misure deve comprendere, possibilmente, il rilievo in funzione del tempo di alcune componenti della tensione totale e della deformazione, nonché la pressione neutra.

La misura degli spostamenti verticali e orizzontali di punti esterni si effettua con triangolazioni livellazioni e collimazioni; per punti interni del rilevato e dei terreni di fondazione con assestimetri (a piastra, a brace.) e livelli ad acqua. Gli spostamenti verticali (cedimenti) assumono la massima importanza; fra gli spostamenti orizzontali sono prevalenti gli spostamenti monte-valle; gli spostamenti orizzontali spalla-spalla sono spesso trascurabili.

Le pressioni totali agenti su elementi di superficie variamente orientali nel rilevato, sul piano di posa o al contatto di strutture di conglomerato, si misurano con capsule tensiometriche o con celle a fluido

Per la misura delle pressioni neutre in fase di costruzione e di esercizio, nel rilevato e nei terreni di fondazione, si utilizzano piezometri (aperti, chiusi, celle).

Si rivela importante anche la misura delle portate filtranti attraverso il rilevato e i terreni di fondazione nei punti di recapito del sistema drenante (tubazioni, cunicoli) a valle dell’opera.

Le accelerazioni di punti della superficie esterna del rilevato o interni a vane quote e secondo differenti direzioni, per effetto di scosse sismiche, e le temperature si misurano in casi particolari. Una sezione tipica sezione trasversale di una diga nella quale sono installati strumenti per la misura di spostamenti e sollecitazioni neutre e totali è rappresentata in Fig. 11.31.

Fig. 11.31 – Esempio di disposizione degli strumenti di misura in una diga in terra. 1) nucleo: detrito mito e limo; 2) fianco a valle: detrito misto a limo; 3) fianco a monte: pietrame calcareo; 4) transizione: ghiaia e sabbia.

11.8 – Impianti in muratura

Gli impianti di sbarramento in muratura realizzati, ormai nella quasi totalità dei casi, a mezzo di calcestruzzi armati, vengono impostati laddove le condizioni morfologiche, le esigenze d’invaso e funzionalità, i problemi strutturali, ambientali e d’alimentazione suggeriscono la creazione di bacini, in genere sottesi da manufatti di altezza significativa unita ad una ridotta ampiezza areale, in grado, comunque, di mantenere in soglia notevoli masse d’acqua e, soprattutto, ai fini della produzione idroelettrica.

Tali impianti, come mostrato nel prosieguo, possono essere realizzati secondo condizioni statiche a gravità o ad arco, spesso ed anche attraverso numerose situazioni a tecnica mista. In ogni caso, qualunque sia la tipologia prescelta, la medesima non può prescindere dalle condizioni idrologiche, geologico-tecniche e strutturali espresse dall’ambito al contorno e del bacino stesso.

11.8.1 – Elementi relativi alla geologia del sito

La scelta del tipo di diga e il giudizio sulla sua fattibilità sono essenzialmente legati all’assetto geologico – geotecnico del sito. Gli aspetti da esaminare e valutare sono:

– morfologia dei luoghi;

– litostratigrafia dei terreni, assetto tettonico e strutturale della formazione;

– caratteristiche di permeabilità e di tenuta idraulica delle litofacies;

– caratteristiche di stabilità dei terreni immersi (interessati dall’invaso).

Il grado d’approfondimento di questi aspetti si limita, di norma, a quanto indispensabile per poter scegliere con sufficiente attendibilità il tipo di diga, valutate le incertezze, le difficoltà, i vantaggi conseguibili e le incidenze economiche.

Morfologia

Lo studio della morfologia dei terreni per un impianto a serbatoio, ossia la diga e i versanti interessati dall’invaso, assume rilevante importanza. In corrispondenza della sezione da sbarrare, l’esame della morfologia del sito non deve limitarsi alle dimensioni della struttura di ritenuta e al suo collegamento con i terreni di fondazione ma considerare anche i seguenti aspetti:

–       condizioni di potenziale perdita per sfioro delle acque invasate per determinate quote d’invaso;

–       presenza di strutture carsiche o paracarsiche pregiudizievoli per la tenuta idraulica;

–       possibile presenza d’alvei epigenetici;

–       conformazione (geometrie e volumi) dei settori di versante idonei per l’immorsamento dell’opera;

–       grado di resistenza meccanica dei terreni;

–       grado di stabilità (o di dissesto) dei terreni.

I medesimi aspetti vanno considerati anche con riferimento alle caratteristiche morfologiche del serbatoio. In particolare assumono importanza:

– le dimensioni (capacità) del serbatoio;

– le eventuali significative variazioni della struttura morfologica come probabile indice di variazioni litologiche e litomeccaniche dei terreni;

– manifestazioni carsiche;

– manifestazioni franose.

Litostratigrafia, permeabilità e geostatica

L’inquadramento geologico, idrologico e geotecnico dei terreni della sezione di sbarramento, deve consentire di:

– scegliere il tipo di diga in funzione delle caratteristiche meccaniche dei terreni e delle possibilità d’immorsamento (i problemi tecnici riguardano la portanza, i cedimenti, la stabilità locale e globale del manufatto e dei terreni d’appoggio);

– valutare la necessità di migliorare le caratteristiche meccaniche dei terreni o le condizioni di stabilità;

– valutare l’ammontare degli interventi d’impermeabilizzazione e di drenaggio necessari per assicurare la tenuta idraulica nella sezione d’imposta ed .eventualmente nel suo intorno;

– valutare la fattibilità e l’ubicazione di tutte le opere accessorie (viabilità d’accesso, scaricatori di superficie, di fondo, opere di presa).

L’inquadramento geologico dei terreni interessati dall’invaso e dalle sue vicende porta a dovere considerare i seguenti problemi:

– natura litologica e litomeccanica dei terreni ai fini della tenuta idraulica e della stabilità in condizioni d’immersione e, se richiesto, in condizioni sismiche;

– presenza di paleofrane o di frane suscettibili d’instabilità (meccanismo dei processi e dimensioni) e loro significato ai fini della fattibilità del serbatoio;

– presenza di formazioni geologiche suscettibili di dissoluzioni, o caratterizzate da carsismo o da tettonizzazioni, tali comunque da minacciare la tenuta idraulica;

– caratteristiche litologiche e strutturali dei terreni presenti nel bacino imbrifero in funzione del trasporto solido e dei processi di sedimentazione nel serbatoio;

– valangosità quale problema di sicurezza per l’invaso.

Piano preliminare d’indagini

Le indagini nella fase preliminare devono limitarsi a quelle minime, necessario per acquisire parametri di valutazione sufficientemente attendibili ai fini delle scelte progettuali generali e per esprimere il giudizio di fattibilità tecnica delle opere.

Per quanto riguarda gli aspetti geologici e geotecnici, le scelte progettuali e i giudizi di fattibilità richiedono i seguenti adempimenti:

– acquisizione o predisposizione di cartografia completa e adatta; in particolare per l’esame delle condizioni morfologiche;

– esame speditivo delle foto aeree, se disponibili, a integrazione dello studio cartografico; acquisizione delle carte geologiche esistenti;

raccolta di dati geognostici e geotecnici eventualmente esistenti; raccolta di dati geoidrologici.

In assenza di documentazione geologica è necessario operare un rilievo geologico strutturale speditivo, limitato alla raccolta dei dati essenziali, in corrispondenza della sezione d’imposta e della zona interessata dall’invaso.

11.8.2 – Rischio, deviazione provvisoria e avandiga

Le opere di scarico superficiali d’una diga sono commisurate, di norma, per un evento di piena caratterizzato da un periodo di ritorno Tr = 103 anni. E’ opportuno stabilire, con riferimento a esso, quale possa essere il rischio R cui è esposta l’opera in un assegnato significativo periodo di tempo quale il numero N d’anni necessario per la sua costruzione; oppure la durata della vita dell’opera stessa: N = 102 anni, ad es.. Indicata allora con P la frequenza probabile che definisce la soglia di superamento dell’evento di riferimento, il termine (1P) dà la misura dell’esposizione dell’opera mentre il termine Tr = 1/(1P) il periodo di ritorno. Il rischio in N anni è quindi dato dalla relazione:

R(N) = 1 – PN = 1 – [1-(1/Tr)]N

Così, se l’attività di costruzione durasse 6 anni e Tr fosse 103 anni si avrebbe: R(6) = 0.006; di conseguenza, essendo 0.6% la frequenza probabile che in 6anni possa prodursi un evento più raro di quello di riferimento, per N = 102 tale valore risulterebbe pari al 9.52%.

L’avvio della costruzione d’una diga è preceduto dalla costruzione dell’avandiga. La quota del coronamento viene definita dal valore della portata (di piena) che le opere per la deviazione  provvisoria, in seguito, e usualmente, sede dello scarico di fondo, sono in grado di smaltire.

Noto il periodo Tr relativo alla portata che può scaricarsi, la relazione precedente dà la misura del rischio cui è esposto il cantiere durante il periodo della costruzione. Nel caso di una diga in muratura si assume, di regola, Tr =10 anni; per una diga di materiali sciolti si ha Tr = 15÷25 anni.

Il grado di rischio è un elemento d’interesse per il computo economico relativo alla realizzazione.

11.8.3 – Definizioni

La normativa classifica le dighe in muratura come:

– dighe a gravità:                               ordinarie

a speroni

a vani interni

– dighe ad arco:                                 ad arco semplice

ad arco-gravità

a cupola

Gli elementi geometrici che definiscono una diga sono i seguenti (Fig. 11.32):

Fig. 11.32 – Definizione di alcuni elementi.

Altezza della diga: rappresenta il dislivello tra le quote del piano di coronamento (esclusi parapetti ed eventuali muri frangi-onde) e del punto più basso della superficie di fondazione (escluse eventuali sottostrutture di tenuta) o, anche, la differenza tra la quota del coronamento e quella del punto più depresso dei paramenti.

Quota di massimo invaso: quella cui può giungere il livello per il più gravoso evento di piena previsto, esclusa la sopraelevazione da moto ondoso.

Quota massima di regolazione: quella alla quale ha inizio, automaticamente, lo sfioro dagli appositi dispositivi.

Altezza massima di ritenuta: il dislivello tra il massimo invaso e il punto più depresso dell’alveo naturale in corrispondenza del paramento di monte.

Franco: il dislivello tra le quote del coronamento e del massimo invaso.

Franco netto: il dislivello tra le quote del coronamento e del massimo invaso incrementato della semiampiezza della massima onda prevedibile nel serbatoio.

Volume totale di invaso: la capacità del serbatoio tra la quota di massimo invaso e la minima della fondazione.

Volume utile di regolazione: il volume compreso tra le quote di massima regolazione e del minimo livello dal quale può utilmente derivarsi la portata prevista.

Volume di laminazione: è il volume compreso tra le quote di massimo invaso e di massima di regolazione; per i serbatoi per la laminazione delle piene, tra le quote di massimo invaso e della soglia inferiore dei dispositivi di scarico.

Ampiezza massima delle onde nel serbatoio: per la determinazione del franco netto possono essere assunti, in mancanza di più precise indagini, i valori, esposti in Tab. 11.3, delle ampiezze massime (m) delle onde prodotte da un vento animato da velocità V (km/h): la massima delle velocità medie e spirante su un campo di vento (fetch) di lunghezza massima F (km) a fronte della diga:

Tab. 11.3 – Definizione di alcuni elementi.

L’ultima riga vale anche per V < 60 km/h; per valori intermedi F e V si procede per interpolazione.

11.8.4 – Azioni sulle dighe

Le azioni da porre in conto per le verifiche di stabilità sono: il peso proprio; la spinta idrostatica e le sottopressioni che possono derivarne nello stato di massimo invaso del serbatoio; le azioni sismiche legate alle masse muraria e liquida; gli stati di coazÌ9ne di origine termica, dovuti alla presa dei conglomerati di cemento e al ritiro. Le verifiche riguardano la struttura e le sue fondazioni. A esse s’aggiungono quelle da svolgersi per i versanti a monte dell’opera nelle varie condizioni d’invaso e svaso, con l’attenzione che la rapidità con la quale queste operazioni possono avvenire richiede.

11.8.4.1 – Peso proprio

L’azione permanente operante sulla struttura è determinata dal materiale usato per la sua costruzione, di norma per le dighe murarie, il calcestruzzo di cemento. Esso ha peso specifico compreso tra γm = 23.544 e γM = 24.525 kN/m3 (rispettivamente 2400 e 2500 kgp/m3). il valore di γmcls è determinato con prove sperimentali prima della costruzione, utilizzando i cementi e gli aggregati (provenienti da cave individuate nel progetto) previsti. Le prove preliminari sono inoltre necessario per definire le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo e la correlazione tra le resistenze a compressione e a trazione ottenute dai provini con maturazione a 7, 28 e 90 giorni.

Durante la costruzione, il prelievo dei campioni, la frequenza dei prelevamenti e le prove sono definiti dalla normativa vigente. Nel primo periodo dei getti, la frequenza deve essere, per le prove di compressione, di almeno un prelievo per ogni 500 m3 d’impasto e, comunque, non inferiore a un prelievo per ogni giorno di lavoro fino a raggiungere il numero di trenta prelievi. Successivamente la frequenza può ridursi ma, in ogni caso, non al di sotto di un prelievo ogni 3000 m3 d’impasto oppure a un prelievo ogni 3 giorni di getto. Con ciascun prelievo si confezionano 4 provini per prove a 7 giorni di stagionatura, 4 provini per prove a 28 giorni e 4 provini per prove a 90 giorni.

I risultati danno modo di determinare le resistenze caratteristiche Rck.

Nel corso dell’esecuzione, la Rck , a 90 giorni può essere anticipatamente prevista sulla base dei risultati delle prove a 28 giorni e della correlazione fra le Rck, relative alle due maturazioni determinate con le prove preliminari. Essa, salvo il controllo con i risultati delle prove effettuate a 90 giorni, deve risultare costantemente non inferiore a 4 volte la tensione principale massima a compressione nella struttura quale determinata nell’analisi statica.

11.8.4.2 – Spinte idrostatiche e sottopressioni

L’azione dell’acqua è applicata al paramento di monte con la consueta distribuzione idrostatica, γ = 9.81 kN/m3 essendo il peso specifico e γy la pressione unitaria alla profondità γ.

La sottopressione alla profondità γ, contata dalla quota di massimo invaso, ha, per le dighe a gravità ordinarie, distribuzione dipendente dalla presenza o non di uno schermo drenante in prossimità del paramento di monte; l’assenza del quale dà luogo a una distribuzione lineare da γy, a monte, a γz, a valle, per l’eventuale carico idraulico, oppure a 0, come frequentemente si verifica.

L’adozione di uno schermo drenante riduce apprezzabilmente la sottopressione in corrispondenza dell’asse dei dreni: da γy a γ [ny + (1nz], con evidente modifica per z = 0, essendo n ≥ 0.35. In Fig. 11.33 vengono mostrati i due casi.

Fig. 11.33 – Distribuzione delle sottopressioni.

11.8.4.3 – Azioni sismiche

Le azioni sismiche sono da porre in conto nelle zone classificate sismiche oppure in quelle a esse assimilate.

Le azioni inerziali dovute alla massa muraria e all’acqua d’invaso possono semplicemente descriversi usando il metodo, cosiddetto pseudostatico, che tratta le azioni stesse come carichi permanenti; ma con la possibilità anche di derivarle da un’analisi dinamica basata su terremoti di progetto che tengano conto delle caratteristiche sismotettoniche del sito.

L’intensità sismica del sito è definita dal coefficiente C = (S2)/102. Per le zone classificate di 1a categoria si ha S = 12 e C = 0.1; per quelle di 2a categoria S = 9 e C = 0.07. Il coefficiente C ha il significato di rapporto tra l’accelerazione del sisma e quella della gravità.

Azioni inerziali della massa strutturale

Indicato con γm il peso di volume del materiale della diga, i pesi di volume che simulano staticamente le azioni sismiche orizzontali Fh e verticali Fv per unità di volume, sono dati da:

–       – nel piano della sezione maestra                      Fh,x = m

–       – nel piano perpendicolare                                 Fh,y = m

–       – verticali                                                            Fv   = mCγm

il coefficiente m è da assumere ≥ 0.5. Per le dighe a volta e con voltine o solette sostenute da contrafforti, le forze Fh,x. e Fv sono da raddoppiare; per le dighe a speroni raddoppia solo la Fh,y.

Azioni inerziali dell’acqua invasata

L’azione d’inerzia dell’acqua d’invaso è rappresentata da una distribuzione di pressioni normali al paramento di monte. Indicate (Fig. 11.34) con H la profondità del punto più depresso del paramento di monte e con c una funzione della profondità y, contate dalla quota del massimo invaso, la pressione p(y) e la funzione c(y) sono date da:

Fig. 11.34 – Schema di diga a gravità.

dove cm è un coefficiente dipendente dall’inclinazione αm del paramento rispetto alla verticale dato, con grande accuratezza nel campo 0°÷60°, dalla relazione interpolare:

se il paramento di monte ha inclinazione variabile, si assume per cm il valore medio pesato in base all’estensione dei singoli tratti di varia inclinazione αm della sezione maestra; per le eventuali zone a strapiombo è cm = 0.74, II risultante Ss(y) delle pressioni p(y) alla profondità y in forma chiusa e interpolare (per y/H≥ 0.5) è:

II punto d’applicazione di Ss(y), posto a distanza z dalla base, è dato, sempre in forma interpolare per y/H ≥ 0.2, r ≈ 1), da:

Un’equivalente distribuzione della pressione p(y) con inapprezzabili differenze rispetto alla relazione iniziale è data da:

essa da modo di calcolare in forma chiusa, anziché per via solo numerica, le tensioni.

11.8.4.4 – Azioni sismiche

Le tensioni che nascono per fatti termici hanno due fonti: le vicende climatiche del sito dove la diga è stata edificata; i fenomeni legati ai processi d’indurimento e di presa dei calcestruzzi.

L’adozione di giunti trasversali (permanenti o di costruzione), le modalità usate per i getti e l’impiego di cementi pozzolanici e ferrici a basso sviluppo di calore contribuiscono a contenere e controllare in misura apprezzabile gli effetti legati alla presa.

