11 – Dinamica dei Terreni

Il legame fra tensioni e deformazioni ha una serie di complessità, legate alla natura granulare e polifase del terreno, che vengono particolarmente esaltare in campo ciclico e dinamico.

Con riferimento solo alla non linearità e alla non reversibilità del legame, in campo statico è, in generale, sufficiente tener conto solo della non linearità della relazione sforzi deformazioni per la previsione del comportamento di un sottosuolo; la non reversibilità quasi sempre é ininfluente (ad eccezione dell’effetto della storia tensionale e deformativa pregressa).

In campo dinamico, viceversa, proprio per il carattere ciclico della maggior parte dei processi studiati, è invece essenziale tener conto sia della non linearità, sia della non reversibilità del comportamento dei terreni, che si evidenziano con un progressivo accumulo di deformazioni plastiche e con effetti dissipativi derivanti da assorbimento di energia in ciascun ciclo.

Di conseguenza, mentre i presupposti concettuali della Meccanica delle Terre (classica) sono applicabili all’analisi di processi statici, in cui si verificano, al più, singoli cicli di carico-scarico-ricarico (Fig. 11.1), in Dinamica le strategie d’approccio devono essere generalizzate. Solo in tal modo è infatti possibile analizzare successioni di cicli di carico, l’effetto della velocità di applicazione delle sollecitazioni e della conseguente velocità di deformazione, nonché le forze d’inerzia indotte.

Fig. 11.1 – Esempi di sollecitazioni: a,b) statiche; c) cicliche; d) dinamiche.

12.1 – Il campo delle sollecitazioni

Nella realtà fenomenica alla Dinamica dei Terreni si ascrive, tuttavia, lo studio di gran parte dei problemi non monotònici e quindi il campo d’azione di questa disciplina è molto più ampio di quanto non suggerisca il termine dinamica; e dopo tale premessa, nell’ambito delle condizioni di sollecitazione non monotòniche, occorre andare a distinguere i processi ciclici da quelli propriamente dinamici, laddove nei primi le forze d’inerzia indotte risultano in generale trascurabili mentre nei secondi si rivelano, invece, di notevole entità.

Fig. 11.2 – Andamenti qualitativi di carichi variabili nel tempo.

Prevedere il campo di sollecitazioni appropriato allo studio di un problema dinamico, in ogni caso, richiede generalmente approcci sostanzialmente diversi. In alcune situazioni l’approccio è di tipo tradizionale: è questo il caso di fondazioni di semplici macchine vibranti dove la meccanica classica consente di determinare con sufficiente precisione le sollecitazioni trasmesse dalla macchina all’elemento di fondazione una volta note le masse in moto, le condizioni di vincolo e le caratteristiche cinematiche del sistema. In altri casi l’approccio é di tipo teorico-sperimentale; ad es. per opere marittime (→ Vol. 3°) near-shore e off-shore dove i fondamenti dell’idraulica marittima (accoppiati all’osservazione sperimentale dei fenomeni che inducono il moto ondoso) consentono di prevedere le sollecitazioni. In altre circostanze la previsione é di fatto basata principalmente su osservazioni sperimentali; é questa la situazione quando si voglia valutare l’effetto della battitura di pali, di esplosioni o d’impatti, oppure il campo di vibrazioni trasmesso a un sottosuolo da veicolo su gomma o su ferro. Ancora più complessa, infine, é la previsione delle azioni sismiche attese in un dato sito: in questo caso si rivela obbligatorio combinare osservazioni macrosismiche, misure strumentali effettuate durante terremoti recenti, studi sismotettonici per il riconoscimento delle sorgenti sismiche e delle loro caratteristiche oltre a studi di propagazione della perturbazione sismica dalla sorgente al sito.

In conclusione, la previsione del campo di sollecitazioni appropriato allo studio di un problema dinamico richiede spesso approcci sostanzialmente diversi da quelli tradizionali e, in ogni caso, a carattere quasi sempre multidisciplinare.

Con tutto ciò è doveroso sottolineare come spesso le storie di carico in campo ciclico e dinamico risultino complesse. Infatti, solo raramente e possibile ricondursi a un problema di sollecitazioni armoniche (Fig. 11.2) completamente descritte da ampiezza di picco Ap e periodo T (o frequenza f = 1/T) in quanto, in genere, si presentano condizioni più complicate riconducibili a forme periodiche, casuali o transitorie per la cui lettura è indispensabile ricorrere all’Analisi di Fourier per comprendere quali siano i caratteri fondamentali della sollecitazione (ad es. il campo di frequenze prevalenti).

Con l’analisi di Fourier è infatti possibile determinare lo spettro che indica quali siano ampiezza A(f), frequenza f e fase φ(f) di ciascuna delle infinite armoniche che, sovrapposte, restituiscono la forma d’onda originaria.

12.2 – Il campo delle deformazioni

La risposta del terreno in condizioni cicliche e dinamiche è qualitativamente indicata in Fig. 11.3, dove sono evidenziati alcuni aspetti del legame tensio-deformativo. Come precisato più oltre, la misura in cui intervengono i vari aspetti peculiari del comportamento ciclico di un terreno è determinata principalmente dall’entità delle deformazioni di taglio indotte.

Fig. 11.3 – Aspetti del comportamento meccanico dei terreni in campo ciclico.

In definitiva, le deformazioni di taglio e la combinazione tra velocità d’applicazione del carico e capacità drenanti del terreno, condizionano le modalità con cui procedere alla caratterizzazione del suo comportamento meccanico e la scelta del modello costitutivo cui fare riferimento per la soluzione dei problemi applicativi.

In generale le deformazioni indotte nei problemi applicativi di Dinamica dei Terreni sono molto ridotte, anche < 10-5÷10-4 (0.01÷0.001%), e solo di rado > 10-3(0.1%), con l’eccezione di quei casi nei quali i carichi ciclici e/o dinamici inducono fenomeni di rottura (liquefazione, frane etc.).

In Fig. 11.4 sono rappresentati i campi di deformazione tangenziale ricorrenti in alcune classi di problemi al finito, limitatamente a condizioni lontane da quelle di collasso.

Per affrontare i problemi legati da un lato alla ripetizione nel tempo delle sollecitazioni e, dall’altro, alle piccole deformazioni, è stato necessario sviluppare tecniche sperimentali innovative: tra queste le prove di tipo geofisico in sito (cross-holedown-holeSASW etc.) e nuove procedure di laboratorio (prove di vibrazione forzata, di vibrazione libera, cicliche etc.).

Per molti anni queste prove hanno avuto un impiego spiccatamente dinamico, nel senso che sono state utilizzate esclusivamente per caratterizzare il comportamento dei terreni in campo ciclico non pensando a trarre da tali prove alcuna indicazione utile per la soluzione di problemi statici, permanendo opinione diffusa che in campo dinamico i terreni manifestassero comportamenti analizzabili con proprietà reologiche diverse da quelle in campo statico.

Recentemente, viceversa, è stato provato che, se è vero che esistono comportamenti diversi del terreno in ragione della natura delle sollecitazioni applicate, questi possono essere ricondotti a un unico modello reologico; pertanto, gli aggettivi statico e dinamico non vanno attribuiti alle caratteristiche del terreno, ma piuttosto alle tecniche sperimentali e alle procedure d’interpretazione, così come ai problemi operativi e alle relative procedure di analisi.

Queste osservazioni hanno portato ad ampliare il campo delle applicazioni della sperimentazione dinamica, proiettandola anche verso i problemi statici e proponendola in alcuni casi quale riferimento di nuove tecniche sperimentali statiche, specie di quelle atte il indagare il campo delle piccole deformazioni.

12.3 – Comportamento dei terreni soggetti a carichi variabili nel tempo

In un terreno saturo le condizioni di drenaggio che si stabiliscono durante un generico processo deformativo dipendono dalla combinazione tra caratteristiche fisico-meccaniche del mezzo multifase (deformabilità e permeabilità dello scheletro solido, viscosità e densità del fluido di porosità) e condizioni al contorno di carattere geometrico, meccanico e idraulico, oltre che dalla legge di variazione nel tempo delle azioni esterne.

Nei processi statici le condizioni di drenaggio variano convenzionalmente fra i due estremi di drenaggio impedito (fase liquida soggetta a sovrappressioni determinate dalle condizioni al contorno e dalla deformabilità del mezzo multifase) e drenaggio libero (fase liquida in regime di moto stazionario governato dalle sole condizioni idrauliche al contorno).

I processi di transito in forma quasi-statica dall’una all’altra situazione limite sono tradizionalmente analizzabili mediante le Teorie della consolidazione. L’esempio più classico di trattazione del sistema bifase composto da scheletro solido e fluido (problema accoppiato) è costituito invece dalla Teoria di Biot, applicabile nella sua forma più generale ai processi statici come a quelli dinamici. Tale trattazione, per quanto basata su ipotesi semplificative (scheletro solido = mezzo poroso elastico ideale) è analiticamente piuttosto complessa e mostra scarsa applicabilità ai problemi reali; da essa è però possibile trarre indicazioni su quale condizione di drenaggio caratterizzi i processi ciclici-dinamici, e in particolare verificare i limiti di validità delle ipotesi estreme (condizioni di drenaggio libero o impedito).

In termini pratici, conviene riferirsi a un’ulteriore semplificazione teorica del problema accoppiato, introdotta da Zienkiewicz, consistente nel trascurare le accelerazioni relative tra fluido e solido. Allo scopo d’individuare i campi di applicazione delle 3 teorie, ci si può riferire al caso elementare di un banco saturo di spessore H sollecitato, in condizione di deformazione piana, da un carico verticale pulsante con periodo T = /ω (Fig. 11.4a). Le caratteristiche meccaniche del mezzo bifase sono esprimibili con la velocità di propagazione delle onde di compressione nel terreno saturo, Vp, e il coefficiente di consolidazione, cv.

I parametri essenziali per l’analisi si compendiano in due variabili adimensionali, il fattore tempo π1, e il fattore frequenza π2, definite in Fig. 11.4a; esse rappresentano rispettivamente le capacità drenanti del terreno e la velocità di applicazione dei carichi, e consentendo d’individuare 5 differenti ordini di fenomeni e soluzioni relative (Fig. 11.4bc).

I processi dinamici propriamente detti sono caratterizzati da velocità così elevate che, indipendentemente dalle proprietà del terreno, è di fatto sempre lecito assumere condizioni di drenaggio impedite (zona U). In questo caso occorrerebbe considerare l’accoppiamento solido-fluido, operando in termini di tensioni effettive; nei fatti conviene analizzare i processi tensio-deformativi in termini di tensioni totali, assimilando il terreno al cosiddetto mezzo monofase equivalentecon i relativi parametri fisico-meccanici.

Questa .stessa ipotesi può non essere verificata nei processi ciclici, per i quali andrebbe effettuata su basi più rigorose una valutazione quantitativa dell’influenza della velocità di applicazione e dei carichi sulla risposta del mezzo.

Fig. 11.4 – Velocità d’applicazione dei carichi e condizioni di drenaggio.

12.3.1 – Non linearità e non reversibilità del legame tensio-deformativo

I fenomeni fisici alla base dei processi di deformazione dei terreni sono ben evidenziati dagli studi micro-meccanici di mezzi particellari ideali; mediante questi sono individuabili, al crescere del carico applicato, i differenti contributi di deformazioni elastiche, scorrimenti, rotolamenti e, al limite, rottura di particelle elementari e dei relativi aggregati. Il riferimento alla meccanica dei mezzi granulari permette una prima individuazione delle variabili e di parametri mediante cui caratterizzare il comportamento dei terreni reali

Il mezzo granulare ideale

Lo schema micro-meccanico in Fig. 11.5 discende dalla teoria di Hertz-Mindlin e mostra come il legame fra tensioni e deformazioni nel più elementare dei mezzi granulari ideali sia sempre non lineare e risulti reversibile o meno in relazione al percorso di carico seguito.

In tale sistema costituito da 2 sfere di materiale elastico (Fig. 11.5a) la relazione carichi-spostamenti assiali é iperelastica (reversibile ma non lineare) con rigidezza crescente (Fig. 11.5c).

Fig. 11.5 – Sollecitazione di compressione e taglio su un sistema a 2 sfere a contatto.

L’introduzione di una sollecitazione di taglio (Fig. 11.5b) da luogo a un legame, stavolta non reversibile, tra forze e spostamenti tangenziali; la legge e ancora non lineare, ma a deformabilità crescente in misura dipendente dalla scabrezza tra le superfici a contatto (Fig. 11.5d).

Il mezzo granulare reale

Lo scheletro solido dei terreni non cementati e assimilabile a un mezzo granulare costituito da elementi (grani e aggregati) aventi forma, dimensioni e assetto reciproco tutt’altro che regolari, ma che singolarmente possono comunque essere riguardati come corpi elastici. Ne deriva che in ogni processo deformativo si verificano spostamenti dovuti sia alle deformazioni elastiche proprie degli elementi, sia al moto relativo tra gli stessi (scorrimenti e riassestamenti): le differenti aliquote risultano però difficilmente separabili per essere attribuite ad appropriati meccanismi reologiche di riferimento.

Fig. 11.6 – Esempi di struttura in terreni naturali non cementati.

Le azioni meccaniche che si sviluppano tra grani o aggregati sono controllate dal contatto diretto solido-solido nei terreni a grana crossa (Fig. 11.6) dall’interazione (solido+fluido adsorbito) — (fluido adsorbito+solido) nei terreni a grana fina (Fig. 11.6).

In prima approssimazione, per fissare le idee, nella 1a classe di terreni, a cui appartengono sabbie e ghiaie, i meccanismi deformativi sono di natura prettamente elastica e attritiva; nella 2a classe, comprendente limi e argille, anche gli effetti viscosi dovuti al fluido adsorbito possono avere una certa importanza se la velocità o la durata di applicazione dei carichi sono sufficientemente elevate. La schematizzazione concettuale appena esposta non è estendibile tout-court ai terreni naturali, a grana grossa o fine, sensibilmente affetti da fenomeni di cementazione delle particelle. Lo scheletro solido di questi materiali, tutt’altro che infrequenti, tende ad assumere caratteristiche intermedie tra quelle del solido continuo e del mezzo granulare, con possibili fasi di transizione tra i due comportamenti tipici.

Fattori di controllo del comportamento tensio-deformativo

I fattori fisico-meccanici che influenzano maggiormente il comportamento dei terreni sottoposti a sollecitazioni di tipo ciclico e dinamico possono essere distinti in primari e secondari: primari sono quei fattori che caratterizzano qualsiasi aspetto del comportamento meccanico de! terreno, prescindendo dalla sua natura; i secondari sono quelli la cui incidenza assume un certo rilievo solo per specifiche condizioni di carico e/o su materiali particolari. In campo ciclico e dinamico essi sono stati da tempo individuati, elencati e analizzati in numerosi studi teorico-sperimentali.

Tra i fattori primari sono annoverabili tanto caratteristiche originarie dello scheletro solido come granulometria, mineralogia, rigidezza dei grani e struttura), quanto le variabili geotecniche che ne descrivono lo stato tensio-deformativo (condizioni di confinamento e indice di porosità attuali, storia di carico pregressa). I fattori secondari peculiari del campo ciclico-dinamico sono legati alla natura dissipativa del comportamento meccanico e vanno posti in relazione con la durata, la ripetizione e la velocità di applicazione dei carichi.

Effetti dello stress-path

La sensibilità del comportamento meccanico dei terreni alla direzione del percorso delle sollecitazioni (stress-path) viene in genere riconosciuta, separando lo stato tensionale (deformativo) nelle corrispondenti componenti sferiche (volumetriche) e deviatoriche (distorsionali). La distinzione è ancora più tangibile in campo ciclico; lo schema elementare di Hertz (Fig. 11.5) evidenzia non solo i differenti meccanismi di comportamento non lineare indotti da percorsi di compressione o taglio, ma anche l’accentuata irreversibilità del legame tensio-deformativo di tipo tangenziale. Inoltre, nella maggior parte dei problemi applicativi riguardanti i terreni saturi, le velocità di applicazione dei carichi sono sufficientemente elevate da poter ritenere il drenaggio virtualmente impedito: risultano pertanto trascurabili gli effetti indotti da variazioni di pressioni isotrope in termini di tensioni effettive e quindi di deformazioni volumetriche.

Per tali motivi, sia le procedure sperimentali, che le più diffuse tecniche di modellazione e analisi del comportamento ciclico e dinamico dei terreni fanno abitualmente riferimento a condizioni di carico tangenziale. Dall’analisi del mezzo granulare elementare, inoltre, si può dedurre immediatamente che la risposta del terreno ad azioni di taglio non monotòniche è fortemente determinata dal livello distorsionale: pertanto, la deformazione tangenziale γ viene convenzionalmente assunta come la variabile di riferimento per l’analisi del comportamento ciclico e dinamico. In funzione del suo valore atteso (determinato dalla particolare categoria di problema applicativo, Fig. 11.4) è consuetudine definire classi di comportamento e, conseguentemente, criteri di modellazionevia via più complessi.

12.3.2 – Aspetti di comportamento associati a livelli deformativi

II comportamento non lineare e non reversibile di un terreno, in condizioni di taglio semplice ciclico o sintetizzabile attraverso una coppia ili parametri equivalenti: questi s’introducono allo scopo di riassumere le caratteristiche medie di deformabilità lungo la curva di primo carico e le proprietà dissipative globalmente mostrate dal materiale nel corso di un ciclo di scarico-ricarico nel piano τγ. All’ampiezza di picco γ di quest’ultimo si associano pertanto il modulo di taglio secante G e il fattore di smorzamento D (damping ratio) , le cui definizioni sono riportati; in Fig. 11.7. L’evoluzione complessiva del comportamento del terreno al crescere del livello di sollecitazione é convenzionalmente rappresentata dall’andamento dei suddetti parametri con il logaritmo della deformazione tangenziale ciclica γ. Il valore di quest’ultima definisce 3 campi di comportamento fenomenologicamente differenti: in relazione all’ampiezza di γ ci si riferirà, quindi, a deformazioni basse, medie ed elevate.

Fig. 11.7 – Relazione τγ e definizione dei parametri equivalenti G e D.

Basse deformazioni

La non linearità del legame tra tensioni e deformazioni tangenziali è qualitativamente illustrata nella Fig. 11.8; la rigidezza tangenziale, espressa attraverso il modulo secante G, assume un valore iniziale massimo (G0 ≡ Gmax), per poi ridursi progressivamente all’aumentare della deformazione.

Fig. 11.8 – Non linearità della relazione tensione deformazione.

Come preannunciato dagli schemi elementari mostrati nel paragrafo precedente, la non linearità si manifesta fin dai più bassi livelli di sollecitazione, sia in campo monotònico che ciclico; di fatto è lecito ritenere G(γ) ≈ costante = G0 solo per distorsioni inferiori a una soglia di linearità (γ = γl), localizzabile convenzionalmente in corrispondenza di G(γ) = 0.95 G0 (Fig. 11.8). Come osservabile più oltre, γl può variare entro 0.0001÷0.01% in relazione alle caratteristiche granulometriche e microstrutturali dei terreni: conviene, inoltre, anticipare fin d’ora che γl aumenta al diminuire delle dimensioni delle particelle e al crescere dell’attività mineralogica.

In questo ambito di deformazioni, il legame τγ è interpretabile, ai fini pratici, con una relazione di tipo lineare: osservando infatti la risposta di un elemento di terreno durante un ciclo di carico-scarico-ricarico applicato a bassa velocità e misurandone le proprietà dissipative attraverso la % ҳ di energia di deformazione dispersa nel ciclo completo (WD) rispetto a quella immagazzinata nella fase di carico (Ws) si verifica che essa assume valore trascurabile (Fig. 11.8).

Il comportamento dei materiali a grana grossa in questo campo di valori di γ è praticamente insensibile alla rapidità di variazione dei carichi, mentre i terreni a grana fine manifestano non trascurabile dipendenza della risposta dalla velocità di deformazione γ´, derivata temporale della γ(t); questa si ripercuote sui valori iniziali sia della rigidezza che, in misura più marcata, delle capacità smorzanti, così come illustrano le differenti curve D(γ) riportate in Fig. 11.8. Nei terreni a grana fina la γ´ influisce anche sul valore assunto dalla soglia di linearità γl.

Medie deformazioni

Superata in soglia di linearità γl il comportamento del terreno si manifesta marcatamente non lineare. All’aumentare dell’ampiezza della sollecitazione ciclica, identificata tramite il livello ili deformazione di picco γl, l’aspetto dei cicli τ-γ si modifica sensibilmente: il modulo secante G(γ) diminuisce e l’aliquota di energia dissipata per ciclo (WD/WS) aumenta.

Il materiale non sembra comunque conservare memoria della storia ciclica pregressa (Fig. 11.8): al termine di un ciclo completo il terreno ritorna nello stato iniziale, tendendo a ripercorrere la stessa curva tensione-deformazione se nuovamente sottoposto a una medesima storia di carichi tangenziali.

Si può in conclusione affermare che il comportamento tensione-deformazione è stabile e permette di essere modellato definendo per ogni valore di γl un particolare ciclo τ-γ a cui e associabile una coppia di valori dei parametri equivalenti G e D (approccio lineare equivalente). A sollecitazioni cicliche applicate nel campo deformativo cosi definito conseguono, all’atto dello scarico, trascurabili valori residui delle deformazioni volumetriche (in condizioni drenate) o delle sovrappressioni neutre (in condizioni non drenate).

Deformazioni elevate

All’aumentare dell’ampiezza delle sollecitazioni cicliche s’individua un ulteriore livello di deformazione (γ = γv) superiore alla soglia γl. Per uno, due ordini di grandezza, al di là del quale il comportamento del terreno diviene significativamente affetto da modifiche strutturali irreversibili. Nel campo di deformazioni superiori a questa seconda soglia (γ > γv) si evidenzia l’effetto dei fattori legati alla non-monotonicità delle sollecitazioni: le caratteristiche di deformabilità dei terreno, lette in termini di parametri di rigidezza e dissipazione, evolvono all’aumentare del numero di cicli (Fig. 11.8).

In particolare per alcuni materiali (per esempio le sabbie sciolte non sature) si possono verificare fenomeni di graduale addensamento fino al r rientro in condizioni di stabilità dopo un certo numero di cicli. In gran parte dei casi, viceversa, i materiali manifestano tendenza alla degradazione progressiva, segnalata dall’incremento di deformazioni tangenziali non recuperabili. Inoltre, per effetto del comportamento dilatante o contraente dello scheletro solido, si accumulano deformazioni volumetriche nelle prove drenate, sovrappressioni neutre nelle prove non drenate (Fig. 11.8). Dopo escursioni a deformazioni maggiori di γv una nuova fase di carico deviatorico dà quindi luogo a una risposta iniziale del terreno modificata rispetto a quella del materiale non presollecitato.

L’insieme dei fenomeni appena descritti viene indicato come degradazione ciclica, termine che riflette le modifiche di stato sottese dall’evoluzione della risposta meccanica: nel campo deformativo così definito, i risultati sperimentali sono talmente condizionati dalla storia ciclica pregressa che i parametri meccanici utilizzati ai livelli deformativi inferiori non sono più sufficienti a definire la risposta del terreno in funzione della sollecitazione corrente. In altre parole, l’approccio lineare equivalente precedentemente introdotto appare improponibile, perché le relazioni G(γ) e D(γ) non sarebbero più univoche: in tali casi può essere sufficiente una generalizzazione del modello, con l’introduzione dell’effetto del numero dei cicli N; in alternativa, è indispensabile ricorrere all’analisi incrementale e a leggi costitutive di tipo non lineare.

12.3.3 – Criteri di modellazione

La definizione delle leggi costitutive di un terreno sottoposto ad azioni comunque variabili nel tempo richiede:

–       l’individuazione di uno schema reologico di riferimento, che descriva i fondamenti fisico-meccanici alla base del comportamento osservato;

–       la formulazione di relazioni matematiche (modello costitutivo) fra variabili statiche e cinetiche, atte a descrivere il comportamento del mezzo multifase sottoposto a una generica sollecitazione meccanica;

–       la calibrazione (o taratura) sperimentale del modello, i cui parametri meccanici vengono ottenuti con prove meccaniche il più possibile semplici e mediante le quali è garantito un chiaro controllo degli stati tensionali e/o deformativi.

Nei paragrafi successivi si riporterà una rassegna delle tecniche di modellazione per la caratterizzazione del comportamento meccanico di sistemi discretizzabilio di volumi continui, a cui il terreno soggetto a carichi variabili nel tempo può essere assimilato per scopi applicativi. Per trattazioni generali più esaustive, così come per aspetti teorici e analitici di dettaglio, si rimanda alle numerose pubblicazioni sull’argomento.

12.3.4 – Modelli reologici e analisi di sistemi discreti

In Dinamica dei Terreni è consuetudine far ricorso a modelli reologici sia per l’interpretazione analitica del comportamento di un sistema di particelle a contatto, sia per affrontare lo studio di alcune classi di problemi al contorno, quando questi siano riducibili a un numero finito di gradi di libertà (sistemi discreti).

Fig. 11.9 – Schemi reologici elementari.

I modelli elementari di riferimento (Fig. 11.9) sono sostanzialmente i medesimi utilizzati per la rappresentazione del comportamento delle terre in condizioni statiche, vale a dire la molla elastica, lo smorzatore plastico ad attrito e quello viscoso.