La trasmissione del calore nel corpo della diga avviene essenzialmente per conduzione. Essa è regolata, nel campo piano, dall”equazione di Fourier:

dove T è la temperatura, t il tempo; a = K/ρc (m2/h) la costante di diffusività termica con K (Cal/m°Ch] la conduttività; ρ (kg/m3) la densità; c [Cal/kg°C] il calore specifico. Coi normali valori di Kρ e c è a = 0.005÷0.006 (m2/h) per il calcestruzzo. Assunto un andamento della temperatura esterna con periodo t0T = T0cos2πt/t0, la lunghezza d’onda è l = 2(aπt0)1/2 = 0.25t01/2 con a = 0.005 (m2/h),

La distribuzione delle temperature in un muro di spessore infinito è data dalla relazione:

T/T0 = exp (-2πx/lcos (t/t0 – x/l)

I’equazione illustra il carattere marcatamente smorzato della propagazione termica: per x/l = 0.3÷0.5, è T/T0 = 0.1518÷0.0432. Per il periodo t0 = 24 h o 8760 h (1 anno) si ha, rispettivamente, l = 1.23 m e l = 23.46 m: l’escursione termica giornaliera o annua interessa, rispettivamente, pochi decimetri o pochi metri.

11.8.5 – Criteri di scelta del tipo di diga

La scelta del tipo di diga dipende da alcuni criteri di relativamente semplice definizione. I principali sono: la forma della sezione, sinteticamente definibile dalla lunghezza della corda C e dall’altezza H della ritenuta; la struttura geologica della sezione da sbarrare e del suo intorno; la reperibilità dei materiali e, infine, i costi.

La formazione geologica della zona interessata dall’opera e il suo stato strutturale condizionano sostanzialmente la scelta del materiale col quale edificare la diga: se calcestruzzo o materiale sciolto, in ragione del principio che raccomanda continuità nelle proprietà meccaniche del materiale posto in opera e di quello della fondazione.

Dighe murarie, quindi, per fondazioni a struttura rocciosa: in questi casi, un significativo parametro che può orientare la scelta è rappresentato dal rapporto C/H: valori di C/H entro 2÷2.5 possono indirizzare la scelta per una diga ad arco; mentre entro C/H = 5÷5.5 è possibile la soluzione ad arco-gravità; valori > 5.6 comportano dighe a gravità. I valori limite non sono da intendere, ovvia- mente, in modo rigido: considerazioni geomeccaniche o, pure, economiche possono consigliare una scelta diversa in una fascia relativamente ampia intorno al limite indicato.

Il progresso che ha caratterizzato la tecnologia del calcestruzzo in senso scientifico e operativo ha spostato, nei tempi recenti, in modo abbastanza definitivo l’interesse verso le dighe a gravità ordinaria rispetto alle altre forme di sbarramento. La migliore qualità dei cementi, l’impiego delle ceneri volanti (fly ash), la tecnica del calcestruzzo rullato (rolled concrete) a basso dosaggio di cemento hanno inciso in modo apprezzabile sui costi di confezione, di posa in opera e sui tempi, orientando, appunto, verso le strutture massicce.

11.8.6 – Dighe a gravità ordinaria

Sono definite a gravita ordinarie le strutture massicce ad asse planimetrico rettilineo o a debole curvatura, con sezione trasversale fondamentale triangolare. La struttura è divisa in conci da giunti piani verticali, permanenti e normali al suo asse; essi sono disposti a interasse sufficiente per evitare, con lo smaltimento del calore legato alla presa del calcestruzzo, l’insorgere di fessurazioni nel corpo murario.

Le dimensioni della diga sono assegnate facendo riferimento all’elemento di maggiore altezza assunto di spessore unitario e utilizzando, di norma, la Statica dei sistemi rigidi.

Le azioni da considerare sono: peso proprio, spinte idrostatiche, sottopressioni; eventualmente spinta del ghiaccio e azioni sismiche.

Quando la diga sia dotata di uno schermo drenante, costituito da canne e fori drenanti, nel corpo ed entro la fondazione, a interasse ≤ 2.5 m e con Ø ≥ 200 mm in fondazione e 120 mm nel corpo, le sottopressioni sono poste in conto con i criteri indicati in precedenza.

La normativa prescrive che le verifiche di stabilità siano da eseguire, come per l’assegnazione delle dimensioni, per la sezione di maggiore altezza, misurata dalla fondazione posta alla quota più bassa, e per le rimanenti sezioni disposte a varie quote. In questa prospettiva, più che alla Statica dei sistemi rigidi, conviene utilizzare le proposizioni della Teoria matematica dell’elasticità riferite a un sistema piano di deformazioni. Le quali, con qualche ammissibile ipotesi, forniscono in modo diretto l’espressione delle tensioni normali e tangenziali in ogni punto del dominio. Operativamente, per una descrizione dello stato di tensione in scala tridimensionale, ponendo anche in conto la partecipazione della roccia di fonda/ione, sono da utilizzare i modelli numerici a elementi finiti o a differenze finite.

11.8.6.1 – Dimensionamento

L’assegnazione delle dimensioni è svolta facendo riferimento a un elemento triangolare di spessore unitario, il cui vertice, coincidente con il massimo invaso, è assunto come origine degli assi x (orizzontale) e y (verticale) con i versi della Fig. 11.34. Le azioni sono: peso proprio; spinte idrostatiche e sottopressioni con e senza drenaggi; spinta idrostatica di origine sismica.

La spinta del ghiaccio e il peso del coronamento sono stati, per la loro esiguità, trascurati; è stata considerata la sola azione sismica orizzontale della massa muraria Fh,x diretta da monte verso valle, ponendo l’azione sismica verticale pari a 0 (meno onerosa) in ragione dell’ammissione della non contemporaneità degli impulsi sismici, posti in conto nei due casi di C = 0.07 e C = 0.1.

Le condizioni da mandare assolte, secondo normativa., riguardano la stabilità allo scorrimento e i valori delle tensioni ammissibili.

Indicate con ΣF0 e ΣFv, rispettivamente, l’insieme delle forze orizzontali e verticali agenti sulla superficie orizzontale a profondità y, la prima condizione (condizione I) impone che debba essere:

ΣF0/ΣFv ≤ 0.75

però elevabile a 0.8 per le sezioni comprese fra il coronamento e 15 m al di sotto di esso quando il maggior .valore derivi solo dalle azioni sismiche. Agli effetti della verifica precedente non è ammessa, ai fini del calcolo, una pendenza delle superfici predette maggiore di 0.05. Inoltre, per le sezioni di fondazione il limite 0.75 è da ridurre convenientemente, quando le caratteristiche della roccia risultino sfavorevoli alla sicurezza allo scorrimento.

La condizione relativa alle tensioni, calcolate per le seguenti azioni (condizione II):

–       a serbatoio vuoto: peso proprio ed eventualmente sismiche;

–       a serbatoio pieno: peso proprio, pressioni idrostatiche sul paramento di monte, sottopressioni, spinta del ghiaccio ed eventualmente sismiche; comporta che ai lembi di tutte le sezioni orizzontali si abbiano:

–       tensioni principali di compressione non superiori al carico di sicurezza del materiale determinato in base alla prove di resistenza;

–       tensioni principali di trazione ≤ 300 kPa (~ 3 kgf/cm2).

Sono accettabili tensioni di trazione fino al limite di 500 kPa se il supero di 300 kPa è indotto unicamente dalle azioni sismiche. La seconda condizione da considerare (condizione II) riguardante le tensioni ammissibili, a serbatoio pieno impone che il risultante delle azioni incida ogni piano orizzontale entro e non oltre il cosiddetto terzo media.

Siano:

Un’estesa e accurata elaborazione, svolta assolvendo le due condizioni, ha condotto alla seguente relazione interpolare che assegna il valore di Θv in funzione di Θm di C e di e/H:

Θv = a – m

i valori di a e di i) sono dati, al variare dei parametri, dalla Tab. 11.4, indicando anche la più gravosa tra le due condizioni di riferimento. Per una zona non classificata sismica (C = 0) la condizione II è la più restrittiva; negli altri casi prevale, generalmente, la condizione i; per la quale è anche indicato, con il valore di Θm il campo di validità. Oltre il quale, fino a Θm = 0.1 vale la condizione II.

Tab. 11.4 – Valore della scarpa Θm, del paramento di valle.

Nel caso (infrequente) d’una diga sprovvista di drenaggi, soddisfare le condizioni I e II porta alle seguenti relazioni, date in funzione di Θm e di C:

La condizione I è incondizionatamente più restrittiva della condizione II. Il triangolo fondamentale (spessore unitario) ha volume V/H2 = 0.5 (Θm + Θv). I volumi dell’elemento, nel campo di valori Θm = 0÷0.1 sono:

Le differenze di volume tra i due casi sono percentualmente assai rilevanti: tali da giustificare ampiamente l’adozione dei drenaggi.

11.8.6.2 – Impostazione

La verifica concettualmente più semplice fa ancora riferimento alla Statica dei sistemi rigidi: la distribuzione (lineare) delle tensioni normali verticali σ, in una sezione a profondità y si determina facilmente con le note formule della pressoflessione. Indicali con N ed M, rispettivamente, lo sforzo normale e il momento flettente, le tensioni ai bordi della sezione larga (Θm+Θvy sono date da:

II calcolo, assunto un elemento di spessore unitario, si svolge in modo semplice anche se laborioso. Considerate le sezioni alle profondità y, (yΔy) e (y+Δy) (Fig. 11.35), si calcolano con la relazione le tensioni ai bordi e le corrispondenti distribuzioni (lineari) di σy sulle rispettive larghezze (Θm+Θvy etc.

Il procedimento numerico prende avvio da valle (o da monte) con l’elemento triangolare di valle, di base ΔyΘv. Calcolata l’azione σ2yΔyΘv (σ2y è il valore medio), l’equilibrio alla traslazione verticale assegna su Δy il valore medio unitario della tensione τ1 = σ2yΘ2v, la quale, applicata sul piano normale, da modo di determinare (scritta l’equazione che esprime l’equilibrio alla traslazione orizzontale) lo sforzo normale σ1x τ1Θv.= σ2yΘ2v.

Fig. 11.35 – Schema di calcolo.

Con gli stessi criteri si procede per l’elemento attiguo ΔyΔx: noti gli sforzi medi normali σy, applicati ai lati Δx e quelli trasmessi dall’elemento precedente su Δy, con le consuete condizioni d’equilibrio si calcolano gli sforzi τ1 e σ1x.

Il valore medio della tensione tangenziale sui lati Δx è (τ1+τ1)/2. Il calcolo prosegue fino al paramento di monte (o di valle), così ottenendosi la distribuzione degli sforzi normali e tangenziali relativi al tratto di diga compreso tra yyΔy. Il calcolo viene ripetuto con le stesse modalità per il tratto yy+Δy.

Determinate le distribuzioni degli sforzi normali σx e tangenziali τ, si calcolano le rispettive distribuzioni medie sul piano y.

Si può così procedere al calcolo delle tensioni principali.

Il procedimento è da applicare per le azioni che non consentono soluzioni chiuse, come ad es. il carico sismico regolamentare dovuto all’acqua d’invaso.

Esso, in aggiunta alla laboriosità, richiede d’operare con assai elevata precisione: infatti, fissato un valore Δy relativamente piccolo, le distribuzioni degli sforzi σy dalle cui differenze s’ottengono gli altri sforzi, risultando poco diverse tra loro, comportano appunto una descrizione numerica molto accurata.

La riconosciuta laboriosità potrebbe consigliare il ricorso a modelli numerici di maggiore accuratezza, oggi di relativamente facile acquisizione.

Il metodo che utilizza, con una lecita .ipotesi, la Teoria dell’elasticità nella versione dei sistemi piani di deformazione, porta con facilità alla determinazione diretta delle tensioni in ogni punto del dominio per le principali condizioni di carico. Indicata con Ф la funzione delle tensioni (Airy), la soluzione dell’equazione biarmonica:

dà modo di determinare le tensioni con le seguenti semplici derivazioni:

avendo indicato con γmy la forza di massa per la condizione di carico rappresentata dal peso proprio.

Quando sia da considerare una forza di massa operante in senso orizzontale, per esempio l’azione sismica Fh,x = m, il termine γmy deve essere sostituito da mx.

Fig. 11.36 – a) Schema della diga; b) condizioni al contorno; c) tensioni principali.

Si assume come positivo lo sforzo normale a di trazione; il verso positivo di τ (Fig. 11.36) è concorde (discorde) con la direzione positiva (negativa) dell’asse normale alla direzione dello sforzo σ. L’integrazione della relazione deve onorare le condizioni al contorno, rappresentate, per il carico proprio o per quello idrostatico, dalle equazioni (Fig. 11.36) relative ai paramenti di monte e di valle:

L’apparente difficoltà dell’equazione è superabile quando s’ipotizzi, nel caso specifico dell’elemento triangolare fondamentale, d’eludere la condizione relativa al lato d’equazione y = H assumendo che il triangolo sia indefinito e che valga sulla fondazione la distribuzione di tensioni che s’ottiene ponendo y = H: soluzione certamente equilibrata, ma non del tutto congruente col vincolo di base.

La soluzione più semplice consiste nell’assumere per la funzione Ф un polinomio di terzo grado: l’equazione è allora soddisfatta; e le tensioni sono date da semplici relazioni lineari (che generalizzano lo stesso risultalo che si sarebbe laboriosamente ottenuto col procedimento numerico prima indicato):

Il polinomio di terzo grado offre la possibilità di trattare io forma chiusa le principali azioni che s’esercitano sulla diga.

Le tensioni (la terna σxσy e τ) che descrivono in ogni punto le varie condizioni di carico devono poi comporsi tra loro per definire lo stato più gravoso di sollecitazione; esso è rappresentato principalmente dall’insieme: peso proprio e azioni sismiche a serbatoio vuoto; peso proprio; spinta idrostatica e sottopressioni; azioni sismiche a serbatoio invasato. I’eventuale spinta del ghiaccio e il peso del coronamento non incidono, generalmente, in misura significativa sul valore delle tensioni. Definiti gli stati estremi, si calcolano le tensioni principali (Fig. 11.36) con le note relazioni:

11.8.6.3 – Peso proprio e carico idrostatico

L’applicazione dell’impostazione indicata fornisce con relativa facilità le soluzioni per le azioni di maggiore importanza: il peso proprio e le spinte idrostatiche. I valori delle costanti, nei due casi, sono dati dalla Tab. 11.5.

Tab. 11.5 – Costanti per il calcolo delle tensioni.

11.86.4 – Sottopressioni

Lo stato di permeazione al quale il corpo murario è sottoposto a serbatoio invasato comporta l’esistenza di pressioni interstiziali nel corpo stesso. Esse svolgono dal punto di vista statico un ruolo di rilievo, per ridurre il quale si dispone, di norma, uno schermo arenante a ridosso del paramento di monte della diga. In assenza di drenaggi lo stato di tensione è descritto da una distribuzione lineare di tensioni. Con il consueto riferimento si ha:

La presenza dei (regolamentari) drenaggi, disposti alla distanza e dall’asse X, comporta una riduzione della pressione a nγy con n = 0.35 quando a valle viga la pressione atmosferica; oppure la riduzione 0.35 della differenza dei carichi idraulici tra monte e valle.

Il calcolo delle tensioni può farsi sottraendo alle tensioni date dalla relazione quelle che derivano dal triangolo che rappresenta la differenza tra le due distribuzioni senza/e con drenaggi. Il valore della differenza per x = e è:

Il procedimento proposto risulta particolarmente vantaggioso quando lo schermo coincida con l’asse Y (e = 0). Infatti le tensioni in questa ipotesi si deducono direttamente da quelle del peso proprio assumendo in luogo di γm:

Per e ≠ 0 la consueta formula della pressoflessione assegna alle tensioni (compressioni) ai bordi della sezione l’espressione seguente:

II calcolo delle altre tensioni si svolge col procedimento indicato al paragrafo inerente. Il riferimento allo stato che si ha per e = 0 può assumersi come prima approssimazione  (senza commettere errori percentualmente significativi) quando il rapporto e/y sia di pochi punti %: quindi per la parte inferiore della diga posta verso monte.

11.8.6.5 – Azioni sismiche: massa muraria

L’azione verticale legata agli impulsi sussultori, trattata in modo pseudostatico, può essere esaminata con relativa facilità utilizzando i risultati ottenuti per il peso proprio, ma sostituendo nella Tab. 11.5 il peso specifico γm con il nuovo peso unitario γsv = ± mCγm.

L’azione orizzontale nel piano dell’elemento è trattata ancora con un polinomio di terzo grado, ma ponendo nelle equazioni di partenza, in luogo della forza di massa γmy, la forza γs,o = ± mx. Le tensioni, a conti fatti, sono:

11.8.6.6 – Azioni sismiche: massa dell’acqua d’invaso

L’azione, anch’essa trattata in modo pseudostatico, è distribuita sul paramento di monte. La determinazione delle tensioni è da farsi con un procedimento numerico (indicato in precedenza) Un procedimento diretto, meno laborioso e tuttavia più accurato, fa capo ancora alla funzione delle tensioni e alle condizioni descritte in precedenza ma assumendo sul paramento di monte una diversa distribuzione composta da un termine lineare e uno quadratico. Un polinomio del quarto grado consente allora d’ottenere una soluzione chiusa, pagando naturalmente la maggiore accuratezza con qualche ulteriore passaggio formale: la soluzione di un sistema lineare di cinque equazioni. Risulta opportuno, in ogni caso, fornire le espressioni adimensionali delle tensioni nei due casi seguenti: diga posta in zona di 1a categoria con Θm = 0.05 e Θv = 0.8; diga posta in zona di 2a categoria con Θm = 0.05 e Θm = 0.75. I risultati sono:

– per C = 0.1; Θm = 0.05 e Θv = 0.80;

 – per C = 0.07; Θm = 0.05 e Θv = 0.75;

11.8.6.7 – Peso proprio del coronamento e spinta del ghiaccio

Le tensioni che le due azioni producono (l’una permanente, l’altra accidentale) sono di assai scarso rilievo se rapportate alle azioni fondamentali. E tuttavia possibile, anche per queste azioni determinare la distribuzione di tensioni cui danno luogo facendo ancora riferimento alla funzione di Airy data m coordinate polari. Sono infatti note le soluzioni per carichi concentrati, verticali od orizzontali, e coppie applicati al vertice del triangolo fondamentale

Alle quali si possono ricondurre le azioni del peso del coronamento e della spinta trasferendo le azioni stesse all’origine degli assi, con l’aggiunta delle coppie che lo spostamento comporta.