Si tratta di schemi a 1 grado di libertà, il cui legame costitutivo è espresso in termini di relazione differenziale tra forza F e spostamento u essi possono essere combinati secondo schemi più complessi in serie e/o parallelo, per costituire un sistema meccanico ideale che rappresenti al meglio il comportamento osservato nella realtà. Le forze d’inerzia, se non trascurabili, sono portate in conto introducendo una o più masse concentrate.

Il ciclo carico-spostamento di un sistema dissipativo a 1 grado di libertà può essere rappresentato tramite uno degli schemi di Fig. 11.10: l’oscillatore visco-elastico (Kelvin-Voigt) e il mezzo elasto-plastico (Coulomb). Né l’uno né l’altro si dimostrano sufficientemente efficaci a riprodurre il complesso dei fenomeni meccanici che si verificano nei terreni reali, ma forniscono gli schemi concettuali di base cui ricondurre, rispettivamente, i terreni a grana fina e quelli a grana grossa.

Fig. 11.10 – Schemi reologici complessi.

Il modello di Kelvin-Voigt ben si presta all’interpretazione di gran parte dei risultati sperimentali, ottenibili mediante gli schemi di sito e laboratorio più diffusi in Dinamica dei Terreni. Per l’oscillatore semplice, sollecitato da una forza F(t), la condizione di equilibrio dinamico è esprimibile, in funzione dello spostamento u(t) e delle sue derivate temporali, nella forma:

–  +  + ku = F(t)

in cui m é la massa, h la rigidezza e c é il coefficiente di viscosità lineare.

In caso di oscillazione forzata con pulsazione ω [F(t) = A sen((ωt+φ)] la risposta u(t), in condizioni di regime, è un’armonica con la stessa frequenza F(t), ma sfasata rispetto alla sollecitazione in dipendenza del coefficiente e; il diagramma carico-spostamento ha torma ellittica (Fig. 11.10).ci) e il fattore di smorzamento D risulta pari a:

dove up è il valore di picco dello spostamento, ωn la pulsazione naturale del sistema non smorzato (ωn = √k/m) e c il coefficiente di viscosità critica, ossia il valore di e oltre il quale non si osservano più oscillazioni libere (c = 2k/ωn. Ricordando la definizione di rapporto critico di smorzamento β = c/ci si ottiene:

e ciò mostra che le proprietà dissipative in un mezzo visco-elastico ideale variano in misura direttamente proporzionale alla frequenza di sollecitazione. Quando la frequenza angolare di oscillazione ω uguaglia quella naturale del sistema non smorzato (ωn) si ha coincidenza tra β e D. Ciò rende il modello convenientemente utilizzabile per l’analisi delle proprietà dissipative di sistemi anche non viscosi; questo accade in alcuni schemi sperimentali di laboratorio, in cui assimilando il terreno a un mezzo assimilabile a quello previsto dalla teoria di Kelvin-Voigt, la misura del rapporto critico di smorzamento β fornisce uno dei possibili metodi per la determinazione del fattore D.

Come mostrato dalla Fig. 11.11, il modello visco-elastico presenta inversioni smussate di sollecitazione-risposta; la deformabilità ciclica e dinamica di un volume di terreno é fedelmente riproducibile con tale schema solo nei materiali a grana fina e per velocità di deformazione sufficientemente elevate da rendere preponderanti gli effetti viscosi.

In tutti gli altri casi i fenomeni dissipativi sono invece in gran parte attribuibili a scorrimenti per attrito tra le particelle solide: sollecitazioni di tipo armonico danno luogo ad un comportamento isteretico con cicli dalle caratteristiche estremità affusolate. Un legame siffatto va interpretato ricorrendo a modelli elasto-plastici incrudenti, basati sulla progressiva espansione dello schema elementare (Fig. 11.11); si tratta di insiemi di molle elastiche e smorzatori ad attrito disposti in serie o in parallelo, le cui proprietà dissipative risultano intrinsecamente definite dalla non linearità della relazione carico-spostamento.

Fig. 11.11 – Combinazioni di schemi reologici serie-parallelo.

S’intuisce inoltre come il comportamento di un terreno granulari; reale sia tanto meglio approssimabile, quanto più numerosi ed eterogenei sono i sistemi elementari utilizzati. Sviluppando il procedimento all’infinito, si può in definitiva dar luogo a un’ampia classe di modelli elasto-plastici applicabili al mezzo continuo.

In campo applicativo, combinazioni in serie di elementi tipo Kelvin-Voigt sono diffusamente implementate nei codici di calcolo più diffusi per l’analisi della risposta sismica di un sottosuolo stratificato, ad es. con algoritmi che operano nel dominio delle frequenze. I modelli elasto-plastici sono invece utilizzabili per affrontare diversi problemi di analisi limite, come la stabilità di pendii e la risposta in strutture di sostegno in zone sismiche.

12.3.5 – Modellazione del comportamento del mezzo continuo

Nella presente sezione vengono riportati gli elementi conoscitivi fondamentali per l’estensione dei modelli reologici discreti del terreno visto come mezzo continuo. Come osservabile, diversi sono gli accorgimenti analitici necessari per tener conto delle peculiarità (la composizione granulometrica, la natura multifase e i vari meccanismi d’interazione tra le particelle) che tendono a far divergere il terreno reale dallo schema ideale di solido continuo, elastico e lineare. La trattazione fa riferimento a modelli di comportamento meccanico stabile con l’accumulo di sollecitazioni ripetute e quindi inadeguati a riprodurre i fenomeni di degradazione suscitati a deformazioni elevate.

Profilo elastico poroso bifase

Assimilando lo scheletro solido di un terreno a mezzo continuo omogeneo, i parametri di deformabilità necessari per caratterizzare il comportamento dell’elemento di volume costituiscono un tensore ||Dijkt’|| che lega le componenti cartesiane di deformazioni {εij} e tensioni effettive {σ’kt} attraverso la relazione incrementale:

{dε} = ||D|| {’}

Ciascun componente del 2° termine , in linea di principio, esprimibile in funzione dello stato tensio-deformativo, sia attuale che pregresso, dell’elemento considerato, oltre che dei parametri costitutivi propri del mezzo. Nel continuo elastico ideale (lineare e isotropo) il legame tra sforzi e deformazioni può essere espresso, come è noto, in funzione del modulo di Young E e del coefficiente di Poisson ν o, alternativamente, della rigidezza volumetrica K e del modulo di elasticità tangenziale G, a essi legati dalle relazioni:

In molti problemi si conviene di rappresentare lo stato tensionale servendosi delle componenti ottaedriche, o di tensioni a esse proporzionali, come, ad es., la tensione sferica p e la tensione deviatorica q:

A essi vanno associati gli invarianti duali in termini deformativi, vale a dire la deformazione volumetrica εs e la deformazione distorsionali εv:

In tal caso, se il mezzo è elastico ideale, le relazioni (*) sono esprimibili nella forma:

L’accoppiamento delle relazioni elastiche alle equazioni indefinite di equilibrio dinamico (ρ la densità del mezzo):

Fornisce 2 soluzioni di diverso tipo in termini di equazioni del moto:

dove λ (prima costante di Lamé) è data da:

In un continuo indefinito le relazioni corrispondono alla propagazione di un’onda di compressione (o onda P) e di un’onda di taglio (o onda S), dotate di velocità Vp e Vs pari a:

In un semispazio elastico, alle onde P ed S (dette di volume perché si sviluppano nel mezzo indefinito), si aggiunge l’onda di Rayleigh, corrispondente alla propagazione di una perturbazione parallelamente alla superficie limite. La velocità VR è di poco inferiore a VS, ed esprimibile nella forma:

VR = f(νVS

dove la funzione del coefficiente di Poisson, f(v), varia tra 0.86 (v = 0) e 0.95 (v = 0.5).

L’estensione delle relazioni elastiche dal solido monofase al terreno saturo discende dall’applicazione del principio delle pressioni effettive, riscrivendo la relazione della tensione sferica e la (*) in termini di σi‘ = σi – u (dove i = 1, 2, 3 e p‘ = pu) e introducendo i parametri elastici relativi allo scheletro solido.

Fig. 11.12 – Onde sismiche entro un mezzo continuo: schemi di propagazione.

La già citata teoria di Biot permette di estendere lo studio del fenomeno di propagazione delle onde di deformazione al mezzo linearmente elastico poroso saturo; la presenza dell’acqua comporta la generazione di 2 diversi campi deformativi di compressione, propagantisi attraverso il fluido e la matrice solida, e mutuamente correlati attraverso l’accoppiamento meccanico tra le due fasi. Per tale motivo, in un mezzo granulare ideale saturo, l’onda P nel fluido di porosità si propaga con velocità poco superiore a quella relativa al fluido stesso (≈ 1450 m/s per l’acqua); la perturbazione di compressione nello scheletro solido ha invece velocità di poco inferiore a quella del mezzo asciutto e, comunque, notevolmente più bassa di quella propagantesi nella fase fluida. In termini distorsionali, viceversa, a causa dell’incapacità dell’acqua di trasmettere sollecitazioni tangenziali, nel mezzo bifase si propaga un’unica onda di taglio, così come nel solido continuo.

In sostanza, la teoria di Biot dimostra che il fluido interviene nell’equilibrio dinamico rotazionale con un contributo esclusivamente inerziale: in ipotesi di elasticità lineare, per il mezzo poroso saturo, si può ritenere ancora valida la soluzione ottenuta per il solido continuo, introducendo il peso dell’unità di volume γsat del monofase equivalente. E ciò, in definitiva, significa poter continuare ad applicare la relazione penultima anche al terreno saturo, ponendo:

ρ = ρsat = γsat/g

in cui g indica l’accelerazione di gravità.

Terreno come mezzo elastico

Nei paragrafi precedenti è stato evidenziato come la natura granulare dei terreni determini, in condizioni di taglio semplice, legami tensio-deformativi non lineari e non reversibili, comunque piccolo sia l’incremento di sollecitazioni tangenziali applicato. Questa considerazione sembrerebbe escludere la possibilità di riconoscere resistenza di un campo elastico lineare vero e proprio nello studio delle relazioni sforzi-deformazioni di un terreno, visto come mezzo continuo.

Se però le distorsioni indotte dai carichi sono molto piccole (con ciò s’intende γ < γl in Fig. 11.8), il legame τ-γ può essere opportunamente considerato di tipo elastico e interpretato sulla base dei fondamenti teorici della meccanica ilei materiali granulari ideali, visti come continui equivalenti.

Nell’analisi teorica del mezzo costituito da particelle elastiche perfettamente sferiche si può esprimere l’aliquota εμ della deformazione elastica longitudinale nella direzione principale i, dovuta alla tensione effettiva σi, nella forma:

dove Es rappresenta il modulo di Young delle particelle solide, Ci è un coefficiente adimensionale ed n un esponente compreso tra 0 e 1.

La relazione costituisce la base per una generalizzazione delle relazioni di Navier per il mezzo elastico particellare, che degenera nel solido continuo per n = 0 e Ci = 1.

In ipotesi d’isotropia, il modulo di Young iniziale E0 corrispondente a condizioni di compressione assiale (i = 1) a partire da uno stato di confinamento storico (p’ = σ0’), si ottiene differenziando la relazione:

Espressioni analoghe competono agli altri moduli di compressione (isotropa ed edometrica) nonché al modulo di taglio G0: in queste formulazioni le caratteristiche di deformabilità riflettono l’influenza dello stato tensionale corrente ma sono espresse in funzione di parametri non identificabili per via sperimentale. Non sono inoltre adeguatamente rappresentate né l’influenza di granulometria, microstruttura e tessitura dello scheletro solido né la porosità o la storia tensionale pregressa.

Allo scopo di trasferire l’analisi elastica del mezzo granulare ideale ai terreni reali, alcune relazioni semiempiriche pongono, con riferimento alle ultime relazioni:

dove pr è una pressione di riferimento, introdotta per congruenza dimensionale. Lo stato di addensamento iniziale è espresso con la f(e), funzione decrescente dell’indice di porosità eSi è un parametro adimensionale (detto coefficiente di rigidezza) che tiene sinteticamente conto delle caratteristiche meccaniche della fase solida; l’esponente m varia con le caratteristiche mineralogiche e microstrutturali, riflettendo la sensibilità del terreno alla storia tensionale (grado di sovraconsolidazione OCR).

Come quello di Young, il modulo di taglio iniziale G0 a partire da stato di confinamento isotropo é esprimibile nella forma generalizzata:

La rigidezza di un terreno reale risulta così espressa in funzione di variabili rappresentative dello stato corrente e della storia tensionale (tensioni effettive di confinamento, stato di addensamento, grado di preconsolidazione), mediante parametri adimensionali (Snm) correlabili alle caratteristiche fisico-meccaniche della sostanza solida.

Il terreno come mezzo viscoelastico

In precedenza si è osservato come, nonostante la natura dei meccanismi dissipativi sia tutt’altro che puramente viscosa, il modello visco-elastico offra notevoli vantaggi per descrivere i fenomeni di smorzamento nei terreni. Sia per un sistema discreto che per un mezzo continuo, tale ipotesi permette intatti di conservare inalterata la validità di tecniche di analisi lineare per sollecitazioni

cicliche e dinamiche, alle basse e alle medie deformazioni.

L’estensione del modello a 1 grado di libertà al mezzo continuo visco-elastico indefinito è immediata, in quanto basta sostituire formalmente:

– alla massa m la densità ρ;

– alla forza F il vettore degli sforzi {σ};

– alla rigidezza k il tensore delle costanti elastiche ||Kl!;

– allo spostamento u il vettore delle deformazioni {ε}.

Ciò permette di scrivere le equazioni indefinite di equilibrio dell’elemento di volume in termini di tensioni e deformazioni (o spostamenti), e delle relative derivate temporali. Con riferimento alle condizioni di taglio semplice, è sufficiente considerare il mezzo continuo, omogeneo e indefinito, caratterizzato da 3 soli parametri: densità di massa ρ, modulo di elasticità tangenziale G, coefficiente di viscosità lineare μ.

Il moto monodimensionale lungo x un elemento di volume appartenente all’asse di simmetria z e descritto dalla legge u(z,t) ottenuta integrando l’espressione differenziale:

nel rispetto delle condizioni al contorno del problema in esame.

Il terreno come mezzo elasto-plastico

Si è in precedenza ribadito che i meccanismi di smorzamento di origine viscosa non rispecchiano l’effettiva natura del comportamento del terreno, in cui i fenomeni dissipativi sono per lo più dii carattere attritivo, i cicli τ-γ hanno estremità aguzze e le aliquote di energia dissipata sono poco influenzate dalla velocità d’applicazione dei carichi. Un material siffatto può essere assimilato ad un mezzo continuo elasto-plastico a incrudimento cinematico, ottenuto per estensione degli schemi reologici soprariportati. In termini di parametri equivalenti il comportamento isteretico di un terreno può essere analizzato assumendo una curva tensione-deformazione non lineare in fase di primo carico e un legame d’associazione per descrivere i rami di carico, scarico e ricarico che definiscono i cicli d’isteresi.

Con riferimento a sollecitazioni di taglio semplice, la curva di primo carico (o curva dorsale) può essere definita attraverso formulazioni dirette o inverse:

in cui le funzioni adimensionali J(γ) e H(τ) rappresentano lo scostamento dalla tangente iniziale τ = G0γ. Il legame di associazione è tradizionalmente espresso attraverso i criteri di Masing, formulati in origine nel modo seguente (Fig. 11.13):

–       il modulo tangente in corrispondenza di ogni inversione di carico assume lo stesso valore di quello iniziale (G0) relativo alla curva di primo carico;

–       la forma delle curve di scarico e ricarico è la medesima della curva di primo carico, a meno di un’amplificazione della scala di τ e di γ per un fattore 2.

Conseguenza di ciò è la possibilità di esprimere il legame tensione-deformazione in maniera generalizzata. Le relazioni precedenti diventano allora:

in cui τci e γci indicano i valori di tensione e deformazione in corrispondenza della più recente inversione di carico, nci vale 1 per il carico iniziale e 2 per gli scarichi e ricarichi successivi.

Fig. 11.13 – Esemplificazione del criterio di Masing per la descrizione del legame tensione-deformazione in condizioni cicliche.

Applicando i criteri di Masing, la dipendenza dei fattore di smorzamento D dal livello di sforzo o di deformazione é esprimibile nel modo seguente:

nel caso di formulazione diretta, e con l’espressione:

se la formulazione è inversa.

Postulare la validità dei criteri di Masing significa stabilire un legame fisico-analitico tra i parametri G e D del modello lineare equivalente: lo smorzamento è correlato alla non linearità della legge sforzi-deformazioni, il che fra l’altro costringe il fattore D a diventare infinitesimo alle basse deformazioni, dove il comportamento è lineare, e quindi un ciclo di carico-scarico-ricarico non da luogo ad alcuna dissipazione di energia.

Ciò non è viceversa contemplato dal modello visco-elastico, per il quale tra le caratteristiche di rigidezza e dissipazione non sussiste alcun tipo di accoppiamento a priori.

Rappresentazione analitica dei parametri equivalenti

In conformità alla definizione dei parametri equivalenti, il legame costitutivo in condizioni di taglio semplice ciclico/dinamico è esprimibile mediante due funzioni G(γ) e D(γ), che descrivano la variazione di modulo G e smorzamento D con il livello di deformazione γ. Le due funzioni sono in generale indipendenti, a meno che non vengano ritenuti validi i criteri di Masing che correlano l’una all’altra; va però detto sin d’ora che raramente l’evidenza sperimentale ha confermato la validità dei criteri suddetti. La determinazione delle leggi G(y) e D(γ) è in genere basata sulla sintesi di dati sperimentali ottenuti da una successione di prove di laboratorio effettuate su uno stesso provino di terreno a deformazioni cicliche γl via crescenti (multi-step), tali da definire gli andamenti G(γ) e D(γ) attraverso un insieme di punti (γlGi) e (γlDi).

Fig. 11.14 – Relazione τ-γ nei modelli iperbolico e di Ramberg-Osgood.

Rigidezza

Le relazioni sforzo-deformazione (o, equivalentemente, modulo-deformazione) sono convenientemente esprimibili previa adimensionalizzazione rispetto al modulo iniziale G0; in particolare, definendo il modulo di taglio normalizzato G = G/G0 la legge di attenuazione di G con γ può esprimersi nella forma:

G(γ) = G0 G

in cui la curva di attenuazione della rigidezza G con il livello di deformazione può essere definita con una relazione diretta G(γ) o inversa γ(G), derivabile dalle relazioni di partenza.

Le formulazioni analitiche più diffuse di curva dorsale sono sintetizzate nelle Tab. 11.1, e descritte in forma più estesa in letteratura. Le curve tensione-deformazione sono sempre definite in funzione ili una pendenza iniziale pari a G0 possono essere dotate di un asintoto (τ = τlim) per deformazioni elevate (leggi iperboliche) o esserne sprovviste (modello di Ramberg – Osgood) (Fig. 11.14).

Si osservi che i parametri necessari per la definizione delle funzioni riportate variano tra due e quattro, e non sono sempre dotati di chiaro significato fisico; ciò accade, ad es., per le costanti a e b nel modello iperbolico modificato e per i coefficienti C e R in quello di Ramberg – Osgood.

Questi ultimi, di fatto, identificano la geometria della curva di attenuazione di G con γ, controllandone rispettivamente la posizione e la curvatura (Fig. 11.15).

In ogni caso, i parametri dei modelli riportati sono tutti ottenibili per via diretta da regressioni di dati sperimentali nella forma (γl,G).

Smorzamento

Alle funzioni dirette o inverse, che legano il fattore di smorzamento alla deformazione tangenziale possono assegnarsi espressioni associate alla rispettive curve dorsali mediante i criteri di Masing che verificano l’annullamento di D per γ infinitesime (Tab. 11.1). Queste possono altresì esprimersi in funzione di un valore asintotico a deformazioni infinite (D) dello smorzamento, corrispondente per i modelli iperbolici al valore 2/π (raggiungimento della completa plasticizzazione).

Un approccio alternativo all’applicazione dei criteri di Masing comporta la scelta di una legge di aumento di D con γ del tutto indipendente dall’attenuazione di G con γ, ma che può essere ancora ricondotta ai modelli citati mediante un artificio analitico: si tratta di applicare i criteri di Masing a una curva dorsale fittizia, contraddistinta dallo stesso genere di parametri (Da’, b’, C’, R’ in Tab. 11.1) di quella effettiva. A differenza di questi ultimi, i parametri per le relazioni D(γ) vanno in genere determinati per via iterativa mediante regressioni sui punti (γl,Dl).

Il limite delle relazioni analitiche fin qui riportate è quello di fornire comunque valori infinitesimi del fattore di smorzamento alle basse deformazioni; l’evidenza sperimentale relativa alle prove dinamiche fa invece rilevare dissipazioni energetiche non nulle anche in questo campo, allorquando la velocità di deformazione e sufficientemente elevata da chiamare in causa fenomeni viscosi. Per tener conto di ciò, le funzioni D(γ) finora considerate sono suscettibili ili ulteriore generalizzazione con l’aggiunta di un valore iniziale D0:

D(γ) = D0 + D(γ)

in cui una generica relazione analitica tra quelle proposte é rappresentata da D(γ), D0 diventa un parametro complementare a G0 che riscrive il comportamento alle basse deformazioni,

12.4 – Osservazione sperimentale del comportamento dei terreni in condizioni cicliche e dinamiche

Per l’analisi di un qualsiasi problema di Dinamica dei Terreni occorre innanzitutto determinare per via sperimentale i parametri che regolano il comportamento dei materiali costituenti per la porzione di sottosuolo interessata dal particolare fenomeno ciclico e/o dinamico in studio: a tal fine sono state sviluppate procedure d’indagine di sito e di laboratorio specifiche che permettono di osservare la risposta di un terreno in un ampio campo di deformazioni tangenziali γ(Tab. 11.1).

In sito le tecniche più diffuse consistono nell’analisi della trasmissione, in porzioni definite di sottosuolo, di onde sismiche prodotte artificialmente. In tal modo è possibile determinare la rigidezza a taglio iniziale (G0) di un terreno nelle condizioni tensionali e deformative naturali.

In laboratorio sono disponibili numerose procedure sperimentali, che vanno dalle prove cicliche. a quelle propriamente dinamiche: in linea di principio è possibile investigare qualsiasi aspetto del comportamento ciclico/dinamico di un terreno, essendo possibile controllare lo stato tensio-deformativo cui sottoporre il materiale durante una prova.

12.4.1 – Prove dinamiche in situ

In estrema sintesi queste prove consistono nel generare onde sismiche e nel determinarne la velocità di propagazione in porzioni definite di sottosuolo.

Tab. 11.1 – Modelli per la rappresentazione analitica dei parametri equivalenti.

Tab. 11.15 – Differenti valori dei parametri C(sx) e R(dx) che regolano il modello di Ramberg-Osgood.

Prima di descrivere le tecniche sperimentali occorre ricordare che il campo d’onde generato in un continuo da una sollecitazione dinamica contiene termini che si trasmetto all’interno del mezzo (onde di volume) e altri che si propagano in prossimità della superficie (onde di superficie) volume. Le onde di volume si distinguono in onde di compressione, con moto delle particelle nella direzione di espansione del fronte d’onda, e onde di taglio, con moto delle particelle perpendicolare alla direzione di propagazione.

Le prime si trasmettono con una velocità (VP) che, in presenza di fluido di porosità, é prevalentemente condizionata dalle proprietà di questo; le seconde assumono una velocità (VS) dipendente esclusivamente dalle caratteristiche dello scheletro solido. Di conseguenza é alle onde di taglio che occorre fare riferimento per la misura della rigidezza dei terreni sciolti saturi.

Le onde di Rayleigh (VR) sono le più importanti onde di superficie, in quanto trasportano gran parte dell’energia generata e e campionano una porzione di sottosuolo che dal piano limite si estende a profondità tanto maggiori quanto maggiore è la loro lunghezza d’onda; inoltre la loro velocità (VR) è prossima a quella delle onde di taglio (VS)

Gli schemi correntemente adoperati per la misura della velocità delle onde sismiche sono illustrati in Fig. 11.16, dove sono distinte le configurazioni usate in: prove da foro (cross-holeCH e down-hole DH) e prove di superficie, analisi spettrale delle onde di superficie, SASW).

In ogni caso per un’accurata misura di velocità occorre:

–       una sorgente meccanica d’impulsi di appropriata energia, direzionale e preferibilmente reversibili;

–       due o più ricevitori (geofoni) contenenti uno (1D) o tre (3D)) trasduttori di velocità o d’accelerazione di appropriata risposta dinamica; i geofoni devono essere dotati di un sistema di connessione al terreno;

–       un dispositivo di acquisizione e registrazione dei segnali d’uscita dei trasduttori (oscilloscopio);

–       un trigger solidale alla sorgente, che segnali l’istante di partenza delle onde dalla sorgente.

Per ottenere misure in foro (DH) e (CH) affidabili è necessario prendere alcune precauzioni nella realizzazione e nel condizionamento dei fori: per ridurre il disturbo dovuto alla perforazione é consigliabile adottare i minimi diametri di perforazione possibili e porre particolare attenzione alla stabilità delle pareti e del fondo dei fori.

Fig. 11.16 – Schemi sperimentali nella misura in situ della velocità di propagazione delle onde sismiche.