11.8.6.8 – Particolari costruttivi per giunti e drenaggi

Le vicende termiche, climatiche o legate al processo di presa del calcestruzzo, comportano che l’edificazione della struttura muraria avvenga per blocchi separati da giunti: giunti permanenti per le dighe a gravità; di costruzione (da sigillare, esauriti i processi di presa) per le dighe ad arco.

L’interasse dei giunti permanenti, alle medie latitudini, è dell’ordine di 12÷15 m

Il giunto viene sovente protetto verso monte da una trave verticale armata con sezione sagomata, seguita, poco a valle, da un dispositivo di tenuta, costituito, in passato da un lamierino di rame foggiato a Q; oggi, da un nastro di materiale sintetico flessibile (water-stop) con ali estese e profilate per essere bloccate nel getto. Nelle dighe meno recenti, a tergo del dispositivo veniva posto un pozzetto riempito di sostanze bituminose mantenute, con una resistenza elettrica, in stato plastico. La posa in opera del water-stop è da farsi con attenzione per evitare che le ali del nastro, non molto rigide, possano essere bloccate nel getto in modo non appropriato (due leggere armature metalliche verticali alle quali fissare le ali assicurano la posa corretta.

Il controllo delle permeazioni nel corpo murario è svolto curando la confezione del calcestruzzo e la sua attenta posa in opera, con dosaggio di cemento più ricco per gli impasti da porre in opera in prossimità del paramento di monte; e adottando uno schermo drenante formato da canne verticali. Esse, con interasse di circa 1.5÷2.5 m sono disposte a distanza di circa 1÷2.5 m dal paramento; hanno diametro ≥ 200 mm in fondazione e > 120 mm (preferibilmente 200 mm) nel corpo della diga.

Le portate drenate sono raccolte nei cunicoli che corrono a lato della base delle gallerie d’ispezione (a moderata pendenza) che attraversano la diga. Prima dello scarico esse sono misurate, utilizzando solitamente uno stramazzo triangolare; la disposizione consente il controllo sistematico delle portate cosi da richiamare l’attenzione per un eventuale loro incremento.

Nelle dighe d’altezza superiore a 20÷25 m, lo schermo è costituito da canne disposte in più ordini. Le portate, affluenti ancora ai cunicoli laterali, sono pertanto raccolte su diversi piani, posti a distanza di 20÷40 m l’uno dall’altro.

Le gallerie d’ispezione sono alte circa 2 m e larghe 1.2 m; maggiori misure di gallerie o pozzi sono adottate per il passaggio dei mezzi d’opera e dei dispositivi elettromeccanici da installare nel corpo della diga. L’accesso alle gallerie avviene da discenderie generalmente ricavate in prossimità delle imposte; un montacarichi e un ascensore completano nelle opere più recenti i modi d’accesso all’interno del corpo murario.

Le tecniche di costruzione delle dighe a gravità hanno subito nei tempi relativamente recenti apprezzabili semplificazioni sia sul versante dei calcestruzzi (dosaggi, qualità dei cementi, mezzi di posa eco.) che su quello delle opere accessorie (confezione dei giunti dispositivi di tenuta etc.): con una riduzione dei costi che può modificare i criteri per la scelta del tipo di diga di muratura rispetto a quelli classici legati alla forma e allo stato geologico della sezione, orientando verso la soluzione a gravità.

11.8.6.9 – Dighe a gravità alleggerite

Si intendono per dighe (a gravità alleggerita) a speroni e a vani interni le strutture costituite da una successione di elementi indipendenti con profilo fondamentale triangolare, a reciproco contatto lungo il paramento di monte ed, eventualmente, anche in tutto o in parte lungo quello di valle e con superfici laterali distanziate nel tratto intermedio; gli elementi possono essere pieni o cavi nel tratto mediano delle sezioni orizzontali.

Se il valore del rapporto fra l’interasse di due elementi affiancati e lo spessore minimo di essi o la somma degli spessori minimi (se trattasi di elementi cavi) è compreso fra 2÷4 per almeno 2/3 dell’altezza dell’elemento, le verifiche di sicurezza sono da condurre secondo le indicazioni relative alle dighe a gravità ordinaria, salvo che le sottopressioni si ritengano agenti soltanto sotto la testa di monte dell’elemento con riduzione a 0 sul contorno di valle di essa.

Se il rapporto predetto è < 2 valgono integralmente le norme per le dighe a gravità ordinaria; se > 4 la struttura è da considerarsi speciale.

L’interesse per le dighe alleggerite si è notevolmente ridotto negli ultimi decenni nel rapporto con la corrispondente soluzione a gravità ordinaria: per ragioni di costo, in parte, ma anche per il comportamento non soddisfacente degli elementi nel rapporto coi fatti termici legati alla presa del calcestruzzo, ai quali si accreditano le fessurazioni (anche passanti) degli elementi comparse in non poche dighe di questo tipo.

L’esame critico dei problemi derivati da questo comportamento ha portato a considerare con maggiore e notevole cura la composizione e la confezione dei calcestruzzi. L’impiego di acque d’impasto raffreddate in uno speciale impianto frigorifero e un’attenta programmazione nella posa in opera rapportata con le vicende termiche giornaliere del sito (evitando di gettare nelle ore di massima calura) hanno dato eccellenti risultati nel comportamento di varie opere.

11.8.6.10 – Schemi statici

Gli schemi proposti sono sostanzialmente due:

–       il 1° schema, di più estesa applicazione, assegna alla scarpa del paramento di monte un elevato valore; la componente verticale della spinta idrostatica concorre allora, in misura apprezzabile per il valore e la posizione, in aggiunta al peso proprio, alla stabilità dell’elemento;

–       il 2° schema assegna alla scarpa un più modesto valore, affidando invece alla struttura di tenuta, per la sua maggiore dimensione (e peso) rispetto a quella del primo schema, la funzione stabilizzante. In ambedue i modi indicati, la sottopressione limita la sua azione alla testata di monte: distribuita linearmente da γy a 0.

La dimensione della base alla profondità è da determinarsi considerando la più restrittiva delle due consuete condizioni: che il risultante di tutte le azioni incida la base entro il nocciolo centrale d’inerzia. Il quale, considerato in prima approssimazione il solo sperone, coincide con il cosiddetto terzo medio (condizione I); che il rapporto tra forze orizzontali e verticali sia  0.75 (condizione II). Si considera uno schema semplificato di sperone a forma triangolare, alto H e di spessore s0, in sommità, ma generalmente variabile in modo lineare con la profondità: s = s0 + θy essendo θ la somma delle scarpe dei fianchi dell’elemento. La sezione orizzontale è assunta a forma di martello: la testata ha larghezza L (pari all’interasse) e spessore l, immaginato costante lungo l’altezza (Fig. 11.37).

Un’analisi panoramica nel campo delle dighe a speroni realizzate in Italia nella seconda parte del ‘900, ha consentito di definire il campo di variazione di alcuni parametri significativi (Tabb. 11.6, 11.7 e 11.8); per la larghezza B della testa dell’elemento, di norma non rettangolare, è stato calcolato il valore medio, con moderata imprecisione per il parametro B/H.

Fig. 11.37 – Schema di sperone e volume specifico.

Può notarsi come per le dighe Ancipa e Bau Muggeris, ambedue realizzate con elementi cavi, il rapporto L/s0 risulti > 4. Il riferimento ha solo valore formale: infatti lo spessore s0 è stato determinato ipotizzando che i fianchi dell’elemento si prolungassero fino al vertice del triangolo fondamentale, dove la struttura è, invece, massiccia.

Le indicazioni seguenti intorno ai modi di procedere al dimensionamento dello sperone tipo si limitano a fare riferimento a valori normali della scarpa di monte (Θm = 0.4; 0.45 e 0.5), assumendo la condizione regolamentare L/s0 = 4 e considerando due soli valori (0.1 e 0.15) del rapporto l/H. Le azioni poste in conto sono: peso proprio; spinta idrostatica e sottopressione limitata alla testa dello sperone; sisma operante sulla massa invasata e su quella muraria per l’azione orizzontale (più severa) diretta da monte verso valle. Assunte le seguenti variabili adimensionali:

il volume dell’elemento dato in forma adimensionale (volume per unità di larghezza della testa dello sperone) è:

I calcoli da svolgere per assegnare le dimensioni del contrafforte fanno riferimento alla Statica dei sistemi rigidi e allo stato di sollecitazione determinato dalla pressoflessione. Solo nel caso di un contrafforte a spessore costante si potrebbe fare ricorso, per talune ipotesi di carico, agli stati piani di tensione, ovviamente con appropriate condizioni di contorno.

Tab. 11.6 – Elementi degli speroni in alcune dighe italiane.

La Tab 11.7 offre un saggio dell’esplorazione numerica relativa a un elemento con Λ = L/s0 = 4; Θm = 0.45; λ = l/H = 0.1 e 0.15; μ = θH/s0 = 0÷2, assunto il rapporto γm/γ = 2.4. I risultati forniscono, per le 3 categorie sismiche (C =0; 0.7 e 0.10), il modo di variare della somma Θm+Θv,, e del volume v specifico in funzione di μ = θH/s0 riportando il valore corrispondente alla più onerosa delle due condizioni I e II. La Fig. 11.37 rappresenta, per i 3 stati sismici considerati, il modo di variare di v = V/LH2 in funzione di μ = θH/s0. Appare evidente come la migliore soluzione sia quella determinata dall’intersezione delle due curve v(μ), al di là della quale i volumi specifici, per il prevalere della condizione I, aumentano in misura notevole.

Tab. 11.7 – Caratteristiche degli speroni per γm/γ = 2.4; Λ = 4; Θm = 0.45.

L’esplorazione numerica è completata considerando anche i casi di Θm = 0.4 e 0.5. Si riportano solo i risultati d’interesse, ossia quelli collocati nell’intorno dell’intersezione tra le due curve v(μ).

La Tab. 11 .8 riporta, al variare di Cλ e μ i valori di Θm Θv e di v.

Tab. 11.8 – Caratteristiche degli speroni per Λ = 4; Θm = 0.4 e 0.5.

11.8.6.11. Verifiche di stabilità

Le verifiche di stabilità per l’elemento a spessore variabile si svolgono utilizzando l’impostazione indicata in precedenza. I calcoli sono abbastanza laboriosi: in queste condizioni, e per l’importanza dell’opera, è da suggerire il ricorso a modelli alle differenze finite o ad elementi finiti d’incomparabile maggiore completezza. Solo nel caso di elementi a spessore costante, la Teoria dei sistemi piani di tensione può offrire qualche interessante soluzione ma con la difficoltà d’introdurre la maggiore rigidezza rappresentata dalla testata di tenuta dell’elemento.

11.8.6.12 – Particolari costruttivi per i giunti

I giunti permanenti per le dighe a gravità alleggerite sono analoghi a quelli visti per le dighe a gravità ordinaria; il loro interasse è 18÷22 m. Salvo alcune non recenti realizzazioni, le teste degli speroni non hanno canne di drenaggio. Quando lo scaricatore di superficie sia posto nel corpo diga, la parte di valle degli speroni interessati e chiusa da una soletta che crea lo scivolo.

11.8.6.13 – Dighe a volta

S’intendono per dighe a volta le strutture monolitiche o a giunti bloccali tra conci, con sezioni orizzontali decisamente arcuate e impostate contro roccia, direttamente o attraverso una struttura intermedia di ripartizione (pulvino).

I giunti fra i conci in cui per ragioni costruttive le strutture potranno essere divise sono da bloccare solo dopo trascorso un tempo sufficiente a consentire liberamente la maggior parte delle deformazioni derivanti dal raffreddamento del calcestruzzo e dal ritiro proprio del cemento.

Si distinguono convenzionalmente, ai fini dell’analisi statica, in:

adighe ad arco, quando la forma e i rapporti di dimensione sono tali che la resistenza alla spinta dell’acqua ed eventualmente del ghiaccio e alle azioni sismiche è sopportata in grande prevalenza per effetto della curvatura longitudinale (arco);

bdighe ad arco-gravità, quando la forma e i rapporti di dimensione sono tali che alla resistenza predetta concorrono in misura singolarmente non modesta sia l’effetto della curvatura longitudinale che quello trasversale di mensola;

cdighe a cupola, quando la forma e i rapporti di dimensione sono tali che la reattività elastica è assimilabile a quella di lastra a doppia curvatura.

L’attribuzione delle singole opere a uno dei tipi sopra elencati, da cui conseguono i diversi criteri adottati nell’analisi statica deve essere ampiamente giustificata.

Fig. 11.38 – Esempio di diga ad arco-gravità (Piede di Cadore – Piave) (pianta e prospetto).

Fig. 11.38 – Esempio di diga ad arco-gravità (Piede di Cadore – Piave) (sezioni).

11.8.6.14 – Verifiche di sicurezza

L’analisi statica delle dighe a volta è da eseguire per le condizioni di serbatoio vuoto e di serbatoio pieno.

Per la condizione di serbatoio vuoto sono da considerare azioni sollecitanti le variazioni di temperatura e il ritiro e, per opere ubicate in zone soggette a sismi, le azioni inerziali orizzontali: quando hanno notevole influenza sul regime statico, sono da considerare anche il peso proprio e, per opere ubicate come sopra, la relativa azione inerziale verticale.

Per la condizione di serbatoio pieno sono da considerare, oltre alle precedenti, le pressioni dell’acqua, la spinta del ghiaccio e, per opere ubicate in zone soggette a sismi, le pressioni dinamiche dell’acqua.

Agli effetti delle verifiche di cui sopra la distribuzione delle variazioni della temperatura interna della struttura per il periodo di esercizio verrà dedotta dalle presumibili vicende della temperatura dell’aria e dell’acqua; si può ammettere che nel corso dell’anno queste seguano andamento sinusoidale, con massimo e minimo da stabilire in base all’esame dei regimi termici esterni rispettivi, osservati o presunti.

L’effetto residuo del ritiro proprio e dell’esaurimento del calore di. presa de! cemento viene equiparato a quello di un abbassamento uniforme della temperatura compreso almeno fra 5°C e 10°C a seconda delle caratteristiche termiche del cemento, delle condizioni climatiche della zona, del ritmo dei getti, dell’intervallo di tempo previsto intercorrente fra questi e il bloccaggio dei giunti e delle dimensioni della struttura.

Sono ammissibili tensioni principali massime entro i limiti seguenti:

a) a serbatoio vuoto, per effetto del peso proprio;

1) se di compressioni: non maggiori del carico di sicurezza determinato in base alla resistenza caratteristica prevista in progetto;

2) se di trazione: ≤ 800 kPa (~ 8 kgf/cm2);

ba serbatoio pieno, per effetto, insieme, del peso proprio, della spinta idrostatica e di quella eventuale del ghiaccio;

1) se di compressione: non maggiori del carico di sicurezza;

2) se di trazione: sul paramento di monte ≤ 500 kPa (~ 5 kgf/cm2); sui paramento di vale ≤ 800 kPa (~ 8 kgf/cm2).

Con l’aggiunta, alle azioni attive di cui ai punti a) e b), delle coazioni per variazioni di temperatura esterna, per esaurimento del calore di presa e per ritiro, è ammissibile che le tensioni principali massime raggiungano valori > 20% a quelli limiti indicati nei precedenti punti a) e b); con l’aggiunta ancora delle azioni sismiche, sono ammissibili tensioni ulteriormente > 20% a quelle limiti indicate in a) e b).

Le dighe a volta (quale che sia il tipo che la forma della sezione da sbarrare propone in senso geometrico) richiedono, per le azioni relativamente concentrate e intense che trasmettono alle imposte, formazioni rocciose d’elevata qualità resistente. Al miglioramento delle quali si provvede, di norma, con opere di consolidamento o di tenuta con un esteso impiego d’iniezioni ed, eventualmente, di ancoraggi e tiranti.

La distinzione introdotta per le .dighe ad arco rispetto a quelle a cupola (dette anche a doppia curvatura), prospettando un comportamento statico in qualche modo diverso tra esse, non appare del tutto condivisibile, se non per aspetti formali. Lo schema statico prospettato per la cupola, infatti, introduce, accanto al comportamento ad arco (paralleli) nel piano orizzontale, una significativa azione anche nei piani verticali (meridiani) in ragione della loro curvatura: concorso alla resistenza, viceversa, di contenuta efficacia per la mancanza al coronamento (libero) di un vincolo che sia comparabile, per rigidezza, con quello spiegato dalle imposte e dal tondo roccioso. Il problema statico reale può descriversi come quello d’una lastra continua, con curvature e spessori variabili, variamente vincolata al contorno e libera al coronamento: lastra sottile, di regola, per le dighe ad arco (tensioni variabili linearmente nello spessore) lastra grossa o spessa nel più complesso caso delle dighe ad arco-gravità. Con qualche ulteriore problema, non del tutto chiariti da un punto di vista scientifico, per lo stato della struttura in rapporto alle modalità costruttive: per stabilire quale tipo di vincolo possa rappresentare il pulvino d’imposta (superficie di discontinuità) e quale tipo di mutua azione possano sviluppare i conci dopo la sigillatura dei giunti, che segue la loro maturazione.

11.8.6.15 – Schemi statici

Forma della diga

II primo passo del processo della progettazione, disponendo d’accurati rilievi della stretta, consiste nel definire una prima forma del paramento di monte della diga. Il passo dà modo di definire le zone interessate dalle imposte e di provvedere alla loro regolarizzazione: per progettare, con la rimozione delle irregolarità e ponendo a giorno la roccia non alterata, la sede del vincolo o dell’eventuale pulvino. La regolarizzazione si propone d’assegnare alla sezione una forma continua e, per quanto possibile, con l’adozione del pulvino, una forma simmetrica o quasi.