Per il condizionamento vanno impiegati tubi di pvc o comunque di materiale di elevata impedenza alla trasmissione delle vibrazioni; l’intercapedine tra foro e tubazione deve essere riempita con malta a ritiro nullo, in modo da garantire una perfetta connessione. Al termine delle operazioni di condizionamento del foro occorre misurarne la deviazione dall’ideale posizione verticale, in modo da conoscere la reale posizione nello spazio di ciascun foro.

Per misure CH a due ricevitori si ricorre alla configurazione illustrata in Fig. 11.16 dove, in un foro d’estremità, alla profondità desiderata, viene posta una sorgente d’impulsi verticali; negli altri fori, alla stessa profondità, si calano geofoni, preferibilmente a 3 componenti (3D), che vengono bloccati al rivestimento in genere con sistemi ad aria compressa. Una volta generato l’impulso, in direzione orizzontale si propagano prevalentemente onde di taglio polarizzate nel piano verticale (SV) queste vengono rilevate con le componenti verticali dei geofoni.

In Fig. 11.16 è illustrato lo schema sperimentale del DH. A due ricevitori: la prova prevede l’installazione in superficie di una sorgente d’impulsi orizzontali a breve distanza dal foro di misura. Due geofoni, a distanza nota e orientati opportunamente, vengono installati nel foro alla profondità voluta. L’impulso alla sorgente produce, lungo la direzione di propagazione verticale, prevalentemente onde di taglio polarizzate orizzontalmente (SH): pertanto, questa volta s’impiegano Ie componenti orizzontali dei geofoni.

Lo schema sperimentale del SASW e illustrato in Fig. 11.16. Una volta scelta la verticale d’indagine (CL), sul piano limite vengono collocati 2 trasduttori di velocità (o accelerazione) ad asse verticale, in posizione .simmetrica rispetto alla CL e a distanza X. Successivamente, in un punto in superficie, allineato coi ricevitori e a distanza X dal sensore più vicino, viene più volte generato un impulso verticale e se ne registrano le vibrazioni prodotte. La procedura di prova viene ripetuta per diverse distanze tra i geofoni adattando, se occorre, sorgente e ricevitori al contenuto in frequenza desiderato.

In genere, la distanza tra i geofoni viene progressivamente aumentata partendo da pochi decimetri (analisi della risposta degli strati più superficiali) fino a un massimo di alcune decine di metri. Quindi, nel corso di una stessa seduta sperimentale, la porzione di sottosuolo campionato dalle onde aumenta progressivamente; per esempio a fine prova è tipicamente interessato un volume che si estende in profondità fino a una cinquantina di metri e in lunghezza fino a un centinaio di metri. Di conseguenza, il SASW non consente di ottenere profili di rigidezza dettagliati, specie alle maggiori profondità.

12.4.2 – Procedure d’interpretazione

Per l’interpretazione delle prove CH e DH in termini di velocità delle onde è sufficiente analizzare i segnali registrati dai ricevitori, per riconoscere su ciascuno di essi l’istante d’arrivo delle onde di compressione (tp) e delle onde S (ts): l’analisi del segnale di trigger consente d’identificare il momento di partenza della alla sorgente delle onde (t0). Di conseguenza, noto il tempo impiegato dalle onde di compressione (tpt0) e dalle onde di taglio (tstp) per raggiungere il ricevitore e nota la distanza tra i ricevitori, sono determinabili le rispettive velocità.

A titolo di es., in Fig. 11.17 sono presentati il risultato e l’interpretazione di una misura CH; partendo dall’alto, i primi due diagrammi rappresentano i segnali registrati a ~ 5 m e 10 m dalla sorgente, il terzo mostra il segnale del trigger. Le tracce ai ricevitori sono caratterizzate da un primo tratto praticamente piatto (assenza di vibrazioni forzate), che precede l’arrivo delle onde P e quello successivo delle onde S.

Fig. 11.17 – Esempi di registrazione ampiezza-tempo in una misura cross-hole a 3 ricevitori.

Una procedura d’interpretazione alternativa si basa sull’analisi dei segnali nel dominio delle frequenze; tale metodologia richiede l’uso delle Trasformate di Fourier per individuare ampiezza, fase e frequenza delle infinite armoniche che compongono il segnale.

Ciascuna armonica si propaga con una propria velocità (velocità di fase V = λf), che può essere determinata usando le seguenti relazioni:

dove f e λ sono la frequenza e la lunghezza d’onda dell’armonica; r è la distanza tra i punti di misura; N è il numero di cicli cumulati lungo il percorso; Δφ = (φ2φ1) è la differenza di fase iniziale dell’armonica nei punti di misura.

La Fig. 11.18 mostra un’applicazione ili questo metodo a una misura CH a due ricevitori. In essa sono rappresentate differenza di fase Δφ e velocità di fase V; inoltre é diagrammata la funzione di coerenza che misura il rapporto segnale-rumore della registrazione, tanto migliore quanto maggiore e il valore di questa funzione.

Fig. 11.18 – Determinazione della velocità di fase in una misura cross-hole.

Alle tecniche di analisi digitale si ricorre anche per l’interpretazione delle misure SASW in termini ili velocità di fase V. Infatti, ogni serie di misure (corrispondente a una stessa posizione dei ricevitori) viene ridotta in un profilo parziale di V in funzione della lunghezza d’onda λ: l’insieme di tutte le misure vale a definire la cosiddetta curva di dispersione (Vλ) della porzione ili sottosuolo indagato. Per conoscere l’andamento con la profondità della rigidezza a taglio G0 occorre utilizzare una procedura d’inversione: con questa viene simulata numericamente la propagazione delle onde di superficie in un mezzo elastico a stratificazione orizzontale, con caratteristiche geometriche e meccaniche assegnate; queste caratteristiche vengono di volta in volta modificate finché non si ottiene la curva di dispersione simulata che approssima meglio quella sperimentale. Al sottosuolo si attribuisce il profilo di G0 corrispondente a quest’ultima curva di dispersione.

12.4.3 – Criteri di scelta

La scelta della tecnica di sito va di caso in caso compiuta sulla base di diversi elementi di valutazione: fattori economici, risoluzione desiderata per il profilo di rigidezza, condizioni ambientali, campo di profondità da investigare. Per un’analisi comparativa tra le procedure sperimentali si può fare riferimento alla Tab. 11.2.

In sintesi, allo stato attuale delle conoscenze, il cross-hole garantisce in genere un’accurata definizione del profilo di rigidezza di un sottosuolo, ma allo stesso tempo rappresenta certamente la più onerosa tra le procedure dinamiche di sito per impegno economico e tempi di preparazione del campo sperimentale e di esecuzione delle prove. Al contrario, il SASW richiede impegni economici e temporali interiori, ma ha anche una capacità di risoluzione inferiore. Il down-holerichiede impegni economici e temporali poco minori rispetto al CH, pur presentando incertezze sperimentali tali da porlo certamente in secondo piano rispetto al CH e, a volte, anche rispetto al SASW.

In conclusione, è generalmente consigliabile il CH tutte le volte che si debba caratterizzare nel dettaglio un sottosuolo. E’ evidente, però, che quando si é di fronte a opere di notevole estensione oppure a studi a carattere territoriale (ad es. microzonazione sismica), non é proponibile un sistematico impiego dei CH; in questi casi è consigliabile realizzare in alcune postazioni contemporaneamente prove CH e SASW, al fine di tarare risultati delle prove SASW su quelli CH, e successivamente proseguire esclusivamente con prove SASW.

Tab. 11.2 – Sintesi delle tecniche sperimentali con indicazione degli stati tensionali riprodotti e delle potenzialità.

12.4.4 – Prove di laboratorio

Tecniche sperimentali

Le prove di laboratorio possono essere classificate in relazione ai percorsi di sollecitazione ed alle caratteristiche della risposta del terreno deducibili.

Stress path – Durante una qualsiasi prova di laboratorio, il percorso di sollecitazione (stress-path) si sviluppa in una prima fase di pre-sollecitazione statica e in una seconda fase di applicazione dei carichi non monotòni. In relazione alla specifica procedura sperimentale utilizzata, la fase iniziale statica consiste in un confinamento di tipo isotropo , assialsimmetrico o anche triassiale in senso stretto. Nella seconda fase, le modalità di controllo di carichi o spostamenti individuano due classi di schemi sperimentali: prove di compressione, in cui è consentito prefissare istante per istante valori e direzioni di tensioni o deformazioni principali; prove di taglio, caratterizzate viceversa dalla possibilità di controllare direttamente gli sforzi o le deformazioni tangenziali al contorno del volume di terreno. Un percorso di sollecitazione tendente a riprodurre le condizioni di maggiore interesse applicativo (quelle di taglio semplice ciclico e dinamico) è ottenibile, in linea di principio, con entrambi i sistemi. Anche se nel caso delle prove di taglio la legge di variazione nel tempo di valori, rapporti e direzioni delle tensioni principali sull’elemento di terreno può essere resa in modo più agevole congruente a quella del fenomeno fisico di riferimento.

Caratteristiche della risposta del terreno – La potenzialità di una tecnica sperimentale è sinteticamente descritta dal campo ili variabilità di ampiezze di deformazione γ e dai valori tipici delle frequenze f ottenibili nella seconda fase della prova, quella non monotònica. In tal senso possono essere distinte prove non distruttive o distruttive, in funzione della reversibilità o meno delle distorsioni impresse alla struttura del terreno, e ancora prove cicliche o prove dinamiche, a seconda che le forze d’inerzia siano o meno trascurabili

Prove in campo ciclico – Il denominatore comune di questo tipo di prove è la modalità di applicazione nel tempo della sollecitazione di compressione o taglio, ottenuta mediante carichi variabili lentamente con andamenti periodici regolari, spesso sinusoidali. L’interpretazione di tali prove si basa, di conseguenza, sull’analisi diretta di tensioni e deformazioni e sul loro modo di variare nel tempo.

Fig. 11.19 – Stato tensionale e schema d’interpretazione dei risultati in una prova triassiale ciclica (CTX).

Prove triassiali cicliche – Consistono in cicli di cornpressione-estensione cilindrica (triassiale ciclico, CTX) realizzate mediante una varietà di apparecchiature, nelle versioni a carico e/o a deformazione controllata. La relativa semplicità operativa e la possibilità di controllare pressioni di cella σl e sforzi assiali σa (Fig. 11.19) atti a riprodurre pressoché ogni tipo di percorso di sollecitazione sembrerebbero indicare questa come la tecnica ili prova più proficua tra quelle esistenti in campo ciclico. La prova non ha tuttavia incontrato diffusione paragonabile a quella statica, principalmente a causa del maggiore interesse applicativo delle condizioni di taglio semplice rispetto a quelle di compressione-estensione nell’ambito dei problemi dinamici.

Esistono comunque esempi di adattamento dei sistemi di applicazione delle pressioni in cella e del carico assiale in grado di dare luogo a condizioni di taglio semplice mediante la pulsazione contemporanea (ma sfasata di ¼ di periodo) delle funzioni periodiche σl(t) e σa(t).

Tab. 11.3 – Confronto tra le procedure sperimentali da foro.

Prove di taglio semplice ciclico – L’apparecchio per prove di taglio semplice ciclico (CSS) sono scaturiti dall’adattamento dei tradizionali sistemi di applicazione del carico tangenziale su provini di forma cilindrica a varia geometria. Problemi operativi e difficoltà legate a disuniformità nella distribuzione di tensioni e deformazioni al contorno del provino  limitano l’uso di tali sistemi, la cui validità è comunque ristretta allo medesimo campo di sollecitazioni delle prove CTX.

Come illustrato in Fig. 11.20, anche in questo tipo di prova la conoscenza di tensioni e deformazioni nel corso della fase di sollecitazione ciclica garantisce la possibilità di una misura diretta della rigidezza a taglio G e dello smorzamento D.

Prove di taglio torsionale ciclico – Le prove di taglio torsionale ciclico (TS) realizzano in sostanza condizioni di taglio semplice su provini cilindrici, sovrapponendo a una presollecitazione statica, isotropa e non, una coppia torcente variabile nel tempo con legge periodica (Fig. 11.21). Lo stato tensio-deformativo prodotto è condizionato dalle differenti possibili forme, dimensioni e condizioni di vincolo dei provini, che nella gran parte dei casi sono cilindri (pieni o cavi) di forma allungata. Come già accennato, nel corso di prove cicliche, i valori della frequenza vengono mantenuti sufficientemente bassi da non suscitare forze d’inerzia apprezzabili: in tali ipotesi la prova é direttamente interpretabile in termini di curve tensioni-deformazioni tangenziali, misurando coppie torcenti applicate e rotazioni corrispondenti. Da queste, facendo riferimento all’ipotesi ili distribuzione lineare delle rotazioni con l’altezza, é immediato risalire alle storie temporali τ(l) e γ(l). Per ciascuno dei cicli acquisiti possono quindi essere determinati i valori massimi della tensione (o deformazione) tangenziale che individuano la fine del ciclo i, nonché l’inizio del successivo, generico ciclo (i+1): di conseguenza è possibile ottenere la rappresentazione completa degli N cicli d’isteresi nel piano (γ,τ).

Fig. 11.20 – Stato tensionale e schema d’interpretazione dei risultati in una prova ciclica di taglio semplice (CSS).

Nell’interpretazione convenzionale della prova si assume come modulo tangenziale equivalente, Gi da associare all’i-esimo ciclo, la pendenza della retta che ne congiunge gli estremi. Il fattore di smorzamento, Di, viene invece calcolato applicando la definizione riportata nella Fig. 11.21 al ciclo i-esimo.

Prove di tipo dinamico – Nel corso di prove dinamiche di laboratorio il terreno è sottoposto a carichi variabili rapidamente nel tempo con legge assegnata; affidabili sistemi di misura consentono il rilievo delle grandezze meccaniche da analizzare. Le proprietà meccaniche del terreno discendono dall’interpretazione delle prove in termini di studio dell’equilibrio dinamico di un sistema che, nel caso generale, è costituito dal provino e da quella parte dell’apparecchiatura che e coinvolta nella vibrazione. Le sollecitazioni dinamiche applicabili possono avere andamenti nel tempo di tipo impulsivo, armonico o irregolare.

Fig. 11.21 – Stato tensionale e schema d’interpretazione dei risultati in una prova ciclica di taglio semplice (CSS).

Prove ad impulsi – La definizione di prove ad impulsi (TXPTSSPT e TSPT) si applica in maniera appropriata a quelle tecniche sperimentali in cui le frequenze delle perturbazioni indotte sono ben superiori a quelle di oscillazione naturale del volume di materiale in esame. Si riproducono così in laboratorio condizioni analoghe a quelle caratterizzanti le prove dinamiche in sito: è possibile cioè misurare direttamente le velocità di propagazione di onde P ed S all’interno di un prisma o cilindro di terreno in cui, a differenza delle prove in situ, lo stato tensionale di riferimento risulta controllabile dall’operatore. Tali sistemi offrono così la possibilità di caratterizzare la rigidezza di qualsiasi terreno o roccia alle bassissime deformazioni, correlandola alle condizioni iniziali di confinamento. I parametri ricavabili sono il più delle volte la rigidezza tangenziale G0 e, in qualche caso, anche il modulo di compressione volumetrica K e quello assiale E0 alle basse deformazioni.

L’evoluzione delle tecniche a impulsi é avvenuta negli ultimi anni parallelamente al crescente sviluppo di dispositivi piezoelettrici (cristalli o ceramiche) introdotti come coppie di generatori e ricevitori all’interno di provini montati in tradizionali celle triassiali TXPT o in apparecchiature di taglio diretto, SSPT, o per prove di taglio torsionale, TSPT. I criteri d’interpretazione delle misure dinamiche ottenute con queste tecniche in prova risultano simili a quelli adoperati per l’analisi delle registrazioni ampiezza-tempo ottenute nelle misure dinamiche in situ.

Prove di vibrazione armonica – In presenza di carichi variabili sinusoidalmente con frequenze elevate si possono riprodurre condizioni di oscillazione forzata o libera. In particolare, nel primo caso si parla di provini di colonna risonante (RC) e le caratteristiche di rigidezza e dissipazione materiali vengono dedotte dall’interpretazione del comportamento di un provino in condizioni di risonanza. Si conviene invece definire prove di decadimento (DC) quelle in cui le stesse caratteristiche vengono ricavate dall’analisi di curve di vibrazione libera (Fig. 11.22).

 

Fig. 11.22 – Stato tensionale e schema d’interpretazione dei risultati in una prova dinamica di taglio torsionale (RC).

Tali denominazioni sono in linea di principio applicabili indifferentemente a prove in cui vengono generate onde di compressione o di taglio in provini cilindrici snelli: di fatto, a eccezione di pochi casi, queste tecniche sono state più che altro adoperate con apparecchiature di taglio torsionale che di conseguenza vengono convenzionalmente indicate col termine colonna risonante.

L’interpretazione delle prove RC è basata sull’individuazione della frequenza di risonanza (fr) e delle frequenze f1 e f2 (valori di f corrispondenti rispettivamente alla rotazione massima θmax ed a √2/2 di quella massima) dell’insieme composto dal provino e dal dispositivo di eccitazione (Fig. 11.22). In tal modo, note l’inerzia polare del sistema di eccitazione l0 e quella del provino I, risulta possibile definire i valori di rigidezza G e smorzamento D del terreno tramite la risoluzione dell’equazione caratteristica del modello dinamico di riferimento. La deformazione tangenziale a cui associare tali valori è ricavata dalla conoscenza di θmax. le prove di decadimento vengono in genere eseguite immediatamente dopo le prove RC; al provino, infatti, si applica una sollecitazione torsionale variabile nel tempo con legge sinusoidale di ampiezza pari a quella della precedente prova RC e frequenza corrispondente a quella di risonanza fr, già determinata.

La sollecitazione viene mantenuta per il breve tempo necessario a raggiungere condizioni stazionarie e quindi bruscamente interrotta; si registra a questo punto il segnale rappresentativo della curva di oscillazione libera del sistema in termini di accelerazione θ¨(t) o di rotazione θ(t).

L’interpretazione del comportamento dell’insieme provino-massa rigida permette di risalire al fattore di smorzamento D mediante la misura dei valori assunti dalle ampiezze di picco A, corrispondenti a ogni ciclo della curva di oscillazione libera.

Prove di vibrazione irregolare – La messa a punto di tecniche di prova basate su vibrazioni irregolari o random loading tests (RL) ha avuto origine dalla constatazione della non periodicità delle vibrazioni indotte dai terremoti, che rappresentano una delle principali categorie di fenomeni dinamici. I metodi di questo genere sono attuabili in linea di principio con le stesse apparecchiature sperimentali usate nelle tecniche dinamiche fin qui descritte, alimentate da generatori di segnali casuali o ad andamento irregolare prestabilito. Gli strumenti di registrazione e riduzione dati devono, però, essere in grado di operare nel dominio delle frequenze e di eseguire trasformazioni dei segnali mediante l’analisi di Fourier.

Considerazioni sulla scelta dell’apparecchiatura di laboratorio – Descritte le caratteristiche principali delle tecniche di laboratorio più diffuse in campo non monotònico, è opportuno soffermarsi sulla valutazione critica delle varie possibilità da esse offerte. La scelta del metodo d’indagine è innanzitutto condizionata dal confronto tra campo di velocità e ampiezza di deformazione tangenziale caratteristici del problema applicativo con quelli relativo agli schemi sperimentali. La soluzione più idonea è di fatto determinata da un compromesso tra semplicità operativa, flessibilità delle condizioni e delle storie di carico applicabili e onere della sperimentazione. Dal punto di vista operativo interessa poter eseguire con relativa facilità la preparazione di provini indisturbati, di applicazione e controllo delle pressioni di confinamento e delle tensioni tangenziali, di messa a punto dei sistemi di acquisizione della risposta dei provini e della relativa interpretazione. Sotto buona parte degli aspetti suddette le prove CSS si dimostrano largamente insufficienti; le prove vanno gradualmente ampliandosi grazie ai recenti sviluppi delle tecniche di misura alle basse deformazioni e dei percorsi di sollecitazione (celle a stress-path controllato); tuttavia, nella maggior parte dei casi, soffrono ancora del limite d’inadeguatezza a rappresentare le condizioni di maggior interesse applicativo. Le apparecchiature in grado di effettuare prove di torsione ciclica e dinamica (TSRCDC) costituiscono senz’altro un’efficace soluzione a gran parte dei problemi suddetti, grazie all’uso della simmetria radiale per riprodurre quella piana. L’uso di cilindri cavi, anche se non agevole per materiali naturali, può garantire un notevole grado di omogeneità della distribuzione dello stato tensio-deformativo e inoltre estendere il campo di γ investigabile, del resto già piuttosto ampio.

II confronto tra le prove in situ e quelle di laboratorio ripropone gli stessi pro e contro tipici del campo statico; le prove in laboratorio, in generale, consentono il controllo degli stati tensionali e deformativi indotti e quindi una chiara interpretazione del comportamento meccanico del terreno; allo stesso tempo, però, i risultati sono condizionati dalla qualità dei campioni indisturbati disponibili. Le prove dinamiche in situ inducono certamente un minor disturbo al terreno ma non consentono di indagare né campi deformativi > 10-3 % né stati di confinamento diversi da quello geostatico. In definitiva, per quanto detto, al fine d’ottenere una corretta caratterizzazione dinamica del sottosuolo, è consigliabile accoppiare indagini in situ e in laboratorio. Va tuttavia anche aggiunto che le tecniche d’indagine fin qui descritte trovano ancora oggi una limitata diffusione negli ambienti professionali e vengono impiegate prevalentemente per gli studi di ingegneria geotecnica di opere di rilevante interesse.

Un’ulteriore annotazione sulle procedure sperimentali riguarda quanto estesa debba essere la porzione di sottosuolo da investigare ai fini della caratterizzazione dinamica. Tale volume, infatti, non sempre coincide col volume significativo al quale si fa riferimento nello studio dei problemi geotecnici statici.  A questo è confrontabile solo per opere di fondazione soggette ad azioni cicliche e dinamiche derivanti dalla sovrastruttura (fondazioni di macchine vibranti, di strutture near-shore e off-shore). Nel caso di problemi sismici le indagini vanno condotte su porzioni di sottosuolo decisamente più estese lateralmente e in profondità (generalmente fino a profondità a partire dalle quali siano presenti formazioni di notevole potenza e rigidezza) affinché possano essere valutati gli effetti delle condizioni geotecniche locali sulla risposta sismica.

12.5 – Osservazioni sperimentali e criteri per la scelta dei parametri

Lo stato delle conoscenze sulle proprietà dei terreni sottoposti ad azioni cicliche e dinamiche è ancora in evoluzione per poter essere reso in termini così generali come per il campo statico: oltre che alla giovane età della disciplina, ciò si deve alle complessità tecnologiche e anche a fattori squisitamente metodologici, come l’accentuata differenziazione delle tecniche sperimentali e di sintesi dei risultati. Lo sviluppo di alcune tra le metodologie descritte ha consentito a ogni modo la raccolta di una base dati sufficientemente omogenea, consistente e significativa sotto il profilo statistico.

I risultati sperimentali sono in genere presentati in termini di parametri lineari equivalenti, secondo la schematizzazione introdotta: l’approccio si dimostra particolarmente idoneo per costruire correlazioni semiempiriche relativamente semplici ma offre scarse possibilità di estensione per definire leggi costitutive più generali.

Per meglio evidenziare la molteplicità dei fattori che controllano il comportamento ciclico e dinamico dei terreni, conviene far riferimento alle espressioni:

G(γ) = G0 G(γ)

D(γ) = D0 + D(γ)

dove G(γ) e D(γ) sono funzioni rispettivamente decrescenti e crescenti di γ.

Su tale base si riporta la Tab. 11.4 in cui si riassumono il grado e Ie modalità d’influenza sia di alcuni fattori intrinseci (rappresentativi della natura e restituzione dei terreni), che delle variabili meccaniche (stona e stato di sollecitazione statica e ciclica) più efficaci sui parametri iniziali di rigidezza e smorzamento sulle relative leggi di attenuazione e amplificazione con la deformazione di taglio γ.

Tab. 11.4 – Effetti dei principali fattori d’influenza sulle proprietà di rigidezza e smorzamento dei terreni.

Le tendenze riportate in tabella vanno intese come riferite  a terreni tipo (sabbie pulite asciutte o sature non troppo addensate e argille omogenee), assunti come idealmente rappresentativi rispettivamente del comportamento di aggregati a grana grossa o fine. Le indicazioni qualitative della tabella non vanno quindi estese semplicemente a materiali particolari (quali quelli costipati o parzialmente saturi, i terreni piroclastici, a struttura complessa etc.) per i quali è necessario riferirsi a studi sperimentali a essi orientati.

12.5.1 – Comportamento dei terreni alla basse deformazioni

Secondo l’approccio adottato, per la definizione del comportamento alle basse deformazioni (γ < γl) occorre descrivere il legame che intercorre tra rigidezza e smorzamento iniziali (G0 e D0) e le variabili che caratterizzano significativamente storia e stato di sollecitazione statici e ciclici, questi ultimi da definire in relazione alle caratteristiche specifiche del problema in esame.

12.5.2.1 – Effetti dello stato e della storia tensionale

Lo stato e la storia tensionale condizionano notevolmente i valori assunti dai parametri equivalenti alle basse deformazioni (G0 e D0). Va immediatamente precisato che nel seguito verrà trascurato l’effetto del livello (e quindi della storia) del deviatore dei carichi statici, i cui effetti non sono a tutto oggi ben chiari; essi sono comunque trascurabili rispetto a quelli della tensione effettiva media p’, del Rapporto di sovraconsolidazione OCR e/o dell’Indice di porosità e, indicativi dei processi di deformazione volumetrica subiti dal terreno.