Il disegno del paramento definisce la distribuzione dei raggi di curvatura degli archi alle varie quote: con l’evidente condizione che la superficie sia continua e geometricamente definita. La distribuzione dei raggi di curvatura (con valore non necessariamente costante in uno stesso piano orizzontale) deve potere assicurare, a partire dalla sommità, aperture angolari degli archi ampie a sufficienza per evitare, o contenere entro i valori ammissibili, gli sforzi di trazione valutati secondo la statica degli archi elastici indipendenti. Questa condizione comporta aperture angolari che vanno da circa 120°÷130° in sommità a non meno di 80°÷90° per gli archi inferiori; e inoltre, per le sezioni della stretta da sbarrare non rettangolari o quasi (le meno frequenti), che il luogo verticale dei centri vada avvicinandosi alla diga procedendo dall’alto verso il basso: con il risultato che la parte superiore della diga possa risultare strapiombante.

Gli spessori degli archi alle varie profondità y possono calcolarsi utilizzando la formula di Mariotte:

s = γyr/σ

nella quale si assuma un valore relativamente basso di σ (200÷300 kPa) come riserva resistente per i più progrediti metodi di calcolo. Per la descrizione geometrica della superficie del paramento di valle valgono gli stessi criteri usati per quella di monte.

Metodi di verifica

Gli schemi statici cui fare riferimento per l’assegnazione delle dimensioni e, successivamente, per la verifica possono essere, con vano grado d’approssimazione, i seguenti:

–       insieme d’archi circolari rigidi (parte d’un anello rigido) indipendenti e sovrapposti;

–       insieme d’archi elastici, anch’essi indipendenti e sovrapposti, con vincoli rigidi o elastici all’imposta; insieme di archi orizzontali e mensole verticali solidali nei nodi (graticcio di travi);

–       lastra sottile continua a curvatura e spessore variabili.

L’interesse che la sintetica classificazione presenta è, oltre che di carattere storico (l’evoluzione dei metodi), per alcuni criteri pratici che possono derivarsi dalle diverse impostazioni. Il primo dei quali è stato proposto per assegnare con facilità la distribuzione degli spessori. Un secondo criterio può utilizzarsi per definire, in prima approssimazione e con metodi semplici, il comportamento della diga, riservando quelli numerici alle differenze finite (anche curvilinee) o agli elementi finiti, oggi facilmente accessibili, per le verifiche finali.

Una diga a volta può pensarsi, con qualche approssimazione, come una porzione di lastra cilindrica o di cupola (la cosiddetta struttura serbatoio) vincolata, salvo il coronamento, alla roccia sul contorno: uno schema strutturale funzione della forma della sezione da sbarrare. L’azione che la parte di lastra soppressa trasmette alla struttura estratta dalla lastra o dalla cupola è rappresentata dall’azione del vincolo roccioso: dunque un virtuale prolungamento della volta, però con una forma e proprietà meccaniche certo naturalmente diverse, tuttavia rese comparabili con quelle del calcestruzzo con appropriati trattamenti.

La schematizzazione proposta ha un interesse immediato e notevole: possono, infatti, applicarsi con successo le proposizioni della teoria delle lastre curve chiuse; e, tra esse, quelle relative all’estensione dell’influenza che una perturbazione concentrata in una sezione produce sul regime statico. Definita la lunghezza d’onda della perturbazione (che per le tubazioni di raggio r e spessore s vale l = rs/[3(1v)]1/4 ≈ 4.85 √rs, è noto come alla distanza di 0.5 l le varie grandezze (sollecitazioni e spostamenti) riducano il loro valore di circa 23 volte, ma già apprezzabilmente ridotto anche a 0.33 l. Schematizzata allora la parte inferiore della diga come porzione di un cilindro, con raggio e aperture angolari medi, può calcolarsi la lunghezza l propria della perturbazione prodotta dal vincolo di base e procedere al confronto con l’altezza della diga stessa: definendo diga lunga quella per cui sia H > 0.33 l, nel senso che coronamento e vincolo di base non sovrappongono la loro influenza sul regime statico. Il risultato, notevole, è che, a partire dalla distanza di 0.33 l. dalla base, la diga può essere correttamente considerata, dal punto di vista statico, come formata da una serie di archi indipendenti: dunque, con una significativa semplificazione nei calcoli di verifica di seconda approssimazione. E’ interessante notare come lo stato di diga lunga sia relativamente frequente.

Il risultato porta ad assegnare agli archi il carico idrostatico che compete alla loro profondità, riservando, nella schematizzazione cosiddetta per archi e mensole, alle mensole il carico idrostatico per le maggiori profondità. La Fig. 11.14 mostra lo schema della ripartizione del carico tra archi e mensole.

Fig. 11.39 – Ripartizione del carico tra archi e mensole.

11.8.6.16 – Particolari costruttivi per i giunti

Le dighe ad arco sono di regola impostate su un pulvino che regolarizza le sezioni d’imposta: tra la struttura e il pulvino è disposto un giunto definito perimetrale. Il giunto è dotato di water-stop e di trave coprigiunto del tipo di quelli visti per le dighe a gravità.

La diga viene costruita per conci, della larghezza di 10÷12 m. Essi sono separata da giunti provvisori (giunti di costruzione), muniti di dispositivi di tenuta (lamierini d’acciaio); i quali vengono poi sigillati a ritiro avvenuto. I giunti sono verticali eccetto in prossimità del pulvino, dove sono normali a quest’ultimo. La temperatura del momento, della sigillatura viene assunta come riferimento per valutare le tensioni di origine termica.

11.8.6.17 – Dighe ad arco-gravità

Le dighe ad arco-gravità traggono dalla forma arcuata e dal peso proprio le risorse resistenti. I due effetti svolgono una funzione statica comparabile.

In queste condizioni, il problema statico si presenta apprezzabilmente più complesso di quelli propri delle soluzioni pure, per quanto l’interesse per le soluzioni ad arco-gravità, applicate classicamente a sezioni larghe rispetto all’altezza, sia un poco decaduto rispetto alle soluzioni a gravità massicce, rese concorrenziali specie per il notevole progresso avvenuto nella tecnologia del calcestruzzo e degli impianti di confezione e di posa in opera.

11.8.6.18 – Schema statico

La struttura della diga è essenzialmente derivata dalla rotazione della sezione intorno all’asse verticale (luogo dei centri) ed estratta dal cilindro che la rotazione stessa genera. La semplificazione geometrica, notevole rispetto al disegno delle dighe a cupola, rende il problema statico del cilindro generatore, dal quale la diga è estratta, di più agevole soluzione. Ed è, infatti, da quest’impostazione, propria delle lastre curve sottili, che è tratto il criterio per il dimensionamento della struttura utilizzando la classica ripartizione del carico idrostatico tra archi e mensole. La condizione di lastra sottile, che richiede piccoli valori del rapporto s/r tra raggio e spessore, può non essere verificata per la parte inferiore della diga: approssimazione però accettabile a fronte delle semplificazioni assunte per lo schema statico.

Lo studio della struttura-serbatoio si fonda sull’integrazione dell’equazione del quarto ordine che descrive, utilizzando come variabile lo spostamento radiale u(positivo verso la verticale dei centri) della sezione meridiana espresso in funzione della profondità y. Indicati con r il raggio (costante) della fibra media, con slo spessore, di norma variabile, e con v il modulo di Poisson, l’equazione differenziale e le condizioni al contorno sono:

Assunte le variabili adimensionali:

l’equazione diventa:

Il momento M e lo sforzo di taglio T si deducono, determinata la funzione η(λ), per derivazione:

Il carico che grava sugli archi e sulle mensole è di semplice deduzione;

Utilizzando quest’impostazione viene rappresentato l’andamento di pa/γH per diversi valori di λ, e di n, in particolare per n = 1 ed n = 2: dunque per variabili valori dell’altezza della diga e della forma della sezione meridiana. In Fig. 11.40 rappresenta varie forme di ripartizione del carico idrostatico al variare dei parametri.

Calcolali i momenti M e gli sforzi di taglio T e il carico per peso proprio, possono dedursi le sollecitazioni per la sezione meridiana con le consuete formule della presso-flessione; e anche quelle degli archi, sottili o spessi immaginati vincolati alle imposte: quindi non come paralleli o anelli. Si rivela anche opportuno ricordare come i risultati siano da considerare di prima approssimazione. Le verifiche di diversa e più progredita approssimazione sono da svolgersi con modelli matematici numerici, ponendo in conto, come per le altre dighe, anche il comportamento elastico delle rocce, bonificate dai trattamenti d’iniezione, cucitura etc.

Fig. 11.40 – Diverse forme di ripartizione del carico idrostatico al variare dei parametri.

11.8.6.19 – Particolari costruttivi per giunti e drenaggi

Le modalità di costruzione delle dighe ad arco-gravità (pulvino, larghezza dei conci, giunti etc.) sono analoghe a quelle indicate per le dighe ad arco. Gli spessori, di valore intermedio tra le dighe a gravità e ad arco, portano spesso a inserire una rete di cunicoli (e pozzi) e anche uno schermo di drenaggio con disposizioni simili a quelle viste per le dighe a gravità.

11.9 – Sistemi di controllo delle dighe di muratura

Le dighe si collocano tra le opere di ingegneria che richiedono, durante l’esercizio, un controllo continuo e sistematico del loro comportamento che si aggiunge, di norma, ai controlli eseguiti durante le costruzione e gli invasi sperimentali.

I sistemi di controllo hanno subito negli ultimi anni una rapida e notevole evoluzione nelle tecniche di misura, trattamento e trasmissione dei dati. Essa ha permesso la realizzazione di sistemi di controllo completamente automatici, limitando la presenza di operatori solo a livello di supervisione e di decisione. Questi sistemi si avvalgono di sensori di tipo elettrico o elettronico che forniscono un segnale proporzionale alla misura della grandezza osservata. In aggiunta a essi è raccomandato, per quanto possibile, l’impiego di strumenti di controllo meccanici e ottici: ossia di sistemi alternativi rispetto ai precedenti e indipendenti, i quali, rilevando le medesime grandezze, accrescono il grado di affidabilità dei dispositivi di controllo primario.

Il sistema di controllo provvede all’esecuzione delle misure secondo cadenze prefissate, alla memorizzazione dei dati e alla stampa di grafici che mostrano l’andamento delle grandezze controllate. Il sistema automatico evita la necessità di dovere accedere ai punti o siti previsti per la misura diretta (luoghi d’alta montagna, ad es., difficilmente accessibili per lunghi periodi a patto che sia consentita la sospensione della guardiania); e offre il vantaggio di poter disporre di un elevato numero di misure (da stabilirsi secondo le necessità) di elevata qualità per essere non dipendenti dall’operatore.

Il sistema d’acquisizione degli elementi osservati può essere collocato, oltre che nella casa di guardia, in qualsivoglia centro utilizzando una linea telefonica e un modem. Il controllo del comportamento delle dighe si avvale di due criteri complementari. Il primo consiste nel confronto del comportamento dello sbarramento con le previsioni del suo modello statico; il secondo criterio consiste nel confronto puramente statistico delle misure di un insieme di grandezze significative con i corrispondenti valori rilevati durante la vita dell’opera. In questa prospettiva, è necessario procedere all’installazione di strumenti appropriati per la misura delle grandezze e dei parametri più rappresentativi, scegliendo, tra tutti quelli disponibili, quelli ritenuti di volta in volta più significativi.

Il sistema di controllo installato in una diga deve svolgere il suo ufficio in tempi rapidi; per seguire, ad es., i fenomeni sismici; e sufficientemente flessibile per adeguare la velocità d’acquisizione alle necessità contingenti (nel caso, ad es., d’importanti eventi pluviometrici). Deve inoltre disporre d’una capacità d’analisi e controllo dei dati rilevati che consenta di effettuare la validazione, se possibile automaticamente, delle misure eseguite. Il sistema deve pertanto eseguire elaborazioni e valutazioni delle misure pressoché in tempo reale, a differenza di quanto accadrebbe, in termini di spesa di tempo, nel caso di osservazioni effettuate manualmente.

Le informazioni sono generalmente raccolte, in forma automatica, già durante la costruzione; proseguono, con molta cura, durante gli invasi sperimentali e, naturalmente, durante l’esercizio. Durante gli invasi sperimentali, che si concludono con il collaudo dell’opera, si utilizza il maggior numero di strumenti per il controllo del corretto comportamento dello sbarramento da tutti i punti di vista. L’esercizio richiede una cura di diverso tipo: individuando il numero, generalmente limitato, di strumenti necessari per fornire informazioni al modello matematico che descrive e controlla, automaticamente e in tempo reale, il reale comportamento della struttura.

La sicurezza richiede, secondo quanto s’è già accennato, che sia predisposta la possibilità dell’ esecuzione manuale di tutte le misure d’interesse, senza influenzare quelle rilevate in automatico. L’esigenza è dettata dalla necessità di un controllo in doppio delle misure automatiche: da un lato, per una loro validazione; da un altro, per assicurare la possibilità d’acquisire la misura per qualche problema che possa insorgere nel sistema automatico.

11.9.1 – Misure, modalità d’esecuzione e loro frequenza

Vengono elencati i tipi di misure previste per le dighe di muratura. La Tab. 11.9 riporta le misure da eseguirsi, la loro frequenza e la strumentazione impiegata.

Livello d’invaso – La misura del livello d’invaso è eseguita con un sensore elettronico (trasduttore di pressione, trasduttore a ultrasuoni, di tipo pneumatico) e, obbligatoriamente, in modo manuale, mediante asta idrometrica.

Elementi meteoclimatici – Vengono rilevati i principali elementi meteoclimatici quali: temperatura e umidità dell’aria; velocità e direzione del vento; pressione atmosferica; precipitazioni; eventuale spessore de] manto nevoso o del ghiaccio; evapotraspirazione etc. Le grandezze da misurare vanno definite in funzione delle necessità e delle particolarità del bacino sotteso dalla diga. Le misure sono eseguite in modo automatico, da una stazione dotata di adatti sensori, in posizione ben esposta, in genere nelle vicinanze della casa di guardia.

Temperatura del calcestruzzo e dell’acqua – La misura è effettuata mediante sonde di temperatura oppure con sensori equivalenti che utilizzano il principio della variazione della resistenza di un metallo o di una lega di caratteristiche note. Le misure sono eseguite automaticamente oppure con dispositivi manuali portatili. La misura della temperatura nel calcestruzzo è, in fase di getto, di notevole interesse per il controllo delle temperature raggiunte durante il processo di presa. Durante l’esercizio la stessa misura consente di correlare gli spostamenti della struttura in funzione dell’andamento delle temperature rilevate sui paramenti.

Batimetria del bacino – La misura del fondo del serbatoio viene effettuata con metodi differenti e variamente automatizzati. La misura viene ripetuta a distanza di anni per il controllo della capacità utile del serbatoio e del livello dei sedimenti in prossimità dell’opera di presa e dello scarico di fondo.

Eventi sismici – I fatti sismici sono osservati con accelerometri installati nella roccia di fondazione e nel corpo della diga: è così possibile la misura degli accelerogrammi che interessano l’imposta e delle accelerazioni di risposta rilevate in alcuni punti significativi della diga. S’impiegano sensori di tipo accelerometrico collegati a una o più apparecchiature automatiche di acquisizione dati (strong motion) che vengono messe in azione al superamento di un prefissato valore di accelerazione. E possibile, naturalmente, ottenere l’automazione totale inviando, per le successive elaborazioni, tutti i dati in tempo reale al centro posto nella casa di guardia o a centri remoti. Nel passato tali misure venivano realizzate con registratori grafici o sismografi.

Spostamenti della roccia di fondazione – Gli spostamenti della roccia di fondazione, sollecitata da tensioni di compressione e di trazione, sono funzione dell’altezza dell’invaso e dell’andamento della temperatura. Essi sono misurati con estensimetri a base lunga (rockmeter), a una o più basi poste a differenti profondità. Le misure sono effettuate mediante trasduttori di spostamento; è prevista la possibilità dell’esecuzione manuale.

Spostamenti orizzontali e rotazioni del corpo diga – Occorre distinguere tra la misura degli spostamenti orizzontali del corpo diga, con le corrispondenti rotazioni, e la misura degli spostamenti della base della diga rispetto alla fondazione. I primi vengono misurati con pendoli diritti o rovesci utilizzando uno o più punti di misura sulla medesima verticale. Queste misure possono essere correlate coi misuratori dello spostamento dei giunti installati generalmente nei cunicoli alti. Gli spostamenti dei punti del coronamento, invece, sono, per tradizione, misurati con procedimenti geodetici con sistemi di collimazione o stazioni topografiche per operazioni manuali o automatiche. Poiché i sistemi ottici forniscono misure con precisioni abbastanza limitate, si utilizzano di norma le misure dei pendoli per la taratura puntuale delle misure ottiche.

Le misure di rotazione del corpo diga possono essere effettuate mediante inclinometri; ma con la consapevolezza di ottenere misure con un grado di precisione nettamente inferiore ai pendoli e con problemi di consistenti derive nel tempo. Un metodo che a volte viene impiegato per la misura delle rotazioni del corpo diga, anche in fase di costruzione, è quello di utilizzare estensimetri a base lunga installati a monte e a valle della struttura e di misurarne, rispetto a un punto profondo di riferimento, i cedimenti o gli innalzamenti. In fase di esercizio si può misurare la rotazione e lo spostamento della struttura mediante uno strumento denominato deformometro, il quale è in grado di sostituire la vecchia catena di clinometri che richiedeva l’esecuzione di misure manuali.

Gli spostamenti della base della diga rispetto alla fondazione sono misurati mediante pendoli rovesci che possono disporre di uno o due punti di ancoraggio nello stesso foro praticato nella roccia di fondazione, il più profondo dei quali deve essere spinto, come criterio generale, a una profondità equivalente ad almeno la metà dell’altezza della diga. In tempi più recenti, la misura dello spostamento verticale del corpo diga è ottenuta utilizzando in particolare l’asse z di pendoli dotati di compensazione automatica degli effetti termici. Questa misura, che può essere eseguita automaticamente, può utilmente sostituire la livellazione ottica sul coronamento.

La misura della posizione del filo a piombo è normalmente eseguita sin automaticamente, mediante i telecoordinometri, che manualmente, mediante coordinometri ottici: si tratta di strumentazione ritenuta d’estrema importanza per il controllo del buon comportamento dell’opera. E’ utile annotare come queste misure siano di un ordine di grandezza diverso a seconda che si tratti di dighe a gravità massiccia o di dighe ad arco.