Terreni granulari

Le proprietà meccaniche dei terreni granulari sono in genere convenientemente espresse in termini di pressioni di confinamento e grado di addensamento; le espressioni convenzionalmente adottate per la rigidezza iniziale G0 si presentano nella forma monomia:

G0 = S f(e) (pa)1-n (p’)n 

che discende dall’estensione della relazione vista in precedenza a stati di confinamento qualsiasi, avendo sostituito p‘ a σ0 ed escludendo l’effetto del grado di sovraconsolidazione, poco significativo per terreni di questo tipo; la funzione decrescente f(e) tiene conto delle condizioni di addensamento iniziale dei materiali; a seconda della granulometria e forma delle particelle per essa sono state suggerite differenti espressioni analitiche riportate e diagrammate in Fig. 11.23.

Fig. 11.23 – Funzioni dell’Indice di porosità.

Identificata la funzione adatta, i parametri necessari per definire G0 sono il coefficiente di rigidezza S e l’indice di rigidezza n. Affinché S ed n prescindano dalla scelta delle unità di misura di pressioni e moduli, l’equazione ultima viene preferibilmente adimensionalizzata assumendo come pressione di riferimento quella atmosferica pa (≈100 kPa).

Attraverso la rappresentazione in un diagramma bilogaritmico della relazione tra moduli iniziali e pressioni (entrambi normalizzati) nella forma:

s’individuano i valori di S ed n relativi alla f(e) prescelta.

Entrambi i parametri hanno un significato fisico riconducibile alla trattazione teorica dei mezzi granulari ideali. In un certo senso essi rappresentano le proprietà di rigidezza e tessitura delle particelle solide: in particolare, S riflette la rigidezza alle basse tensioni di confinamento, n la sensibilità alla variazioni di pressione effettiva.

 

Fig. 11.24 – valori tipici dei parametri di rigidezza per terreni di differente plasticità.

In merito alle proprietà dissipative dei terreni granulari alle basse deformazioni, il fattore di smorzamento iniziale D0 assume, anche per velocità di deformazione piuttosto elevate, valori ridotti (in genere < 2%, Fig. 11.24) e scarsamente sensibili a pressioni di confinamento e indice di porosità. Si riscontrano eccezioni nel caso di sabbie addizionate di materiale fine, il cui comportamento dissipativo risente apprezzabilmente della frazione limoso-argillosa. In tali casi il fattore di smorzamento D0 decresce all’aumentare di p’ e al diminuire di e, ed assume valori sempre più elevati alò crescere della frazione fine.

Terreni a grana fine

Stato e storia tensionale di argille e limi vengono tradizionalmente rappresentati in termini di tensione effettiva media e rapporto di sovraconsolidazione, rispettivamente.

La forma monomia, nell’estensione ai terreni argillosi, incorpora la storia tensionale secondo l’espressione:

in cui OCR può essere inteso come il rapporto di sovraconsolidazione in termini di tensioni verticali (OCR = σvc/σv0) o, più propriamente, sferiche (OCR = pc’/p’). In quest’ultima ipotesi, si può sviluppare la relazione ultima nella forma:

I parametri di rigidezza Sn ed m, variano in relazione alla composizione mineralogica, microstruttura e tessitura delle particelle e degli aggregati. I relativi valori possono essere ottenuti secondo la procedura schematicamente riportata in Fig. 11.25, disponendo di dati inerenti a materiale sia normalconsolidato che sovraconsolidato.

Fig. 11.25 – Determinazione dei parametri di rigidezza Sn ed m.

La validità dell’espressione è stata ripetutamente verificata da numerosi ricercatori. Adottando la stessa funzione f(e) considerata per i materiali granulari, i terreni a grana fina presentano valori minori del coefficiente S e più elevati di n in ragione della plasticità del materiale. L’esponente m del grado di sovraconsolidazione risulta una funzione crescente dell’Indice di plasticità secondo l’andamento di Fig. 11.26.

Fig. 11.26 – Variazione di m in funzione dell’Indice di plasticità.

Il fattore di smorzamento alle basse deformazioni, per i terreni a grana fina assume, a parità di stato e storia tensionale statici, valori crescenti con la velocità di deformazione γ’. Le prove cicliche danno luogo, anche in questo caso, a valori di D0 pressoché nulli; le prove dinamiche forniscono in genere valori > 2%. decrescenti all’aumentare di p‘ e di OCR.

Una fascia indicativa  di variabilità degli andamenti tipici per i terreni a grana fine è rappresentata in Fig. 11.27.

Fig. 11.27 – Valori tipici del camping iniziale D0.

In figura è altresì indicato come, a parità di stato di confinamento, le argille plioceniche naturali mostrino valori di D0 crescenti con la plasticità, ma al di sotto del campo dei valori assunto da terreni con Ip anche inferiore (limi sabbie-argillosi e sabbie limo-argillose) adoperati come materiali da costruzione previo compattamento.

I valori sensibilmente più elevati di D0 per i terreni a grana medio-fine compattati possono in qualche modo essere giustificati dall’eterogeneità granulometrica e microstrutturale tipica di tali materiali e in parte anche dalla preparazione, responsabile dell’assenza di legami fisico-chimici dovuti all’età geologica (diagenesi e invecchiamento), tipici invece dei depositi naturali.

Effetti del tempo di confinamento

La durata d’applicazione della pressione di confinamento è stata da tempo riconosciuta come un fattore determinante sulle proprietà alle basse deformazioni. Studi sperimentali, effettuati prevalentemente con prove dinamiche di laboratorio, hanno accertato i termini della dipendenza di rigidezza e smorzamento iniziali dal decorso della consolidazione primaria e dai fenomeni di compressione secondaria.

La tipica variazione nel tempo di G0 per un provino di terreno fine saturo, consolidato sotto una pressione totale di confinamento costante, è qualitativamente illustrata dalla Fig. 11.28.

Durante la fase di dissipazione delle sovrappressioni neutre (consolidazione primaria), l’aumento di G0 è essenzialmente attribuibile all’evoluzione delle tensioni effettive, mentre i cosiddetti effetti di lungo termine si traducono in un incremento lineare di G0 con il logaritmo del tempo.

Per analizzare l’effetto della compressione secondaria sulla rigidezza G0, conviene introdurre un coefficiente d’incremento logaritmico assoluto, IG (aumento di G0 per campo logaritmico di tempo), e un indice d’incremento relativo, NG ottenibile adimensionalizzando IG rispetto a un valore di G0 scelto a un istante convenzionale.

La scelta più obiettiva per quest’ultimo parametro é il termine  della consolidazione primaria G0(fdp) in Fig. 11.28 in quanto elimina l’effetto dimensionale del provino sui tempi caratteristici del fenomeno (tuttavia, in letteratura, IG viene più spesso normalizzato rispetto al valore di G0 in corrispondenza di t = 103’(G0(1000’)).

Gli andamenti qualitativi di G0(l) e i valori tipici di NG( = IG/G0(1000’)) per materiali sabbiosi e per argille normalconsolidate e sovraconsolidate sono schematicamente illustrati nella Fig. 11.28.

Fig. 11.28 – Effetto della compressione secondaria sulla rigidezza G0a) significato e determinazione di IG e NG;

b) andamento di G– log I per differenti terreni.

Gli effetti di lungo termine sono scarsamente apprezzabili per i terreni granulari (NG< 5%), fatta eccezioni per quelli piroclastici.

Per i materiali a grana fine si riconosce che l’indice NG diminuisce al crescere del grado di sovraconsolidazione e che può variare dal 5% al 25% all’aumentare dell’indice di plasticità del terreno. I terreni a grana medio fine compattati presentano in genere valori ridotti rispetto a quelli competenti a campioni di depositi naturali di pari plasticità.

La Fig. 11.29 riporta una serie di punti sperimentali ricavati in letteratura ed una curva media di regressione; sono da notare le posizioni anomale rispetto all’andamento medio, dei campi di valori tipici per terreni argilloso-limosi compattati.

Fig. 11.29 – Variabilità di NG in relazione alla plasticità dei terreni.

Effetto delle modalità di applicazione delle sollecitazioni tangenziali cicliche

I parametri equivalenti iniziali, prevalentemente influenzati dallo stato e dalla storia tenso-deformativa di carattere volumetrico, subiscono anche l’effetto delle modalità di applicazione delle sollecitazioni cicliche. tra queste, è particolarmente interessante isolare gli aspetti connessi alla rapidità di variazione delle tensioni (o, più propriamente, deformazioni) tangenziali e alla sequenza delle distorsioni cicliche applicate.

Velocità di deformazione

In precedenza si era avvertito che un terreno assume valori di rigidezza e smorzamento iniziali diversi a seconda della velocità di applicazione dei carichi; ciò giustifica il perché, anche ai minimi livelli deformativi, sia opportuno distinguere tra parametri equivalenti relativi a sollecitazioni cicliche o dinamiche.

In linea del tutto generale, gli effetti dovuti alla legge di variazione dei carichi nel tempo sono caratterizzabili mediante la velocità di deformazione γ’. Nel caso di andamento armonico di frequenza f tra due inversioni di carico ciclico di ampiezza γ essa vale, mediamente:

γ’ = 4γf

ed è quindi, a parità di livello deformativo γ, proporzionale alla frequenza f.

Le ricerche sperimentali hanno più volte evidenziato come la sensibilità a γ’ sia impercettibile nelle sabbie e nei terreni piroclastici: tali materiali, assimilabili ai mezzi coulombiani (dissipazioni per solo attrito interno), presentano pertanto valori di G0 indipendenti dalla γ’ e da D0 nulli nel campo lineari- (legame iperelastico).

Per contro, il comportamento reologico dei terreni a grana fine non é affatto trascurabile anche a deformazioni inferiori a γl causa la viscosità dei legami interparticellari; i terreni limo-argillosi naturali presentano incrementi relativi di G0 e D0 dell’ordine del 5÷10% per campo logaritmico di γ’ e quindi per ordine di grandezza di variazione della frequenza.

Nel complesso l’effetto risulta meno sensibile sui materiali sovraconsolidati, e sembra marcatamente controllato da fattori costitutivi come tessitura e cementazione.

Effetto della storia deformativa ciclica

Una successioni- di carichi ciclici a deformazioni medio elevate può produrre effetti di decadimento (o di miglioramento) delle proprietà meccaniche di un terreno, riconducibili a due fenomeni principali: accoppiamento volumetrico-distorsionale e modifiche strutturali dello scheletro solido, entrambi particolarmente evidenti per γ > γv. Nel caso di terreni asciutti in condizioni drenate, il primo dei fattori citati si traduce in variazioni di densità; per i terreni saturi a drenaggio impedito si assiste invece ad un accumulo di sovrapressioni neutre (a volte anche negative) e a conseguenti variazioni di tensioni effettive indotte dalle distorsioni applicate.

Il secondo fattore incide in genere peggiorando le proprietà del terreno, in quanto le modifiche strutturali prodotte sullo scheletro solido dalla distorsione ciclica consistono nell’indebolimento dei legami fisici o elettrochimici, nella parziale o totale rottura delle particelle o degli aggregati.

Tutto ciò, per quanto detto in precedenza, comporta variazioni dei parametri iniziali G0 e D0 rispetto ai valori misurabili sul materiali pre-sollecitato: ’effetto del prestraining è stato ripetutamente studiato tramite prove di taglio torsionale ciclico e dinamico su sabbie, argille, pozzolane, materiali a grana fine compattati. I risultati indicano tendenze diverse in relazione a granulometria e stato iniziale del terreno in oggetto.

Fig. 11.30 Effetto del prestraining in terreni parzialmente e completamente saturi.

A seguito di una presollecitazione ciclica, i terreni granulari asciutti presentano un miglioramento delle proprietà meccaniche (incremento di G0 e diminuzione di D0), a meno che non siano fortemente addensati: ciò si deve per lo più al comportamento contraente e quindi alla tendenza al progressivo addensamento sotto carichi ciclici. La medesima tendenza, nel caso di materiale saturo e drenaggio impedito, genera accumulo di sovrappressioni neutre positive e quindi decremento di G0 e aumento di D0. A questo comportamento fanno eccezione i terreni piroclastici non saturi che esibiscono, all’aumentare del livello di presollecitazione ciclica, non trascurabili diminuzioni del modulo G0 e un lieve aumento dello smorzamento D0: questi effetti sembrano sintomatici di un progressivo deterioramento della matrice solida.

I terreni a grana fine esibiscono una sensibile tendenza al decadimento per effetto del prestraining : il fenomeno è controllato sia dalle variazioni di pressione neutra che dal progressivo deterioramento dei legami interparticellari.