Movimenti relativi tra i giunti – Queste misure sono effettuate mediante misuratori di giunti di tipo mono-, bi- e triassiale a seconda delle esigenze. Le misure vengono eseguite sia manualmente che automaticamente; queste ultime con l’ausilio di trasduttori di spostamento di vario tipo e modello. Sono da preferire quelli senza contatto che garantiscono una precisione di misura molto elevata, senza necessità di manutenzione e di compensazione delle componenti trasversali, altrimenti necessaria quando si usano trasduttori con collegamento rigido tra i due lati del giunto. Questi tipi di misure sono di ordine di grandezza nettamente diverso a seconda che si tratti di dighe a gravità (con giunti permanenti) o di dighe ad arco.

Sottopressioni – La misura delle sottopressioni è eseguita con piezometri a tubo aperto o di Casagrande con presa di pressione a una quota ben definita. La pressione viene misurata generalmente al contatto calcestruzzo-roccia e in fondazione a differenti profondità; in tal modo si può misurare l’andamento delle sottopressioni, in funzione dell’andamento dell’invaso, a partire da monte dello schermo di impermeabilizzazione, fino al termine dell’impronta dello sbarramento. All’interno delle tubazioni sono installati sensori di livello che possono essere recuperati e sostituiti in caso di guasto. I più comuni sensori di livello utilizzati sono del tipo ad estensimetri elettrici o a corda vibrante con fondo scala opportuno, i quali permettono l’esecuzione di misure automatiche. Nelle medesime tubazioni è consigliabile eseguire la misura della pressione mediante apposito manometro oppure, più semplicemente, in termini di livello di colonna d’acqua, nel caso di basse pressioni.

Drenaggi e misura delle perdite – La misura dell’andamento delle perdite provenienti sia dal corpo diga che dalla fondazione è una delle misure più significative per giudicare lo stato di uno sbarramento. Normalmente si deve cercare di discriminare, con il maggior dettaglio possibile, la provenienza delle portate: se dal corpo diga, dalla fondazione e dalla parte destra e sinistra della struttura. La misura viene effettuata mediante stramazzi quando si tratti di canaletto aperte e misuratori di portata a turbina o, preferibilmente, di tipo elettromagnetico, quando si tratti di tubazioni sempre piene. Quasi tutte le misure di portata possono anche essere eseguite manualmente. Quello che interessa misurare è, in particolare, la variazione dell’andamento delle perdite totalizzate in funzione del livello dell’invaso e rispetto alle condizioni iniziali verificate durante gli invasi sperimentali fatti in fase di collaudo. E’ anche possibile eseguire la misura delle perdite su alcuni drenaggi particolarmente significativi generalmente mediante misuratori di tipo elettromagnetico. Sugli stessi drenaggi a volte viene eseguita la misura di pressione in alternativa a quella di portata mantenendo il drenaggio chiuso. La misura della pressione avviene mediante trasduttori di pressione e manometri (per il controllo manuale).

Previsioni di piena nella sessione di sbarramento – La corretta gestione delle risorse idriche e l’esercizio si avvalgono delle sistematiche misure delle precipitazioni e delle portate che vengono eseguite in stazioni di misura accortamente distribuite nel bacino. Esse consentono di disporre delle informazioni necessarie per prevedere la piena alla sezione di sbarramento, specie per importanti eventi meteorici; e hanno modo di fare corrette previsioni sull’andamento degli afflussi al serbatoio; in particolare d’adottare adeguati provvedimenti all’annuncio di eventi pluviometrici importanti: per esempio di programmare una efficace gestione degli scarichi per ottimizzare l’utilizzazione delle risorse idriche disponibili. Le informazioni sono acquisite in modo automatico e trasmesse alla casa di guardia mediante linee telefoniche commutate, mobili o tramite ponti radio.

Grado d’apertura degli organi di scarico – II controllo delle portate scaricate dallo sbarramento è legato alla conoscenza del livello d’invaso e del grado di apertura degli organi di scarico. La conoscenza di questi elementi è di notevole importanza per la gestione del serbatoio, specialmente in occasione di importanti eventi di piena; e anche per garantire a valle il cosiddetto deflusso minimo vitale (DMV).

Tab. 11.9 – Misure da eseguire, loro frequenza e strumentazione impiegata.

11.10 – Impianti idroelettrici

Un impianto idroelettrico è l’insieme delle opere civili e idrauliche, meccaniche ed elettro-meccaniche per la trasformazione dell’energia idraulica in energia elettrica.

La portata è derivata in una sezione di un corso d’acqua e restituita in una sezione collocata a quota inferiore attraverso un percorso artificiale, con una dissipazione di energia apprezzabilmente minore di quella che si sarebbe prodotta lungo l’alveo naturale: la differenza di quota tra le due sezioni rappresenta l’energia potenziale lorda riferita all’unità di peso sfruttabile dalla centrale.

Un impianto può essere di sola produzione oppure di produzione e pompaggio quando il volume d’acqua per la produzione venga invasato in un serbatoio posto a valle dello scarico della centrale e da questo sollevato in certe ore del giorno (notte) nel serbatoio superiore.

Fig. 11.41 – a) impianto idroelettrico ad acqua fluente; b) impianto idroelettrico a serbatoio; c) impianto idroelettrico con opera di ritenuta e centrale incorporata.

Lo schema generale di un impianto idroelettrico (Fig. 14.41) è costituito da: serbatoio d’accumuloopera di presagalleria in pressione o non (o canale in quest’ultimo caso), pozzo piezometrico, condotta (condotte) forzata, centrale col macchinario elettromeccanico: turbina (turbine); pompa (pompe) negli impianti di accumulazione; alternatore (alternatori); opera di restituzione. Una (o più) di queste opere può mancare.

L’impianto schematicamente più semplice è costituito da un’opera di ritenuta con centrale incorporata: la presa e la restituzione sono ridotte al minimo e l’energia potenziale da sfruttare è data dalla differenza di quota che la ritenuta crea tra il pelo libero a monte e a valle della stessa.

Un impianto con serbatoio d’accumulo consente di utilizzare l’acqua in tempi e con modalità diverse da quelle con cui essa defluisce naturalmente: l’impianto è detto regolato. Senza serbatoio o con limitata capacità le acque possono essere utilizzate solamente nella misura in cui esse sono disponibili all’opera di presa: l’impianto è detto ad acqua fluente.

La portata media annua Q = 1 m3/s che sfrutti il salto H = 1 m produce, con rendimento η = 0.92, la potenza di P = 9.81 QHη (kW) = 9.02 kW e un’energia annua E = 8760 P = 79,061 MWh ≈ 19.8 tep/a (tep = tonnellate equivalenti di petrolio trasformabili in centrale termoelettrica).

11.10.1 – Definizioni

Salti (o dislivelli H) (m)

Il salto naturale Hn (m) é il dislivello tra la quota della superficie libera nella sezione a monte ove s’esaurisce il rigurgito creato dalle opere di presa e la quota della superficie libera nella sezione a valle ove, di fatto, ha termine il rigurgito eventualmente creato dalle opere di restituzione. Il salto legale o di concessioneHl misura il dislivello fra i due peli morti dei canali a monte e a valle del meccanismo motore. Il salto disponibile (o salto utile lordo) (m) istantaneo Hu e il dislivello fra la superficie libera nella vasca di carico o nel pozzo piezometrico e quella nel canale di scarico subito a valle del meccanismo motore. Il salto motore istantaneo (o salto utile netto) Hu e la differenza tra il carico totale all’entrata e all’uscita del meccanismo motore.

Portate Q (m3/s)

La portata massima derivabile Qmax é la massima che un impianto può derivare dall’opera di presa. Essa rappresenta il limite superiore della portata istantanea QD derivabile: definita presente Qp, se proveniente da una capacità (impianto a serbatoio), oppure naturale Qn se dal fluente d’un corso d’acqua; ma distinta dalla portata Qd effettivamente derivata dal corso d’acqua, eventualmente suddivisa tra quella Qu utilizzabile e quella Qa accumulala (invasata), essendo Qu = QdQa: con la nota che la portata realmente utilizzata (turbinataQt possa essere anche maggiore di Qu per effetto dello svaso del serbatoio.

Potenze

La potenza legale o nominale di un’utilizzazione (kW) misura la potenza idraulica media teoricamente disponibile nell’anno in relazione alla portata e al salto di concessione. La potenza istantanea effettiva di un’utilizzazione è quella disponibile in relazione alla portata turbinabile e al salto motore di quell’istante. La potenza idraulica ed elettrica installate in una centrale (kW) sono rispettivamente la somma delle potenze di targa dei motori idraulici e la somma delle potenze di targa dei generatori elettrici, comprese le eventuali riserve. Per le macchine sincrone è il prodotto della potenza apparente di targa (kVA) per il corrispondente fattore di potenza.

Serbatoi

La capacità totale di un serbatoio (m3) misura il volume invasabile nel serbatoio fino alla massima quota di regolazione, escluse le sopraelevazioni di livello eventualmente consentite per il contenimento di un’onda di piena. La capacità utile (o capacità) di un serbatoio (m3) è il volume invasabile tra la minima quota di svaso e la massima quota di regolazione.

Produzione (energia)

La produzione di una centrale idroelettrica (kWh) è l’energia prodotta misurata ai morsetti dei generatori elettrici in un determinato intervallo di tempo. L’energia eventualmente impiegata per il pompaggio (da misurarsi ai morsetti dei motori accoppiati alle pompe) va sempre posta in evidenza. Spesso ci si riferisce alla produzione media di una centrale (kWh) per un dato periodo di tempo: media aritmetica delle produzioni della centrale, estesa a una serie piuttosto lunga di termini (almeno 10) relativi a quel periodo di tempo; gli estremi della serie, da intendersi in essa compresi, devono essere specificati. Si ha così la produzione annua media (relativamente a una indicata serie di anni); la produzione media mensile di un prefissato mese; la produzione (energia) invernale (dall’1 novembre al 30 aprile) e quella estiva (dall’1 maggio al 31 ottobre); la produzione (energia) diurna (dalle ore 6 alle 18) e notturna (dalle 18 alle 6); la produzione di punta etc.

Noti il volume utile Vu dì un serbatoio e la differenza Hb di quota tra il baricentro di Vu e quello della restituzione, l’energia accumulabile nel serbatoio è pari a ~ VuHb/500 in kWh, corrispondente a un rendimento globale η di 0.73.

11.10.2 – Indagini preliminari

Un accurato studio delle condizioni idrologiche e idrografiche del bacino è elemento essenziale per una corretta progettazione, così come un esame tra più soluzioni possibili per scegliere quella più vantaggiosa. Lo studio richiede un’approfondita indagine sulle portate, associata anche a estese serie pluviometriche.

L’esame delle caratteristiche topografiche, geologiche e geotecniche deve assicurare sulla possibile realizzazione delle varie opere e comunque consigliare la soluzione più opportuna con riferimento alla sezione di sbarramento e, nel caso di un serbatoio, allo stato dei versanti esposti alle variazioni di livello. Lo schema di utilizzazione è di norma studiato impegnando un bacino quanto più esteso possibile, introducendo eventualmente canali di gronda per captare affluenti che confluiscano a valle della sezione di presa del corso principale interessato o di altri corsi d’acqua.

11.10.3 – Rappresentazioni caratteristiche dei bacini

Le più semplici grandezze che caratterizzano un bacino idrografico (principale o affluente), fissata una sua sezione, sono: l’estensione S sottesa; le lunghezze L dell’asta principale e λi, di un collettore generico della rete; il perimetro P del bacino; la distribuzione delle superfici in funzione dell’altitudine a monte della sezione stessa; la pendenza media im. Le grandezze associate fra loro rappresentano parametri o funzioni interessanti le possibili successive elaborazioni. Le definizioni sono, con riferimento al diametro D = 2 √S/π al contorno C = πD:

– coefficienti di forma:

si ha F ≈ 1 per bacini di forma raccolta ed F >> 1 per bacini di forma allungata;

– densità di drenaggio:

Chiamando Si l’area compresa tra due curve di livello (equidistanti Δz) e li lo sviluppo della linea di livello media; la pendenza media è:

La rappresentazione S in funzione della distanza della sezione considerata dall’origine del corso d’acqua principale o secondario è detta diagramma di Stecher.

La curva ipsografica dà il modo di variare dell’altitudine media Hm con l’estensione S (Fig. 11.42). Misurata l’area Si tra due curve di livello e la sua altitudine media zi l’altitudine media relativa al bacino sotteso è:

II valore Hm, è utile per il calcolo del tempo di corrivazione o concentrazione delle portate nella sezione considerata.

Se ad ogni quota d’alveo si fa corrispondere l’estensione S del bacino sotteso (ad ogni affluenza S presenta una discontinuità) la rappresentazione è detta diagramma idrodinamico.

Poiché la portata ritraibile Q da una parte S del bacino è proporzionale a S stesso, si può ritenere che l’area del rettangolo inscrivibile tra due diverse quote sia, a meno di una costante, proporzionale alla potenza di un ipotetico impianto posto alla quota più bassa: infatti, essendo la potenza P proporzionale a QHula base, proporzionale a Q, dà uno dei termini e l’altezza Hu del rettangolo dà il salto.

Fig. 11.42 – Curva ipsografica di un torrente (in alto) e diagramma idrodinamico lungo l’’asta di un collettore.

11.10.4 – Indagini idrologiche

La conoscenza del regime di un corso d’acqua rappresenta il fondamento per qualunque utilizzo delle risorse

Le grandezze di maggior interesse da utilizzare sono le portate e le altezze idrometriche che si registrano in una o più sezioni del corso d’acqua (stazioni idrometriche). Altrimenti si deve partire dalle precipitazioni per calcolare le portate riferite ai valori medi decadici, mensili etc. Le misure o i calcoli danno modo di ottenere la curva cronologica delle portate Q(t), per ogni anno osservato; raggruppando i valori di Q secondo medie appropriate al problema da trattare. I valori delle portale (altezze idrometriche) possono ordinarsi secondo la loro frequenza oppure in ordine decrescente, ottenendo la curva di durata o di tenutaQ(τ) il valore minimo per τ = 365 g è detto portata permanente, mentre si dice portata mediana o semipermanente quella per τ = 365/2 g.

11.10.5 – Utilizzo delle portate

Disponendo di varie annate, verificata la stazionarietà del campione, si deve fissare un anno al quale riferirsi per le deduzioni progettuali, misura delle risorse e dimensioni delle opere. Con un lungo periodo d’osservazione, prefissata la cadenza (media decadica o mensile), si può costruire un anno medio, oppure scegliere il cosiddetto anno tipico, periodo che possiede lo scostamento quadratico medio minimo rispetto all’anno medio. Prescelto l’anno di riferimento, i risultati progettuali devono essere poi verificati rispetto agli altri eventi osservati nel periodo, per dare senso statistico alle eventuali insufficienze in un senso o nell’altro.

Un’elaborazione della curva di durata consente di determinare in senso idrologico il limite superiore della portata che si può utilizzare per derivazione da un corso d’acqua; con la riserva poi che questo valore debba o possa essere ridotto in rapporto al regime e agli usi del corso d’acqua a valle della presa, compreso il deflusso minimo vitale (DMV).

Fig. 11.43 – Curve di durata ed utilizzazione di un asta-tipo.

Fissate la portata massima Qd da captare e la sua durata τd, il grado di utilizzazione dell’impianto può commisurarsi al volume annuo utilizzato Vu oppure alla portata media Qu = Vu/τ0 designata, dove τ0 indica la durata totale (ad es., 1 anno; o la durata di un prefissato periodo di produzione, ad es., il semestre invernale). In luogo di Qd e Qu conviene usare i valori r = Qd/Qa e χ = Qu/Qa rapportati alla portata media annua Qa, definiti, rispettivamente, indice di captazione e indice di utilizzazione. La funzione χ(r) dà la curva di utilizzazione per un’asta-tipo (Fig. 11.43).

11.10.6 – Regolazione delle portate

L’impiègo di un serbatoio per la regolazione delle portate per uso idroelettrico comporta il riferimento a una successione di portate Qa(t) di afflusso assunta come curva di progetto. Si utilizzano le portate dell’anno medio di un lungo periodo d’osservazione oppure quelle dell’anno tipico secondo le definizioni date.

Il processo idraulico di regolazione è di semplice descrizione in quanto è costituita dall’equazione di continuità (o dei serbatoi) associata a quella del criterio di gestione idroelettrico dell’impianto.

L’equazione di continuità si presta ad alcune significative applicazioni, fissato il periodo di tempo T di riferimento: un anno o più anni nelle regolazioni pluriannuali.

L’equazione dà modo, noti la portata Qa(t) o quella di utilizzazione Qe(t) e il volume V(z), in funzione della quota, di determinare:

a) le portate Qe(t) derivabili da un serbatoio di capacità utile massima Vmax;

b) la capacità minima Vmin necessaria per derivare una prestabilita successione di portate Qe(t).

L’equazione dei serbatoi scritta in forma integrale nell’intervallo 0─t dà:

Definito il periodo T di riferimento, per t = T, si ha V(T) – V(0) = 0, giacché l’afflusso integrale deve uguagliare il deflusso integrale nel periodo assunto per la gestione, avendo fatto riferimento (di progetto) all’anno medio o tipico per Qa(t). Il problema consiste nel trovare il valore estremo di V.

La Fig, 11.44 rappresenta nel piano (Vt) la curva integrale degli afflussi .per una regolazione annuale. La pendenza della retta tratteggiata che unisce i due istanti t = 0 e t = T dà la portata media annua Qe.

Fig. 11.44 – Curve integrali degli afflussi e dei deflussi per diverse ipotesi d’uso dei serbatoi.

Il volume necessario per regolare le portate al valore medio Qe, si ottiene individuando i punti nei quali la tangente alla curva integrale è parallela alla retta tratteggiata, e sommando i volumi rappresentati graficamente dai tratti I-II e III-IV. Il caso di una diversa utilizzazione, ad es. per funzione irrigua, può trattarsi allo stesso modo.

Se si trasla la curva integrale di Qa parallelamente a se stessa di un valore Vmax, qualsiasi curva o retta, purché non decrescente, inserita tra le due curve, rappresenta una curva integrale di Qe ricordando che le sue pendenze (derivate) definiscono una possibile distribuzione di portate Qe derivabili a patto che al principio e al termine del ciclo il volume invasato sia il medesimo.

stesso. La spezzata 1-2-3-4-5-1 rappresenta la curva integrale dei deflussi.

Volendo riservare la capacità all’uso idroelettrico, puntando alla massima produzione nel semestre invernale, il serbatoio deve trovarsi approssimativamente al massimo invasato l’1 novembre e vuoto il 30 aprile.Il diagramma degli afflussi e dei deflussi integrali dà modo di ottenere la funzione V(t) dei volumi nel tempo; e da questa, nota la funzione V(z) che lega volumi e quote, eliminata la variabile V, la funzione z(t) per le deduzioni che possono farsi: calcolo dei salti lordi e netti; della potenza ritraibile e della produzione.

11.10.7 – Tempo di vuotamente di un serbatoio

L’equazione di continuità da modo di calcolare il tempo di vuotamente: con un procedimento a differenze finite; oppure direttamente quando si possa interpolare la funzione V(z) con un polinomio, com’è generalmente possibile. Spesso è sufficiente limitarsi a considerare solo i primi termini (ad es. k = 3):

contando le altezze della quota d’imbocco dello scarico di fondo. Se l’area dello scarico di fondo è A, essendo Q(t) = CA2gz la portata istantanea, il tempo di vuotamente da z = H a z = 0 è dato da:

11.10.8 – Stima della produzione

11.10.8.1 – Impianti ad acqua fluente

Per la valutazione della potenza e dell’energia ritraibili da un impianto sono da considerare le grandezze: portate, salti e rendimenti, solitamente variabili nel tempo. Per un impianto ad acqua fluente a salto sensibilmente costante (per la regolazione praticata con la traversa), prescindendo dalle variazioni del rendimento, la potenza è esprimibile con il diagramma di durata delle portate utilizzate, interpretato in un’opportuna scala.

Fig. 11.45 – Curve indicative annue di durata per: altezze idrometriche, portate fluviali e utilizzata, quote di monte, di valle e salti; potenza.

Quando il salto sia soggetto a variazioni relative di qualche rilievo, quali quelle che si verificano negli impianti a bassa caduta per effetto del rigurgito di piena a valle, per la stima della potenza è necessario considerare il simultaneo valore degli elementi che concorrono a determinarla: portata, salto e rendimento. Con questi elementi si ricava il diagramma della potenza. L’area delimitata dall’asse delle ascisse, dall’ordinata per τ0 e dalla curva della potenza rappresenta, con opportuna scala, l’energia complessivamente producibile.

Negli impianti a bassa caduta la potenza viene ridotta non solo in magra per il limitato valore della portata, ma anche in piena, se l’impianto non sia escluso, per la riduzione del salto e, talvolta, per la sensibile riduzione dei rendimenti. Nella Fig. 13.45 sono rappresentate, con le riserve espresse, dall’alto in basso, le curve annue di durata per: le altezze idrometriche; le portate fluviali e quelle utilizzabili; le quote di monte, di valle e i salti; la potenza. L’area delimitata dalla curva P(τ) dà l’energia ritraibile. Le curve hanno significato esclusivamente indicativo.

11.10.8.2 – Impianti a serbatoio

Lo schema classico di impianto di utilizzazione è il seguente: da un serbatoio si deriva una portata Q con una galleria in pressione, al cui termine prende origine una condotta forzata (o più condotte) avente dimensioni e lunghezza generalmente molto minori della precedente. Tra galleria e condotta è inserita una vasca d’oscillazione di limitata capacità, la cui funzione si esplica nelle fasi di moto vario. Al termine della condotta forzata è posta la turbina accoppiata a un generatore elettrico Lo scarico dell’acqua avviene nell’atmosfera (turbina ad azione Pelton) o attraverso un diffusore (turbine cosiddette a reazione Francis o Kaplan) in un canale di restituzione.

Fig. 11.46 – Schema d’impianto idroelettrico a serbatoio.

Considerando l’impianto in Fig. 13.46; il serbatoio e il canale di scarico siano, rispettivamente, a quota Z0 e Zs. Le perdite di carico sono: Pg in galleria; Pcnella condotta forzata e Pd nel diffusore. il salto utile (vs e la velocità allo scarico) è:

Hu = Z0 – Zs – (Pg+Pc+Pd)

la potenza P consegnata alla macchina è P = γQHu.

Nel caso della turbina ad azione (Pelton) si ha pressione atmosferica pa/γ nella sezione di uscita; con evidenti modifiche della relazione che fornisce P.

La trasformazione della potenza idraulica in meccanica Pu comporta altre perdite al punto che la potenza utilizzabile è < P. Poiché è PuP, il rapporto η = Pu/P è detto rendimento della turbina. Definita la distribuzione delle portate Q secondo i criteri di regolazione prefissati; dedotte dal piano delle curve integrali le funzioni V(t), Zo(t) e nota la Zs(t), si può procedere al calcolo dei salti netti Hu(t) e quindi delle potenze P(t). L’integrale dalla funzione P(t) dà la produzione annua oppure invernale, estiva etc.

11.10.8.3 – Impianti di sollevamento

Da un serbatoio a quota Z0 rispetto a un piano orizzontale di riferimento, una portata Q deve essere sollevata alla quota Z2 = Z0 + ΔH.

La differenza ΔH è detta prevalenza geodetica (Fig. 13.47). La condotta compresa tra l’imbocco e la pompa è detta condotta d’aspirazione; quella compresa tra la pompa e il serbatoio superiore è detta condotta di mandata.

Fig. 11.47 – Schema di impianto di sollevamento.

La pompa è accoppiata a un motore: essa conferisce all’acqua, aspirata dal serbatoio basso, l’energia sufficiente per raggiungere quello alto. Alla prevalenza geodetica devono sommarsi tutte le perdite di carico (continue e localizzate) che si hanno nel percorso d’aspirazione e di mandata: ed è a questa prevalenza H che deve commisurarsi la potenza utile della pompa. Sarà cioè: Pu = γQH; oppure, per Q dato (m3/s) e H (m): Pu = 9.81 QH (kW).

Se si indica con Pm e con Pa la somma delle perdite che si hanno, rispettivamente, nella mandata e nell’aspirazione, si ha:

Pu = γQ (Z2+PmZ0+Pa) = γQ (ΔH+Pm+Pa)

La potenza Pa che la pompa deve assorbire dal motore è maggiore della potenza Pu per le perdite della pompa stessa. Il rapporto tra la potenza utile e quella assorbita da il rendimento della pompa η = Pu/Pa.

11.10.9 – Elementi costitutivi propri degli impianti idroelettrici a serbatoio e criteri per il loro dimensionamento idraulico

La trattazione riguarda la progettazione e l’inserimento delle opere, cosiddette accessorie, che completano l’impianto, ossia gallerie; pozzi piezometrici, condotte forzate e centrali.

Gallerie

Le gallerie al servizio di impianti a serbatoio funzionano in pressione; quasi sempre a pelo libero negli impianti ad acqua fluente in sostituzione di tratti di canale.

Le gallerie in pressione consentono una relativa libertà nella scelta del tracciato (circa parallelo alla valle), delle pendenze e delle quote rispetto all’opera di presa, col vincolo di contenere ai minimi valori pendenze (e quindi le pressioni), talvolta limitate anche da ragioni costruttive.

Il tracciato delle gallerie brevi è spesso rettilineo tra il punto di presa e la condotta forzata.

Il tracciato di gallerie lunghe, scavate con i metodi tradizionali, è spesso poligonale per attaccare in più punti (finestre) riducendo i costi e limitando i tempi di costruzione

Le scelte progettuali dipendono da: presenza di zone geologicamente difficili; singolarità topografiche; necessità di disporre di un sufficiente ricoprimento di roccia (comparabile possibilmente col carico idraulico) e di rendere minima la distanza da eventuali allacciamenti secondari o da eventuali finestre. I diametri variano da 3 m (diametri inferiori sono non convenienti) a 10 m e oltre. Per l’attraversamento di valli la galleria è sostituita da un ponte-tubo collocato talvolta a quota alquanto inferiore a quella della galleria, alla quale è collegato da pozzi o da discenderie.

Come visto in precedenza, per lo scavo di gallerie in roccia, in sostituzione dell’esplosivo, si va sempre più affermando lo scavo meccanico con frese su sezione circolare totale (full face TBM); oppure lo scavo con frese a testa tagliante puntuale: con qualche maggiore difficoltà per distribuzioni irregolari delle caratteristiche meccaniche, se in una matrice lapidea si alternano inclusioni o vene cedevoli, specie in presenza di acqua in pressione.

Lo scavo meccanico ha trovato un utile impiego anche nei pozzi verticali o inclinati, invece di quello con esplosivo attuato da piattaforme mobili in discesa o in risalita. Attualmente è spesso adottata la tecnica di perforazione rimontante (raise boring): perforazione di un foro-pilota in discesa fino a una galleria inferiore, quindi allarghi con fresa in risalita, azionata dall’alto mediante aste in rotazione.

Il rivestimento è di solito realizzato con calcestruzzo con spessore ≥ 25 cm per le gallerie scavate a sezione piena e di 50 cm per quelle scavate in tradizionale. Il calcestruzzo è armato quando la pressione interna è elevata o la roccia molto deformabile. Sono praticate e raccomandate iniezioni a tergo del rivestimento per migliorare la compattezza e l’impermeabilità della roccia nell’intorno dello scavo e riempire i vani rimasti tra roccia e rivestimento assicurando il contatto e l’adesione su tutta la superficie; si eseguono generalmente con pressioni dapprima di alcune atmosfere e, in una seconda fase, più elevate.

La velocità del fluido da considerare nelle gallerie in pressione è dell’ordine di 4÷5 m/s.

Pozzi piezometrici (vasche d’oscillazione)

Negli impianti con derivazione in pressione viene disposta, di regola tra galleria e condotta forzata, una vasca d’oscillazione per sezionare idraulicamente, quasi a ridosso della centrale, l’impianto. Le manovre conseguenti a variazioni di carico assumono allora il carattere di manovre lente.

Una volta limitate le perturbazioni al tratto di condotta compreso tra la centrale e il pozzo piezometrico, il pozzo stesso, la galleria a pressione e il serbatoio sono sottoposti alle oscillazioni di massa prodotte dal cambio di regime.

Il pozzo piezometrico è dunque tanto più efficace quanto più è prossimo alla centrale; tuttavia la necessità di elevarlo fin sopra il massimo livello statico del serbatoio consente la sua collocazione vicino alla centrale solo per salti modesti; nella generalità dei casi si costruisce una galleria poco pendente fin dove la situazione del terreno permette la realizzazione del pozzo in sotterraneo per proseguire poi con le condotte forzate, con il percorso più breve possibile, fino alla centrale.

Fig. 11.48 – Schemi di vasca d’oscillazione

È evidente l’opportunità che le escursioni massime, verso l’alto e verso il basso, non risultino eccessive: per contenere la sollecitazione sul rivestimento del tratto terminale della galleria; ed evitare, con il serbatoio a minimo invaso, di scoprire la base del pozzo.

La più semplice vasca d’oscillazione è costituita da un pozzo cilindrico (Fig. 11.48). Il contenimento della sezione trasversale di scavo e delle escursioni si può ottenere inserendo una strozzatura alla base del pozzo che da luogo a una perdita localizzata; con lo stesso obiettivo possono essere realizzate camere d’espansione prossime alla base e alla sommità del pozzo, oppure una sola delle due, cui può anche essere aggiunta la strozzatura.

Il pozzo cosiddetto differenziale (Johnson) è costituito da un pozzo di diametro pari a quello della galleria con una vasca, generalmente concentrica, di sezione assai maggiore. Pozzo e vasca hanno collegamenti con strozzature al piede di quest’ultima. Per una diminuzione della portata in centrale l’escursione ascendente nel pozzo è più rapida che nella vasca esterna; il sovralzo può raggiungere il bordo superiore del pozzo e la portata sfiora nella vasca. Di contro, per un aumento della portata i centrale il livello si abbassa rapidamente nel pozzo e la portata viene fornita in buona parte dalla vasca esterna per effetto del dislivello che si crea tra vasca e pozzo.

Se lo scarico della centrale avviene con galleria in pressione, è da valutare l’opportunità di realizzare sullo scarico stesso, in prossimità della centrale, un altro pozzo piezometrico.

Per la verifica del pozzo piezometrico, oltre alle classiche manovre di apertura totale (a serbatoio con minimo livello e galleria invecchiata) e di chiusura totale (con serbatoio al massimo invaso e galleria nuova), devono essere considerate manovre combinate che possano dar luogo a condizioni ben più severe.

Lo sfioro del pozzo è ammesso raramente. E’ importante evitare lo scoprimento del cielo della galleria per eccessivo abbassamento del livello per i gravi inconvenienti dovuti al trascinamento d’aria in condotta. Per impedire la formazione di vortici si deve tenere un buon carico sul cielo della galleria; in alcune soluzioni recenti, la strozzatura è stata dotata di un dispositivo sovrastante (cappello) che ostacola la formazione di vortici e l’ingresso d’aria.

La sperimentazione su modello fisico è necessaria per valutare correttamente i coefficienti di perdita di carico delle strozzature e le modalità di riempimento delle eventuali camere d’espansione. Per impianti isolati si deve verificare che la sezione del pozzo sin tale da evitare l’amplificazione o la permanenza delle oscillazioni. Recentemente sono stati realizzati impianti ove il tradizionale pozzo piezometrico é stato sostituito da casse d’aria, potendosi così realizzare la cassa stessa molto prossima alla centrale.

Condotte forzate

Le condotte forzate sono quasi esclusivamente d’acciaio, con diametri fino a qualche metro. Lo spessore delle condotte lisce non supera generalmente i 25 mm; per evitare spessori maggiori si ricorre alla blindatura. Le dimensioni sono fissate ponendo in conto anche la sovrapressione di colpo d’ariete, in misura corrispondente di solito al 10÷15% della pressione statica: elemento questo che deve risultare dalle garanzie di funzionamento delle turbine.

La galleria è di norma a diametro costante, mentre la condotta (o le condotte in serie) cambiano di diametro ogni 200÷300 m di carico in corrispondenza dei blocchi d’ancoraggio.

La tendenza attuale è di disporre le condotte forzate (libere o bloccate in calcestruzzo) in galleria a forte pendenza. Questo comporta solitamente anche la realizzazione della centrale in caverna.

Il numero di condotte forzate dipende dal numero dei gruppi installati, dall’opportunità di mantenere indipendente il funzionamento di ogni gruppo e dalla convenienza economica di limitare il diametro massimo di ogni condotta.

Fissato il numero e, in prima approssimazione, la perdita di carico complessiva per condotta, è da esaminare se sia economicamente conveniente dividere la condotta stessa in più tronchi con diametro decrescente al crescere del carico. In genere la suddivisione conviene solo se la lunghezza della condotta è > 500m; la suddivisione viene effettuata, al massimo, in 4÷5 tronchi.

Le condotte all’aperto sono montate dividendo la lunghezza in diverse livellette delimitate da blocchi d’ancoraggio, i quali sono da verificare sia al ribaltamento sia per l’azione che essi esercitano sul terreno. Fra due blocchi la condotta è appoggiata su selle poste ad un interasse di 12÷20 m. L’ampiezza dell’appoggio è solitamente di 120°. Il coefficiente d’attrito tra sella e condotta è compreso entro 0.15÷0.30; il suo valore condiziona la spinta sui blocchi d’ancoraggio.

All’imbocco della condotta è disposto un organo di chiusura di sicurezza a funzionamento  automatico che entra in funzione quando la velocità ecceda quella d’esercizio del 10÷30% e, subito a valle, una valvola d’immissione d’aria.

I diametri della condotta (ed eventualmente quello della galleria) sono assunti adottando i consueti criteri di economia che minimizzano la funzione di costo ottenuta sommando il costo annualizzato della condotta e il costo annuo dell’energia persa in generazione ed eventualmente in pompaggio. I valori della velocità media che derivano da un processo di ottimizzazione dei diametri sono 6÷7 m/s con valori massimi in prossimità della centrale di 8÷9m/s.

Centrale

La scelta della posizione della centrale di un impianto dipende da diversi elementi: generali (sicurezza idraulica, geologica e geotecnica, spazi disponibili, facilità d’accesso, problemi ambientali etc.) e funzionali (condotte forzate e opere di scarico).

Per gli impianti ad alta caduta, posti in zone con forti dislivelli, la posizione della centrale rispetto al terreno, specie se la centrale stessa è in caverna, può essere suscettibile di spostamenti anche rilevanti rispetto alle prime previsioni senza che ciò comporti variazioni nella produzione; più determinante è la scelta nel caso di una centrale a bassa caduta, situata in zona poco accidentata, alimentata da un canale a pelo libero che condiziona in buona parte la posizione della centrale.

La centrale comprende una serie di sale e di spazi all’aperto; le macchine rotanti sono sempre collocate in sale chiuse, i trasformatori elevatori sono collocati in sale, in nicchie o all’aperto, con protezioni antiscoppio; gli interruttori di macchina e di linea con le relative apparecchiature di alta tensione sono di regola collocate all’aperto; le apparecchiature di controllo e di comando e i circuiti del quadro della centrale sono sempre installati all’interno di appositi locali; il locale di comando (in passato dominante la sala macchine), è ora posto in locali lontani dalle fonti di vibrazioni, rumore e calore: l’esercizio della centrale è seguito con apparati a circuito chiuso.

Il porre la centrale in caverna offre il vantaggio di essere quasi completamente svincolati dalla topografia superficiale. Questa può essere posta nel punto più favorevole per il funzionamento idraulico del complesso. La soluzione, in confronto a quella all’aperto, consente una sensibile riduzione della lunghezza della condotta forzata, facendola quasi coincidere quando sia possibile disporre il pozzo forzato verticale con il salto utile: con un apprezzabile accorciamento dell’ultimo tratto di maggior spessore (esposto alle maggiori pressioni) rispetto a un tracciato all’aperto.

L’accorciamento della condotta risulta vantaggioso anche per la stabilità del sistema idraulico costituito da: galleria d’adduzione, pozzo piezometrico, condotte; forzate e macchinari.