L’incidenza di entrambe le cause è sinteticamente mostrata dai diagrammi di Fig. 11.30 relativi ai risultati di prove RC su un limo sabbioso-argilloso compattato che mostra effetti di degradazione più sensibili in condizioni di saturazione.

Il decadimento delle proprietà alle basse deformazioni, in questo come in altri materiali a grana fine, tende tuttavia a dissiparsi nel tempo; i diagrammi di Fig. 11.31 mostrano il recupero (per effetto di fenomeni tixotropici), dei valori di G0 e D0 a valle di una sequenza di prove di taglio ciclico spinta a γ > γv.

Fig. 11.31 – Effetto della tixotropia su rigidezza e smorzamento.

12.5.2 – Comportamento dei terreni a deformazioni medio-elevate

Per impostare una sintesi delle caratteristiche di deformabilità e dissipazione a livelli distorsionali superiori alla soglia di linearità (γ > γl), è opportuno far riferimento alle leggi di variazione del modulo e smorzamento con il livello di deformazione γ opportunamente normalizzate o ridotte rispetto ai valori iniziali G0D0.

In relazione alle caratteristiche fisico-meccaniche dei vari tipi di terreno, vengono nel seguito discussi il comportamento non lineare, i fenomeni di degradazione ciclica e l’accumulo di sovrappressioni neutre ricorrendo alla deformazione γ come variabile guida.

Si assumono come capisaldi di riferimento sia la soglia di linearità yl che quella di stabilità del comportamento ciclico yv.

Fattori di influenza del comportamento non lineare

Gli effetti di granulometria e di assetto delle particelle (microstruttura) sul comportamento dei terreni in campo non lineare sono stati trattati in maniera alquanto contraddittoria nella letteratura. In contrasto con quanto a suo tempo indicato dalla Scuola di Berkeley, l’approccio più ragionevole sembra quello di attribuire un campo di stazionarietà di modulo e smorzamento più esteso per i terreni a grana fine che per quelli granulari. Ciò discende dall’analisi di un gran numero di risultati sperimentali, che ha permesso ad alcuni studiosi di associare più attendibilmente posizione e curvatura delle relazioni G(γ) e D(γ) alle caratteristiche granulometriche e microstrutturali dello scheletro solido e alle relative modifiche imposte dalle pressioni di confinamento.

Correlazioni di tale tipo si giustificano invocando una permanenza più pronunciata in campo lineare dei materiali caratterizzati da contatti interparticellari più diffusi e quindi da granulometrie più fini e microstrutture associate a indici di plasticità (e valori caratteristici della porosità) più elevati. L’aumento idi Ip può essere associato a una maggiore robustezza dei legami fisico-chimici tra i complessi di adsorbimento in corrispondenza di facce e spigoli degli aggregati, il che tende a conferire ai terreni a grana fine una certa resistenza agli scorrimenti tra i contatti intergranulari.

L’interruzione dei legami è peraltro ostacolata dall’aumento delle pressioni di confinamento; l’effetto e più sensibile per i terreni granulari e per quelli fini normalconsolldati. Ciò può essere del resto illustrato tacendo riferimento ai più semplici modelli di mezzo particellare ideale.

In definitiva, l’influenza dei fattori costitutivi può essere rappresentata dalle dimensioni delle particelle per i terreni a grana grossa, dall’indice di plasticità per quelli a grana fine. La diminuzione del diametro dei grani o l’aumento di Ip determinano di fatto una traslazione delle curve G(γ) e D(γ) verso valori più elevati della deformazione tangenziale.

In numerosi lavori di compilazione sono fornite delle curve G(γ) e D(γ) mediamente correlabili a valori di Ip (ad es. in Fig. 11.32), nonché la relativa variabilità in funzione di p‘. Tali curve, ottenute dalla sintesi di numerosi dati da prove di laboratorio su terreni non coesivi e coesivi, non possono rappresentare uno strumento di progetto ma costituiscono un utile quadro al quale riferire i comportamenti osservabili per via sperimentale.

Fig. 11.32 – Influenza dell’indice di plasticità su G(γ) e D(γ).

Soglia di linearità

Le curve medie di Fig. 11.32 sono traducibili ili termini di soglia di linearità γl che secondo un approccio ingegneristico può essere individuata come il livello di γa cui G = 0.95.

Fig. 11.33 – Deformazione di soglia γl e γv tipiche di alcuni terreni naturali.

Diagrammando l’andamento di γl con Ip diventa possibile saggiare le caratteristiche di non linearità dei terreni naturali in funzione della posizione dei relativi punti sperimentali rispetto al comportamento tipico. Per i terreni non coesivi (non plastici) γl diminuisce al crescere del diametro delle particelle, mentre aumenta se la presenza di legami di cementazione è significativa (terreni piroclastici). Per un dato terreno granulare γl tende a crescere con la pressione di confinamento.

I valori di γl assunti dai terreni coesivi naturali caratterizzati dalla diffusa presenza di legami fisico-chimici di origine diagenetica si dispongono al di sopra dei valori medi, indicando l’efficacia di una struttura più continua a i fini della permanenza in campo lineare. L’opposto accade per le argille a scaglie che, anche per plasticità particolarmente elevate, possono manifestare valori di γl confrontabili con quelli tipici delle sabbie.

Soglia volumetrica

Come più volte ricordato, oltre la soglia volumetrica γv, sollecitazioni di taglio ciclico non solo generano distorsioni di tipo non lineare, ma inducono anche tendenza alle variazioni volumetriche e modifiche strutturali. Gli effetti complessivamente prodotti sono individuabili, nel corso della sollecitazione ciclica, dalla variazione dei parametri equivalenti e, all’atto dello scarico, da distorsioni permanenti, deformazioni volumetriche (terreni non saturi o drenaggio libero) o sovrappressioni neutre residue (drenaggio impedito).

Lavori di sintesi di risultati sperimentali hanno permesso di riscontrare una trascurabile dipendenza di γv dallo stato e storia tensionale applicati; i valori tipici sono > 0.01 mentre si è rilevato fra l’altro che, in corrispondenza di γv, il modulo equivalente normalizzato G assume un valore variabile tra 0.60÷0.85, ma il più delle volte intorno a 0.65 (Fig. 11.34).

Fig. 11.34 – Degradazione ciclica di terreni normalconsolidati ed influenza dell’indice di plasticità.

Oltre che a limitare i! campo di applicabilità dell’analisi lineare equivalente, l’individuazione della soglia volumetrica può pertanto prestarsi anche alla determinazione approssimata dell’andamento delle leggi di variazione di modulo e smorzamento con la deformazione tangenziale.

Analogamente alla soglia lineare γl anche quella volumetrica γv é correlabile alle caratteristiche microstrutturali del terreno, sinteticamente espresse dall’indice di plasticità Ipγv cresce con Ip. secondo l’andamento medio riportato ancora in Fig. 11.33.

Degradazione ciclica

La ripetizione di cicli deviatorici a γ > γv dà luogo alla perdita di stabilità del ciclo stesso, il che significa variazione di deformazione di picco nelle prove a carico controllato e viceversa: in definitiva, i cappi d’isteresi non si richiudono più su se stessi, la loro pendenza e l’energia dissipata variano con l’accumulo del numero di cicli; ciò si traduce nella non univocità dei parametri equivalenti associabili a carichi o deformazioni di riferimento. La Fig. 11.34 esemplifica quanto appena affermato, con riferimento alle curve di degradazione del modulo di taglio per materiali saturi normalconsolidati di differenti indici di plasticità. È evidente come la rigidezza decresca con il numero di cicli in maniera sempre più accentuata al crescere dell’ampiezza della deformazione ciclica γ.

Fig. 11.35 – Andamenti tipici di tG in terreni di differente plasticità.

Qualitativamente, le variazioni con il numero di cicli N dei parametri equivalenti G(γ) e D(γ) per i vari tipi di terreno riflettono quelle già riportate per G0 e D0 e sono riassunte in Tab. 11.4. Accade in genere che a incrementi di rigidezza corrispondono decrementi di smorzamento (sabbie non sature), e viceversa (tutti gli altri terreni). Solo i terreni piroclastici tendono a .sfuggire alla norma, in quanto mostrano entrambi i parametri equivalenti in diminuzione con l’accumulo dei cicli.

Il comportamento dei terreni sovraconsolidati é in generale affetto in minor misura dalla degradazione, i cui effetti si manifestano in maniera tangibile solo dopo qualche decina di cicli.

I materiali a grana fine compattati, invece, mostrano una più accentuata tendenza alla degradazione, indipendentemente dal grado di saturazione e  dalla pressione ili confinamento

mento; ciò si deve presumibilmente attribuire ad una maggiore instabilità dei legami interparticellari indotta dalla compattazione dinamica.

Valutazioni di carattere quantitativo dei fenomeni di degradazione sono esprimibili associando ad un determinato livello di deformazione γ una coppia di coefficienti di degradazione ciclica δG e δD e che rappresentino il decremento relativo di modulo e smorzamento con il numero di cicli di sollecitazione N, applicati:

δG = G(N)/G(1)             δD = D(N)/D(1)

Interpretando, ad es., l’andamento di δG in funzione di N con una curva esponenziale negativa del tipo δG = N-tG è possibile riassumere, al variare di γ la degradazione della rigidezza mediante l’unico parametro tG = log δG/log N.

La Fig. 11.35 mostra che, per terreni normalconsolidati, l’aumento di tG con γ è via via più marcato al diminuire dell’indice di plasticità del terreno.

Fig. 11.36 – Sovrapressioni neutre indotte da carichi ciclici in un terreno a grana fine.

Sovrappressioni neutre indotte da carichi ciclici

Nella modellazione dei problemi di Dinamica dei Terreni e possibile distinguere gli effetti diretti da quelli indotti: i primi sono rappresentati dalla risposta del terreno ai carichi ciclici, i secondi costituiscono le ripercussioni dell’applicazione di una sollecitazione ciclica nei confronti di una successiva analisi di tipo statico.

Degli effetti diretti si è riferito in precedenza; quelli indotti assumono particolare rilievo, ad es., quando si pensa alla valutazione degli effetti sismici sulla stabilità dei versanti o all’analisi dello stato tensio-deformativo post-sismico nel corpo di dighe in terra o manufatti simili, nonché alla reiterata successione di impulsi o carichi periodici in un sottosuolo interessato da vibrazioni provenienti dalla superficie.

Più nel dettaglio, a seguito di azioni cicliche che comportano il superamento della soglia volumetrica γv in un terreno saturo, gli effetti diretti sono analizzabili in termini di parametri equivalenti e relativi indici di degradazione; gli effetti indotti sono invece in buona parte valutabili in relazione all’entità delle sovrappressioni neutre residue, che condiziona la scelta dei parametri meccanici da adottare nelle verifiche in fase post-ciclica.

L’osservazione sperimentale mostra che i terreni argillosi normalconsolidati hanno un comportamento tendenzialmente contraente, in quanto le sovrappressioni neutre crescono indefinitamente con il numero di cicli (Fig. 11.36).

Per i terreni sovraconsolidati il discorso si fa più complesso: a mano a mano che il grado di sovraconsolidazione aumenta, il comportamento dilatante tende a prendere il sopravvento su quello contraente, almeno finché il numero di cicli N non supera un certo valore caratteristico. Questo segnala l’inversione di tendenza tra i due tipi di comportamento a seguito del progressivo deterioramento dei legami interparticellari, che prende il sopravvento sulla tendenza all’aumento di volume degli aggregati. Il numero di cicli caratteristico, in diminuzione con l’aumento di γ cresce con il grado di sovraconsolidazione OCR; i terreni fortemente sovraconsolidati, per sollecitazioni ripetute con caratteristiche significative ai fini pratici, possono quindi non mostrare alcuna tendenza al comportamento contraente. Ciò dimostra che perfino il segno delle sovrappressioni neutre residue non è un indice certo di effetti indotti.

Per di più, nella caratterizzazione sperimentale di un dato materiale interessa quantificare l’entità delle sovrappressioni neutre indotte dalla sollecitazione di progetto. Al cessare della sollecitazione, alle modifiche di stato tensionale effettivo vanno attribuite le variazioni delle caratteristiche ili deformabilità e di resistenza del terreno che può interessare introdurre nell’analisi dei problemi al finito. In altre parole, occorre valutare quegli effetti che nei problemi di geotecnica statica vengono convenzionalmente rappresentati mediante i coefficienti di pressione neutra ru.

Lo stato delle conoscenze sperimentali in merito non è purtroppo sufficientemente ricco da poter fornire ne un più preciso quadro di sintesi, ne affidabili correlazioni empiriche. Abbondano invece i criteri di modellazione teorica, basati sia su approcci relativamente semplificati (modelli tensione-deformazione-pressione neutra, di carattere semiempirico), sia su impianti complessivamente più rigorosi (modelli incrementali razionali).

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