Infine la soluzione in caverna, specie se abbinata a una disposizione in pozzo delle condotte forzate, non introduce turbamento al paesaggio, per l’interesse turistico che possono presentare i luoghi di montagna, derivandone, tuttavia, l’allungamento del canale di scarico e della galleria di accesso.

La collocazione della centrale, per gli importanti scavi che comporta, richiede un attenta analisi geomeccanica preliminare. Le centrali all’aperto, non fondate su roccia, richiedono un accurato studio per la diversità dei carichi sul terreno: forti nella zona delle macchine, più contenuti nelle altre parti. Questo può dare luogo a cedimenti diversi con conseguenti adeguati provvedimenti (giunti permanenti etc.) per il collegamento delle vane parti dell’edificio.

L’adozione di gruppi ad asse verticale, specie per i gruppi ternari negli impianti di produzione e pompaggio, comporta che le profondità da raggiungere siano notevoli, tenuto anche conto del carico idrico necessario sul tubo diffusore per le turbine a reazione (con maggiori probabilità di operare in falda); anche per questa ragione sono ora diffuse le turbine a bulbo per le quali le profondità da raggiungere sono più limitate.

11.10.10 – Elementi costitutivi propri degli impianti idroelettrici ad acqua fluente e criteri per il loro dimensionamento idraulico

Gli elementi costruttivi di un impianto ad acqua fluente sono: traversa e opera di presa; sghiaiatore e dissabbiatore; canale derivato; bacino di carico; condotte forzate; centrale; restituzione.

Essi si compongono variamente tra loro in funzione del carattere della derivazione, se piccola, media o grande. La Fig. 11.11 rappresenta i possibili schemi di traversa e di opere accessorie.

Fig. 11.49 –  Schemi di opere di presa.

Canali

L’andamento planimetrico e il profilo altimetrico del canale sono scelti in modo che, con la desiderata pendenza, esso sia di regola incassato nel terreno, evitando la costruzione in rilevato (per i pericoli di cedimento), ma anche le zone ove il canale debba essere eccessivamente incassato. Per gli attraversamenti di depressioni del terreno si utilizzano ponti-canali o sifoni: impiegando talvolta condotte d’acciaio o prefabbricate di conglomerato cementizio.

I canali sono generalmente rivestiti per limitare le perdite d’acqua per infiltrazione, ridurre a parità di sezione la scabrezza e le perdite di carico ed evitare i processi erosivi e facilitare le operazioni di pulizia.

La sezione è per lo più trapezia. La pendenza longitudinale è in genere dell’ordine del per mille o minore, con velocità media dell’ordine dei 2 m/s. La pendenza delle sponde è in genere prossima a quella dell’angolo di attrito del terreno attraversato. La soluzione con sponde verticali (o quasi) è adottata nelle sezioni del terreno con notevole pendenza trasversale per ridurre l’area di scavo.

I rivestimenti gettati in opera (non meno di 15÷20 cm sedi calcestruzzo) su fondo di ghiaia, sono talvolta realizzati con macchine che .lisciano anche il getto. Sono usati anche conglomerati bituminosi gettati in opera. I rivestimenti prefabbricati sono spesso di lastre precompresse con spessori assai limitati (6÷8 cm). Sono anche usati elementi (materassi) ottenuti con una gabbia metallica riempita di pietrischetto e poi bitumati. E da tenere presente che alcune specie vegetali perforano il conglomerato bituminoso; per cui è indispensabile il preventivo diserbo del letto di posa.

I terreni sede del canale possono essere interessati a varia profondità, in modo permanente od occasionale, da una falda freatica. Ma, ove non lo fossero, le possibili perdite d’acqua dal canale possono dare origine a una falda a tergo del rivestimento.

Se un canale è inserito, in tutto o in parte, in falda, a canale vuoto o quasi, il rivestimento, esposto a sottopressione, può sollevarsi se la spinta eccede il peso proprio e quello dell’acqua eventualmente presente nel canale. In questi casi, essendo generalmente modesto il peso proprio e volendo limitare lo spessore del rivestimento, si deve ricorrere ad un appropriato drenaggio.

Il drenaggio è indispensabile anche quando siano temute perdite d’acqua dal canale per la sua (probabile) imperfetta tenuta. Infatti il vuotamente rapido può generare squilibrio tra la pressione esterna e quella interna e indurre al sollevamento.

Il dispositivo drenante dipende anche dalla natura del terreno. Se il terreno, sede della falda, è poco permeabile, la sottopressione, per il lento afflusso alla condotta drenante, può indurre il rivestimento a sollevarsi. In questi casi, il terreno naturale deve essere sostituito con materiale di adatta granulometria, affinché l’abbassamento della falda segua con rapidità la diminuzione di livello entro il canale. La disposizione e il numero delle condotte drenanti dipendono dalle dimensioni del canale e dalla forma della sezione: per una larga sezione trapezia sono da porre due canne drenanti ai piedi delle sponde; per una piccola sezione o per una sezione foggiata ad arco può bastare una condotta drenante sull’asse del canale.

Il controllo delle sottopressioni, a canale vuoto o quasi, è realizzato scaricando le acque di falda drenate. Quando non sia possibile uno scarico esterno, il fondo del canale è collegato ad opportuni intervalli con pozzetti muniti di valvole di non ritorno (clapet) al tubo drenante: la pressione nel dreno, a canale vuoto, comporta l’apertura del clapet e, con l’immissione di una portata (variabile), il riequilibrio della pressione interna con quella della falda.

Il calcolo della portata che affluisce alla condotta è svolto con le usuali formule impiegate per la galleria drenante; il moto nella condotta è trattato come moto permanente con alimentazione lineare di portata lungo il percorso. L’impiego dei geotessili consente per i drenaggi soluzioni di maggiore semplicità ed affidabilità rispetto al passato, con minori cure e tempi per la posa dei materiali drenanti e la costruzione.

I canali rivestiti sono provvisti a monte di organi d’intercettazione; a valle va disposto un organo di scarico per poter vuotare a gravita il canale.

Se la costruzione del canale richiede il taglio di strati di terreno sedi di falde acquifere, è da verificare che il manufatto non le intercetti completamente: in questo caso si deve con idonei provvedimenti ripristinare il moto dell’acqua per assicurare la stabilità dei rivestimenti.

Lungo il tracciato e al termine del canale, in posizione idonea per lo scarico, va disposto uno sfioratore per mantenere il franco desiderato e il controllo dei sovralzi dovuti a manovre ma anche a errori o incidenti (onde positive). Quando non debba essere garantita la tenuta, il rivestimento dei canali ha la funzione di ridurre la scabrezza ed evitare erosioni di sponda. Se il rivestimento riguarda solo le sponde, l’abbattimento della falda riduce la spinta e limita i problemi legati a un possibile sifonamento al piede del rivestimento.

Per i muri di sponda, impiegati di norma nell’attraversamento dei centri abitati, il drenaggio è solitamente realizzato praticando nel corpo del muro un congrue numero di fori posti, oltre che nella parte più bassa del muro stesso, anche a diverse quote. Il diametro deve essere minore di quello del materiale più grossolano bloccato, salvo disporre un elemento di georete tra paramento interno e terreno. Se il materiale è sottile è necessario rimuoverne una parte e sostituirlo con materiale arido di maggiore pezzatura. Sulla superficie di separazione con il terreno naturale è spesso disteso un geotessuto.

L’incrocio con un canale di una strada (o di una ferrovia, ma anche di un canale) comporta in genere la costruzione di uno speciale manufatto: ponte, ponticello o tombino. Se il canale interseca un’importante infrastruttura (strada, ferrovia etc.), che non possa essere spostata o modificata per dare luogo al canale stesso, può essere necessario o conveniente realizzare una botte a sifone.

Vasca di carico

II canale di derivazione termina in corrispondenza della vasca di carico: la capacità di quest’ultima e in generale limitata al volume necessario per fronteggiare maggiori richieste momentanee da parte delle turbine rispetto alla portata che giunge dal canale, senza dunque funzione di regolazione. La vasca, spesso ottenuta con l’allargamento e approfondimento del canale, ha forma che deve consentire una disposizione semplice per il manufatto che ospita le griglie e l’imbocco per le condotte forzate.

La vasca è di norma costituita all’aperto, tuttavia la situazione topografica può talvolta comportare soluzioni in galleria. Nell’un caso e nell’altro situazioni geologiche o topografiche non troppo favorevoli inducono a limitare allo stretto necessario la capacità; per contro situazioni favorevoli portano a largheggiare nel dimensionamento, con evidenti vantaggi nell’elasticità dell’impianto e nella limitazione degli sfiori.

Quando sia possibile assegnare alla vasca un volume dell’ordine di qualche decimo del volume giornaliero turbinato, la vasca stessa può svolgere funzione di regolazione giornaliera.

Il bacino di carico va ovviamente provvisto di scarico di fondo per vuotamente e manutenzione e di scarico di superficie. Lo scarico di superficie va dimensionato per scaricare la massima portata rifiutata dalla centrale nell’ipotesi di vasca piena.

Lo sfioratore di superficie è in generale costituito da una soglia fissa eventualmente integrata, con l’obiettivo di ridurne la lunghezza e il carico, con sifoni o con paratoia automatica. La soglia fissa presenta maggiori condizioni di sicurezza, regolarità di scarico e contiene, per il suo funzionamento, i moti ondosi all’interno della vasca di carico.

Gli sfioratori a sifone, aventi maggiore o minore prontezza d’innesco a seconda del tipo – vanno usati con cautela nelle zone ove possano formarsi lastre di ghiaccio o giungere corpi galleggianti tali da ostruire la bocca; essi hanno tuttavia il vantaggio di scaricare portate specifiche significative. Le paratoie automatiche presentano qualche rischio per la sicurezza d’apertura e producono moti ondosi nella vasca per la brusca discontinuità nell’andamento della portata scaricata, consentendo tuttavia di limitare sensibilmente la lunghezza della soglia.

Il canale di fuga a valle dello scaricatore deve essere dimensionato per la portata massima.

Le variazioni di livello nella vasca di carico inducono effetti di rigurgito (o di chiamata) in un tratto terminale del canale, che è reso quindi partecipe delle vicende della vasca: in condizioni di normale funzionamento tale tratto è rigurgitato, partecipando così alla capacità della vasca.

All’imbocco delle condotte è necessario assicurare un tirante che impedisca l’ingresso

d’aria (solitamente 2÷3 volte il carico cinetico in condotta).

Le vasche di carico sono rivestite con varie modalità: con un manto di conglomerato bituminoso; con lastre di calcestruzzo gettato in opera e giunto water-stop; con una guaina di materiale sintetico incollata su un sottofondo di conglomerato cementizio, poi ricoperta, di regola, con lastre di calcestruzzo per la sua protezione. Tra la guaina e le lastre di calcestruzzo è interposto un appropriato geotessuto; tra lastra e lastra è lasciato un giunto aperto, eventualmente integrato con una serie di aperture disposte sulla superficie delle lastre stesse. La disposizione assicura la stabilità del rivestimento contro le sottopressioni che lo svaso rapido della vasca può creare.

Le vasche costituite con un rivestimento di calcestruzzo gettato in opera richiedono

anch’esse un’attenta cura nell’esecuzione del sistema drenante, per evitare che la falda, in quanto esista o sia creata da eventuali perdite, possa sollevare il rivestimento stesso.

Il sottofondo della vasca è ottenuto stendendo, su un geotessuto di separazione, uno strato di spessore non minore di 30 cm di pietrame di elevata permeabilità, all’interno del quale è disposta una serie di tubi fenestrati di plastica per raccogliere la portata drenata. I tubi fenestrati confluiscono in uno o più collettori che scaricano, possibilmente a gravità, in un fosso o in un corso d’acqua. Ogni condotta drenante va dimensionata come condotta collettrice di portata, analoga-

mente a quanto visto per il drenaggio dei canali. La stima della portata da emungere può farsi con le relazioni, viste per i canali, che considerano una coppia di gallerie drenanti. Una serie di valvole di non ritorno sul contorno della vasca conferiscono al sistema un adeguato grado di sicurezza.

Blocchi d’ancoraggio

Nei vertici del profilo la condotta (condotte) forzata è fissata da un blocco d’ancoraggio. La condotta può disegnare una curva convessa (Fig. 11.50) oppure concava. Il primo caso è quello che richiede maggiore cura: infatti la risultante S delle spinte idrodinamiche, diretta verso l’esterno, tende a sollevare la condotta dalla sua sede.

Fig. 11.50 – Schema – tipo di blocco d’ancoraggio

La stabilità, oltre a essere assicurata dal peso proprio del blocco, richiede un ulteriore ancoraggio con staffe radiali che abbracciano la condotta, annegate nel blocco stesso. Le forze che sollecitano il blocco sono:

– le spinte totali:

essendo ρ la massa volumica, v la velocità per la portata Q ed A le aree; quando sia (Fig. 13.50) p1 = p2 = γH e A1 = A2 = A la risultante S è:

conteggiando in H anche la sovrapressione per colpo d’ariete;

–       il peso proprio G del blocco applicato nel baricentro;

–       la componente P1sin α del peso proprio che compete al tratto di condotta di monte fino al giunto di dilatazione;

–       la forza d’attrito sulla sella d’appoggio per contrastare la dilatazione termica:

dove P2 è il peso della massa d’acqua contenuta nella condotta fino al giunto ed f il coefficiente d’attrito sulla sella (f = 0.3÷0.6).

La composizione delle forze agenti dà luogo a una risultante che deve essere contenuta entro il terzo medio della base di fondazione, con sollecitazioni specifiche appropriate al terreno d’appoggio del blocco. Gli ancoraggi della condotta al blocco sono costituiti da corniere annegate nel getto per bloccare la tendenza allo scorrimento verso il basso.

Nelle curve convesse l’ancoraggio è formato da staffoni d’acciaio annegati. I blocchi d’ancoraggio, oltre che nei vertici del profilo, sono da porsi anche per curve poste in piano, e, in generale, in tutti i punti nei quali si abbiano variazioni di direzione del tracciato.

11.11 – Indagine geologico-geotecnica

La finalità dell’indagine a continuum geologico-geotecnica, per quanto concerne la realizzazione di uno sbarramento mirato, è quella di stabilirne la fattibilità(in prima fase o in sede di progetto) la funzionalità (in seconda fase, ossia in ambito realizzativo e di primo esercizio) e infine la continuità di mantenimento (in terza fase o nel prosieguo produttivo).

a) Studi di fattibilità preliminari

L’obiettivo di tali studi è quello di stabilire la fattibilità dell’impianto per quanto concerne le condizioni fondamentali di:

–       assenza di rischi geologici per la sicurezza di manufatti e bacino (frane, carsismi, faglie attive in aree ad elevata sismicità etc.);

–       condizioni geomorfologiche della sezione di sbarramento idonee alla realizzazione del manufatto.

b) Analisi delle possibili soluzioni per il progetto di base

Gli obiettivi consistono nell’individuazione dei criteri geologici per la selezione del tipo di diga e della sezione di sbarramento più adeguati dal punto di vista tecnico, economico-logistico e ambientale. Gli aspetti geologici e geotecnici da considerare sono i seguenti:

–       disponibilità di materiali da costruzione;

–       resistenza, stabilità e permeabilità del terreno di fondazione;

–       stabilità delle sponde del bacino;

–       idrogeologia del bacino;

–       condizioni sismotettoniche.

c) Approfondimenti per il progetto esecutivo

Gli obiettivi consistono nel fornire i criteri geologico-geotecnici per il progetto esecutivo della diga e delle sue strutture accessorie oltre che per eventuali trattamenti del terreno e/o per le soluzioni costruttive. Gli aspetti da approfondire sono:

–       caratterizzazione geotecnica dettagliata del terreno di fondazione della diga;

–       studio geotecnico per il posizionamento delle strutture ausiliarie;

–       studio sismico e neotettonico;

–       trattamenti di consolidamento e impermeabilizzazione;

–       prescrizioni costruttive.

d) Monitoraggio geologico-geotecnico in corso d’opera

L’obiettivo consiste nella verifica delle condizioni geologiche effettivamente riscontrate durante la fase di costruzione, nella proposta di un eventuale adeguamento alle soluzioni del progetto oltre che nel controllo dei trattamenti di consolidamento del terreno, procedendo alle operazioni di:

– verifica delle condizioni del progetto e di eventuali varianti;

– assistenza e controllo nei lavori di sbancamento durante la realizzazione delle fondazioni e durante i trattamenti del terreno.

e) Controlli nella fase di esercizio

I controlli durante la fase di esercizio vengono finalizzati all’osservazione e alla sorveglianza del comportamento del terreno e della diga durante il suo funzionamento ivi comprendendo:

– l’interpretazione geotecnica dei risultati delle misure strumentali e il monitoraggio nel corso del primo invaso per la messa in servizio della diga:

– il controllo della filtrazione, delle sottopressioni, di eventuali movimenti sulla sponde del bacino e della sismicità indotta.

11.11.1 – Analisi in situ

Le indagini in situ per le dighe dipendono dalle condizioni geologiche e dalla tipologia del manufatto, dalle sue dimensioni  e dalle strutture ausiliarie. Il tipo d’analisi deve essere scelto sulla base delle caratteristiche del progetto. I criteri generali seguono le prescrizioni allegate alle Tabb. 11.9,10, 11 e 12 e la loro esecuzione è articolata secondo fasi successive di dettaglio crescente.

Tab. 11.9 – Obiettivi degli studi geologico-tecnici nelle diverse fasi di un progetto.

Come già segnalato, la sicurezza delle dighe dipende direttamente dalle condizioni geologiche, pertanto, gli studi geologici in tutti i vari aspetti (geotecnici, idrogeologici, geo-ambientali etc.) sono fondamentali.

L’indagine geologica deve garantire lo studio approfondito e l’analisi dei fattori geologici o geotecnici che possono incidere sulle condizioni di sicurezza di una diga.

Le risorse economiche da destinare a questi studi dipendono dalla complessità geologica del sito, dal tipo di diga, dalle sue dimensioni e dalle strutture accessorie. In generale, le dighe in terra richiedono meno indagini rispetto alle dighe in calcestruzzo, ma per le prime è necessario uno studio più dettagliato delle strutture ausiliarie (sfioratori, opere di presa etc.) e delle caratteristiche dei materiali per la costruzione. Nel caso, invece, delle dighe a gravita, occorre prevedere studi molto approfonditi del terreno di fondazione. L’incidenza minima degli studi geologici e delle indagini in situ oscilla tra lo 0.5% del costo totale dell’opera nel caso di dighe in materiali sciolti, fino al 2% per le dighe in muratura. Tali %, a volte, sono raddoppiate se le condizioni geologiche sono particolarmente complesse.

Nelle fase di studio preliminare le prime attività consistono nel rilevamento geologico del bacino per l’individuazione della possibile sezione di sbarramento e per il reperimento di cave di prestito. Tali studi comprendono ricerche storiche e documentali per l’acquisizione di tutte le informazioni esistenti sulla zona. Oltre allo studio delle foto aeree e delle immagini da satellite. In zone con scarsi affioramenti si procede alla realizzazione di pozzetti e scavi che consentono l’osservazione diretta della litologia, dello stato di alterazione e dell’assetto strutturale dell’ammasso roccioso.

1.11.2 – Criteri per l’indagine geotecnica per una diga

Gli studi e le indagini geotecniche vengono essere realizzati per fasi successive, utilizzando, in progressione, metodi sempre più sofisticati e di maggior costo, secondo lo sviluppo del progetto.

Dalle indagini si ottiene una grande quantità di dati corrispondenti a ciascuna delle proprietà prese in considerazione; tali dati devono caratterizzare compiutamente l’ammasso al fine di consentire un’analisi statistica dei parametri più rappresentativi. In ogni punto d’indagine devono essere realizzate più tipologie di prove e analisi, in modo da ridurre i piazzamenti, quindi i costi.

L’interpolazione di tutti i dati e i parametri geologici, idrogeologici e geotecnici è finalizzata alla zonizzazione geotecnica della sezione di sbarramento della diga che serve per definire la situazione della zona di imposta per il corpo-diga e per le strutture accessorie.

Le situazioni particolari che riguardano l’ammasso (faglie, laminazioni tettoniche, dicchi, zone alterate etc.) si considerano come casi particolari e si affrontano separatamente come situazioni puntuali, indipendenti dalla zonizzazione generale.

Tab. 11.10 – Sviluppo delle indagini in situ.

L’esecuzione di prove in situ a grande scala è limitata alla fase di progettazione esecutiva e riguarda soltanto le dighe in calcestruzzo.

Il loro numero è ridotto e l’ubicazione interessa i punti più critici dell’ammasso. Tali prove vengono finalizzate ad approfondire in dettaglio i parametri necessari alla verifica della stabilità del complesso diga-terreno di fondazione.

Devono inoltre essere verificate le condizioni geologiche, idrogeologiche e geotecniche del bacino di invaso: in particolare, la presenza di rocce solubili (gessi, calcari e sali) o molto porose (tufi, agglomerati vulcanici, arenarie etc.) e devono essere esaminate le condizioni di stabilità delle sponde.

Tab. 11.11 – Indagini geologiche e geotecniche per le dighe.

Gli studi corrispondenti alla fase di progetto definitivo hanno come obiettivo la zonizzazione del terreno di fondazione in funzione dei parametri geomeccanici più significativi per ciascun tipo di diga. In questa fase le tecniche di indagine più frequentemente usate sono le prospezioni geofisiche (sismica a rifrazione e geoelettrica) e i sondaggi con relative prove in foro. Tra cui, in particolare, le prove di permeabilità.

Il numero e la profondità delle indagini, così come le prove da eseguire, variano con il tipo di diga e con le sue dimensioni. Nel caso di dighe in materiali sciolti, gli studi preliminari di solito sono sufficienti per definire anche a livello di progetto definitivo le condizioni del terreno di fondazione, o altrimenti vengono eseguite ulteriori indagini in punti specifici e nelle zone di imposta delle strutture ausiliarie. Al contrario, quando si tratta di dighe in muratura, le indagini geologiche e geotecniche sono molto più approfondite e articolate ed hanno, tra gli obiettivi principali, quello di determinare le caratteristiche di resistenza e deformabilità dell’ammasso roccioso.

Tra le tipologie di indagini più frequenti si ricordano:

Sondaggi geognostici – il numero minimo di sondaggi raccomandato, a livello di progetto definitivo e per dighe < 50 m di altezza, è di 3÷4 per ogni spalla sulla sezione di sbarramento e di almeno 2÷3 nel fondovalle, preferibilmente mente incrociati. La profondità dei sondaggi dipende dallo spessore dello strato di alterazione del substrato roccioso, dall’assetto strutturale e dalla profondità della roccia sana, o dei terreni presenti nel bacino. Come regola generale, le perforazioni devono raggiungere una profondità minima corrispondente ad almeno la metà dell’altezza della diga, mentre solo alcuni devono avere una profondità equivalente all’altezza complessiva della diga; la profondità può comunque essere maggiore se si prevede l’esistenza di livelli permeabili o materiali molto alterati, faglie ecc. L’ubicazione dei sondaggi segue, generalmente, allineamenti disposti lungo l’asse della diga e perpendicolari a questo. Occorre inoltre prevedere alcune perforazioni a valle e a monte della sezione di sbarramento e all’interno del bacino di invaso. L’interpretazione geologica stabilirà la necessità di indagini più approfondite e di un maggior numero di sondaggi.

Prospezioni geofisiche – i profili sismici a rifrazione in superficie e, in alcuni casi. i sondaggi elettrici verticali, si realizzano lungo l’asse della diga e trasversalmente ad esso. in numero sufficiente per identificare le zone alterate e il loro spessore, la presenza di flussi idrici sotterranei etc. Questi profili si completano con i dati di indagini sismiche in foro. del tipo downhole o crosshole e con diagrafie. L’interpretazione dei dati geofisici permette di elaborare la zonizzazione dell’ammasso dal punto di vista geotecnico. di stimare i moduli di deformabilità. di identificare faglie, zone alterate e dicchi, nonché di ricavare la rippabilità delle rocce ecc.

Prove di permeabilità – sono indagini necessarie e abituali per tutti gli studi relativi alle dighe. Le più utilizzate sono le prove Lugeon in roccia fratturata, e le prove Lefranc in terreni o rocce molto permeabili. Si devono realizzare in modo sistematico.

Prove con traccianti – si utilizzano in zone carsiche e in generale per studiare materiali o fratture ad alta permeabilità, con rischio di flussi sotterranei e perdite importanti.

Tab. 11.12 – Fasi d’approfondimento degli studi geologici e geotecnici per le dighe.

Prove di iniezione con miscele – si effettuano per progettare i trattamenti di consolidamento o impermeabilizzazione e come complemento delle prove di permeabilità, specialmente nelle zone che sono state riconosciute come le più permeabili. La finalità è quella di misurare la portata di una miscela di acqua e cemento (boiacca) iniettabile nel terreno.

Prove piezometriche – in tutte le perforazioni occorre prevedere l’installazione di piezometri, le cui caratteristiche tecniche dipenderanno dalle condizioni idrogeologiche del terreno.

Prove dilatometriche – in funzione d’l tipo di diga e del tipo di ammasso roccioso, è conveniente effettuare prove di deformabilità con dilatometri o pressiometri all’interno dei fori di sondaggio, allo scopo di ottenere i moduli di deformazione della roccia.

Cunicoli esplorativi – consentono il rilevamento diretto e a grande scala dell’ammasso roccioso e sono in genere finalizzati allo studio della sezione di sbarramento di dighe in muratura, nonostante la loro esecuzione implichi alti costi e tempi lunghi. Permettono la realizzazione di prove in situ e l’osservazione diretta di faglie, zone alterate etc. All’interno dei cunicoli si possono anche effettuare perforazioni e profili sismici, integrando le informazioni ottenute dalle indagini eseguite dalla superficie. Quando vengono utilizzati anche come vie di accesso ad alcune settori di lavorazione durante la costruzione e durante la messa in funzione di una diga, sono direttamente collegati alla diga;

Prove in situ a grande scala – in dighe ad arco e ad arco-cupola, è necessario esaminare cunei di roccia o piani di discontinuità di grandi dimensioni. Le prove più caratteristiche sono le prove di taglio diretto, le prove con martinetto piatto e le prove di carico su piastra, che si effettuano all’interno dei cunicoli esplorativi.

11.11.3 – Considerazioni generali

La scelta del sito di imposta di una diga dipende, fondamentalmente, dai seguenti fattori:

–       capacità dell’invaso (volume del serbatoio);

–       impermeabilità dell’invaso;

–       sezione si sbarramento idonea: condizioni geomorfologiche, geologiche e geotecniche favorevoli;

–       disponibilità di materiali da costruzione in vicinanza della diga;

–       condizioni favorevoli per posizionare lo sfioratore, le ture e le altre strutture ausiliarie.

Una volta determinata la migliore localizzazione della sezione di sbarramento (tra varie possibilità esaminate), si procede alla scelta del tipo di diga tramite quella che viene definita analisi di possibili soluzioni, dove si esaminano in dettaglio vari tipi di diga sotto molteplici aspetti, sottolineando l’aspetto geologico. I fattori da tenere presenti in queste analisi sono i seguenti:

–       altezza prevista della diga;

–       geomorfologia della sezione di sbarramento;

–       disponibilità di materiali da costruzione;

–       condizioni geologiche e geotecniche del terreno di fondazione;

–       assenza di rischi geologici attivi.

Con riferimento all’altezza delle dighe, è significativo il fatto che più dell’80% delle dighe costruite con altezza < 30 m siano in materiali sciolti e che a partire da altezze > 150 m, il 60 % siano di calcestruzzo, delle quali il 50% con struttura ad arco. Sono varie le ragioni che giustificano tali % tra cui le motivazioni di ordine geomorfologico. Infatti, solamente le valli ad ampia sezione permettono la costruzione di dighe di altezza contenuta e tra queste, le più economiche sono le dighe in terra (sempre che si riescano a reperire facilmente materiali adeguati), mentre nelle valli a sezione ristretta si costruiscono dighe alte, fatto che favorisce la soluzione di dighe a gravità (ad arco o arco-cupola).

La scelta del tipo di diga non segue regole fisse, poiché ogni sito di imposta ha caratteristiche peculiari. Non capita mai che due sezioni di sbarramento presentino la medesima problematica geologica e, di conseguenza, progettuale; pertanto è necessaria la valutazione del problema dal punto di vista geo-ingegneristico.

In sintesi, si segnalano i principali problemi geologico-geotecnici associati alle dighe, ai bacini di invaso e alle relative strutture ausiliarie:

– sezioni di sbarramento → deformabilità, resistenza e permeabilità del terreno in fondazione e sulle spalle;

– invaso → stabilità delle sponde, tenuta idraulica, interrimento e sismicità indotta;

– cave di prestito → qualità e volumetrie disponibili di materiali per la costruzione della diga;

– sfioratori → stabilità delle sponde, permeabilità e resistenza degli ammassi rocciosi che rappresentano il terreno di fondazione delle strutture in calcestruzzo e erodibilità del terreno;

– scarichi → stabilità delle sponde, erodibilità e rippabilità dei materiali e terreni di fondazione dei rilevati;

– centrale in esterno → stabilità delle scarpate, deformabilità e resistenza del terreno di fondazione;

– centrale in sotterraneo → deformabilità, resistenza, permeabilità e stato tensionale dell’ammasso roccioso;

– gallerie di deviazione → scarichi di fondo e gallerie. Stabilità dei fronti di scavo, deformabilità, permeabilità e stato tensionale degli ammassi rocciosi.

La scelta del tipo di diga dipende, in ogni caso, dalle condizioni del terreno di fondazione. Per qualunque tipo di diga in calcestruzzo è necessario che le deformazioni dell’ammasso roccioso siano compatibili con quelle del calcestruzzo; in altri termini, è indispensabile non superare il grado di deformazione sopportabile dalla struttura della diga; pertanto, non è possibile fondare questo tipo di diga su materiali sciolti o su rocce tenere. Inoltre, una diga in calcestruzzo non sarebbe una soluzione adeguata se l’imposta della fondazione richiedesse uno scavo molto profondo in rapporto all’altezza della diga stessa (per la presenza di materiali alterati o tettonizzati); in questo caso il volume dello scavo comporterebbe un costo troppo elevato. Tuttavia, ogni decisione in tal senso è molto complessa, poiché possono presentarsi varie alternative.

Alcune dighe in calcestruzzo, ad esempio, sono state fondate su ammassi rocciosa di qualità scadente che hanno comportato scavi profondi e trattamenti di consolidamento dell’ammasso roccioso. In generale. quando la roccia che costituisce il terreno di fondazione è molto deformabile o di bassa resistenza, la soluzione più adeguata è quella di una diga in terra.

Un ulteriore fattore che condiziona la scelta dei tipo di diga è la disponibilità di materiali da costruzione nelle sue vicinanze, necessari tanto per le dighe in calcestruzzo (inerti), quanto per le dighe in terra. le cui caratteristiche costruttive dipendono dal materiale disponibile.

Il tipo di materiale influenza aspetti importanti come le modalità di filtrazione attraverso l’ammasso roccioso e i relativi trattamenti per la soluzione di questo problema. Ad es., due dighe costituite da materiali diversi, in una stessa sezione di sbarramento, possono generare condizioni di filtrazione molto diversificate nel terreno di fondazione.

Un altro fattore condizionante la stabilità e la sicurezza delle dighe in relazione alle condizioni geologiche è l’erosione interna, che si genera quando si crea un gradiente idraulico elevato in materiali erodibili. In questi casi si deve intervenire riducendo il gradiente o inserendo nella struttura della diga filtri e drenaggi adeguati alle condizioni idrauliche. Se il gradiente si abbassa, diminuiscono le forze di filtrazione e si riesce a tenere sotto controllo l’erosione interna. Dunque, la costruzione di filtri e dreni correttamente dimensionati impedisce il dilavamento dei componenti fini e i processi di erosione interna.

Anche le caratteristiche del terreno di fondazione per la localizzazione delle strutture ausiliarie (sfioratori, gallerie di derivazione, opere di presa, scarichi di fondo etc.) possono influire in modo decisivo sulla scelta del tipo di diga; in genere, nelle dighe in calcestruzzo queste strutture sono più corte, più semplici e di minor costo rispetto alle stesse strutture nelle dighe in terra. Si deve considerare il complesso delle strutture che compongono il sistema. In particolare, è fondamentale per la scelta del tipo di diga, l’ubicazione dello sfioratore. Infatti, nelle dighe in calcestruzzo di qualunque tipo, lo sfioratore è integrato nel corpo – diga e intercetta l’acqua direttamente sul coronamento, oppure attraverso le paratoie o le condotte che si trovano all’interno del corpo della diga. Al contrario, nelle dighe in materiali sciolti, lo sfioratore si posiziona lontano dal corpo della diga e richiede l’esecuzione di uno scavo di larghezza e profondità variabili; in alcuni casi, quando si prevedono portate elevate, questi scavi sono decisamente consistenti, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista economico.

11.11.4 – Condizioni necessarie per l’esecuzione di dighe in calcestruzzo

Le dighe a gravità richiedono di essere appoggiate su un ammasso roccioso di buona qualità, in grado di garantire alla diga la necessaria sicurezza nella verifica allo slittamento, e la cui deformabilità sia compatibile con la rigidità strutturale di un’opera in calcestruzzo. Questi requisiti evidenziano, di fatto, la necessità di appoggiare la diga su ammassi roc- ciosi di elevata resistenza, nei quali, i piani di discontinuità o di fratturazione più critici per la stabilità hanno una resistenza al taglio molto elevata. Nella maggior parte dei casi, per eliminare lo strato alterato o di minor resistenza dell’ammasso, è necessaria l’esecuzione di scavi, la cui profondità può avere grande influenza nell’analisi di possibili soluzioni alternative.

Un altro fattore condizionante per le dighe in calcestruzzo è il controllo delle filtrazioni e delle sottopressioni.

Le dighe a contrafforti presentano gli stessi problemi fondazionali delle dighe a gravità, ma per il fatto che i carichi risultano concentrati sugli appoggi dei contrafforti, devono essere fondate su ammassi rocciosi molto resistenti e con deformabilità molto bassa, al fine di evitare cedimenti differenziali tra i diversi punti di appoggio. Allo stesso modo, la filtrazione idrica nel terreno di fondazione deve essere bassa, il che implica che l’ammasso roccioso sia poco permeabile, oppure che si ricorra a trattamenti di impermeabilizzazione mediante iniezioni.

Le dighe ad arco e le dighe ad arco-cupola sono le più esigenti in termini di qualità del terreno di fondazione rispetto a qualunque altro tipo di diga. Da un lato, per la struttura assottigliata, trasmettono un carico concentrato sul terreno di fondazione, dall’altro lato, per la geometria curva, determinano sollecitazioni considerevoli sulle spalle, per la spinta idrostatica dell’acqua nel bacino a monte. Per questo tipo di dighe è necessario che in fondazione sia presente un ammasso roccioso con assetto strutturale favorevole per la stabilità, dotato di un’elevata resistenza lungo i piani di discontinuità e di una bassa deformabilità.

11.11.5 – Condizioni necessario per l’esecuzione di dighe in terra

La disponibilità dei materiali è il criterio che maggiormente influisce sulla scelta di una diga in terra. I nuclei impermeabili richiedono materiali di bassa permeabilità (< 10-5 cm/s), evitando i terreni collassabili, organici, solubili e di alta plasticità.

Il contesto geologico dove abitualmente si realizzano queste dighe è caratterizzato dalla presenza di formazioni sedimentarie, depositi alluvionali, argille sovraconsolidate o rocce tenere. Si devono scartare i materiali erodibili, suscettibili di fenomeni dispersivi e solubili e quelli con elevata permeabilità.

Con riferimento alle caratteristiche del terreno di fondazione occorre distinguere le dighe in terra da quelle in pietrame e massi. Le prime sono molto più deformabili e trasmettono al terreno carichi contenuti. Ciò nonostante per tali opere non sono idonei come terreni di fondazione i depositi alluvionali poco addensati, le zone molto alterate, i terreni con presenza di filtrazioni sotterranee e, in generale, i depositi di bassa resistenza. In qualunque caso è importante identificare la presenza di superfici di taglio, frequenti in terreni molto addensati o sovraconsolidati. Le dighe in pietrame presentano un comportamento più rigido e trasmettono maggiori carichi a livello fondazionale.

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